"Il Volto dell'Irreale" (Horror, 1962)


Trama: Edgard, redattore sportivo, e sua moglie Margie decidono di trascorrere due settimane in un villaggio della Scozia, dove hanno affittato un villino. Ed è nello scenario lugubre e triste della campagna autunnale, che si svolgono gli straordinari fatti che l'autore vi narra in questo racconto con il suo stile rapido e incisivo. Una donna viva e una donna morta, simili nell'aspetto e nell'età; un uomo vivo ed un uomo che attende la morte come una liberazione, sono gli attori di questa vicenda che si svolge ai margini dell'irrealtà, dove il vero protagonista è un pozzo: un pozzo maledetto che, da 22 anni, serba, nelle profondità del suo ventre, un orribile segreto...


Gli stralci più belli:

"è vero che avete affittato quell'appartamento di McKenzie? Quello al pianterreno?"

"Sì, perché? Cosa c'è di strano in questo?" 

"Il vecchio vi ha imbrogliato. Nessuno che ne conoscesse un po' la storia avrebbe mai accettato di andare a viverci. Specie dei giovani come voi; porta male. Ascoltate un consiglio di chi non ha nulla da guadagnare a darvelo: andatevene di lì. (...) Non passate una sola notte nell'appartamento che avete preso. (...) è il pozzo che spaventa tutti. è maledetto. Si odono voci, di notte, e qualcosa appare, a chi voglia bere di quell'acqua tanto invitante. Non so di cosa si tratti perché io non mi sono mai avventurato in quel giardino. Ma deve essere terribile. Vi sono stati dei morti e gente che è fuggita terrorizzata."

"Era lì, in giardino. La sola camicia da notte, di nylon trasparente, la copriva allo sguardo di chi si fosse affacciato al cancello. Ed era immobile, quasi una statua. Nemmeno il respiro le faceva gonfiare il seno meraviglioso che l'aria fresca aveva indurito nei capezzoli. E la testa era china, rivolta verso l'oscurità del pozzo."

"Pensa che mi pareva di essermi alzata, durante la notte, per recarmi al pozzo. Mi sono affacciata e ho visto un'immagine femminile avvolta in un abito bianco, o una vestaglia, non so: mi parlava, mi diceva che dovevo fuggire, perché mi avresti uccisa. La sua voce era quella di un'eco, come se qualcun altro parlasse nel pozzo, e io non lo udissi, e solo le parole rimbalzanti sulle fredde pareti umide venissero a me. Era qualcosa di orribile, ma non riuscivo a distaccarmi. Volevo chiedere perché mi avresti uccisa ma non riuscivo a muovere le labbra, e un senso di gelo mi penetrava nelle ossa; il respiro sembrava mi si dovesse fermare."


Macabri proverbi lombardi

Info tratte da

"Te se dré a cascià föra a stria?", "stai mandando via la strega?"

Nella prima metà del '900, quando c'era qualcosa che non andava, si pensava ci fosse lo zampino di qualche strega. Per scoprire chi fosse il responsabile, si usava battere con un battipanni i materassi. Se qualcuno, che si trovava a passare di lì in quel momento, diceva di smetterla di battere, veniva ritenuto il responsabile della disgrazia capitata o del malocchio che si era abbattuto sulla famiglia. Si diceva infatti "è lei la strega che mi ha stregato!"

"A mòrti l'è sül tèciu: la gua°rda né ul giuan, né il vegiu" (Nota di Lunaria: il pallino vicino alla "A" l'ho messo per indicare che trattasi di un'A chiusa) "La morte è sul tetto: guarda né il giovane né il vecchio" cioè la morte colpisce senza seguire un ordine cronologico.

"Chi tòca, ta°ca", chi tocca, attacca: quando la sfortuna ti tocca, ti si attacca addosso e non ti lascia più.

"Méi strascià i visti chi i lansö", meglio consumare i vestiti che le lenzuola: meglio essere sani che ammalati.



"Il Giardino di Mezzanotte"

Quando due persone desiderano ardentemente la stessa cosa, il desiderio può materializzarsi ed esse vivranno la medesima esperienza insieme, al di là del tempo, dello spazio, dell'età.

Durante un noioso soggiono forzato in casa degli zii, Tom soffre in modo intollerabile della mancanza di un giardino e di un compagno di giochi.

