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"Ogni sostanza è veleno e nessuna è perfettamente innocua; soltanto la dose ne determina la velenosità" (Paracelso)
La definizione di Paracelso non richiede ulteriori chiarimenti e rimane pienamente valida anche ai giorni nostri. "Veleno" è un termine dal significato molto relativo: qualsiasi veleno può, in particolari dosi, rivelarsi un medicamento, mentre, teoricamente qualsiasi sostanza cosiddetta inoffensiva può essere tossica a dosi elevate. Questa definizione trova ampio impiego in tossicologia, una scienza di origine piuttosto recente che si occupa dei veleni e dei loro effetti sugli esseri viventi.
La scienza attuale definisce il veleno nel modo seguente: veleno è ogni sostanza la quale, per la sua particolare composizione chimica, in alcune condizioni e in determinate quantità e forme, può alterare la struttura e le funzioni di uno o più organi in modo tale da danneggiarne seriamente la salute e il benessere e anche causarne il decesso. Il veleno non è solo una sostanza che provoca il decesso, ma anche una sostanza in grado di provocare gravi alterazioni, anche solo temporanee.
In natura, i veleni non sono monopolio delle sole piante. Alcuni minerali, generalmente contenenti metalli pesanti, si rivelano pure particolarmente pericolosi. Intossicazioni croniche sono state causate a minatori e a fondatori da piombo, zinco, mercurio, bismuto, arsenico, fosforo e loro composti. Allo stesso modo, anche sostanze gassose come il biossido, il monossido di carbonio, il solfuro di idrogeno possono rivelarsi letali.
Anche il regno animale comprende specie velenose, o meglio, specie che producono sostanze tossiche aventi scopo difensivo o offensivo, per catturare le prede. Delle oltre 1500 specie di ofidi (serpenti) attualmente conosciute, circa 900 sono velenose. Anche molluschi e echinodermi possono essere velenosi, così come scorpioni, millepiedi, ragni, insetti.
Circa un terzo delle specie vegetali produce sostanze velenose. Dopo il pascolo su prati infestati da specie velenose, cavalli, pecore, bovini mostrano sintomi di intossicazione (e spesso il veleno passa anche nell'uomo)
Anche frutti come fragole, pesche, albicocche, se consumate in grande quantità, possono essere nocive; danni ai reni possono essere provocati dall'uso eccessivo di sedano; sintomi di avvelenamento sono stati descritti quale risultato dell'eccessivo impiego di paprika e di pepe negli alimenti. Ugualmente pericoloso è l'uso in grandi quantità di alcuni condimenti come chili e curry. Questi esempi confermano la validità della citazione di Paracelso riportata all'inizio.
Esistono poi sostanze vegetali velenose per l'uomo ma non per gli animali e viceversa. I frutti del tasso (Taxus baccata) vengono ingeriti dagli uccelli senza subire alcun danno; le larve della dorifora riescono a crescere nutrendosi delle foglie di Belladonna (Atropa belladonna) che contengono alcaloidi tossici quali l'atropina; quest'ultima si ritrova addirittura nel corpo delle larve. Le capre possono brucare foglie di belladonna senza alcun danno, ma il loro latte (e carne) diventano tossici per l'uomo. Anche le api visitano piante velenose. Nonostante le sostanze tossiche siano anche presenti a volte nei fiori, le api non subiscono alcun danno. Il miele prodotto con il nettare di queste piante, però, si rivela tossico per l'uomo: il miele di oleandro, di rododendro, sono tossici, anche se le api "diluiscono" il nettare velenoso di rododendro suggendo il nettare di migliaia di altri fiori, facendo perdere, o quasi, la sua tossicità.
BELLADONNA
Il posto d'onore tra i vegetali impiegati dalle streghe, secondo le credenze, spetta alla Belladonna, una pianta delle Solanacee.
"Cacciatela dai vostri giardini, e anche dall'uso", implorava l'erborista del XVI secolo John Gerard, "perchè questa pianta è furiosa e mortale". I fagiani ne mangiano le bacche nere e lucide, senza apparentemente risentirne, ma bastano due o tre di questi frutti neri e seducentemente brillanti per uccidere un bambino.
