La Dea Bianca (gli stralci più belli)

"La Dea Bianca" è un libro interessante, ma è spesso come un materasso e non tutti potrebbero avere il tempo o la costanza di leggerlo tutto! A questo aggiungiamo che qui e lì è anche troppo prolisso e "disperdente". Per cui pubblico qui alcuni degli stralci più belli che potrebbero servire come introduzione\compendio di questo celebre libro.



La mia tesi è che il linguaggio del mito poetico anticamente usato nel Mediterraneo e nell'Europa settentrionale fosse una lingua magica in stretta relazione con cerimonie religiose in onore della Dea-Luna, ovvero della Musa, alcune delle quali risalenti all'età paleolitica; e che esso resta a tutt'oggi la lingua della vera poesia - "vera" nel senso mitologico moderno di "originale non suscettibile di miglioramento, e non un surrogato". Questa lingua fu manomessa verso la fine dell'epoca minoica, allorché invasori provenienti dall'Asia centrale cominciarono a sostituire alle istituzioni matrilineari quelle patrilineari, rimodellando o falsificando i miti per giustificare i mutamenti della società. Poi giunsero i primi filosofi greci, fortemente ostili alla poesia magica, nella quale ravvisavano una minaccia per la nuova religione della logica. (Nota di Lunaria: non a caso, il discorso del sessismo nel linguaggio, è uno dei punti fondamentali della Teologia Femminista, quando fa notare l'insistenza dell'uso di termini maschili, sessisti e fallici in riferimento a Dio, che fanno passare Dio solo come un "padre", lasciando passare il messaggio che "non c'è femminilità in Dio, ma solo virilità").
Sotto la loro influenza venne elaborato un linguaggio poetico razionale (oggi chiamato classico), in onore del loro patrono Apollo, il linguaggio che fu imposto al mondo come il non plus ultra dell'illuminazione spirituale. Da allora in poi questa visione ha dominato praticamente incontrastato nelle scuole e nelle università europee.
Uno dei più intransigenti denigratori dell'antica mitologia greca fu Socrate. Spaventato o offeso dai miti, egli preferì volgere loro le spalle e addentrare la mente al pensiero scientifico, per "conoscere la ragione dell'essere di ogni cosa - di ogni cosa com'essa è, non come appare - e rifiutare tutte le opinioni di cui non si può dare conto." 

Il fatto è che al tempo di Socrate il significato di gran parte dei miti appartenenti all'epoca precedente era stato ormai dimenticato o costituiva un segreto religioso gelosamente custodito benché ve ne fossero ancora raffigurazioni pittoriche nell'iconografia religiosa e narrazioni fantastiche dalla quali attingevano i poeti.
L'intento di questo libro è di riscoprire quei fondamenti perduti e illustrare i principi attivi della magia poetica che li sottendono.
La mia tesi si fonderà sull'analisi di due straordinarie poesie gallesi del XIII secolo scritte da menestrelli, nelle quali sono ingegnosamente nascoste le tracce dell'antico segreto.

La vita sociale inglese si fondava sull'agricoltura, sulla pastorizia e sulla caccia, e il Tema (poetico) perdurò implicitamente nella celebrazione popolare delle feste note oggi come Candlemas (Candelora), Lady Day (Annunciazione), May Day (Calendimaggio), Midsummer Day (San Giovanni), Lammas (la Festa del Raccolto, 1° agosto), Michealmas (San Michele), All-Hallowe'en (vigilia di Ognissanti) e Natale. Fu anche conservato in segreto come dottrina religiosa nelle conventicole anticristiane che praticavano il culto delle streghe.  
Il quale Tema, detto in breve consiste nell'antichissima storia, divisa in tredici capitoli e un epilogo, della nascita, vita, morte e resurrezione del dio dell'Anno Crescente. I capitoli centrali riguardano la battaglia da lui combattuta e persa contro il dio dell'Anno Calante per amore della capricciosa e onnipotente Triplice Dea, madre di entrambi, loro sposa e seppellitrice. Il poeta identifica se stesso con il dio dell'Anno Crescente e la sua Musa con la Dea; il rivale è il suo fratello di sangue, il suo doppio, il suo weird o destino. Tutto ciò che è vera poesia celebra qualche episodio o qualche scena di questa antichissima storia, i cui tre personaggi principali sono a tal punto parte della nostra eredità razziale che non si limitano a imporsi nella poesia, ma si manifestano in occasioni di particolare intensità emotiva sotto forma di sogni, visioni paranoiche e deliri.
La Dea è una donna snella e affascinante, col naso aquilino, il volto di un pallore mortale, le labbra rosse come le bacche del serbo selvatico, gli occhi straordinariamente azzurri e lunghi capelli biondi. Può tramutarsi d'un tratto in scrofa, cavalla, cagna, volpe, asina, donnola, serpente, gufo, lupa, tigre, sirena o ripugnante megera. Innumerevoli sono i suoi nomi e titoli.
(Nota di Lunaria. Se si consulta "Il Linguaggio della Dea: Mito e Culto della Dea Madre nell'Europa Neolitica" di Marija Gimbutas, si potrà vedere come nei primordi si adorasse una Dea Uccello, una Dea Pesce e una Dea Scrofa).
Nelle storie di fantasmi figura spesso come "Signora Bianca" e nelle religioni del mondo antico, dalle Isole britanniche al Caucaso, è la "Dea Bianca", [...] la Madre di tutti i viventi, l'antica forza della paura e della concupiscenza - il ragno femmina o l'ape regina il cui abbraccio è mortale (nota di Lunaria: il ragno è citato anche in "Luna Rossa": Un simile simbolismo lo si può trovare nell'immagine del ragno. Proprio come il ragno tesse la sua tela dall'interno del suo corpo, la Dea Ragno era vista come colei che crea la ragnatela spazio-temporale portando la struttura della vita in tutta la creazione che è cosciente di ogni singola vibrazione della ragnatela. Come Signora della Ragnatela, lei tesse i fili della vita di tutti gli esseri viventi. In seguito le Dee furono associate alla capacità di filare e tessere, non solo come patrone di quest'arte ma anche come rappresentanti del ciclo della vita e della morte. Una Dea filava il filo dell'uomo nella tela della vita, la madre tesseva il tappeto dell'esistenza, il tempo tagliava il filo e la Dea Oscura disfaceva il tappeto perché poi il ciclo potesse ricominciare."
L'ape invece, la troviamo in riferimento alle Tesmoforie Greche: "Un'altra particolarità delle Tesmoforie era che tutte le donne che vi partecipavano erano chiamate Melissai, - le api - in ricordo di un episodio del mito di Demetra, che mentre vagava alla ricerca di Core fu ospitata da Melissos, re di Paro o, in un'altra versione, re delle api. I Greci avevano una grande ammirazione per la casta alacrità delle api e per il modo in cui nell'alveare si aborre l'adulterio, punito con l'uccisione dell'adultero, o con la migrazione dell'intero sciame. Durante le Tesmoforie le matrone diventavano Melissai, caste api asessuate e astinenti. Data la condizione di inferiorità e subordinazione delle donne in Grecia, le Tesmoforie erano tre giorni di licenza straordinaria, in cui le donne sposate erano libere di abbandonare il focolare e i lavori di casa per stare assieme tra loro, rendendosi volontariamente non attraenti [...] Le Melissai non erano sorvegliate e non erano rinchiuse, eppure, attraversa l'insolita castità e in comunione con le altre donne, provvedevano a svolgere i riti di fertilità così importanti che gli uomini non avrebbero osato farne a meno [...] Le matrone usavano questa temporanea castità per evadere dalla noia dei lavori domestici, dall'autorità dei mariti; [...] riaffermavano la propria importanza sociale in quanto donne").

I capitoli che seguono sono dedicati alla riscoperta di una serie di formule sacre di diversa antichità in cui sono riassunte le versioni successive del Tema.

Nel "Charm Against the Night Mare" ("Formula contro l'incubo"), resoconto dell'impresa di Odino, proveniente dal Nord dell'Inghilterra e databile al XVI secolo:

"Tha mon o' micht, he rade o' nicht
wi' neider swerd ne ferd ne licht.
He socht tha Mare, he fond tha Mare,
he bond tha Mare wi' her ain hare,
ond gared her swar by midder-micht
she wolde nae mair rid o' nicht
whar aince he raade, thot mon o' micht"


"L'uomo possente cavalcava di notte/ senza spada né compagni né luce/ Cercò la cavalla, trovò la cavalla/legò la cavalla con la sua stessa criniera/ e la fece giurare per il potere di madre/che mai più avrebbe cavalcato di notte/dove una volta egli cavalcò, quell'uomo possente"

La cavalla notturna l'incubo, (*) è uno degli aspetti più crudeli della Dea Bianca. I suoi nidi, in cui ci si imbatte in sogno, dentro crepacci rocciosi o tra i rami di enormi alberi di tasso cavi, sono fatti di ramoscelli scelti con cura, foderati di crine di cavallo bianco e del piumaggio di uccelli profetici e cosparsi di mandibole e viscere di poeti. Il profeta Giobbe disse di lei: "Ella dimora e risiede nella roccia. E anche i suoi piccoli succhiano sangue."