Ma nell'ora magica battuta da un vecchio orologio, le tredici di notte, al posto di uno squallido cortile ecco comparire a Tom un giardino fantastico eppure reale, pieno di alberi, aiuole e profumi. Vi sono anche persone vestite all'antica, tra cui Hatty, bambina vittoriana.

Sono fantasmi? Perché Hatty continua a crescere fino a farsi donna, mentre Tom, pur volendola seguire, rimane bambino?

C'è in questo libro tutta l'emozione dei desideri, la gioia della realizzazione dei propri sogni, il dolore della loro perdita. Ma qualcuno continuerà a condividere per sempre con Tom la realtà del Giardino di Mezzanotte...



Il Pessimismo Pirandelliano

Commento tratto da

Le storie d'amore di Pirandello sono paradossali: storie d'amore ma senza sentimento, e il titolo della sua prima raccolta di novelle è proprio "Amori senza amore"

Pirandello riprende il tema della narrativa "rosa" ottocentesca, cioè l'amore ostacolato per disparità di stato sociale: per Pirandello, il contrasto tra le disparità economiche e i sentimenti si risolve in un annullamento del sentimento stesso.

L'amore esiste solo nei sogni e nelle illusioni e nel momento stesso in cui sembra di averlo raggiunto, scompare.

L'amore è sempre altrove, come dimostra il racconto pirandelliano "Il lume dell'altra casa", dove una moglie abbandona il marito, fugge con l'amante e poi si ritrova a spiare il marito dalla finestra: la felicità, la soddisfazione, sono sempre altrove.

Il destino tragico dei personaggi pirandelliani è la dimostrazione del carattere oppressivo dei rapporti umani e delle convenzioni; nel mondo letterario di Pirandello, tutti sono soli, non c'è forma di condivisione.

Guardata nella sua essenza, l'esistenza è solo male.

***

"Di sera, un geranio"

S'è liberato nel sonno, non sa come; forse come quando s'affonda nell'acqua, che si ha la sensazione che poi il corpo riverrà su da sé, e su invece riviene solamente la sensazione, ombra galleggiante del corpo rimasto giù.

Dormiva, e non è più nel suo corpo; non può dire che si sia svegliato; e in che cora ora sia veramente, non sa; è come sospeso a galla nell'aria della sua camera chiusa.

Alienato dai sensi, ne serba più che gli avvertimenti il ricordo, com'erano; non ancora lontani ma già staccati: là l'udito, dov'è un rumore anche minimo nella notte; qua la vista, dov'è appena un barlume; e le pareti, il soffitto (come di qua pare polveroso) e giù il pavimento col tappeto, e quell'uscio, e lo smemorato spavento di quel letto col piumino verde e le coperte giallognole, sotto le quali s'indovina un corpo che giace inerte; la testa calva, affondata sui guanciali scomposti; gli occhi chiusi e la bocca aperta tra i peli rossicci dei baffi e della barba, grossi peli, quasi metallici; un foro secco, nero; e un pelo delle sopracciglia così lungo, che se non lo tiene a posto, gli scende sull'occhio.

Lui, quello! Uno che non è più. Uno a cui quel corpo pesava già tanto. E che fatica anche il respiro! Tutta la vita, ristretta in questa camera; e sentirsi a mano a mano mancar tutto, e tenersi 

in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la paura d'addormentarsi. Difatti poi, nel sonno...

Come gli suonano strane, in quella camera, le ultime parole della vita: "Ma lei è di parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare un'operazione così rischiosa?"

"Al punto in cui siamo, il rischio veramente..."

"Non è il rischio. Dico se c'è qualche speranza."

"Ah, poca."

"E allora..."

La lampada rosea, sospesa in mezzo alla camera, è rimasta accesa invano.



"Figlia delle Tenebre" (Lucrezia Borgia)


