Dioniso, Arianna e il Culto del Vino




Il greco Dioniso e il romano Bacco, pur significando lo stesso Nume, sono diversi, se non opposti: l'uno è misterioso e sacro, l'altro è lussurioso e profano; il primo corrisponde all'interiorità dell'uomo, il secondo all'esteriorità; Dioniso è il fuoco divino che infiamma ed esalta l'animo e l'azione, Bacco è il fumo del vino e della crapula che intorbida la mente e intorpidisce le membra. Due poli opposti, due diversi effetti di una stessa causa.
Il Dio di Niso, Dioniso, nacque tardi e precisamente quando gli uomini assaporarono per la prima volta il dolce e traditore succo della vite.
La civiltà greca acquistò questa ulteriore conoscenza - la coltivazione dell'uva e la fabbricazione del vino - e ne attribuì il merito ad un Dio nato da Zeus e da una donna mortale (Semele).
Anche il fuoco, simbolo dell'ardore della purpurea bevanda, più tardi paragonata al sangue della terra, è un elemento essenziale nella drammatica nascita del Nume; e ancora una volta c'è una presenza di Hera.
Zeus si era innamorato di Semele, bellissima figlia di Cadmo e Armonia e quell'amore diede presto i suoi frutti perché la fanciulla si accorse di essere incinta. Hera, gelosa, ordì la sua vendetta: sotto le sembianze di Beroe, la nutrice di Semele, instillò dei dubbi nella fanciulla, per quanto riguarda l'amore di Zeus: "Chi ti dice che ti ami davvero? Mettilo alla prova, fallo giurare di concederti qualunque cosa tu gli possa domandare... chiedigli di manifestarsi a te nelle sue vere sembianti".
Semele, allora, chiese a Zeus di mostrarsi a lei con i suoi veri attributi: voleva guardare in faccia il Dio...
Zeus la supplicò di rinunciare a quella richiesta, che avrebbe distrutto il loro amore ma la fanciulla non volle ascoltarlo; Zeus, allora, a malincuore, le comparì dinnanzi in tutto il suo splendore con in mano il fascio incandescente dei fulmini e la ragazza ne rimase incenerita; Zeus allora salvò il figlio di Semele cucendolo all'interno della coscia e ve lo tenne per 9 mesi; ma quando Dioniso nacque, Hera tentò ancora di ucciderlo, facendo impazzire la sorella di Semele, Imo, e suo marito Atamante, che si erano offerti di allevare il piccolo Dioniso. A stento Zeus salvò il figlioletto dalla furia di Hera, trasformando il bambino divino in un capretto e affidandolo alle ninfe. Dioniso crebbe in forza e intelligenza e scoprì il frutto della vite e l'arte di trasformarlo in vino Naturalmente, non conoscendone ancora gli effetti, ne abusò, cominciando poi a girare il mondo con un corteo festoso di ninfe, satiri e sileni.




Questo è simbolico: significa che il vino si diffuse un po' dappertutto, dal Medio Oriente all'Egitto; il culto del nuovo Dio si diffuse, e dove le Supreme Autorità si opponevano al Nume, questo si svolgeva con ancora più frenesia; leggendarie sono le Baccanti (Menadi) e la loro celebrazione forsennata.
è famoso il suo amore con Arianna: nell'isola di Nasso, Dioniso trovò l'infelice fanciulla abbandonata e ingannata da Teseo. Il Dio se ne innamorò e la portò con sé, ottenendo per lei l'immortalità (come, peraltro, aveva già fatto per sua madre Semele, che Dioniso era andato a trovare negli inferi)

Nota di Lunaria: qualcuno ipotizza che Semele fosse la Dea Frigia Zemelo, da cui "Zemlià" che in russo vuol dire "Terra"; comunque è sensata come interpretazione, perché il vino deriva dalla terra, dalla vite che si nutre della terra.

L'uva comunque era associata anche a Tanit:





Per quanto riguarda le Baccanti/Menadi, erano a tutti gli effetti Sacerdotesse: procedevano in corteo, cantando e danzando, con in mano un tirso, cioè un bastoncino con in mano pampini ed edera.
Eccitate dal Dio si abbandonavano agli impulsi più sfrenati, persino crudeli, trasformando il rito sacro in orgie incontrollate passate alla storia come baccanali.
Abbiamo detto agli inizi che il Nume aveva due significati diversi; possiamo aggiungere che Dioniso-Bacco acquistò ben tre aspetti, tre diverse fisionomie.
Uno, il gaudente Bacco, Dio del vino e dell'allegria, che ama il canto e le feste, sempre in corteo, sempre in compagnia di sileni, satiri e ninfe, il Nume gradito in età imperiale, esaltato, molti secoli più tardi da Lorenzo Il Magnifico:
"Quest'è Bacco e Arianna, belli, e l'un dell'altro ardenti: perché il tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti..."
Un altro è il Nume del delirio orgiastico, oggi diremmo il culto della droga, che sconvolge la mente e le membra, scatenando gli istinti più crudeli e bassi.
Uno, infine, è il Nume redentore, il Dioniso intorno al cui altare si rappresentavano le tragedie di Sofocle e di Eschilo, il Dio che era stato iniziato ai riti segreti dell'antico Egitto e che conosceva l'arte di tramutare gli uomini in Dei.