(*) In inglese "night mare" è associato a "nightmare", "incubo", parola che indica uno spirito femminile che opprime nel sonno gli uomini e gli animali.


Dal capitolo 4, pagina 78

Nel "Romanzo di Taliesin", l'avversaria di Gwion, Caridwen o Cerridwen, era anch'essa una Dea-scrofa bianca. MacCulloch ricorda che i bardi gallesi la descrivono anche come Dea del grano e la identificano con Demetra. Il suo nome si compone delle parole "cerdd" e "wen". "Wen" significa "bianco" e "Cerdd" in irlandese e  gallese significa "guadagno" e anche "le arti ispirate, specialmente la poesia" come i termini greci "kerdos" e "kerdeia", da cui deriva il latino "cerdo", "artigiano". In greco la donnola, travestimento caro alle streghe della Tessaglia, aveva nome "kerdo" di solito reso con "la scaltra"; in spagnolo il termine arcaico "cerdo", di origine incerta, significa "maiale". Pausania fa di Cerdo la moglie dell'eroe culturale argivo Foroneo, inventore del fuoco e fratello a un tempo di Io e di Argo Panopte, che nel capitolo 10 verrà identificato con Bran. Forse in onore di questa Dea era eseguita un tempo la famosa "cerdana", la danza del raccolto dei Pirenei spagnoli, che ha dato il nome alla migliore zona cerealicola della regione, la valle di Cerdana.
Cerridwen è chiaramente la Scrofa Bianca, la Dea dell'orzo, la Bianca Signora della Morte e dell'Ispirazione; insomma Albina o Alfito, la Dea dell'orzo che diede il nome alla Britannia.
I Latini onoravano la Dea Bianca con il nome di Cardea. Ovidio nei "Fasti" ci racconta una storia confusa che la collega col vocabolo "cardo", "cardine", e dice che era l'amante di Giano Bifronte, il dio delle porte del primo mese dell'anno e che sovrintendeva ai cardini delle porte. Proteggeva anche i bambini dalle streghe che, travestite da paurosi uccelli notturni, rapivano i neonati dalla culla per succhiarne il sangue. Sempre secondo Ovidio, Cardea esercitò il suo potere dapprima ad Alba ("la città bianca"), fondata da genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice a sua volta di Roma, e il suo principale strumento profilattico era il biancospino. In realtà le cose stavano in modo esattamente opposto: Cardeo era Alfito, la Dea Bianca che uccideva i bambini dopo essersi travestita da uccello o animale, e il biancospino a lei sacro non doveva essere portato dentro casa se non si voleva che essa uccidesse i bambini che vi si trovavano. Giano, "il robusto guardiano della porta di quercia", teneva lontana Cardea con le sue streghe perchè in realtà era il dio della quercia Diano che si incarnava nel re di Roma e in seguito nel flamen dialis, suo successore spirituale; sua moglie Giana era Diana (Dione), la Dea dei boschi e della Luna. Janus e Jana erano in realtà forme rustiche di Juppiter e Juno.
Come amante di Giano, Cardea ricevette l'incarico di tener lontana dalla porta quello spauracchio che lei stessa era stata in epoca matriarcale e che i Romani si propiziavano durante le nozze con torce di biancospino. Dice di lei Ovidio, citando probabilmente una formula religiosa: "Il suo potere di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto".
Ovidio identifica Cardea con la Dea Carnea celebrata a Roma il primo giugno con una festa nel corso della quale le venivano offerti carne di maiale e fagioli. In epoca classica i fagioli venivano adoperati come magia omeopatica contro le streghe e gli spettri: durante la festa romana dei Lemuria ogni capofamiglia si gettava alle spalle fagioli neri per i Lemures, o fantasmi, dicendo: "Con questi, io affranco me e la mia famiglia".
Il fiore del fagiolo è bianco e fiorisce nella stessa stagione del biancospino. I fagioli appartengono alla Dea Bianca - di qui la connessione con il culto delle streghe in Scozia: in epoca primitiva solo alle Sacerdotesse era lecito piantarli o cucinarli. Secondo una tradizione degli abitanti di Feneo in Arcadia, la Dea Demetra, passando di là nel corso dei suoi vagabondaggi, aveva loro concesso di seminare ogni varietà di cereali e legumi, con la sola eccezione dei fagioli. Il tabù orfico nasce forse dal fatto che il fagiolo, poichè cresce a spirale lungo il suo sostegno, è un simbolo della resurrezione: gli spiriti riuscivano a rinascere come esseri umani entrando nei fagioli (ne accenna Plinio) e venendo poi mangiati dalle donne.
Di solito Carnea viene identificata con la Dea romana Cranae, più propriamente Cranaea, "l'aspra, la petrosa", soprannome greco della Dea Artemide, la cui ostilità nei confronti dei bambini doveva essere costantemente placata. A Cranae era dedicato un tempio collinare nei pressi di Delfi, in cui l'ufficio sacerdotale era sempre rivestito da un fanciullo per un periodo di cinque anni; le era anche sacro un bosco di cipressi, il Cranaeum, appena fuori Corinto. Cranae significa "roccia" ed è collegato etimologicamente al gaelico "cairn" che indica un cumulo di sassi eretto sulla cima di un monte.
Io ne parlo come Dea Bianca perché il bianco è il suo colore, il colore della prima persona della sua Trinità Lunare. Ma il lessico bizantino di Suida, quando dice che Io era una vacca che mutava colore dal bianco al rosso e quindi al nero, intende che la Luna Nuova è la Dea Bianca della Nascita e della Crescita, la Luna Piena la Dea Rossa dell'Amore e della Battaglia, la Luna Vecchia, la Dea Nera della Morte e della Divinazione.
Il più completo e ispirato ritratto della Dea di tutta la letteratura antica si trova nell'"Asino d'Oro" di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata dal profondo della sua infelicità e del suo grande travaglio. Da questo brano si ricava che la Dea era forse stata onorata nella sua triplice veste di bianca germogliatrice, rossa mietitrice, e scura ventilatrice del grano.
  
Demoni e spauracchi erano in realtà Dei decaduti o sacerdoti di una religione spodestata: le Empuse e le Lamie greche, all'epoca di Artistofane erano considerate emissarie della Triplice Dea Ecate.
Le Lamie, donne affascinanti che seducevano i viaggiatori per poi fiaccarli e suggerne il sangue, erano state le sacerdotesse orgiastiche della Dea-Serpente libica Lamia; le Empuse, demonesse con una gamba di bronzo e l'altra di asino, erano vestigia del culto di Set; i Lilim o i figli di Lilith, devoti alla Dea-civetta ebraica, che era la prima moglie di Adamo, avevano fianchi d'asino.

In Irlanda si credeva che il ruggito del mare profetizzasse la morte di un re. Lo stesso annuncio veniva dall'aspro grido del gufo di palude. I gufi sono più loquaci nelle notti novembrine di Luna piena, ma poi tacciono sino a febbraio. è questa abitudine, insieme alla silenziosità del loro volo, all'odore di carogna dei nidi, alla dieta a base di topi e alla luminosità dei loro occhi nel buio, che fa di loro i messaggeri della Dea della morte Ecate o Atena o Persefone, dalla quale, come suprema fonte profetica, derivano la loro fama di saggezza.
Erodoto dice che i Lici dell'Asia Minore venivano da Creta, come pure i Cari, loro confinanti. [...] I Lidi erano, secondo Erodoto, i meno grecizzati di questi popoli e computavano la discendenza per via matrilineare anziché patrilineare. L'indipendenza della donna dalla tutela maschile e la discendenza matrilineare erano caratteristiche di tutti i popoli di ceppo cretese, e il medesimo sistema sopravvisse in certe parti dell'isola per lungo tempo dopo la conquista greca come testimonia Firmico Materno ancora nel IV secolo d.C.
I Lidi conservavano un altro vestigio dello stesso sistema: le ragazze si prostituivano prima del matrimonio, e poi disponevano dei loro guadagni e della loro persona come meglio credevano. 
I Cretesi, del resto, non adoravano il Dio Padre Zeus.

Plinio dice che le fanciulle e le matrone britanniche durante "certi riti" in onore di una Dea del cielo notturno e del mare, si tingevano tutto il corpo di azzurro scuro, fino a sembrare delle Etiopi, e così, nude, andavano in giro.
Un episodio della medioevale "Vita di san Ciaran" prova che in Irlanda la tintura col guado era un mistero femminile a cui nessun maschio era concesso assistere.
Anche i Pitti e i Brittoni si tatuavano al pari dei Daci, dei Traci e dei Mossineci, e forse l'azzurro serviva a renderli sacri alla Dea Anu.