Nella splendida Italia del Rinascimento gli amori, le passioni, i delitti di una donna costretta ad essere una pedina del potere. Delitto e tradimento sono sempre stati abbinati al nome dei Borgia a causa delle scandalose voci riportate dagli storici dell'epoca. L'infamia ha contaminato anche le persone che furono loro vicine: l'ammirazione di Machiavelli per Cesare Borgia resta ancora come una macchia nella sua reputazione e Giulia Farnese, moglie del papa Alessandro Borgia, fu soprannominata, dispregiativamente, "la sposa di Cristo" dai suoi contemporanei. Lucrezia, vittima volontaria della sua ambiziosa e incestuosa famiglia, è stata ricordata come una debosciata Salomè. "Figlia delle Tenebre" è la storia degli anni dell'attesa e di quelli del trionfo per i Borgia, quando nulla pareva per loro irraggiungibile e né le prediche di Savonarola, né le armi del re di Francia potevano contenerli. Ma è soprattutto la storia di Lucrezia e di Cesare, tragici eredi dell'ambizione paterna. L'Autrice ricostruisce con grande vivacità il mondo brillante e ambiguo dell'Italia del Rinascimento e riesce ad esplorare i caratteri dei personaggi al di là della leggenda... in modo particolare quello di Lucrezia, succube di una passione senza speranza, che incapace di correggere il cammino di morte intrapreso dal fratello, si adegua a giocare il ruolo che lui le ha imposto. Alla fine Lucrezia Borgia appare al lettore non più solo come l'amante diabolica avvolta in un alone fosco di leggenda, ma come una donna piena di sentimento e di contraddizioni, costretta a subire un destino che la vuole sì vittima di se stessa, ma soprattutto oggetto indifeso (1) delle continue manovre di una scellerata famiglia per accaparrarsi il potere.

(1) Nota di Lunaria: la vera Lucrezia Borgia era una donna molto stimata, dalla corte di papa Alessandro VI, per la sua grazia, eloquenza e cultura. A 17 anni parlava il latino così bene che le cronache testimoniano che "ella ringraziò in latino con tanta eleganza e gentilezza che se fosse stata un Tullio Cicerone non avrebbe potuto dire più argutamente e con maggiore grazia"


"Perché non posso amarvi tutti e due?", domandò lei, lottando per impedire al pianto di soffocarle la voce. "Perché parli come se lo odiassi? Pensavo... pensavo che sarei stata così felice quando tu e Juan sareste ritornati e adesso vuoi rovinare tutto. Sei crudele, Cesare." Lui le mise una mano sotto il mento e le alzò il viso bagnato di lacrime. "Niente rimane com'era una volta", disse. "Non è possibile senza sacrificare qualcosa o qualcuno. La scelta è tua. Se vuoi dedicarti anima e corpo a questo Sforza, ebbene sia. Ma, in tal caso, sarai sua, Lucrezia. Cesserai di essere una Borgia e diventerai la regina di una corte noiosa, di provincia, lontano da Roma. Naturalmente, se è questa la vita che desideri..." "E ti perderei?" Il cuore di Cesare sanguinò per il tremito compassionevole che lui sentì nella voce di Lucrezia, ma annuì recisamente. Lucrezia si alzò e andò alla finestra. Il sole splendeva sulle lontane colline boscose, disegnava un motivo screziato d'oro su un mare di tetti coperti di tegole, illuminava le torri e penetrava in lunghe lame scintillanti nelle strade piene d'ombra.




"Lucy e i Vampiri" di Ursel Scheffler

Lucy e sua madre Fanny hanno ricevuto una ben strana eredità: un cupo castello pieno di segreti dove, dopo la mezzanotte, succedono cose quasi incredibili.

E la più incredibile è che madre e figlia si trasformano in due simpaticissimi vampiri, come esige, del resto, la tradizione di famiglia.

Ma i misteri non finiscono qui, perché le due castellane dovranno anche scoprire che fine hanno fatto i gioielli di Lord Ness, e risolvere (con l'aiuto dei lettori) tutti gli indovinelli che proteggono il tesoro.





Le Streghe e i Fichi (Fiaba del Folklore Lombardo)


"Gh'era ona vòlta on vegg che 'l gh'aveva tri fioeu", C'era una volta un vecchio che aveva tre figli.

Erano gente povera, che faceva fatica a sbarcare il lunario mettendo insieme il pranzo con la cena.

Un giorno il vecchio chiamò il figlio maggiore.

"I fichi dell'orto sono maturi. Cogli i più belli, mettili in un cestino e portali al re. Chissà che non ti faccia un bel regalo, magari qualche moneta d'oro che metta fine alle nostre miserie."

Il ragazzo andò nell'orto, scelse i fichi più grossi e maturi, e col cestino infilato in un bastone si mise in cammino.

La strada passava accanto alla casa di quattro streghe, quattro vecchie curiose che trascorrevano le giornate alla finestra a spiare i viandanti. Non appena videro il ragazzo da lontano, gli chiesero in coro "Che cosa c'è in quel cestino?"

