Lo sfogliavo per ore e ore, imparando tutte le erbe, esercitandomi nel farmi restare in mente l'immagine di ciascuna di esse... penso che sia anche per questo motivo che ho una buona memoria fotografica.
Quando esco, la prima cosa che guardo sono proprio le erbe che crescono spontanee anche sul marciapiede, tra gli interstizi del muro...
è stato l'anno scorso che mi sono imbattuta in una delle piante più famigerate del mondo vegetale: la Belladonna. Una piantina di Belladonna non notata da nessuno... se non da Lunaria, che l'ha riconosciuta all'istante. Mi sono fermata a guardarla provando un vero e proprio timore reverenziale di fronte alla potenza inquietante di quella piantina... con tutte le persone attorno a me che ne erano inconsapevoli... così ho chiesto a mia zia di immortalarla con una foto! (io non ho quegli aggeggi chiamati "cellulari, smartphone, iphone" e cose del genere...)
Le vedete quelle bacche nere? Ecco... è la Belladonna... Tenete presente che è la versione "Lutea", quindi fa fiori sul giallino-verdognolo
Riporto qui alcuni scritti utili per iniziare a conoscere le erbe.
Attualmente, oltre l'Erba Morella sto coltivando anche il Gigaro,
Che dire? Spero di rivedere di nuovo la Dulcamara. Una pianta stupenda, ma che purtroppo non ho più visto da decenni. La vidi per la prima volta a 9 o 10 anni, dietro il campetto della chiesa. Ma poi purtroppo hanno chiuso ovunque e reso il luogo privato, e quindi addio piantine di Dulcamara :(
P.s leggetevi il post con sottofondo di
P.s altre info: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/introduzione-alla-tossicologia.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/piante-pianeti-e-simbolismo.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/erbe-e-piante-le-mie-preferite.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/alberi-e-piante-mitologia-e-simbolismo.html
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Info tratte da
Quando ci occupiamo del mondo vegetale, cioè di botanica (dal greco "botàne", pianta) usiamo la parola pianta; ma è una parola un po' generica, non riesce a precisare esattamente di quale tipo di vegetale si tratti. Per questo dividiamo le piante in 3 grandi gruppi:
1) Alberi: cioè piante aventi fusto perenne, legnoso, talvolta enorme
2) Arbusti: piante col fusto perenne e legnoso, ramificato fin dalla base
3) Erbe: piante col fusto non legnoso e non persistente, chiamato stelo.
Le erbe sono le più umili pianticelle, appartenenti a migliaia di specie, che formano prati, pascoli, praterie, savane; che crescono ovunque, sui muri, sulle rocce, in mezzo alle strade, nelle fessure dei marciapiedi.
La famiglia delle erbe
Da come si è precedentemente detto, esistono migliaia di specie, ma la maggior parte di esse appartengono a tre grandi famiglie: le graminacee, le leguminose, le composite.
Le graminacee formano la più importante famiglia del regno vegetale: frumento, riso, mais, segala, avena, canna da zucchero, Poa, Fieno stellino, Orzo selvatico
Le composite (che sono chiamate così perché hanno il fiore composto da più fiorellini) comprendono fra le altre erbe la camomilla e il tarassaco.
Le leguminose (chiamate così perché il loro frutto è un legume) formano una famiglia simpaticissima agli erbivori perché è il loro principale cibo.
Le Erbe Officinali
"Officinale" deriva dal latino "Officina", laboratorio, che più tardi significò farmacia. Le Officinali sono le erbe usate in farmacia - per secoli le erbe sono state le uniche medicine conosciute - (*)
Aconito: le foglie e le radici contengono l'aconitina, sostanza che è un tremendo veleno: 5-6 milligrammi sono mortali. In dosi minime (decimi di milligrammo) l'aconitina si può usare contro nevralgie e bronchiti.
àrnica Montana: con foglie, radici e fiori si prepara la conosciutissima tintura di àrnica che si usa per impacchi.
Digitale: una delle officinali più importanti.
Dalle sue foglie si estrae la tintura di digitale, che ha una potente azione sul cuore, cioè è cardiotonica: regola e stimola il funzionamento del cuore. In dosi maggiori, è un potente veleno.
P.s Pascoli ha dedicato una poesia stupenda alla Digitale... anche lui era appassionato di erbe, celebrate nel suo bellissimo "Myricae"
Giusquiamo: altra pianta velenosa. Hyoscyamus Niger è conosciuto fin dall'antichità per le sue virtù terapeutiche, ed era compreso tra le piante medicinali egizie perchè è nominato nel famoso papiro di Ebers.