Anche il simbolismo della mela fu corrotto dagli Ebrei.
La mela era sacra a Venere; che gli ebrei praticassero un rito di adorazione del Capro (Dioniso-Capro, Pan; gli ebrei lo chiamavano Azazel e lo sacrificavano nel giorno dell'Espiazione), come altri popoli, è testimoniato dal precetto deuteronomico - che per noi suona assurdo - "Non cuocere un capretto nel latte di sua madre", che vieterebbe quindi un rito eucaristico non più tollerato dai sacerdoti di Jahvèh (Nota di Lunaria: in realtà gli Ebrei inizialmente erano politeisti: furono i violenti sacerdoti di Jahvèh, i Leviti, e sopra di questi, l'elite dei Konath - poi Cohen - discendenti da Aronne, che riscrissero miti e storia, proibendo il culto della Dea Asherah "moglie" di Jahvèh e imponendo il culto monoteista unico. In questo modo potevano accentrare tutto il potere nelle loro mani, dominando incontrastati, come poi è stato. Maometto del resto fece la stessa identica cosa, perché per consolidare il potere, impose il culto del solo allah, a discapito della Triplice Dea: Al Lat, Manat, Al Uzza; gli Arabi pre-islamici erano politeisti!)
Lo stesso Maimonide (Ebreo Spagnolo del XII secolo riformatore della religione giudaica) interpreta il precetto deuteronomico come un'ingiunzione contro la partecipazione al culto di Astaroth.
Il Dio Dioniso veniva commemorato facendo cuocere un capretto farcito di mele: in Grecia i termini indicanti la capra o la pecora e la mela sono identici (melon/malum).
Eracle che riuniva in una sola persona Apollo e Dioniso era chiamato Melon perché i devoti gli offrivano mele e perchè le Tre Figlie dell'Ovest (le Esperidi: ancora la Triplice Dea) gli avevano donato il ramo delle mele d'oro, che lo aveva reso immortale.
Si pensa che la mela abbia rivestito una così straordinaria importante mitica perché se si taglia una mela orizzontalmente, ciascuna metà ha al centro una stella a cinque punte, simbolo di immortalità, che rappresenta la Dea nelle sue cinque stazioni: dalla nascita alla morte e di nuovo alla nascita. Rappresenta anche il pianeta Venere, adorato come Espero, la stella della sera in una metà del frutto e come Lucifero figlio del mattino nell'altra metà
(Nota di Lunaria: si noti come sia la mela, che il nome Lucifero furono poi profanati dai cristiani che diedero loro valenze negative...)  
Il mito di Adamo ed Eva non è che una rielaborazione del mito di Trittolemo, favorito dalla Dea dell'orzo Demetra, che venne espulso da Eleusi e mandato nell'Attica con una sacca di sementi per insegnare al mondo l'agricoltura. [...] Il fatto che Eva "la madre dei viventi", sia stata foggiata dalla costola di Adamo, deriverebbe da una raffigurazione pittorica della Dea Anatha di Ungarit ignuda, che osserva Aleyn alias Baal mentre spinge un coltello a lama ricurva sotto la quinta costola del suo gemello Mot: questa uccisione è stata interpretata erroneamente come la rimozione da parte di Jahvèh di una sesta costola, che poi diventerà Eva.
(Nota di Lunaria: i cristiani hanno persino perfezionato la misoginia del mito: pontificarono l'inferiorità morale della donna perché "tratta" da una costola ricurva - e lo stesso Maometto avvalora questo precetto, parlando della debolezza e della "curvità" delle donne. Sicuramente i Greci furono un popolo misogino, e tra i più misogini nell'antichità, ma ai livelli dei popoli del dio unico non ci arrivarono: San Tommaso d'Aquino è molto più misogino di Aristotele, del resto, che ci risparmiò il concetto di "dio che nasce maschio in terra".)


Dall' "Asino d'Oro" di Apuleio


Terminata così questa preghiera e svelate le mie ambasce alla Dea, ebbi la ventura di cadere daccapo addormentato sul medesimo giaciglio; e di lì a poco (poiché avevo appena allora chiuso gli occhi) mi apparve dal mezzo del mare un volto divino venerabile, adorato anche dagli stessi Dei. Poi, a poco a poco, mi parve di scorgere l'intera figura del corpo di Lei, che luminosa ascendeva dal mare e mi stava di fronte. Quindi mi propongo di descriverne il divino sembiante, se la povertà del mio discorso umano mi soccorrerà, o se il potere divino mi vorrà donare una facoltà di eloquenza sufficiente. Per prima cosa ella aveva grande abbondanza di chiome fluenti e ricciute, disciolte sul collo divino; sul sommo del capo portava molte ghirlande intrecciate di fiori e in mezzo alla fronte v'era un semplice cerchietto simile a uno specchio, o piuttosto alla Luna per la luce che emanava; e questo era sostenuto su ambo i lati da serpenti che parevano levarsi dai solchi della terra, e al di sopra v'erano spighe di grano. La sua veste era del lino più fine e mostrava diversi colori, in un punto bianco brillante, altrove giallo come il fiore di croco, altrove ancora rosato, altrove rosso come fiamma. E (cosa che mi turbò molto la vista e lo spirito) il suo manto era interamente scuro e fosco, ricoperto di nero brillante e, avvolgendolo da sotto il braccio sinistro fin sulla spalla destra a mo' di scudo, parte di esso ricadeva pieghettato in modo finissimo sino alle falde della veste, sì che i lembi ne apparivano piacevolmente. Qua e là lungo il profilo del manto e per tutta la sua superficie ammiccavano le stelle, e in mezzo a loro stava la luna di metà mese, risplendente come una face infuocata; e intorno a tutto il perimetro del bordo di quella veste così sontuosa s'intrecciava una corona o ghirlanda ininterrotta, fatta di ogni varietà di fiori e frutta. Oggetti svariati ella recava: nella mano destra aveva un tamburello di ottone, un pezzo di metallo piatto foggiato a mo' di cintola, attraverso la cui circonferenza passavano non molte bacchette; e quando col braccio ella muoveva queste triplici corde, esse emettevano un suono chiaro e acuto. Nella mano sinistra recava una coppa d'oro simile a una navicella, sopra la cui impugnatura, nella parte superiore più agevole a vedersi, un aspide dalla gola dilatata sollevava il capo. I suoi piedi olezzanti erano coperti da calzature intrecciate e lavorate con le foglie della palma vittoriosa.
Così la forma divina, alitando le piacevoli spezie dell'Arabia fertile, non sdegnò di rivolgermi con la sua sacra voce queste parole:


"Guarda, o Lucio, sono venuta.
Le tue lacrime e la tua preghiera mi hanno spinto
a venire in tuo aiuto.
Io sono Colei che è la madre naturale di tutte le cose,
Signora e Reggitrice di tutti gli elementi,
La Progenie Iniziale dei Mondi,
Il Culmine dei Poteri Divini,
Regina di tutti coloro che popolano gli inferi,
Prima di quelli che affollano il Cielo
Unica manifestazione sotto una sola forma
di tutti gli Dei e le Dee.
Per Mio Volere si dispongono i pianeti in cielo,
le salubri brezze marine e i lamentosi silenzi infernali.
Il Mio Nome, la Mia Divinità sono adorati ovunque nel mondo,
in diversi modi, con svariate usanze e con molti epiteti.
I Frigi, che sono i primi di tutti gli uomini,
mi chiamano la Madre degli Dei a Pessinunte;
gli Ateniesi sorti dal loro stesso suolo, Minerva Cecropia;
gli abitanti di Cipro, circondati dal mare, Venere Pafia;
i Cretesi che portano frecce, Diana Dittinna;
i Siciliani che parlano tre lingue, Proserpina Stigia;
gli Eleusini la loro antica Dea Cerere; alcuni Giunone,
altri Bellona, altri Ecate, altri Ramnusia;
e principalmente le due stirpi degli Etiopi,
che risiedono in Oriente e sono illuminati
dai raggi del sole nascente, e degli Egiziani,
che eccellono in ogni tipo di dottrina antica
e che con le loro giuste cerimonie sono soliti adorarMi,
mi chiamano con Il Mio Vero Nome, Iside Regina.
Ecco, Io sono giunta per avere pietà della tua sorte tribolata;
ecco, sono qui presente per favorirti e aiutarti;
cessa i lamenti e le lacrime, scaccia ogni tuo cruccio
guarda il salutare giorno decretato dalla mia provvidenza"


Una preghiera assai simile si trova in Latino in un erbario inglese del XII secolo:


"Terra, Dea Divina, Madre Natura, che generi ogni cosa e sempre fai riapparire il sole di cui hai fatto dono alle genti;
Guardiana del Cielo, del Mare e di tutti gli Dei e le Potenze;
per il tuo influsso tutta la natura si acqueta e sprofonda nel sonno... E di nuovo quando ti aggrada tu mandi innanzi la lieta luce del giorno e doni nutrimento alla vita con la tua eterna promessa; e quando lo spirito dell'uomo trapassa è a te che ritorna. A buon diritto invero tu sei detta Grande Madre degli Dei; vittoria è il Tuo Nome Divino. Tu sei la fonte della forza delle nazioni e degli Dei; senza di te nulla può nascere o raggiungere la perfezione ; Tu sei possente, Regina degli Dei. O Dea, io Ti adoro come Divina, io invoco Il Tuo Nome; degnaTi di concedermi ciò che ti chiedo, in modo ch'io possa in cambio colmare di grazie la Tua Divinità, con la Fede che Ti è dovuta..."