"Nagòtt per vialter!", "Niente per voi", disse il ragazzo.

E continuò per la sua strada.

Le streghe erano furibonde. Sbatterono le imposte e gridarono in coro: "Ti te di' nagòtt, e te gh'avaré nagòtt!" "Niente hai detto, e niente avrai!"

Per niente preoccupato dalla minaccia, il ragazzo continuò a camminare, e giunto al palazzo del re chiese di essere ricevuto per offrire un dono. Il re, incuriosito, lo ricevette subito.

"Che cosa mi porti?"

"I fichi più dolci e più grossi del regno, Maestà."

Ma quando aprì il cestino, era completamente vuoto!

Il re, credendosi gabbato, si infuriò e ordinò di dare bastonate all'impostore, che tornò a casa a mani vuote e pieno di lividi.

"Cosa ti è successo?", chiese il padre.

E lui raccontò tutto, ma non l'incontro con le streghe. 

Il padre si arrabbiò, per la figuraccia fatta col re. Poi si calmò.

Chiamò il secondogenito e gli ordinò:

"Riempi un cestino di fichi ben maturi e portali al re. E speriamo che tu sia più fortunato di tuo fratello."

Il ragazzo partì, e si trovò anche lui a passare sotto la finestra delle streghe.

"Che cosa c'è in quel cestino?"

"Nagòtt per vialter!"

Le streghe si infuriarono e risposero come avevano fatto al fratello.

Quando il ragazzo presentò il cestino al re, lo trovò vuoto.

E siccome il re si infuriò ancora di più, raddoppiò il numero di bastonate.

Il ragazzo tornò a casa e il padre chiamò il terzo figli.

"I tuoi fratelli non hanno combinato niente; tocca a te rimediare. Se per caso fallisci, non tornare più a casa."

Il ragazzo riempì il cestino con i fichi più belli e si mise in cammino.

Strada facendo si chiedeva che cosa avessero fatto di male i fratelli. Perché il re, in cambio di fichi, distribuiva bastonate?

Stava ancora riflettendo quando si trovò davanti alla casa delle streghe che come al solito stavano affacciate alla finestra.

"Che cosa c'è in quel cestino?", chiesero.

"I più bei fichi del nostro orto. Li porto al re."

"Non li faresti assaggiare anche a noi, povere vecchie?"

"Volentieri, servitevi pure!"

Le streghe si presero solo un fico per ciascuna e ringraziarono.

Il ragazzo arrivò e giunse a palazzo reale, e scoprì il cestino al cospetto del re.

Il re gradì molto e dette delle monete d'oro al ragazzo che tornò a casa sua.

Quando ripassò sotto la casa delle streghe, si sentì chiamare. "Sei stato gentile con noi, perciò vogliamo ricompensarti: ognuna di noi ti farà un regalo che potrà esserti utile un giorno se ti troverai nei guai."

La prima strega gli offrì una pagnotta che per quanto se ne mangiasse, non diminuiva di un grammo; la seconda gli offrì un pezzo di formaggio che più se ne gustava, più cresceva, la terza un fiasco di vino che non si vuotava mai e l'ultima gli regalò uno zufolo che faceva ballare chiunque, anche chi non ne avesse voglia.

Con questi doni, il giovane decise di andare in giro per il mondo, prima di tornare a casa. Camminò per montagne e pianure, per prati e boschi e infine giunse in una grande città; stava per entrare, quando le guardie gli saltarono addosso e le trascinarono in prigione: in quella città, infatti, gli stranieri erano imprigionati.

Una volta chiuso in gabbio, il giovane si trovò in compagnia di molti altri detenuti e pensò che disperarsi non sarebbe servito a niente; perciò invitò i compagni a mangiare con lui.

Quando suonò lo zufolo, tutti iniziarono a ballare, anche il carceriere.

Quando il giovane smise di suonare, tutto tornò alla normalità. Così il carceriere corse ad avvisare il re del prodigio.

Il re di quella città non era malvagio, ma aveva perso il senno quando la sua unica figlia si era ammalata di malinconia che la stava consumando a poco a poco e che nessun medico era riuscito a curare.

Tutti i medici si erano trovati concordi: se la fanciulla non riusciva a ridere, quella malinconia l'avrebbe portata alla tomba.

Quando seppe quello che era accaduto in prigione, il re pensò subito a sua figlia.