Ogni parte di questa pianta - sinistra componente della famiglia della patata - è pericolosa, compresi i fiori porpora scuro. Contiene atropina, solanina, giusquiamina, veleni alcaloidi che attaccano il sistema nervoso, intensificando i battiti cardiaci, indebolendo il polso e dilatando le pupille. Il nome generico "Atropa Belladonna" si riferisce ad Atropo, una delle tre parche, le creature che governavano la vita dell'uomo. Atropo era la parca che recideva il filo della vita."Belladonna" rimanda all'uso che ne facevano le dame nel Rinascimento per dilatare le pupille e rendere più attraente il loro sguardo.
Altro approfondimento tratto da
Nel XVI secolo le donne veneziano usavano la belladonna (Atropa Belladonna) per ravvivare la luminosità dello sguardo e per dilatare le pupille. La belladonna è molto tossica; si trova nei boschi, in prossimità delle siepi, e fiorisce in estate con bei fiori rosso porpora e bacche nere e lucenti, che i francesi chiamano "ciliegia della follia" e che, se ingerite, possono essere mortali. La belladonna contiene l'atropina, che è utilizzata in medicina per la sua azione antispasmodica, antiasmatica e midriatica (provoca dilatazione della pupilla) e anche in preanestesia.
Anticamente si preparava una "pomata della strega" per rendere insensibile la pelle prima di un intervento.
ACONITO E STRAMONIO
L'Aconito, un'erba delle Ranuncolacee, contiene un alcaloide estremamente velenoso, l'aconitina, che ha proprietà paralizzanti sulle terminazioni sensitive del corpo umano. Per questo, nella realtà, le streghe nei tempi antichi, avevano "la sensazione di volare".
Luoghi ombrosi, umidi, in prossimità dei ruscelli rappresentano l'habitat ideale per la crescita dell'aconito (Aconitum napellus). è una pianta molto tossica, tanto che nell'antichità i criminali venivano uccisi con questa droga;
la sua coltivazione fu vietata nell'antica Roma. Dalle sue radici si ricava un farmaco antidolorifico e antiasmatico. Evitate di raccogliere i suoi splendidi fiori azzurro-violacei a forma d'elmo: il veleno di questa pianta può penetrare attraverso la pelle!
Famoso era anche lo Stramonio.
Anche questa pianta appartiene alle Solanacee e contiene nelle foglie e nei semi gli stessi alcaloidi della Belladonna. Conosciuto come "pane spinoso", "erba del Diavolo", "erba delle streghe", lo Stramonio "oltre ad allucinazioni provoca uno stato di stupore psichico con amnesia", scrive Leonzio.
Nel 1527 Paracelso bruciò a Basilea i libri del sapere ufficiale, e non esitò a dichiarare che tutte le sue conoscenze gli venivano proprio dalle streghe. Erano state loro ad usare la Digitale per curare le malattie del cuore, il Giusquiamo come calmante della muscolatura liscia, e ad imparare la dosatura delle erbe più temibili, la Belladonna e lo Stramonio, a scopo terapeutico: la prima era impiegata come antispastico, il secondo come antiasmatico. Avevano anche scoperto il rimedio per attuare i dolori del parto, ricorrendo alla Segala Cornuta,
GIUSQUIAMO
Hyoscyamus Niger è conosciuto fin dall'antichità per le sue virtù terapeutiche, ed era compreso tra le piante medicinali egizie perchè è nominato nel famoso papiro di Ebers. Citato da Dioscoride, non ignorato dagli Arabi, nel Medioevo entrò nell'alone cupo della fama delle streghe. Il Giusquiamo è una pianta vischiosa e fetida, i cui principi attivi ne fanno un sedativo nervoso usato contro i dolori nevritici, gli spasmi dell'apparato digerente, l'alcoolismo e le malattie mentali accompagnate da eccitazione o melanconia. Poichè contiene alcaloidi velenosi la sua utilizzazione può essere attuata esclusivamente sotto il controllo del medico; all'esterno, un cataplasma di foglie di Giusquiamo lenisce il dolore.