Interpretazione Femminile del Tetragrammaton
(tratta da "Storia della Magia" di Louis Chochod)




Quattro delle punte della Stella corrispondono alle quattro lettere che formano il Tetragramma Divino (Yod-He-Vau-He).



Yod simboleggia il principio generatore maschile.
He simboleggia il principio generatore femminile.
Vau è il regno dell'istinto che procede all'attività di Yod con He.
Il secondo He rappresenta il prodotto dell'unione di Yod e He.

è evidente che il Nome Sacro è qui inteso come "coito", "attività sessuale".

I massoni hanno tagliato in due il Tetragramma aggiungendo la Shin. Hanno ottenuto quindi il seguente principio teogonico:
Il-La Dio/a Maschio-Femmina ha creato il mondo.
Ma questo mondo è stato scisso in due parti e unito alla materia come conseguenza del peccato di Adamo.
Il Tuttuno iniziale è divenuto uomo e donna. E la Shin, detta anche Fuoco, unisce il Dio alla Dea.

Shin corrisponde a “Simmetria e Cambiamento”, simbolo di equilibrio e di grazia: significa che la parte destra dev'essere sviluppata come la sinistra, l'alto come il basso.

Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-2-alfabeto-e-spirito.html

La Sacra Tetraktys




I pitagorici pronunciavano i loro giuramenti sulla Sacra Tetraktys, una figura costituita da dieci punti disposti in modo da formare una piramide.
Il punto più in alto rappresenta la posizione, i due subito sotto l'estensione, i tre successivi la superficie, i quattro in fondo lo spazio tridimensionale. La piramide, il più antico emblema della Triplice Dea, era interpretato filosoficamente come l'Inizio, la Pienezza e la Fine, e il punto centrale della figura formava un cinque con ciascuno dei quattro punti dei lati. Il cinque rappresentava il colore e la varietà che la natura dà allo spazio tridimensionale e che sono appresi dai cinque sensi, tecnicamente chiamati "il bosco", ossia un quinconce di cinque alberi.
Questo vario mondo dalle infinite sfumature era formato da cinque elementi - terra, aria, fuoco, acqua e la quintessenza ossia l'anima - che a loro volta corrispondevano alle stagioni.
Valori simbolici venivano anche attribuiti ai numeri da 6 a 10, quest'ultimo il numero della perfezione. Le Tetraktys poteva essere interpretata in molti altri modi: ad esempio come i tre vertici di un triangolo che racchiudono un esagono di punti (6 è il numero della vita), più un punto centrale che porta il totale a 7, tecnicamente noto come "Atene", il numero dell'intelligenza, della salute e della luce.





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L'eresia che i primi Concili vedevano come la più diabolica e imperdonabile era l'identificazione dell'Eracle-Dioniso-Mitra, le cui carni ancora palpitanti erano fatte a brani e divorate dagli asceti orfici durante le cerimonie di iniziazione, con Gesù Cristo, la cui carne viva era simbolicamente divisa e consumata durante la Santa Eucaristia.

(Nota di Lunaria: Eracle era anche connesso al culto del Fallo e al rito dell'Evirazione; Graves ne parla a pagina 76 e a pagina 153: "Il mito dell'evirazione di Urano ad opera del figlio di Crono [...] Il significato originario è quello dell'eliminazione annuale del vecchio re della quercia da parte del suo successore [...] La cerimonia druidica del taglio del vischio della quercia rappresentava l'evirazione del vecchio re da parte del suo successore essendo il vischio un simbolo eminentemente fallico. Dopo la castrazione il re veniva mangiato eucaristicamente". Anche la ghianda è un simbolo fallico, così come il fungo.

Animali fallici erano il toro e la capra - adorati in molte civiltà pre-cristiane. Tutti gli Dei Solari sono Fallici, e lo stesso Cristo "nasce" come Dio Solare - e non a caso è creduto "vero Dio e vero uomo" - esattamente come Mitra; peccato che nei Culti Fallici veri si adorasse anche la Dea e ci fossero Sacerdotesse - sacre e rispettate - ; inoltre non abbiamo traccia di misoginia nei Culti Fallici; non così per il cristianesimo, che è tutta una collezione di misoginia e androcentrismo ormai da 2000 e passa anni. Tornando a Eracle - ai molti Eracle adorati qui e lì, che però non riporto perché il mio obiettivo è focalizzarmi sulla Dea, ma se qualcuno comunque fosse curioso, come detto, trova parecchie cose su Eracle e sul suo culto in "La Dea Bianca" di Graves, in particolar modo alle pagine 144- 152-153- e successive - era Dio Solare, asceso al Cielo, legato al culto della fertilità. Per curiosità: il battesimo non è neanche invenzione cristiana - così come la Resurrezione, del resto - i devoti della Dea Cotitto, antenata dei Cotti, battezzavano i devoti nelle orge sacre e immergevano vesti e capelli nell'acqua. Anche gli Antichi Irlandesi e Britanni praticavano il battesimo prima dell'arrivo del cristianesimo - che di fatto si è appropriato delle feste altrui - Anche i fedeli di Eracle mangiavano il Dio nel banchetto eucaristico, un Dio che era stato crocifisso a una quercia a forma di T e poi castrato e smembrato. Il suo sangue fu raccolto e asperso sulla tribù per renderla vigorosa e feconda)
A questa eresia, sorta in Egitto nel II secolo se ne accompagnava un'altra, che identificava la Vergine Maria con la Triplice Dea. I Copti addirittura giunsero a unificare le Tre Marie testimoni della Crocifissione in un singolo personaggio, in cui Maria di Cleofa rappresentava Blodeuwedd, la Vergine Arianrhod e Maria Maddalena come Morgan le Faye, sorella di Re Artù (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/il-ciclo-arturiano-4-morgana.html) Nella leggenda irlandese Morgana è "la Morrigan", ossia "La Grande Regina", una Dea della morte che assume la forma di un corvo, e "Le Faye" che significa "Il Fato". Secondo il Glossario di Cormac la Morrigan veniva invocata in battaglia imitando il gracchiare del corvo con i corni da guerra.
Per curiosità: quando i missionari giunsero a portare il messaggio del cristianesimo, i poeti britannici e irlandesi non ebbero difficoltà ad accettarlo: ulteriore prova che Gesù è una figura di Dio Fallico (perché infatti questi poeti lo celebrarono secondo usanze falliche: lo accomunarono a Belino o Apollo o Re Artù!).
I poeti iniziarono ad essere perseguitati proprio quando assimilarono troppo questo Cristo ai tanti Dei Solari da loro già adorati.
è singolare che San Colomba per non abbattere "alberi sacri", orientò il suo oratorio a Nord anziché a Est.
I boschetti sacri erano dedicati infatti alla Dea o agli Dei.
Furono abbattuti comunque, quando i cristiani e i vescovi divennero così potenti da soppiantare ogni altro culto.