"Che il ragazzo con lo zufolo sia liberato e condotto in mia presenza!", disse il re.

Quando il ragazzo fu al cospetto del re, gli ordinò di suonare.

E quando il ragazzo iniziò a suonare, tutti ballarono e la principessa, che se ne stava sdraiata a letto a sbadigliare, vide l'intera corte preda di questa frenesia e iniziò a ridere. E più rideva, più le sue guance tornarono rosee e gli occhi brillanti.

Quando il giovane smise di suonare, il re volle dargli in sposa la figlia. Ai festeggiamenti, il ragazzo invitò il padre e i fratelli e anche le streghe che in cambio di pochi fichi gli avevano procurato la felicità.



Ultima Fermata: Transilvania! (Superbuh!)

Zach, figlio di genitori divorziati, si trova a fare il pendolare quando va dalla mamma o dal papà, e per racimolare soldi, invece di andarci in taxi (con i soldi che la madre gli consegna) prende il metrò.  Tuttavia, si perde in una galleria della metropolitana, e conosce il vampiro Valentine che lo affascina. 

Quando Zach coinvolge i suoi amici...



Piccoli Brividi: L' Anello Maledetto

Quando la professoressa di Beth trova un anello con un'inquietante gemma nera incastonata sulla montatura, iniziano a succedere incidenti a scuola. E guardando meglio la gemma, Beth si rende conto con orrore che vi è una faccia malvagia che la guarda e che vive dentro la gemma. E cosa ancora più inquietante, l'anello non riesce a sfilarsi dal dito.

Quando la professoressa impazzisce, mentre viene arrestata l'anello si sfila e viene trovato proprio da Beth. Che non resiste all'impulso di indossarlo... e così lo spirito malefico che vive nella gemma si impossessa anche di Beth spingendola a fare cose orribili...




Piccoli Brividi: Il Villaggio del Brivido


Andrew e Tyler sono due fratelli amanti dei film dell'orrore di R.B. Farraday e quando il padre li informa che il loro regista preferito ha aperto un campeggio estivo chiamato "Il Villaggio del Brivido", ispirato ai film dell'orrore, non vedono l'ora di andarci. Quello che non possono immaginare è che in quel campeggio succedono cose mostruose... 



"I Promessi Sposi": le mie pagine preferite!

"Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglio più lontano dell'acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di que' due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano [...] Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari"

"Nella strada fuor dell'abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi, per vedere se sentiva quella benedetta voce dell'Adda; ma invano. Altre voci non sentiva, che un mugolio di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando per l'aria, lamentevole insieme e minaccioso. [...] Cammina, cammina: arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope. [...] Ciò non ostante andò avanti; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per discacciarle, o per acquietarle, recitava, camminando, dell'orazioni per i morti. [...] Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d'odioso. [...] A un certo punto, quell'uggia, quell'orrore indefinito con cui l'animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. [...] Arrivò in pochi momenti all'estremità del piano, sull'orlo d'una riva profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l'acqua luccicare e correre."

"Il sole non era ancor tutto apparso all'orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov'era aspettato. è Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. [...] Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla."





Su Manzoni vedi anche

https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/alessandro-manzoni-5-i-promessi-sposi-ii.html

https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/alessandro-manzoni-4-i-promessi-sposi-i.html

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https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/alessandro-manzoni-1-commento-alle.html


"Il Diavolo in Corpo" di Radiguet

 

Raymond Radiguet scrisse questo breve romanzo, in parte autobiografico, a soli 18 anni. Pubblicato due anni dopo, riscosse un successo straordinario, soprattutto in virtù delle descrizioni scabrose in esso contenute.

La storia d'amore tra un adolescente e una giovane donna sposata che si incontrano segretamente, grazie all'assenza del marito partito per il fronte, diviene il luogo in cui confluiscono le inquietudini, lo smarrimento e la rivolta morale dei giovani cresciuti durante la Prima Guerra Mondiale.

Da Cocteau fu definito un classico della letteratura.

"Ripetimi che mi lascerai", le dicevo, ansimando e stringendola tra le braccia fino a spezzarla. Sottomessa, come non potrebbe esserlo nemmeno una schiava, ma solo una medium, lei ripeteva, per farmi piacere, frasi di cui non capiva nulla. Quella notte degli alberghi fu decisiva, ma di questo, dopo tante altre stravaganze, non mi resi conto. Tuttavia, se io credevo che una vita intera può trascinarsi in quel modo, Marthe, in un cantuccio del vagone di ritorno, sfiancata, costernata, battendo i denti, capì tutto. Forse si rese anche conto che alla fine di quella corsa durata un anno, in una vettura guidata follemente, non poteva esserci altra via d'uscita che la morte."