Come molte Solanacee, questa pianta ha un aspetto insieme misterioso e affascinante. Ha proprietà allucinogene e si dice che nel passato fosse usata per ricavare pozioni d'amore. Come Atropa Belladonna contiene sostanze alcaloidi (giusquiamina, scopolamina, atropina) e ogni parte della pianta è velenosa.
Sintomi caratteristici di avvelenamento sono: disturbi alla vista, delirio e convulsioni, coma, morte.
Piccole quantità di questa pianta sono state per lungo tempo usate dai medici per portare sollievo ai sofferenti. Al tempo degli Assiri, si usava un estratto della pianta contro il mal di denti; oggi si usano gli alcaloidi estratti dalle foglie e dai germogli verdi della pianta come sedativo per curare malanni quali le malattie mentali e il mal di mare. Il nome Hyoscyamus significa in greco "fava di porco" e allude alla capsula, una fava velenosa, da lasciare ai porci.
DULCAMARA ED ERBA MORELLA
Due delle mie piante preferite! Mentre la Dulcamara l'ho vista una sola volta, da piccola, l'Erba Morella è abbastanza diffusa persino sui marciapiedi.
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In estate i fiori viola di Solanum Dulcamara spiccano nelle siepi e ai margini dei boschi, dove il suolo è abbastanza umido.
Da settembre in poi, per tutto l'autunno, le bacche di color rosso brillante rinnovano la vistosità dei fiori.
Solanum Dulcamara è una pianta a crescita rapida, che appoggia i suoi esili fusti ad altre piante, utilizzandole come supporto.
Le bacche della Dulcamara, sebbene non velenose come quelle della Belladonna, possono comunque causare malesseri se ingerite. Il nome "Dulcamara" deriva dall'unione di due parole latine, "dolce" e "amaro", questo perchè l'alcaloide tossico solanina, presente nel fusto, nelle foglie e nelle bacche, conferisce a queste parti della pianta un sapore dapprima amaro e poi dolce, per i glucosidi che, in seguito, liberano zuccheri per idrolisi operata dalla saliva. L'infuso e il decotto hanno azione diuretica, depurativa, anafrodisiaca; per uso esterno, è utile contro gli eczemi. Tuttavia si ricordi che è pur sempre una pianta tossica.
Solanum Nigrum, Erba Morella (o Mora) ha invece fiori rosastri/bianchi a forma di stella,
ARUM MACULATUM
Un pomeriggio, mia zia mi portò in un grande parco, non ricordo dove, (forse Gorla o Monza) ma era un parco sul limitare del bosco. Ricordo che mi addentrai nelle zone più scure, e vidi di fronte a me dei mostruosi fiori, la pianta nota comunemente come "Pan di Biscia" (Arum maculatum)
"In Arum maculatum, un'ampia brattea, chiamata spata, circonda un'infiorescenza allungata terminante a clava, lo spadice, che emette un odore di sostanza organica in decomposizione. Tale odore, insieme al lieve calore emanante dallo spadice, attira gli insetti e questi vengono intrappolati dai peli che si trovano nello spadice, sopra i fiori maschili. I fiori sono disposti in due gruppi: quello superiore è formato dai fiori maschili, quello inferiore dai fiori femminili. Gli insetti prigionieri girano attorno ai fiori, raccogliendo e depositando il polline, finché non muoiono o non riescono a liberarsi. Questo può accadere quando la spata avvizzisce, dopo la fecondazione. Nel passato, le radici venivano raccolte per il loro alto contenuto di amido e nel secolo XVII erano usate per irrigidire i colletti alti a piegoline, allora di moda. Le bacche rosse di questa pianta, che sono velenose, possono rivelarsi letali se ingerite dai bambini: infatti, Arum maculatum e Arum italicum sono chiamati anche "pan di biscia". L'altezza della pianta varia dai 30 ai 45 cm. Fiorisce da aprile a giugno."