Citato da Dioscoride, non ignorato dagli Arabi, nel Medioevo entrò nell'alone cupo della fama delle streghe. Il Giusquiamo è una pianta vischiosa e fetida, i cui principi attivi ne fanno un sedativo nervoso usato contro i dolori nevritici, gli spasmi dell'apparato digerente, l'alcoolismo e le malattie mentali accompagnate da eccitazione o melanconia. Poichè contiene alcaloidi velenosi la sua utilizzazione può essere attuata esclusivamente sotto il controllo del medico; all'esterno, un cataplasma di foglie di Giusquiamo lenisce il dolore.
Valeriana: l'estratto di valeriana che si estrae dal rizoma della pianta è un conosciutissimo sedativo: calma l'esagerata eccitazione, l'insonnia, le palpitazioni di cuore ecc.
Belladonna: contiene l'atropina, che si usa in minime dosi per calmare dolori vescicali. Può anche provocare la dilatazione della pupilla: le dame del Rinascimento la usavano proprio per rendere lo sguardo più seducente, da qui il nome "Belladonna"!
Sulla Mandragora, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/la-mandragora.html
Brevissima storia dell'erboristeria
Le erbe, insieme ai frutti sono state certamente il primo cibo dell'uomo. I nostri progenitori impararono presto a riconoscere e raccogliere le erbe migliori e in un secondo tempo cominciarono a scoprire che alcune di esse curavano dolori, malesseri, davano energia oppure calmavano. Gli antichi medici preparavano tutte le loro medicine a base di erbe [e qui sarebbe meglio usare il femminile, visto che durante la "caccia alle streghe" erano proprio le donne a venir accusate di essere "Herbariae" - vedi approfondimento sotto]
Già nel 3600 avanti cristo apparve in Cina un testo con la descrizione di numerose piante medicinali e dalle proprietà terapeutiche. In Europa ci si mise su questa strada più tardi. Comunque, nel 350 a.c, Diocle di Caristo, medico greco, compilò un importante erbario. Il primo erbario illustrato fu compilato invece dal botanico greco Crateva, medico di Mitridate VI re del Ponto. Tutti questi, ad ogni modo, rimanevano studi isolati, perché di botanica come di zoologia - si avevano nozioni piuttosto confuse. Intorno alla metà del '400, l'invenzione della stampa diede una nuova vigorosa spinta alla diffusione degli erbari e dei trattati di farmacologia e gli studi di quel periodo divennero sempre più scientifici, cioè esatti e basati sull'osservazione e sullo studio accurato dei vegetali. Successivamente si isolarono le prime sostanze medicinali, si scoprirono alcaloidi, veleni, si perfezionò la classificazione.
(*) Ricordiamo la storia di Gabrina degli Albeti, una delle prime donne inquisite, a cui tagliarono la lingua. Il suo "crimine" fu quello di aver consigliato a delle donne picchiate dai mariti di far loro bere la camomilla. Vedi questo post: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/giannone-meslier-de-sade-de-la-barre-e.html
Abete
L'abete è uno degli alberi più alti d'Europa: può superare i 50 metri e ne raggiunge anche 60. è longevo: arriva fino a 700-800 anni.
Elatè, l'abete o abete rosso in greco, sembra sia stata venerata come Dea della Luna dai Lapiti, popolazione selvaggia della Tessaglia. La mitologia ha serbato traccia di questo culto sotto forma di una curiosa storia che Ovidio pone in bocca a Nestore, il quale, vecchio di 200 anni all'epoca della guerra di Troia, ne sarebbe stato testimone, il che la fa risalire ai tempi eroici.
Elatè, l'abete o abete rosso in greco, sembra sia stata venerata come Dea della Luna dai Lapiti, popolazione selvaggia della Tessaglia. La mitologia ha serbato traccia di questo culto sotto forma di una curiosa storia che Ovidio pone in bocca a Nestore, il quale, vecchio di 200 anni all'epoca della guerra di Troia, ne sarebbe stato testimone, il che la fa risalire ai tempi eroici.