Superstizioni dei contadini in Lombardia

 Info tratte da

SUPERSTIZIONI CONTADINE SUL MALOCCHIO 

(IN LOMBARDIA)

Quando il vento fischiava, si lamentava, girava foglie secche facendo mulinello lungo le strade e i crocevia, si diceva che c'erano in giro le streghe e i folletti tra loro in disaccordo, perciò era pericoloso attraversare quei posti, ma se si doveva fare ci si faceva il segno della croce, recitando le preghiere. A tale superstizione risalirebbe l'uso di porre croci di ferro o di legno agli incroci.



Nelle stalle, per tener lontano le malattie e l'invidia, si metteva all'angolo una forca senza manico, con i denti rivolti all'insù, così la strega, se arrivava e vi si sedeva, rimaneva infilzata.

Le belle fanciulle, per tenere lontano il malocchio, doveva girarsene con in tasca tre chicchi di sale.

Farsi scopare i piedi portava sfortuna perché significava non sposarsi più.

Chi raccoglieva il fiore giallo dell'insalata "matta" (Nota di Lunaria: il Tarassaco) faceva la pipì a letto.

Chi raccoglieva il campanellino violetto cadeva dal letto.

Rovesciare il vino rosso a tavola portava sfortuna.

Per interrogare il destino sulla realizzazione dei propri desideri si ricorreva, oltre alla margherita, al picciuolo della robinia carico di foglioline, staccandole una alla volta dicendo "sì, no". 

D'estate il contadino che tagliava l'erba col ferro da prato (ranza) costruiva con le foglie della robinia un serto da mettere attorno alla fronte per tenerla fresca e allontanare i moscerini.

Ai bambini quando perdevano un dente si diceva di bruciarlo altrimenti lo avrebbero cercato, dopo la morte, con una cavagna senza fondo. Alcuni consigliavano di metterlo sotto il cuscino, così durante la notte sarebbe venuta un formicuccia a prelevarlo e in cambio avrebbe lasciato un soldino.

Si credeva che la picca di ferro (pan da fèr) che serviva a piantare i pali di sostegno della vita e che dopo l'uso veniva lasciata nel pollaio, tenesse lontano i pidocchi ("pispuliti") dalle galline.

Se il pan da fèr veniva messo sotto il materasso serviva a far scomparire i dolori alla schiena.

Trovare un ago portava sfortuna.

Era fortunato che riusciva a contare un numero dispari di gambe in un ragno (Nota di Lunaria: i ragni hanno 8 zampe, ma delle volte ne perdono qualcuna)

Il giovedì era il giorno da dedicarsi alla fidanzata ("morosa").

Un fazzoletto in dono portava il pianto; per riequilibrare la sventura, lo si accompagnava con una monetina.

Se la civetta si faceva sentire nei pressi della casa di qualcuno era segno di sventura: "Tri dì, a murì", "Tre giorni, c'è da morire"

Quando presso l'osso sacro di un bambino si formava un segno a forma di forcella, che non permetteva al bambino di crescere bene, si andava a chiamare una vedova affinché segnasse col pollice il bambino e facesse scomparire la forcella malefica.

Una leggenda di Arconate racconta che un anno, essendoci un'invasione di processionarie che divoravano le foglie del gelso, un prete, Gian Battista Caccia, uscì a benedire i campi e, per miracolo, le processionarie si incanalarono nelle careggiate dove vennero schiacciate dalle ruote dei carri.


SUPERSTIZIONI CONTADINE SUL TEMPO

Queste sono alcune superstizioni credute dai contadini nella zona di Arconate.

Nei mesi caldi, quando verso le 11.30 arrivavano degli sbuffi di aria fresca, si pensava che era passata la Madonna per andare nell'orto a prendere il prezzemolo ("arbuin") per la minestra.

Nell'imminenza di un temporale minaccioso, il parroco usciva sul sagrato a benedire il tempo; nelle case si accendeva l'ulivo, lasciando che il fumo salisse a sciogliere la cattiveria delle nubi, mentre la famiglia intera recitava delle preghiere.