Abbiamo ancora traccia di Culto Solare con Alessandro Severo (222-235) che si considerava una reincarnazione di Alessandro Magno e adorava Abramo Orfeo, Alessandro e Gesù Cristo.
Con "Elioarchita", nei primi dell'Ottocento, si intendeva un'eresia nella quale si adoravano il Sole e l'Arca di Noè. Già Jacob Bryant nella sua "Analysis of Ancient Mythology" (1774) ne aveva parlato.
In realtà, gli Architi erano un'antica popolazione cananea famosa per il culto della Dea Lunare Astarte o Ishtar, cui era sacra un'arca di legno d'acacia. Anche la Dea pre-islamica Al Uzza ("La Potentissima" https://intervistemetal.blogspot.com/2017/07/magia-nera-iblis-e-black-metalla-scena.html

https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/arabia-saudita-no-per-davvero-parli-di.html) era venerata sotto forma di sorgente (Al-Buss) di tre alberi appartenenti al genere delle acacie (Samurat) nell'oasi di Nakhla al-Shamiyya. [vedi anche il culto della palma: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/lartemide-di-efeso-e-la-palma.html]
Il culto archita, bollato come eresia, era la religione sincretistica del Sole e dell'Arca (elementi anche di Eracle) e di Ishtar (nell'epopea babilonese del diluvio)
Che poi gli stessi ebrei avessero simpatie solari-falliche è dimostrato dal fatto che per un lungo periodo si inchinavano ad oriente all'alba - cosa che facevano anche i primi cristiani, perché quello era il modo di salutare il Dio Sole! -

Per quanto invece riguarda gli attributi femminili a questo "Dio Padre", ce ne sono stati, ma furono ovviamente cancellati.
Secondo la dottrina gnostica Gesù fu concepito nella mente dello Spirito Santo che in Ebraico era femminile, e "aleggiava sulle acque" in Genesi (tutte le Dee sono connesse alle acque: Mami Wata, Yemanja, Venere, per citarne qualcuna).
Maria era solo il recipiente fisico; Lo Spirito Santo era la Saggezza, femminile (Sophia).
"Spirito Santo" derivò dalla grammatica latina "Spiritus" - termine maschile - e dall'avversione dei cristiani per le divinità femminili. Tra l'altro solo nel cristianesimo si pensa che sia una divinità maschile a generare ("Generato dal Padre": si dice ancora oggi), perché per tutti i popoli pre-cristiani, il concepimento è sempre femminile. Fecero eccezione i Greci - altro popolo misogino, anche se non ai livelli dei cristiani - perché nel mito, Atena è "partorita" dalla testa di Zeus fracassata.
In Apollodoro si legge che mentre stava per nascere la Dea, Zeus ordinò a Prometeo di colpirgli la testa con un'ascia, per far uscire la Dea.

"Tutti gli immortali si stupirono a questa vista: Essa balzò fuori rapidamente / dal capo immortale, agitando un giavellotto acuto / davanti a Zeus Egioco" ("Inni Omerici", XXVIII, "Inno ad Atena")
Gli Ebioniti, mistici esseni del I secolo d.C, credevano nello Spirito Santo Femminile, e quelli di loro che abbracciavano il cristianesimo e dai quali discendono gli gnostici clementini del II secolo, facevano della Vergine Maria il ricettacolo dello Spirito Santo che essi chiamavano Michael ("Chi è come Dio?"). 

Altre due curiosità:
"Adamo" a dispetto dell'interpretazione con la parola semitica "Edom" ("rosso") potrebbe derivare da Adamos, Adamas o Adamastos, "Invitto, Inesorabile", epiteto omerico di Ade, che derivò da sua madre, la Dea della Morte.
Nel testo etiopico "Leggende di Nostra Signora Maria", si parla di Maria come perla bianca e uccello bianco, perché la sua anima esisteva prima del tempo: "Gioacchino disse a sua moglie Anna: "Ho visto il cielo aprirsi e un uccello bianco discenderne e librarsi sopra il mio capo". Ora, questo uccello aveva avuto il suo essere nel tempo antico... Era lo Spirito della Vita in forma di un uccello bianco e si incarnò nel grembo di Anna quando la perla uscì dai lombi di Gioacchino e Anna la accolse, ed era il corpo di Nostra Signora Maria."
La colomba, che è il simbolo dello Spirito Santo e discende su Gesù al momento del Battesimo, è un animale sacro alla Dea, ed era già attributo delle Sacerdotesse, molto prima dell'avvento del cristianesimo, così come la perla, che è connessa al mare e quindi alla Dea. (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/il-ciclo-arturiano-3-ginevra.html)


I Simboli della Dea: Pervinca e Colomba
  

Nella tradizione popolare francese, italiana e britannica, la pervinca è il fiore della morte. In epoca medioevale si poneva una ghirlanda di pervinche sul capo dei condannati alla pena capitale.
I cinque petali azzurri la rendono sacra alla Dea e gli spessi viticci potevano ben rappresentare i lacci con cui essa legava la sua vittima. Del resto, il suo nome latino è "vincapervinca" ("che lega tutt'intorno"), anche se i grammatici medioevali la collegavano con "vincere", "conquistare" e non con "vincire", "legare", sicché "pervinke" acquistò il significato di "vincitore su tutto". Ma chi vince sempre su tutto è ancora sempre la morte.


Una ballata medioevale francese recita:

Sui gradini del palazzo
c'è una bellissima donna
Essa ha tanti amorosi
che non sa quale prendere.
è il piccolo calzolaio
che ha avuto la preferenza.
Un giorno mentre la calzava
le pose la sua domanda:
"Bella se voi voleste,
noi dormiremmo insieme,
in un grande letto quadrato
ornato di bianchi teli,
e ai quattro angoli del letto
un mazzo di pervinche.
E in mezzo al letto
il fiume è così largo
che i cavalli del re
potrebbero berci tutti quanti.
E là noi dormiremmo
fino alla fine del mondo."


Aux marches du palais
l'est une tant belle femme.
Elle a tant d'amoiureux
qu'elle ne sait lequel prendre.
C'est le p'tit cordonnier
qu'a eu la préférence.
Un jour en la chaussant
il lui fit sa demande:
"La belle, si vous l'vouliez,
nous dormirions ensemble,
dans un grand lit carré,
orné de teilles blanches,
et aux quatre coins du lit
un bouquet de pervenches.
Et au mitan du lit
la rivière est si grande
que les chevaux du roi
pourroient y boire ensemble.
Et là nous dormirions
jusq'à la fin du monde"


La Dea-Luna della Palestina asianica era associata alle colombe (Nota di Lunaria: che poi i cristiani hanno scippato, ovviamente, fallizzando la colomba per lo spirito santo https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/il-ciclo-arturiano-3-ginevra.html) come le corrispondenti divinità di Tebe d'Egitto, Dodona, Ierapoli, Creta e Cipro. Ma era adorata anche come vacca dalle lunghe corna: Hathor, Iside, Astaroth Karnaim. Iside è una parola asiatica onomatopeica, Is-Is, "Colei che piange", perché si riteneva che la Luna spargesse la rugiada e perché Iside, originale precristiano della "mater dolorosa", piangeva Osiride ucciso da Set. Iside era identificata con Io, la vacca lunare bianca o dorata giunta in Egitto da Argo. La "O" di Io è un'Omega, comune variante di Alfa. (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/iside.html)

Anna era una Dea pelasgica, che gli Italici chiamavano Anna Perenna, "Anna Perenne". Nei "Fasti" Ovidio dice che era considerata da taluni come la Dea Lunare Minerva, da altri come Temi, o Io di Argo. La collega anche alle focacce d'orzo. La sua festa cadeva il 15 marzo. Anna significa probabilmente "Regina" o "Dea Madre"; Saffo usa "Ana" per "Anassa" ("Regina").
Nella mitologia irlandese essa compare come la Dea Danaa Ana o Anan, titolo della Dea Danu. Madre dei tre Dei Danai originari, Brian, Iuchurba e Iuchtar, essa li allattò e li allevò così bene che il suo nome passò a significare "abbondanza" e come Dea dell'abbondanza era adorata nel Munster.      
Da lei prendono nome due monti del Kerry, "i capezzoli di Anu".
E.M Hull l'ha anche identificata con Aine di Knockaine, una Dea Lunare del Munster protettrice dei raccolti e del bestiame e connessa con l'ulmaria, che dovrebbe a lei il suo profumo, e con le feste di mezza estate.

L'Ana malefica era la prima figura della Trinità delle Moire: Ana, Badb e Macha, note collettivamente come la Morrigan o la Grande Regina, Badb, "bollente", che si riferisce evidentemente al Calderone (nota di Lunaria: il Calderone è Sacro, ed è ancora oggi simbolo della Grande Madre. Scott Cunningham così ne parla: 
"Il Calderone è lo strumento delle Streghe par excellence . È un antico vascello per la preparazione di cibi e bevande, avvolto nella tradizione magica e nel mistero. Il Calderone è il contenitore nel quale avviene la trasformazione magica; il Sacro Graal, la fonte santa, il mare della creazione Originaria. I Wiccan vedono il calderone come un simbolo della Dea, l’essenza manifesta della femminilità e della fertilità. È anche simbolico per l’elemento dell’Acqua, la reincarnazione, l’immortalità e l’ispirazione. Le leggende celtiche sul Calderone di Cherridwen hanno avuto un forte impatto sulla Wicca contemporanea. Il calderone spesso è un punto focale del rituale. Durante i riti della primavera a volte viene riempito di acqua fresca e fiori; durante l’inverno si accende un fuoco nel calderone per rappresentare il calore e la luce del Sole - il Dio - che ritorna dal calderone - la Dea -. Questo si ricollega ai miti agricoli, dove il Dio nasce in inverno, raggiunge la maturità in estate, e muore dopo l’ultimo raccolto")