La ninfa Elatè o Cenide, la "nuova" (luna) figlia di Corono, il "corvo" era stata violata da Poseidone, divinità del frassino cosmico; il dio, per riparare il torto, le propose di esprimere un desiderio, che egli avrebbe esaudito. Cenide, stanca della sua condizione femminile che le era valsa "l'affronto" appena subito, gli chiese di diventare un uomo. Poseidone tenne fede alla promessa e fece di lei l'invincibile guerriero Ceneo, che combatté con tanto ardore che i Lapiti ne fecero il loro re. Esaltato dalle vittorie, Ceneo piantò la sua lancia (l'abete) al centro della capitale e ingiuse il popolo di adorarla e di non avere altro dio all'infuori di essa. Zeus s'adombrò: incitò i Centauri, nemici dei Lapiti, ad assassinare il re, ma questi, protetto da un incantesimo, uccise tutti i suoi aggressori. Dopo un attimo di sconcerto, i Centauri sopravvissuti, ispirati da Zeus, e comprendendo che Ceneo poteva morire solo mediante gli alberi, sradicarono degli abeti, sotto i quali lo seppellirono. Ceneo morì soffocato. Quando vennero a dargli sepoltura, si accorsero che era ridiventato Cenide. In questa storia ritroviamo una lotta tra un culto primitivo dell'albero e la nuova religione, imposta dalla popolazione conquistata dai suoi invasori, in questo caso gli elleni.
Alloro
L'alloro, albero di Apollo, per questo motivo era profetico, in particolare a Delfi, dove la Pizia ne masticava le foglie per entrare in trance.
I consultatori che avevano ottenuto dall'oracolo una risposta favorevole se ne tornavano a casa con una corona d'allora in capo. Anche gli indovini greci la portavano. Il dio coronato d'allora era a sua volta detto "daphnéphoros", portatore di alloro. La Dafneforia era una festa celebrata a Tebe ogni 9 anni, in cui si portava un ramo d'olivo cinto d'alloro in onore di Apollo; la processione era condotta dal più bel giovinetto della città, che chiamato Daphnéphoros, incarnava il dio e gli offriva nel suo tempio una corona d'alloro.
Attributo di Apollo, dio luminoso, l'alloro simboleggiava insomma il trionfo della luce sulle tenebre, della purezza sulla sporcizia, dava accesso al mondo invisibile dello spirito e per questo era oracolare, perciò in greco era detto "Mantikon phyton", pianta profetica: si credeva fosse sufficiente mettere una foglia d'alloro sotto il cuscino per vedere in sogno avvenimenti che si sarebbero immancabilmente verificati. Propiziatorio, l'alloro era l'emblema dei messaggeri di buone notizie; protettore, proteggeva dal fulmine.
Uno scritto di Mircea Eliade, preso da "Trattato di Storia delle Religioni"
La Teofania di Durga
Un esempio chiarissimo di teofania vegetale si osserva nel culto della Dea indiana (pre-ariana) Durga.
I testi che citiamo sono tardi, ma il loro carattere popolare indica un'antichità indiscutibile. Nella "Devi-Mahatmya" (92, 43-44) la Dea proclama: ‘In seguito, o Dèi, nutrirò (letteralmente sosterrò) l'universo intero con questi vegetali che mantengono la vita e che spuntano dal mio stesso corpo durante il periodo delle piogge. Diventerò allora gloriosa sulla terra come "Sakamhari" (‘portatrice di erbe’, o ‘che nutre le erbe’) e, in questo stesso periodo, sventrerò la grande "asura" chiamata Durgama (personificazione della siccità)’.
Nel rito "Navapatrika" (‘le nove foglie’), Durga è chiamata ‘Colei che abita nelle nove foglie’. Le conferme indiane si potrebbero moltiplicare. Torneremo in questo punto, studiando le altre valenze della sacralità dell'albero.
I testi che citiamo sono tardi, ma il loro carattere popolare indica un'antichità indiscutibile. Nella "Devi-Mahatmya" (92, 43-44) la Dea proclama: ‘In seguito, o Dèi, nutrirò (letteralmente sosterrò) l'universo intero con questi vegetali che mantengono la vita e che spuntano dal mio stesso corpo durante il periodo delle piogge. Diventerò allora gloriosa sulla terra come "Sakamhari" (‘portatrice di erbe’, o ‘che nutre le erbe’) e, in questo stesso periodo, sventrerò la grande "asura" chiamata Durgama (personificazione della siccità)’.
Nel rito "Navapatrika" (‘le nove foglie’), Durga è chiamata ‘Colei che abita nelle nove foglie’. Le conferme indiane si potrebbero moltiplicare. Torneremo in questo punto, studiando le altre valenze della sacralità dell'albero.
Grandi Dee e vegetazione
Uno dei complessi più frequenti e persistenti è questo: Grande Dea-vegetazione-animali araldici-servi. L'economia di questo libro ci obbliga a passare in rassegna soltanto una parte dei molti esempi di cui disporremmo. La presenza della Dea accanto a un simbolo vegetale conferma il significato dell'albero nell'iconografia e nella mitologia arcaiche: FONTE INESAURIBILE DELLA FERTILITA' COSMICA.