Se si sentivano le cicale e le campane del campanile di Buscate (nota di Lunaria: città a poca distanza da Arconate) era segno di bel tempo.

Se non si riusciva a scaldarsi i piedi, se il gatto restava vicino al fuoco, se i corvi passavano gracchiando e si posavano sui campi, significava che doveva nevicare.

Questi invece erano i segni che preannunciavano la pioggia:

se il gatto si lava il muso, se le rondini volano basso e radente l'acqua del canale, se le formiche escono in processione, se il cane mangia l'erba, se i piccioni tubano e si puliscono il petto col becco, se la raganella gracida immota e invisibile nel fossato, se il rospo esce dal fosso, se le mosche sono molto noiose, se il tacchino fa la ruota, se il fumo, uscito dal camino, scende verso il basso, se il camino non tira e il fumo si ferma in casa, se i dolori reumatici si infittiscono, se si odono le campane di Busto Garolfo, se dalla latrina escono miasmi, se la luna appare cerchiata da vapori, se il sole è rabbioso, se il filo di refe che deve entrare nella cruna dell'ago si attacca alle dita, se i bambini giocano con la terra e l'acqua, se canta a squarciagola una persona che non ha mai cantato. 


SUPERSTIZIONI CONTADINE SULLE DONNE IN GRAVIDANZA

Il puerperio era considerato una malattia. Durante la gravidanza la donna non doveva portare nessun gioiello (tranne la fede) per non complicare la venuta al mondo del piccino; anche la sciarpa non doveva mai essere attorcigliata; dopo il parto, che avveniva in casa, la puerpera vestiva a lutto, non assaggiava vino per 4o giorni, teneva la testa in un fazzoletto (panétu) legato alla nuca. La prima bevanda che poteva bere era acqua bollita con fette di pane abbrustolito; se usciva di casa non doveva attraversare cortili o le strade nel mezzo ma doveva seguire le gronde delle case. Beveva l'acqua d'orzo per avere più latte. Dopo aver ricevuto la benedizione in chiesa davanti l'altare della Madonna, la puerpera tornava alla normalità. Per farle acquistare le forze si tirava il collo a qualche pollo. Ad Arconate vi erano molte balie che venivano ben retribuite per andare a Milano. Quando una persona moriva, si vegliava in casa del morto per tutta la notte per non lasciarlo solo. Il lutto si teneva per un anno, se era un parente stretto, altrimenti per tre o sei mesi. Si portava una fascia di tela nera cucita alla manica della giacca, in segno di lutto; in seguito la fascia fu sostituita da un bottone nero all'occhiello. La mortalità infantile era alta e i funeralini dei bambini erano chiamati "curpétu". "A San Bartulamé, a salva a pèl l'é sé", significava che se un bambino riusciva a sopravvivere fino a San Bartolomeo, il 24 agosto, superando la calura estiva, poteva considerarsi salvo.









Leggende e Mitologia sul Lupo

Info tratte da

(capitolo che mi hanno consigliato di leggere)

L'idea del Lupo Mannaro (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/licantropi.html) è uno degli esempi più perfetti della credenza nella trasformazione dell'uomo in animale. Alla stessa categoria dei mannari appartengono anche gli uomini iena dell'Abissinia, gli uomini leopardo del Sud Africa, gli uomini tigre dell'Indostan, gli uomini orso della Scandinavia.

Il lupo appare come simbolo della notte, dell'inverno, della morte, della crudeltà... rappresenta il lato pericoloso e immorale della natura in generale, e anche di quella umana.

In Egitto era un animale sacro: Osiride si trasformò in lupo quando ritornò dagli Inferi per aiutare Horus a vendicarsi di Set. Il dio lupo, Ap-uat, faceva da psicopompo, enfatizzando il nesso esistente tra l'idea di lupo e l'idea di morte; a questo dio venivano dedicati dei sacrifici cannibaleschi.

Nella mitologia teutonica, i due lupi Freki e Geri erano compagni di Odino. Il lupo Fenrir, figlio di Loki e fratello di Hel, Dea della morte, ha un ruolo determinante in numerosi miti.

Nota è la storia di lupi mannari Sigmund e Sinfjötli, com'è narrata nella saga Völsunga dove anche la madre di Re Siggeir si tramuta in lupa.

Si racconta che S.Patrizio abbia mutato in lupo il re del Galles, Vereticus.