Nell'antica poesia irlandese, i teschi degli uomini appena uccisi erano chiamati "le ghiande della Morrigan", ossia della Dea del fato Anna, sotto le spoglie della scrofa (Nota di Lunaria: Marija Gimbutas, l'archeologa che più di tutti ha dimostrato l'esistenza dei culti matriarcali nell'epoca neolitica, ha parlato a fondo delle prime rappresentazioni scultoree della Dea: Civetta, Scrofa, Pesce. I cristiani rubarono il simbolo del pesce, identificandolo con Gesù Cristo. Anche il leone, che nella concezione cristiana di Narnia è simbolo cristiano, in realtà era l'animale sacro alla Dea Ishtar)
 
Nella tradizione popolare britannica Ana compare come la Black Annis di Leicester, che viveva nelle Dane (Danaan?) Hills, divorava bambini e ne appendeva la pelle a una quercia per farla seccare. Era nota come "Anna del Gatto", ma Annis, secondo E.M Hull, è un'abbreviazione di Angness o Agnes, il che la identificherebbe con la Dea Danese Yngona, "Anna degli Angli".
Black Annis era legata alla caccia alla lepre (nota di Lunaria: Diana è la Dea della Caccia; la lepre è anche un animale lunare. Riporto un'analisi tratta da "Luna Rossa":
"Le lepri, e più tardi i conigli, erano simbolo di fertilità, dell'energia dinamica della vita, della crescita, del rinnovamento e del piacere sessuale, e vennero associate direttamente alla Luna e alle sue divinità. La Lepre era legata alla Dea Oestra, che diede il nome alla festività della Pasqua (in inglese: Easter). Oestra aveva la teste di lepre, ed erano le sue lepri che covavano le uova della nuova vita annunciando la primavera, un'immagine ancora presente nella tradizione dell'uovo di Pasqua.
La Dea norvegese Freya, Dea dell'amore e della fertilità, era sempre accompagnata da due lepri come anche la Dea romana Venere. Si diceva che le macchie sulla faccia visibile della Luna raffigurassero una lepre o un coniglio. La lepre era anche associata ai poteri femminili lunari della divinazione, della trasformazione, della follia mistica e della sessualità.
La Regina Celtica Boudicca usava una lepre per prevedere l'esito delle battaglie; la liberava da sotto il mantello e osservava la direzione che prendeva. La connessione della lepre con la sessualità è sopravvissuta fino ai nostri tempi e ha trovato espressione nell'immagine della ragazza vestita da "coniglietta".
è possibile che a causa di questi rimandi, la Chiesa considerasse la lepre un animale di cattivo presagio. Le lepri vennero associate alle streghe e si credeva che una strega sotto forma di lepre potesse essere uccisa solo con un crocifisso d'argento o, successivamente, con una pallottola d'argento.)

Milton cita la figura di Black Annis, come Blue Hag ("Livida Megera"), nel "Paradiso Perduto" e nel "Comus": succhia il sangue ai bambini di notte, travestita da civetta (nota di Lunaria: altro animale lunare e associato a Lilith oltre che Atena. Così se ne parla in "Luna Rossa":
"In tempi moderni la civetta è diventata simbolo di saggezza a causa del suo legame con la divinità greca Atena e la corrispondente divinità romana, Minerva; ma il suo simbolismo antico, ancora conservato nelle tradizioni popolari, la associava alla morte e alla distruzione. Si credeva che il verso della civetta udito durante il giorno o per tre notti di seguito fosse annunciatore di morte. In Scozia la civetta era chiamata Cailleach, cioè "donna vecchia", ed era associata alla morte e all'inverno. La civetta aveva anche un forte simbolismo sessuale. Nel Galles si diceva che quando una civetta cantava voleva dire che una fanciulla aveva perso la verginità. Presso i Celti la civetta appariva nella storia di Lleu. Suo zio era un mago e creò per lui, con fiori e piante, una sposa magica di nome Blodeuwedd, che in gallese significa "viso di fiore". Blodeuwedd rimase fedele a Lleu solo finché i fiori conservarono il loro profumo e poi s'innamorò di un cacciatore. Ques'ultimo ferì gravemente Lleu con una lancia e questi stava per morire quando fu trovato da suo zio. Per punirla dal suo tradimento, l'infedele sposa fu tramutata in una civetta e anche oggi, in Galles, la civetta viene chiamata "Blodeuwedd". Blodeuwedd era una donna sensuale che seguiva la propria natura; la colpa del tradimento non era sua ma delle aspettative irrealistiche degli uomini. La sua storia è simile a quella di Lilith, che fu creata, come Adamo, dalla terra. Essendo pari a lui si rifiutò di copulare sdraiata sulla schiena e fuggì dal Paradiso. Lilith venne associata al barbagianni e descritta come un essere demoniaco con artigli e ali d'uccello, e incarnava gli aspetti negativi della femminilità. Era la Regina del Mondo Sotterraneo, portatrice di morte per i bambini e seduttrice di uomini durante la notte. Come tale, era l'aspetto oscuro di Eva, la maledizione mestruale che Eva portò nel mondo attraverso il serpente. Entrambe le storie mostrano la vera natura delle donne e del processo di crescita da fanciulle in streghe. La civetta simboleggia i poteri oscuri interiori, la saggezza del ciclo mestruale e la necessaria trasformazione e morte del vecchio sé per ottenere il rinnovamento.")

In Irlanda, questa Dea della morte venne cristianizzata, e fu dipinta come suora, perché era già velata di nero.
Un'altra divinità connessa alla morte era Taranis, Tar-Anis, che i Romani identificarono con Giove. A Tar-Anis si offrivano sacrifici umani.

Altri approfondimenti: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/irlanda-7-divinita-femminili-panceltiche.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/simbolismo-del-corvo.html

Un Dio Solare - dal quale poi si ricalcò la figura del Cristo - era Attis, figlio di Nana che lo concepì come vergine dopo aver inghiottito una mandorla matura o un seme di melograno, secondo alcune fonti. Il melograno era sacro ad Attis come Adone-Tammuz-Dioniso-Rimmon (precisazione di Lunaria: Tammuz, o Dumuzi, era l'amante della Dea Ishtar; Robert Graves parla di Tammuz anche nelle pagine precedenti: pagina 134, "Uno dei primi Dei adorati a Gerusalemme e successivamente incluso nel culto sincretico di Jahvèh era il dio del raccolto Tammuz a cui annualmente venivano offerte le primizie dei cereali raccolti a Betlemme "La casa del Pane". I nativi di Gerusalemme piangevano per lui durante la Festa degli azzimi all'epoca di Isaia e secondo San Gerolamo gli era sacro un boschetto a Betlemme." Pagina 245: "Tammuz era anche identificato con Adone, amante di Afrodite, ucciso da Apollo mascherato da cinghiale" Pagina 304: "In tutto il Mediterraneo il mirto era sacro alla Dea dell'amore Afrodite, in parte perché prospera in riva al mare, in parte per la sua fragranza. Tuttavia era anche l'albero della morte. Mirto o Mirtea o Mirtoessa era uno degli epiteti della Dea; il mirto come sempreverde era segno di resurrezione" Pagina 349: "Le fanciulle ebree postesiliche, dopo la riforma deuteronomica, per nascondere il loro lutto per Tammuz, piangevano "per la figlia di Iefte", la fanciulla sacrificata dal padre". Nota di Lunaria: che Jahvèh sia un condensato di questo o quel dio è evidente; i precetti dell'"offrire primizie" che si trovano nella Bibbia erano già tradizioni di altri popoli. Furono i Leviti, e sopra di questi, l'elite dei Konath - poi Cohen - discendenti da Aronne, che riscrissero miti e storia, per poi creare la Bibbia, ovvero la fonte che legittimava il loro potere, avendo imposto il culto del solo Jahvèh.)
A Gerusalemme il culto del melograno era stato assimilato a Jahvèh, associato anche all'acacia, dove si annuncia a Mosè: non a caso, l'acacia è un albero spinoso, e che, con le sue radici, strangola ogni altro albero nelle vicinanze.
"Non avrai altro Dio al di fuori di me, perché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso" è il ritornello di tutta la Bibbia. 
Gli ebrei, che erano un popolo fortemente bellicoso e conquistatore, ripetutamente saccheggiavano tutti gli altri popoli, sterminandoli e distruggendo i loro Dei.

https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-6-anat-e-qedesh.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-5-gli-alti-luoghi.html

Anche la mandorla era sacra ad Attis, come agli altri Dei Nabu-Mercurio-Ermes-Thot.
Ritornando alla Dea Anna, sia Ovidio che Virgilio sapevano che la Dea Anna Perenna era sorella di Belo o Bel, mascolinizzazione della Dea Sumera Belili; anche il dio Anu, della trinità maschile babilonese Anu-Ea-Bel, era la mascolinizzazione della Dea Sumera Anna-Nin, abbreviata in Nana. (nota di Lunaria: in effetti la Dea Inanna precede Ishtar, a livello di culto)
La moglie di Bel era Belit, e la moglie di Anu era Anatu. La moglie di Ea, la terza figura della Trinità Femminile Sumera era Dam-Kina. Jean Przyluski identifica Anna-Nin con la Dea Avestica Ana-Hita, che i Greci chiamarono Anaitis e i Persiani Ana-Hid, lo stesso nome che diedero al pianeta Venere.