Nella civiltà pre-ariana della valle dell'Indo, che gli scavi di Harrappa e di Mohenjo-Daro han posto in piena luce, la consubstanzialità della Grande Dea e della vegetazione è rappresentata sia per associazione: Dee nude - di tipo Yaksim -
accanto a un "Ficus religiosa", sia per mezzo di una pianta uscente dai genitali della Dea.
Le effigi rappresentanti il "Ficus religiosa" sono piuttosto numerose, e così quelle che rappresentano la Grande Dea nuda, tipo iconografico comune alla civiltà calcolitica afrasiatica intera, fino all'Egitto. L'albero sacro è circondato da un recinto, e talvolta una Dea nuda vi sta fra due rami di "Ficus religiosa" che crescono in mezzo a un circolo. Lo spazio iconografico indica con precisione il valore sacro del luogo santo e del ‘centro’.
In tutta l'Africa e in India, gli alberi che stillano lattice sono simboli della maternità divina, e perciò venerati dalle donne e insieme ricercati dagli spiriti dei morti che desiderano tornare in vita. Il motivo Dea-albero, completato o non dalla presenza di animali araldici, è stato conservato nell'iconografia indiana, donde, non senza contaminazioni di idee cosmogoniche acquatiche, è stato trasmesso all'arte popolare, e vi si osserva ancora oggi. I legami fra i due simboli- le Acque e le Piante - sono del resto facilmente comprensibili. Le acque sono portatrici di germi, di tutti i germi. La pianta - rizoma, arbusto, fiore di loto - esprime la MANIFESTAZIONE del Cosmo, la comparsa delle FORME. E' notevole che le immagini cosmiche siano rappresentate in India emergenti da un fiore di loto.
Nella civiltà pre-ariana della valle dell'Indo, che gli scavi di Harrappa e di Mohenjo-Daro han posto in piena luce, la consubstanzialità della Grande Dea e della vegetazione è rappresentata sia per associazione: Dee nude - di tipo Yaksim -
accanto a un "Ficus religiosa", sia per mezzo di una pianta uscente dai genitali della Dea.
Le effigi rappresentanti il "Ficus religiosa" sono piuttosto numerose, e così quelle che rappresentano la Grande Dea nuda, tipo iconografico comune alla civiltà calcolitica afrasiatica intera, fino all'Egitto. L'albero sacro è circondato da un recinto, e talvolta una Dea nuda vi sta fra due rami di "Ficus religiosa" che crescono in mezzo a un circolo. Lo spazio iconografico indica con precisione il valore sacro del luogo santo e del ‘centro’.
In tutta l'Africa e in India, gli alberi che stillano lattice sono simboli della maternità divina, e perciò venerati dalle donne e insieme ricercati dagli spiriti dei morti che desiderano tornare in vita. Il motivo Dea-albero, completato o non dalla presenza di animali araldici, è stato conservato nell'iconografia indiana, donde, non senza contaminazioni di idee cosmogoniche acquatiche, è stato trasmesso all'arte popolare, e vi si osserva ancora oggi. I legami fra i due simboli- le Acque e le Piante - sono del resto facilmente comprensibili. Le acque sono portatrici di germi, di tutti i germi. La pianta - rizoma, arbusto, fiore di loto - esprime la MANIFESTAZIONE del Cosmo, la comparsa delle FORME. E' notevole che le immagini cosmiche siano rappresentate in India emergenti da un fiore di loto.
Un'altra Dea legata al loto è He Xiangu, la Donna Cinese Immortale tra gli Otto Immortali, che veglia sui focolari; porta con sé un gambo di loto curvilineo terminante con un fiore o una capsula di semi. Questo stelo magico guarisce qualsiasi malessere.
Il rizoma fiorito significa l'attualizzazione della creazione, ‘il fatto di collocarsi saldamente al disopra delle acque’.
La coesistenza dei motivi floreali-acquatici e dei motivi vegetali femminili si spiega con l'idea centrale della creazione inesauribile, simboleggiata dall'Albero cosmico e identificata con la Grande Dea.