Altro approfondimento tratto da: "Piante velenose" di Frantisek Stary (1983)
Il genere Arum è costituito da 12 specie, diffuse soprattutto nell'Europa Centrale e meridionale. L'area di distribuzione giunge a nord fino alla Scandinavia, a est fino all'Iran e a sud fino all'Algeria. Arum Maculatum è presente in tutta questa enorme area. Si tratta di una pianta che predilige luoghi ricchi di acqua: è piuttosto comune nei boschi umidi europei. Vive anche nelle regioni submontane e montane, dove è possibile rinvenirla nei boschi di faggio e di carpino. Le sostanze tossiche in essa contenute sono alcaloidi volatili di tipo coninico detti aroine, soponine tossiche e sostanze glicosidiche che per scissione possono liberare acido cianidrico. Tali componenti tossici si concentrano soprattutto nei rizomi e nei frutti; risultano poco stabili e vengono distrutti dalla bollitura.
Quest'ultima caratteristica costituisce la ragione per la quale i rizomi tuberosi ricchi di sostanze amilacee, consumati cotti nei secoli passati soprattutto in periodi di carestia, non provocavano sull'uomo alcun effetto negativo.
Il succo di Arum Maculatum provoca la formazione di vesciche sull'epidermide e sulle mucose; la pianta provoca frequentemente esantemi per semplice contatto (Nota di Lunaria: esattamente come l'Aconito: il veleno dei fiori penetra anche sotto la pelle!)
L'ingestione di parti di gigaro scuro provoca diarrea, disturbi cardiaci e paralisi del sistema nervoso centrale. Sono stati segnalati casi mortali di avvelenamento in bambini che avevano inghiottito le attraenti bacche rosse (Nota di Lunaria: da qui il nome popolare con cui a volte è chiamato: "Pan di biscia"); anche i bovini, se brucano la pianta, possono restare intossicati. In campo medico il gigaro scuro veniva impiegato in passato per eliminare i vermi parassiti intestinali. Oggi non è più utilizzato a scopo terapeutico, con la sola eccezione della medicina omeopatica.
Nota di Lunaria: non ho la fonte certa, ma sembra che il Gigaro, in passato, fosse ritenuto di buon auspicio: allontanava il malocchio specialmente contro i neonati; mia personale ipotesi: venne associato ai bambini appena nati, quindi alla fecondità, perché il fiore ha una forma a mandorla, vaginale, con la "clava" al centro (fallica); richiama quindi gli organi genitali maschili e femminili.
LA DIGITALE
Digitalis Purpurea è una pianta di grande interesse ma estremamente velenosa, per cui deve essere perentoriamente esclusa dalla fitoterapia famigliare e affidata esclusivamente ai dosaggi di un medico.
Nel XVIII secolo un medico inglese avendo imparato l'uso di questa erba da una "vecchia delle erbe" ne sperimentò le caratteristiche e ne divulgò le virtù, ma subito dopo la pianta tornò nel dimenticatoio donde fu tratta solo nel 1842 da R.P. Debreye che la consacrò definitivamente tra i cardiotonici. In Inghilterra fu il medico William Withering a parlarne per primo, nel 1785; la chiamò "Foxglove", "guanto di volpe". In Italia la sia chiama "Digitale" per la forma a ditale dei suoi fiori che Pascoli celebrò nella poesia dedicata a questa pianta: "Una spiga di fiori, anzi di dita/spruzzolate di sangue/dita umane" La parte farmacologicamente attiva sono le foglie del secondo anno, prima della fioritura (la pianta produce anche 80 fiori su un unico stelo), raccolte nel pomeriggio quando è massimo il contenuto in glucosidi. I principi attivi sono la digitossina, la gitossina e la gitalossina, la cui concentrazione varia a seconda delle piante, specialmente in quelle spontanee. La Digitale è il principale medicamento per il cuore e viene usata nelle insufficienze cardiache e nelle turbe di ritmo.
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Breve storia della Farmacia
Cosa si intende con "Farmacia"? La parte della medicina che studia i farmachi e l'arte di prepararli.