E.M Parr scrive che An in Sumero significa "Cielo", e che Atena derivasse da Anna, inizialmente chiamata Athenna, come Anatha,
(Nota di Lunaria: nelle fonti babilonesi Lilith è al servizio della Dea semitica Anath o Anthat - Dea che fu adorata anche dagli Egizi -, Dea assisa in Trono, nell'atto di reggere nella mano sinistra una lancia e nella destra una mazza con la lama. Da notare che anche Ishtar era connessa alla guerra!)

"Ma" sarebbe un'abbreviazione del sumerico "Ama", "madre", e Ma-ri significa "madre fruttifera", da "rim", "generare".
Mari era il nome della Dea in onore della quale gli Egizi nel 1000 a.C chiamarono Cipro, "Ay-Mari".

Ovviamente, in campo cristiano, Anna diventò "Sant'Anna", la mamma di Maria.
Robert Graves riesce anche a risalire a questo incantesimo,  partendo da alcune lettere comunicate da Langbaine al vescovo Ussher, e riscrivendole con le lettere greche.






Circe, "Figlia di Ecate", era la Dea di Eea ("lamento"), isola sepolcrale dell'Adriatico Settentrionale. Il suo nome significa "Falcone", uccello considerato augurale, ed è connesso anche a "Kirkos", "cerchio", dall'abitudine dei falconi di volare in cerchio e dall'uso del cerchio magico negli incantesimi. Si tratta di una parola onomatopeica, perchè il verso del falcone è "kirk-kirk". Circe aveva fama di mutare gli uomini in porci, leoni e lupi e la prole di Circe sono probabilmente donne vestite da scrofe che prendevano parte a una festa del plenilunio in onore di lei e di Dioniso. Erodoto, che descrive questo rito, lo dice comune in Grecia e in Egitto. Nelle orge persiane di Mitra, che avevano origine comune a quelle di Demetra, e nel corso delle quali si sacrificava un toro e lo si mangiava crudo, i celebranti uomini erano chiamati "Leontes" (leoni) e le donne "Hyenae" (scrofe).

Demetra: la Dea dell'orzo

Demetra era la Madre dell'orzo. Secondo il mito, per sfuggire alle attenzioni del dio Poseidone, si mutò in giumenta e si nascose tra i cavalli ma Poseidone si mutò in stallone e riuscì a possederla; la collera della Dea per questo oltraggio diede origine al simulacro ad Onceo, noto come Demetra Erinni, la Furia.
Il culto di Demetra come Dea-Cavalla era assai diffuso tra i Celti della Gallia, che la adoravano sotto il nome di Epona o "Le Tre Epone" (Nota di Lunaria: davvero ridicolo come i cristiani abbiano SCIPPATO il concetto di Trinità alle tante Dee pre-esistenti! Ed è davvero penoso vedere gente che ignora che il concetto di Trinità non è neanche cristiano bensì PAGANO, e da riferirsi alle Dee).
Nella "Topographia Hibernica" di Girardo Cambrense c'è un episodio che rivela come tracce dello stesso culto sopravvivessero ancora in Irlanda nel XII secolo. Si tratta dell'incoronazione di un re irlandese a Tyrconnell, che tra i riti preliminari contemplava la rinascita simbolica dell'eletto della Cavalla Bianca. Il futuro re strisciava nudo a quattro zampe verso la giumenta come se fosse il suo puledro, dopodiché l'animale veniva ucciso, squartato e messo a bollire in un calderone. Il re entrava nel recipiente, sorbiva il brodo e mangiava la carne. Poi, in piedi su una pietra di inaugurazione, riceveva una bacchetta bianca diritta, si voltava tre volte da sinistra a destra, e quindi altre tre da destra a sinistra "In Onore della Trinità", in origine della Triplice Dea Bianca.
(Nota di Lunaria: In "Luna Rossa" si trova una modernizzazione della Trinità della Dea, aggiungendo la "quarta faccia" ovvero tutte e 4 le fasi della Luna: Nuova-Crescente-Piena-Calante. Personalmente mi piacciono tutte e due le modalità di rappresentazione della Dea, sia come Triplice - e in questo caso, la collegherei a Madre del Tempo: Passato, Presente, Futuro - sia come "Quaterna", e in questo caso, la collegherei alle fasi della vita della donna e della sua sessualità, al modo che si presenta secondo ciascuna fase lunare)

Il culto del Cavallo in Britannia risale ad epoca preistorica: l'unica figura umana rimastaci di tutta l'Arte Britannica del Paleolitico è una scultura in osso ritrovata nella Pin-Hole Cave nel Derbyshire, che raffigura un uomo con una maschera equina.
Sassoni e Danesi veneravano il cavallo quanto i loro predecessori celti e il tabù sul consumo di carne equina è ancora vivo in Gran Bretagna.
Nella Danimarca medioevale la festa orgiastica del cavallo durava tre giorni; messa al bando dalla Chiesa, sopravvisse tra la classe servile paganeggiante.
 
Nel romanzo "La caduta del re" di Johannes Jensen, che ne contiene un'accurata descrizione, il prete dà inizio al rito spruzzando ciotole di sangue di cavallo a sud e a est e individuando così il cavallo come incarnazione dello Spirito dell'Anno Solare, figlio della Dea Giumenta.
Nel "Romanzo di Pwyll, principe del Dyfed", la Dea compare come Rhiannon, madre di Pryderi. Il nome Rhiannon è una corruzione di Rigantona ("Grande Regina").

La connessione tra Dea/Cavallo proseguì fino al 1673; Anne Armstrong, una strega del Northumberland, confessò al processo di essere stata trasformata in una cavalla dalla sua padrona Ann Forster di Stockield.
(Nota di Lunaria: nell'Europa meridionale l'animale stregonesco per eccellenza era il gatto, e si credeva che le streghe si trasformassero in gatti. Il gatto era sacro alla Dea Bastet)

Un altro luogo sacro alla Triplice Dea, venne cristianizzato: il monte Elicona.
Il culto delle Muse era giunto durante una migrazione dei Beoti, che erano migrati dal monte Pieria nella Tessaglia settentrionale, fino all'Elicona. I Beoti, che già adoravano le Muse, "battezzarono" i punti caratteristici dell'Elicona - sorgenti, picchi, grotte - con il nome dei corrispondenti punti del monte Pieria. All'epoca le Muse erano Tre, e i cattolici medioevali ne approfittarono per costruire la chiesa della Santa Trinità sul santuario ormai abbandonato che era stato il luogo di culto delle Muse Eliconie.
Il culto delle Muse - Meditazione, Memoria, Canto - sul monte Elicona riguardava riti magici di benedizione e maledizione; l'Elicona era famosa per le sue erbe medicinali, con cui si rafforzavano gli incantesimi, specialmente per l'elleboro nero a nove foglie, usato per curare la follia, e che ha un effetto stimolante sul cuore simile a quello della digitale.
La fama del monte era anche legato alle danze erotiche di fertilità attorno a un'erma di pietra a Tespie, una città che sorgeva ai suoi piedi, cui prendevano parte le devote delle Muse.
Spenser si rivolge alle Muse chiamandole "Vergini dell'Elicona", ma avrebbe potuto anche chiamarle streghe perchè ai suoi tempi le streghe veneravano la medesima Dea Bianca (chiamata Ecate nel "Macbeth"), eseguivano le stesse danze di fertilità nei loro sabba ed erano ugualmente esperte conoscitrici delle pratiche incantatorie e delle erbe.
(Nota di Lunaria: come tutte le povere martiri barbaramente torturate dall'Inquisizione: ovvero donne scienziate e guaritrici https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/dottoresse-nellantichita.html)

è probabile che le Sacerdotesse delle Muse Eliconie usassero due prodotti di origine equina per entrare in estasi: il vischioso secreto vaginale di una cavalla in calore e la membrana nera detta ippomane, tagliata dalla fronte di un puledro appena nato, che secondo Aristotele la madre divora per accrescere il proprio amore materno. L'ippomane viene usato da Didone nell'Eneide per il suo filtro amoroso.