Questa associazione è solidamente stabilita, tanto nella cosmogonia vedica e puranica (ove la divinità si MANIFESTA, insieme all'Universo, emergente da un loto che fluttua sulle acque),
quanto nella concezione indo-iranica della miracolosa pianta "soma". Quanto a quest'ultima, ricordiamo che il "soma" nel "Rgveda" è spessissimo rappresentato sotto forma di sorgente o ruscello, ma anche come una PIANTA paradisiaca, collocata dai testi, e specialmente da quelli vedici tardi e postvedici, in un vaso (simbolo acquatico). Questo polimorfismo si giustifica considerando tutto quel che implica il "soma": garantisce la vita, la fertilità, la rigenerazione; il che corrisponde appunto a quel che implica anche il simbolismo delle Acque, e che, nel simbolismo delle piante, viene esplicitamente formulato. Il ratto del "soma" nel "Mahabharata", 1, mette in valore la sua doppia struttura, insieme acquatica e vegetale; quantunque lo si presenti come una bevanda miracolosa, tuttavia si afferma che Garuda ‘lo ‘strappa’ ("samutpatya"), come se fosse un'erba (33, 10). Nel simbolismo delle "Upanishad" si incontra la stessa associazione: Acqua-Albero; ‘il fiume senza età’ ("vijara nadi": quella che rigenera) è a fianco dell'‘albero-sostegno’. Le due sorgenti mistiche si trovano in Cielo, nello stesso modo che in cielo si trova, se non la loro sostanza concreta, almeno il prototipo di tutte le bevande rigeneratrici e dispensatrici di immortalità: "hom" bianco, "soma", il miele divino dei Finnici, eccetera. (Mielikki è la Dea finnica della caccia. Oltre a preservare l'equilibrio vita-morte (caccia-procreazione degli animali) possiede un cestino con del miele miracoloso con il quale nutre la foresta)
Il miele poi era associato anche alle Dee Bisu Mate e Melissa, personificazioni delle api e del miele.
Il simbolismo del miele è stato copiato anche nella bibbia: "Terra dove scorre latte e miele", è chiamata così la terra che il dio ebraico promette al suo popolo in esilio.
La stessa associazione Acqua-Albero si trova nella tradizione
ebraica e cristiana. Ezechiele (capitolo 47) descrive la sorgente meravigliosa che sgorgava sotto il tempio, e gli alberi da frutto lungo le sue sponde (il valore simbolico-metafisico dell'Acqua che ha la sua sorgente sotto il tempio, come quello degli alberi, non lascia ombra di dubbio, poiché il tempio sta al ‘centro del mondo’). L'"Apocalisse" (22, 1-2) riprende, precisandola, l'espressione cosmologica e soteriologica del complesso Acqua-Albero: ‘l'angelo mi mostrò un fiume d'acqua viva, splendido come cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla sua piazza e di qua e di là dal fiume c'è l'albero della vita, che fa dodici frutti, dando ogni mese il suo frutto; e le foglie dell'albero servono per la guarigione delle genti’. Il prototipo biblico si trova naturalmente nell'Eden: ‘l'albero della vita nel mezzo del Paradiso, insieme all'albero della scienza del bene e del male. E dal luogo di delizia usciva a irrigare il Paradiso un fiume, che di poi si divide in quattro rami’. Il tempio, luogo sacro per eccellenza, è simile al prototipo celeste, il Paradiso.
La coesistenza dei motivi floreali-acquatici e dei motivi vegetali femminili si spiega con l'idea centrale della creazione inesauribile, simboleggiata dall'Albero cosmico e identificata con la Grande Dea.
Questa associazione è solidamente stabilita, tanto nella cosmogonia vedica e puranica (ove la divinità si MANIFESTA, insieme all'Universo, emergente da un loto che fluttua sulle acque),
quanto nella concezione indo-iranica della miracolosa pianta "soma". Quanto a quest'ultima, ricordiamo che il "soma" nel "Rgveda" è spessissimo rappresentato sotto forma di sorgente o ruscello, ma anche come una PIANTA paradisiaca, collocata dai testi, e specialmente da quelli vedici tardi e postvedici, in un vaso (simbolo acquatico). Questo polimorfismo si giustifica considerando tutto quel che implica il "soma": garantisce la vita, la fertilità, la rigenerazione; il che corrisponde appunto a quel che implica anche il simbolismo delle Acque, e che, nel simbolismo delle piante, viene esplicitamente formulato. Il ratto del "soma" nel "Mahabharata", 1, mette in valore la sua doppia struttura, insieme acquatica e vegetale; quantunque lo si presenti come una bevanda miracolosa, tuttavia si afferma che Garuda ‘lo ‘strappa’ ("samutpatya"), come se fosse un'erba (33, 10). Nel simbolismo delle "Upanishad" si incontra la stessa associazione: Acqua-Albero; ‘il fiume senza età’ ("vijara nadi": quella che rigenera) è a fianco dell'‘albero-sostegno’. Le due sorgenti mistiche si trovano in Cielo, nello stesso modo che in cielo si trova, se non la loro sostanza concreta, almeno il prototipo di tutte le bevande rigeneratrici e dispensatrici di immortalità: "hom" bianco, "soma", il miele divino dei Finnici, eccetera. (Mielikki è la Dea finnica della caccia. Oltre a preservare l'equilibrio vita-morte (caccia-procreazione degli animali) possiede un cestino con del miele miracoloso con il quale nutre la foresta)
Il miele poi era associato anche alle Dee Bisu Mate e Melissa, personificazioni delle api e del miele.