Anche in America il lupo era sacro, come dimostravano le danze dei lupi dei Tonkanayas nel Texas. Gli Ahts credevano che gli uomini che andassero sui monti alla ricerca del loro Manitou (spirito buono o malvagio) dopo un certo periodo si trasformassero in lupi; la tribù dei Nez Percés credeva che l'intera razza umana discendesse da un lupo.

In Grecia il lupo era consacrato al Dio Sole, che apparve in sembianza di lupo quando trucidò i Telchini di Rodi. Si è discusso se il nome di Zeus Liceo derivasse da lupo o da luce; Frazer osserva: "Il nesso tra Zeus Liceo e i lupi è troppo solido per farci dubitare che si tratti del Dio Lupo".

La leggenda di Licaone c'è stata tramandata da Apollodoro, Eratostene, Igino, Licofrono, Ovidio, Pausania.

L'idea del moto incessante del Sole, in mitologia, viene associata al cavallo; l'associazione fertilità-vento era molto diffusa (Nota di Lunaria: anche nel Medioevo: la menziona Tommaso d'Aquino nella Summa Theologiae questione 92, quando parla del perché nascano le femmine); per greci e romani il vento occidentale poteva ingravidare giumente e donne (per approfondimenti sul culto del Vento, vedi "La Dea Bianca" di Graves); la stessa credenza esisteva anche in Portogallo; in Germania si seminava quando soffiava il vento d'occidente.

Apollo, dio del Sole, identificato sia con Zeus sia con il lupo, prima di essere identificato con Zeus era il dio della morte.

Nelle tombe etrusche, Ade porta sulla testa una pelle di lupo; sua madre Lete, prima di partorirlo, si trasformò in lupo per sfuggire alla collera di Hera.

La storia di Romolo e Remo, partoriti da una lupa, nasce da un concetto totemistico; i sacerdoti di Soranus, dio della morte sabino che si identificò con Apollo venivano chiamati Hirpi (Lupi) e il ladrocinio faceva parte del loro culto. A Roma il lupo era consacrato a Marte, altro dio legato alla morte.

Il dio Lupercus probabilmente simboleggiava un gruppo di attributi presi da Marte e riuniti per costruire un nuovo dio; sua moglie Luperca potrebbe essere la lupa che allattò Romolo e Remo.

I sacerdoti si chiamavano "Crepi", antica forma verbale di Capri, capre.

Lupercus era in realtà solo un epiteto del dio Faunus, Februus o Innus (da "inire", copulare); Lupercus dovrebbe significare "Lupo-Capra", da "Lupus" e "Hircus", una designazione che esprime contemporaneamente i due aspetti del potere infero rappresentato da Faunus, dio che dà la vita e la distrugge.

La festa dei Lupercalia (15 febbraio) pare simboleggiasse la purificazione attraverso il matrimonio. Da "februare" ("inire") prende il nome il mese di febbraio; Februata o Februaris era l'appellativo di Giunone, dea protettrice dei matrimoni; da qui l'associazione tra licantropi e febbraio, con un forte rimando sessuale: "lupa" significa sia "femmina del lupo" che "prostituta", i lupanari erano i bordelli.

La parola norvegese "Vargr" significa sia "lupo" sia "empio"; è affine alla parola anglosassone "Wearg", malandrino, e al termine gotico "vargs", demonio.

Le antiche leggi normanne di criminali condannati al bando recitavano "Wargus esto", sarai un fuorilegge; da qui l'assimilazione dei briganti e criminali ai lupi, perché entrambi vivono lontani dagli uomini.

Si credeva che Giovanni Senzaterra si fosse tramutato in Lupo Mannaro dopo la morte, a causa della scomunica papale: "Venne così a realizzarsi il funesto presagio attinente al suo soprannome, Senzaterra, giacché egli perse da vivo quasi tutte le sue terre e da morto non riuscì a riposare in pace nella sua tomba".

In Armenia si credeva che le peccatrici fossero condannate ad essere per sette anni Lupi Mannari femmine: quando sono prese dalla furia, mangiano i propri figli, poi quelli dei parenti e poi bambini sconosciuti. Un mostro dell'Armenia, il Dachnavar, una specie di ibrido tra il Lupo Mannaro e il Vampiro, succhia il sangue dalle piante dei piedi del viandante.

I Lupi Mannari sono stati confusi con i Ghoul: in Francia i Loubin visitano i cimiteri per divorare i cadaveri.