John Skelton in "Garlands of Laurell" così descrive la Triplice Dea nelle sue tre caratteristiche della Signora in Cielo, della Terra e dell'Oltretomba:
Diana in the leaves green,
Luna that so bright doth sheen,
Persephone in Hell

"Diana nelle verdi foglie / Luna che splendi così luminosa / Persefone nell'Inferno"
Come Dea dell'Oltretomba, nascita, procreazione e morte la riguardavano direttamente. Come Dea della terra era legata alle tre stagioni di primavera, estate e inverno: era Lei che dava vita alle piante e agli alberi e regnava su tutte le creature viventi. Come Dea del cielo era la Luna, nelle sue tre fasi di Luna Nuova, Luna Piena e Luna Calante.
La Triplice Dea, così come era adorata a Stinfalo, era una personificazione della donna primitiva, della donna creatrice e distruttrice. Come Luna Nuova o primavera era fanciulla; come Luna Piena o estate, donna; come Luna Vecchia o inverno, megera. (Nota di Lunaria: come già detto, i termini "megera" e "vecchia" in Italiano hanno valenza dispregiativa; è meglio usare il termine "Matriarca" o "Sciamana", che tra l'altro, si contrappongono al termine "patriarca" così caro al cristianesimo, islam ed ebraismo)

In una sepoltura di epoca galloromana, a Tressé, presso Saint-Malo in Bretagna, si sono rinvenute tre stele megalitiche verticali, una delle quali reca scolpiti due seni di ragazza e un'altra due seni di madre; la terza purtroppo è danneggiata, ma secondo Collum, è probabile che raffigurasse anch'essa due mammelle, probabilmente i seni avvizziti della Megera.
Arthur Evans in "Palace of Minos" mostra lo sviluppo graduale dei caratteri cretesi partendo dagli ideogrammi: il segno "C" deriverebbe appunto dalla Luna Calante (Nota di Lunaria: ma potremmo dire la stessa cosa per la lettera "O", simbolo più della Luna Piena visibile a occhio nudo, che non del Sole, che non è possibile fissare a occhio nudo a lungo); dal principio in Europa non c'erano dei maschili che potessero sfidare il privilegio della Dea
Del resto, abbiamo tracce di culti matriarcali dove la Dea aveva come amante il Serpente e il figlio che nasceva dal connubio era sottomesso alla Dea Madre e si sacrificava al cambio di stagione. 
Ma la Dea creava anche senza congiungersi al dio amante: Ella Generava. Il cristianesimo trasformò il serpente in diavolo e attribuì la funzione generativa al solo dio padre tanto che il cristo è considerato "generato dal padre") 


Il candore della Dea è sempre stato un concetto ambivalente.
In un senso è la piacevole bianchezza dell'orzo perlato, del corpo femminile, del latte o della neve intatta; dall'altro è l'orribile pallore del cadavere, dello spettro e della lebbra.

Coleridge la esprime così:

"Christabel"

Le sue labbra erano rosse, liberi gli sguardi,
i riccioli erano gialli come l'oro,
la pelle bianca come lebbra.
L'Incubo Vita-in-morte essa era,
che addensa di gelo il sangue dell'uomo.


Her lips were red, her looks were free,
her locks were yellow as gold,
her skin was white as leprosy.
The Nightmare Life-in-Death was she,
who thicks man's blood with cold.


Il trifoglio bianco che fiorisce ovunque passi la Dea dell'Amore Olwen può essere definito "bianco come la lebbra".
Ed è lecito pensare che le foglie del pioppo bianco che cresce tuttora avesse impiego profilattico contro tutte le forme di lebbra; in Latino "albus" e "albulus" hanno le medesime connotazioni del greco "alphos".

è probabile che in epoca antica le Sacerdotesse della Dea Bianca si spalmassero il viso di gesso per imitare il candido disco lunare
(Nota di Lunaria: nelle cerimonie Voodoo Africane, ci si dipinge il volto con macchie bianche per identificarsi con gli spiriti della morte, della peste, del vaiolo, e attualmente, anche dell'Aids, come Sakpata o Shapanan, il Dio della Malattia)
è anche possibile che l'isola di Samotracia, famosa per i suoi misteri della Dea Bianca, abbia tratto il suo nome dalla lebbra squamosa, perchè "samo" significa "bianco" e l'antico termine goidelico per questa malattia era "samothrusc".

La Dea era anche connessa col vento.
La Dea Bianca Cardea era preposta ai quattro venti cardinali, il più importante dal punto di vista mitologico era il vento del Nord, oltre il quale si trovava il castello stellare della Dea, presso il cardine polare dell'universo.

Fischiare tre volte in onore della Dea Bianca è il sistema tradizionalmente usato dalle streghe per suscitare il vento:
"Io ti darò un vento/E un altro io.../ E tutti i punti cardinali conosciuti sulla bussola del marinaio" dicono le streghe nel Macbeth.


Riporto il brano:

Entrano le TRE STREGHE

1ª STREGA - Dove sei stata di bello, sorella?  

2ª STREGA - A scannar maialetti.

3ª STREGA - E tu, sorella?

1ª STREGA - La moglie d'un capitano di mare aveva in grembo  un bel po' di castagne, e masticava e poi rimasticava:  


"Dammene" - dico -
"Via, strega, va'via!", grida quella rognosa naticona.

Il marito è salpato per Aleppo
al comando d'un barco a nome "Tigre";  e lo farò, lo farò, lo farò!  


2ª STREGA - Io ti do il vento.  
1ª STREGA - Grazie. Sei gentile.

3ª STREGA - E io un altro.

1ª STREGA - Grazie pure a te.  

Tutti gli altri li ho io al mio comando, ed anche tutti i porti dove soffiano, e le quarte che sono a loro note segnate sulle mappe delle rotte. Voglio ridurlo secco come fieno e far che mai sulle sue stracche ciglia  discenda sonno, né giorno né notte;
deve vivere come un fuorilegge, stanco ed affranto; dopo aver vegliato novantanove volte sette notti, dovrà languir di fame, allampanato, da ridursi allo stremo delle forze; sarà squassato da mille burrasche.  

(Mostra loro qualche cosa)  
Guardate qui che ho.

2ª STREGA - Sì, sì, vediamo.  

1ª STREGA - È il dito pollice d'un timoniere naufragato nel suo ritorno a casa.  
(Rullo di tamburo all'interno)

3ª STREGA - Un tamburo! È Macbeth!

TUTTE E TRE - (In ridda)   

"Così le tre fatidiche sorelle, la mano nella mano,
per mare e terra van girovagando,
in giro, giro tondo,
tre volte intorno a te,
tre volte intorno a me,
e per far nove ancor tre volte tre".
Silenzio!... Il sortilegio s'è compiuto!" 


Lo stretto legame tra Dea e venti è mostrato anche nella credenza che le cavalle (come si è detto, animale lunare) possano concepire solamente esponendo al vento il posteriore.
Questa credenza è ripresa anche da Varrone, Plinio e Columella, mentre Tolomeo attribuisce al solo Zeus che regna sul Nord "i venti che recano la fertilità", e uno dei titoli di Zeus era Boreo.

Tracce di un culto palestinese del vento del Nord si trovano in Isaia XIV 13, Ezechiele I, 4, Salmi XLVIII, Giobbe XXXVII.
Il cristiano Lattanzio alla fine del III secolo, vede nella fecondazione delle cavalle un'analogia col concepimento della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.
(Nota di Lunaria: che i padri apologisti e i primi scrittori cristiani vedessero persino uno sperma in Dio, che feconda "la vagina maria" è palese anche in Giovanni Damasceno che così commenta: "La sapienza e la potenza di Dio scese su di lei, come seme divino"; ulteriore dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che il cristianesimo è un culto fallico)

Secondo l'Odissea, la sede dei venti, ossia il centro del culto di Borea e dei suoi fratelli si trovava sull'isola Eolia; ma il culto di Borea oltre che al Nord di Atene, si diffuse anche a Ovest (si sa che era venerato anche presso i Turi Italici) ed è probabile che abbia raggiunto anche la Spagna. Nella tarda classicità l'isola Eolia di Omero fu identificata con Lipari, che era stata colonizzata dagli Eolici.

La parola inglese "curse", "maledizione", deriva dal Latino "cursus" "corso, percorso", abbreviazione di "cursus contra solem". Nel '500, in Scozia, Margareth Balfour fu accusata di stregoneria: aveva danzato per nove volte in senso antiorario completamente nuda intorno a case abitate da uomini. A.K Smith vide una volta nell'India meridionale una strega nuda che compiva il medesimo rito come forma di maledizione. è probabile che le Sacerdotesse della Musa sull'Elicona e nella Pieria, danzassero nove volte in senso antiorario intorno all'oggetto della loro maledizione.
La Dea Bianca si incarna nella Sua rappresentante umana: Sacerdotessa, Profetessa, Regina Madre. Nessun poeta della Musa diventa conscio della Musa se non attraverso l'esperienza di una donna nella quale dimori in certa misura la Dea.

Un profeta come Mosè, o Giovanni Battista, o Maometto, parla in nome di una divinità maschile e afferma: "Così dice il Signore!".
Io non sono il profeta della Dea Bianca, e mai oserei affermare: "Così dice la Dea!", ma la semplice dichiarazione, piena di amore, "Nessuno più grande, nell'universo, della Triplice Dea, Ngame, la Dea-Luna!" è stata sempre fatta, implicitamente o esplicitamente, da tutti i poeti della Musa da quando ebbe inizio la poesia.