Il simbolismo del miele è stato copiato anche nella bibbia: "Terra dove scorre latte e miele", è chiamata così la terra che il dio ebraico promette al suo popolo in esilio.
La stessa associazione Acqua-Albero si trova nella tradizione
ebraica e cristiana. Ezechiele (capitolo 47) descrive la sorgente meravigliosa che sgorgava sotto il tempio, e gli alberi da frutto lungo le sue sponde (il valore simbolico-metafisico dell'Acqua che ha la sua sorgente sotto il tempio, come quello degli alberi, non lascia ombra di dubbio, poiché il tempio sta al ‘centro del mondo’). L'"Apocalisse" (22, 1-2) riprende, precisandola, l'espressione cosmologica e soteriologica del complesso Acqua-Albero: ‘l'angelo mi mostrò un fiume d'acqua viva, splendido come cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla sua piazza e di qua e di là dal fiume c'è l'albero della vita, che fa dodici frutti, dando ogni mese il suo frutto; e le foglie dell'albero servono per la guarigione delle genti’. Il prototipo biblico si trova naturalmente nell'Eden: ‘l'albero della vita nel mezzo del Paradiso, insieme all'albero della scienza del bene e del male. E dal luogo di delizia usciva a irrigare il Paradiso un fiume, che di poi si divide in quattro rami’. Il tempio, luogo sacro per eccellenza, è simile al prototipo celeste, il Paradiso.
Grande Dea - Albero della Vita.
L'associazione Grande Dea-Albero della Vita era nota anche in Egitto. Un bassorilievo rappresenta Hathor entro un albero celeste (indubbiamente l'albero dell'immortalità) che dà da bere e da mangiare all'anima del morto, cioè gli assicura la continuità della vita, la sopravvivenza.
Questa rappresentazione deve esser collegata alla serie iconografica rappresentante le mani della Dea cariche di doni, o il suo busto che, uscendo da un albero, abbevera l'anima del morto.
Serie parallela è quella della Dea del destino, seduta sui rami bassi di un albero enorme, simboleggiante il cielo; sui rami secondari di questi rami sono scritti i nomi dei Faraoni e il loro destino, Lo stesso motivo si trova nelle credenze popolari altaiche (dei Jakuti, eccetera) ai piedi dell'Albero della Vita, che ha sette rami, si trova ‘La Dea delle Età’.
Stessa associazione mitica e cultuale in Mesopotamia. Gilgamesh incontra in un giardino un albero miracoloso e, accanto a esso, la divinità Siduri (cioè la ‘fanciulla’) qualificata "sabitu", vale a dire ‘la donna del vino’. In realtà, secondo Autran, Gilgamesh l'ha incontrata accanto a una vite; la vite veniva identificata dai paleo-orientali con ‘l'erba della vita’, e il segno sumerico per la ‘vita’ era in origine un pampino.
Serie parallela è quella della Dea del destino, seduta sui rami bassi di un albero enorme, simboleggiante il cielo; sui rami secondari di questi rami sono scritti i nomi dei Faraoni e il loro destino, Lo stesso motivo si trova nelle credenze popolari altaiche (dei Jakuti, eccetera) ai piedi dell'Albero della Vita, che ha sette rami, si trova ‘La Dea delle Età’.
Stessa associazione mitica e cultuale in Mesopotamia. Gilgamesh incontra in un giardino un albero miracoloso e, accanto a esso, la divinità Siduri (cioè la ‘fanciulla’) qualificata "sabitu", vale a dire ‘la donna del vino’. In realtà, secondo Autran, Gilgamesh l'ha incontrata accanto a una vite; la vite veniva identificata dai paleo-orientali con ‘l'erba della vita’, e il segno sumerico per la ‘vita’ era in origine un pampino.
Questa pianta meravigliosa era consacrata alla Grande Dea. La Dea Madre era chiamata in principio ‘Madre vite’ o ‘Dea vite’
Nota di Lunaria: simbolismo poi ripreso dai cristiani... ma anche gli ebrei hanno scopiazzato il culto degli alberi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-3-il-serpente-dagon-e.html
Appena possibile riporterò un'analisi molto più estesa alla Menorah... che in origine era dedicata ad Asherah (non a javè!)
Comunque, fin dall'antichità, quei frutti molteplici che racchiudevano in sé una grande quantità di acini e frutti (tipo il melograno), erano sempre associati all'utero, alla Dea. è più probabile quindi che, come il melograno fosse associato all'elemento femminile per la sua rassomiglianza con l'utero (il colore rosso, l'umidità, la forma, i semi che sono tanti "figli" come in un parto plurigemellare)
anche l'uva fosse, prima del mito cristiano e di quello greco, associato alla Dea. Del resto il melograno è legato a Persefone, a sua volta archetipo della donna vergine (la sua vita da fanciulla, prima di essere rapita dal Signore dell'oltretomba), dell'arrivo delle mestruazioni e la perdita del primo sangue (il rapimento)
e la perdita della verginità, il primo coito (è "obbligata" ad essere moglie di Ade).
Il suo ritorno in superficie, dopo l'intercessione della Madre Demetra può rappresentare il rinnovamento e la rinascita della fanciulla, che ogni mese vive un "rapimento mestruale" che la fa stare "nell'ade" per qualche giorno (il ciclo e il sanguinamento con i suoi dolori e il periodo di "isolamento", di voglia di stare da sole) per poi essere liberata (la fine del ciclo)
Per saperne di più vedi
anche l'uva fosse, prima del mito cristiano e di quello greco, associato alla Dea. Del resto il melograno è legato a Persefone, a sua volta archetipo della donna vergine (la sua vita da fanciulla, prima di essere rapita dal Signore dell'oltretomba), dell'arrivo delle mestruazioni e la perdita del primo sangue (il rapimento)
e la perdita della verginità, il primo coito (è "obbligata" ad essere moglie di Ade).
Il suo ritorno in superficie, dopo l'intercessione della Madre Demetra può rappresentare il rinnovamento e la rinascita della fanciulla, che ogni mese vive un "rapimento mestruale" che la fa stare "nell'ade" per qualche giorno (il ciclo e il sanguinamento con i suoi dolori e il periodo di "isolamento", di voglia di stare da sole) per poi essere liberata (la fine del ciclo)
Per saperne di più vedi
Albright ha dimostrato che, nelle recensioni arcaiche della leggenda di Gilgamesh, Siduri aveva una parte molto importante. Gilgamesh domandò direttamente a lei l'immortalità. Jensen l'ha identificata con la ninfa Kalypso
dell'"Odissea" (5, 68 e seguenti). Come Kalypso, Siduri aveva aspetto di giovinetta, portava il velo, era carica di grappoli e abitava in un luogo dal quale partivano le quattro sorgenti; la sua isola si trovava nell'‘ombelico del mare’ ("omphalos thalasses"), e la ninfa poteva accordare l'immortalità agli eroi, l'ambrosia celeste con cui tentò anche Ulisse.
Kalypso era una delle innumerevoli teofanie della Grande Dea, che si rivelava al ‘centro del mondo’, accanto all'"omphalos", all'Albero della Vita e alle quattro fonti. Ora la vite era l'espressione vegetale dell'immortalità, appunto come il vino è restato, nelle tradizioni arcaiche, il simbolo della gioventù e della vita eterna. La "Mishna" afferma che l'albero della scienza del bene e del male era una vite. Il libro di Enoch (24, 2) localizza questa vite-albero della scienza del bene e del male in mezzo a sette montagne, come fa, del resto, anche l'epopea di Gilgamesh (86). La Dea-serpente Hannat poteva mangiare i frutti dell'albero, e questo era permesso anche alle Dee Siduri e Kalypso. L'uva e il vino hanno continuato a simboleggiare la sapienza fino a epoca tarda. Ma la concezione primitiva della vite-Albero cosmico-Albero della Conoscenza e della Redenzione, si è conservata nel mandeismo con sorprendente coerenza. Il vino ("gufna") è per questa gnosi l'incorporazione della luce, della sapienza e della purezza. L'archetipo del vino ("qadmaia") sta nel mondo superiore, celeste. La vite archetipo è fatta di acqua all'interno, le sue foglie sono formate da ‘spiriti della luce’ e i suoi nodi sono granelli di luce. Da lei nascono i ruscelli di acqua santa destinati ad abbeverare gli uomini; il Dio della luce e della sapienza, il Redentore ("Manda d'Haije) viene anche lui identificato con la Vite di Vita ("gufna d'haije"), la vite è considerata albero cosmico in quanto avvolge i cieli, e le stelle sono acini di uva.
Nel territorio egeo ed elleno, il complesso Dea-AlberoMontagna-Animali araldici è parimenti frequente. Ricordiamo il grande anello di Micene, che rappresenta una scena cultuale ove la Dea, con una mano sul petto nudo, è seduta sotto l'Albero della Vita, accanto a una serie di emblemi cosmologici: il "labrys" (*),
il sole, la luna, le acque (le quattro sorgenti). La scena somiglia molto al rilievo semitico riprodotto da Holmberg, che rappresenta la Dea seduta in trono accanto all'Albero sacro, con il divino infante in braccio. Una moneta di Myra (Licia) mostra la teofania della Dea in mezzo all'albero. Dal repertorio egeo segnaliamo ancora l'anello d'oro di Mochlos, che rappresenta la Dea in barca, con un altare e un albero, e la celebre scena della danza davanti all'albero sacro.
Kalypso era una delle innumerevoli teofanie della Grande Dea, che si rivelava al ‘centro del mondo’, accanto all'"omphalos", all'Albero della Vita e alle quattro fonti. Ora la vite era l'espressione vegetale dell'immortalità, appunto come il vino è restato, nelle tradizioni arcaiche, il simbolo della gioventù e della vita eterna. La "Mishna" afferma che l'albero della scienza del bene e del male era una vite. Il libro di Enoch (24, 2) localizza questa vite-albero della scienza del bene e del male in mezzo a sette montagne, come fa, del resto, anche l'epopea di Gilgamesh (86). La Dea-serpente Hannat poteva mangiare i frutti dell'albero, e questo era permesso anche alle Dee Siduri e Kalypso. L'uva e il vino hanno continuato a simboleggiare la sapienza fino a epoca tarda. Ma la concezione primitiva della vite-Albero cosmico-Albero della Conoscenza e della Redenzione, si è conservata nel mandeismo con sorprendente coerenza. Il vino ("gufna") è per questa gnosi l'incorporazione della luce, della sapienza e della purezza. L'archetipo del vino ("qadmaia") sta nel mondo superiore, celeste. La vite archetipo è fatta di acqua all'interno, le sue foglie sono formate da ‘spiriti della luce’ e i suoi nodi sono granelli di luce. Da lei nascono i ruscelli di acqua santa destinati ad abbeverare gli uomini; il Dio della luce e della sapienza, il Redentore ("Manda d'Haije) viene anche lui identificato con la Vite di Vita ("gufna d'haije"), la vite è considerata albero cosmico in quanto avvolge i cieli, e le stelle sono acini di uva.
Nel territorio egeo ed elleno, il complesso Dea-AlberoMontagna-Animali araldici è parimenti frequente. Ricordiamo il grande anello di Micene, che rappresenta una scena cultuale ove la Dea, con una mano sul petto nudo, è seduta sotto l'Albero della Vita, accanto a una serie di emblemi cosmologici: il "labrys" (*),
il sole, la luna, le acque (le quattro sorgenti). La scena somiglia molto al rilievo semitico riprodotto da Holmberg, che rappresenta la Dea seduta in trono accanto all'Albero sacro, con il divino infante in braccio. Una moneta di Myra (Licia) mostra la teofania della Dea in mezzo all'albero. Dal repertorio egeo segnaliamo ancora l'anello d'oro di Mochlos, che rappresenta la Dea in barca, con un altare e un albero, e la celebre scena della danza davanti all'albero sacro.
(*) L’ascia bipenne (labrys): la sua forma richiama la Luna crescente e calante. Si ritrova spesso nei templi megalitici e fu associata al labirinto; forse ha anche la stessa origine etimologica di labirinto, corrisponde alla farfalla ed è simbolo di rigenerazione.
Tutte queste associazioni mitiche e iconografiche non sono effetto del caso, né sono prive di valore religioso e metafisico. Che cosa significano questi complessi: Dea-Albero, Dea-Vite, con il loro contorno di emblemi cosmologici e animali araldici? Significano che quel luogo è un ‘centro del mondo’, ove si trova la fonte della Vita, della gioventù e dell'immortalità. Gli alberi rappresentano l'Universo in rigenerazione incessante; ma al centro dell'Universo si trova sempre un albero: quello della Vita eterna o della Scienza. La Grande Dea è la personificazione della sorgente inesauribile della creazione, di quest'ultimo fondamento della realtà; vale a dire l'espressione mitica dell'intuizione primordiale: che la sacralità, la vita e l'immortalità si trovano in ‘un centro’.
Bibliografia consigliata:
P.s gli indù hanno divinizzato il loro basilico (il tulsi). Tulsi Devi è la Dea-piantina del Tulsi