La ricerca e la preparazione di sostanze che servono a guarire le infermità sono antiche quanto l'uomo. I primi uomini impararono certamente a mangiare erbe o frutti per combattere i loro mali. E lo impararono forse osservando il comportamento degli animali feriti o ammalati. Sappiano che, ad esempio, il daino ferito mangia l'erba sanatrice del dittamo; l'orso si ciba di aro; entrambe queste erbe hanno proprietà antisettiche, cioè disinfettanti. Se qualcuno scopriva che una determinata sostanza aveva la proprietà di alleviare il dolore, comunicava la sua scoperta ad amici e parenti.
Lo storico romano Strabone ci narra che sulle colonne dei templi egiziani venivano scritti i più utili medicamenti in modo che tutti potessero conoscerli e non andassero dimenticati.
Nelle epoche remote per un lunghissimo periodo di tempo, l'arte di preparare i farmachi e di ordinarli gli ammalati veniva esercitata da una stessa persona: il farmacista era anche medico.
Nell'antico Egitto il medico aveva a disposizione una grande quantità di medicamenti. Ecco i più usati: sanguisughe, latte, grasso di maiale, orina di cammello, liquirizia, rabarbaro, oppio, zenzero (aggiungo anche il miele. Nota di Lunaria), oro, argento, piombo, mercurio. Già allora venivano preparati e usati sotto forma di bevande, decotti, pastiglie, polveri, pomate, inalazioni. Famosa farmacista dell'antico Egitto fu la regina Cleopatra. Essa scrisse diversi libri e preparò molti farmachi. Conobbe anche diverse specie di veleni che usò per sbarazzarsi dei nemici.
Anche nell'antica Grecia la farmacia era tenuta in gran considerazione. Già cominciava a distinguersi dalla medicina. Vi erano allora i rizotomi (dal greco "rhiza" = radice e "témno" = taglio), coloro che conoscevano erbe e radici e le raccoglievano per conto dei medici. A Roma, la farmacia progredì per opera del medico Galeno il quale fece lunghissimi viaggi per conoscere le droghe nei paesi di origine. Ne scoprì anche di nuove che fece conoscere a Roma.
Una divisione tra farmacia e medicina inizia nel secolo VIII dopo Cristo per opera degli Arabi. Da loro venne aperta la prima vera farmacia pubblica a Baghdad nell'anno 766. Verso il 1000 gli Arabi invadono l'Europa. Essi fanno conoscere nuovi medicamenti quali la manna, la senna, il tamarindo, insegnando a preparare sciroppi e pillole, addolciti con zucchero e miele.
Durante il Medioevo, la farmacia viene spesso esercitata nei conventi e verso il 1200 viene insegnata come materia a sé nelle università. Verso quest'epoca appaiono le prime botteghe farmaceutiche nelle principali città d'Europa, soprattutto in Spagna e in Italia.
Il commercio con l'Oriente e i viaggi di esploratori in paesi lontani nei secoli XII e XIII fecero conoscere un gran numero di droghe nuove. Si può dire che molti viaggi avevano come scopo principale la ricerca delle preziose piante. Il commercio dei nuovi medicamenti veniva praticato nelle Repubbliche Marinare (Venezia e Genova).
Il prezzo delle droghe era altissimo. In un vecchio contratto di nozze si legge che una nobile giovane che
andava sposa a Venezia portava una ricchissima dote: alcune libbre di galanga, cardamomo, macis e altri medicamenti.
Sino al XVII secolo le medicine prescritte dai medici erano complicatissime: esse non comprendevano mai meno di 10-15 sostanze vegetali, animali, minerali. Il medico stendeva la sua ricetta chilometrica indicando le varie sostanze, il farmacista poi preparava il farmaco: sceglieva, pesava, mescolava, triturava, distillava. Spesso lo stesso medico andava nella farmacia e indicava con una lunga canna i vasi dai quali il farmacista doveva prelevare le sostanze.
Con la metà del secolo XVIII inizia un nuovo periodo della farmacia: inizia il vero studio dei farmachi e della loro azione (farmacologia): uomini di grande valore provano, sperimentano e scoprono sostanze e leggi chimiche, come l'anestesia, la disinfezione e i primi prodotti sintetici, che rispetto a quelli naturali sono meno costose e più facilmente ottenibili in gran quantità.
Bibliografia consigliata: