Le Muse in Pindaro, Alcmane ed Euripide


Poesia e canto sono oggi considerati manifestazione ora dello spirito, ora del sentimento, ma sempre ricondotte ad una condizione prettamente umana: è l'uomo che traduce in una lirica o canto il bisogno di esprimere il proprio sentire, gioia, dolore; ma un tempo, alla poesia e al canto venivano attribuite ben più alte qualità: erano considerate un diretto dono fatto dagli Dei agli uomini e direttamente dagli Dei proveniva l'ispirazione dei poeti.

Anche i Greci ebbero un'altissima concezione della musica e della poesia: legata alle Muse, ad essa si attribuiva lo straordinario carattere di ispirazione Divina.
Alla musica era affidato il compito di educare lo spirito, esattamente come alla ginnastica era delegato lo sviluppo armonioso del corpo.


Le Muse erano considerate le messaggere per mezzo delle quali i Greci ebbero la rivelazione del Divino. Questa illuminazione veniva da una Divinità particolare, dalla Musa e Muse (al plurale) perché le Muse erano una e molte insieme. La Musa è una figura unica e incomparabile: il suo nome - il solo nome di Divinità che sia entrato in tutte le lingue europee - si è, insieme ai suoi derivati (Musica) così naturalizzato che corriamo il pericolo di interpretarlo secondo i nostri moderni canoni estetici e artistici. Ma sarebbe fraintendimento gravissimo. La Musa è la Dea che annuncia la verità nel senso più alto della parola. I cantori e i poeti, i vati, chiamano se stessi i suoi servitori, seguaci, profeti.

Pindaro, rivolgendosi alle Muse, le chiama "Madri". Questi toccati dalla grazia hanno chiara coscienza di non aver diritto all'orgoglioso titolo di "creatori"; sanno di essere soltanto ascoltatori, poiché è la Dea stessa colei che canta. Questo lo dice già il verso con cui si apre l'Iliade:
"Canta, o Dea, l'ira del pelide Achille"


Un altro esempio di particolare bellezza si trova in Alcmane. Dopo che si è levato il coro delle fanciulle, per cui il canto ha invocato l'aiuto della Musa, in rapimento estatico il poeta esclama:

"Canta la Musa, la sirena dalla chiara voce."

La Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, Dea della Memoria. A loro è riservato portare, come il padre, l'appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere, ma, almeno originariamente, nessun Dio in particolare, fatta eccezione per Zeus e le Muse. Ma ancor più importante per capire cosa siano le Muse e quale compito loro competa, è quanto apprendiamo dall'Inno a Zeus di Pindaro. Nel canto che le Muse vengono cantando risuona la verità del Tutto come realtà pregna del Divino. Quella Verità emerge dal profondo e riluce, rilevando, anche nella tenebra e nel dolore, l'eterna magnificenza e la serenità del Divino. Euripide nella sua tragedia "Eracle" così celebra le Muse:

"Le Grazie alle Muse/sempre unire vorrò,/dolcissima coppia. /Vita io non abbia/che sia senza musica, sempre/tra le corone io sia./Vecchio ancora l'aedo/dà voce alla Memoria"