Approfondimento su Arianna:

Ovidio: "Bacco e Arianna". Brano tratto dall'Antologia di Scrittori Latini a cura di Marchesi e Campagna (1967)

Arianna, figlia di Minosse, re di Creta, era partita dalla terra natale seguendo Teseo, ch'essa aveva aiutato a uscire dal labirinto, dopo aver ucciso il Minotauro; ma nell'isola di Nasso, l'eroe ateniese abbandonò la fanciulla mentre era immersa nel sonno. Il poeta descrive la sventurata eroina, appena desta dal sonno, che va stordita e pazza per quell'isola sconosciuta; e dallo stordimento, appena sente l'orribile realtà dell'abbandono e del tradimento, passa all'urlo, all'invettiva vana e disperata lanciata per i flutti impassabili e sordi.
E finalmente viene il grido angoscioso e disperato: "Che ne sarà di me?" mentre intorno incombe un mostruoso silenzio di solitudine marina. "Che ne sarà di me?" ripete disperatamente Arianna.
Ed ecco subitaneo, assordante, lo scoppio del corteo bacchico, che rimbomba frenetico per tutta la spiaggia. Arianna viene quindi portata via dal Dio e assunta in cielo tra le costellazioni boreali.
Sopra le ignote arene errava Arianna, impazzita, dove l'ondata batte la sponda dell'isola Dia. Desta dal sonno, un velo di tunica intorno le svola: e nudi i piedi e sciolte le bionde chiome. "Teseo crudele!" ai flutti, che non udivano, urlava: e un gran pianto rigava le tenere guance innocenti. Gridava e piangeva: ma il grido e il pianto le davano grazia; il pianto non aveva alterato il volto suo bello. Battea, battea con le palme il morbidissimo seno. "Lo spergiuro è fuggito", diceva, "E di me che sarà?" Diceva "E di me che sarà?" Ah! Scoppia per tutta la spiaggia un suon di cembali e timpani percossi da mani furenti. Ella cade atterrita; né più profferisce parola. Esangue era il suo corpo come corpo di morta. Eccole, le Baccanti, cosparsi i capelli sul dorso: eccoli, i lievi Satiri, che in folla precedono il Dio. Oh sul curvo asinello ecco il vecchio ecco l'ebbro Sileno, che barcolla e si aggrappa alla criniera, e via dietro alle Baccanti: ed esse via scappano e tornano, e quello da' da' con la canna alla bestia, il cavaliere maldestro, finché fa un capitombolo giù dall'orecchiuto asinello. Gridano i satiri: "O Padre, su, levati levati, su!" Eccolo il Dio! Dal carro che avea coronato di grappoli, il dio le tigri aggiogate guidava con redini d'oro. Teseo, calore, voce, tutto perdè la fanciulla; tre volte ella tenta la fuga, tre volte il terrore la inchioda. Rabbrividì tremando, come al vento la sterile spiga, come le canne lievi nell'acquosa palude. Il Dio le parla: "Io vengo amore più fido al tuo amore. Non temere: di Bacco sarai, Arianna, la sposa. Io t'offro il cielo; dal cielo più volte alla nave smarrita, darà fulgente stella, la Gnosia Corona la via." Disse, e balzò dal cocchio, perchè non temesse le tigri, la sua fanciulla. E il lido cedeva di sotto ai suoi passi. La portò via serrata fra le sue braccia; era vano ogni contrasto. Un Dio facilmente può tutto. Si leva ora il canto: "Imeneo". Risuona ora il grido "Evoè!"


***

Gnosis in ignotis amens errabat harenis, qua brevis aequoreis Dia feritur aquis; utque erat e somno tunica velata recincta, nuda pedem, croceas inreligata comas, Thesea crudelem surdas clamabat ad undas indigno teneras imbre rigante genas. Clamabat flebatque simul; sed utrumque decebat: non facta est lacrimis turpior illa suis. Iamque iterum tundens mollissima pectora palmis "Perfidus ille abit! Quid mihi fiet?" ait. "Qui mihi fiet?" ait: sonuerunt cymbala toto litore et attonita tympana pulsa manu. Excidit illa metu rupitque novissima verba; nullus in exanimi corpore sanguis erat. Ecce Mimallonides sparsis in terga capillis, ecce leves Satyri, praevia turba Dei, Ebrius ecce senex: pando Silenus asello Vix sedet et pressas continet arte iubas; dum sequitur Bacchas, Bacchae fugiuntque petuntque, quadrupedem ferula dum malus urget eques, in caput aurito cecidit delapsus asello: clamarunt Satyri "Surge age, surge Pater!" Iam Deus in curru, quem summum texerat uvis, tigribus adiunctis aurea lora dabat: et color et Theseuset vox abiere puellae terque fugam petit terque retenta metu est; horruit, ut sterilis agitat quas ventus aristas, ut levis in madida canna palude tremit. Cui Deus "en, adsum tibi cura fidelior", inquit, "Pone metum: Bacchi, Gnosias, uxor eris! Munus habe caelum: caelo spectabere sidus; saepe reges dubiam Cressa Corona ratem." Dixit, et e curru, ne tigres illa timeret, deesilit: inposito cessit harena pede: inplicitamque sinu (neque enim pugnare valebat) abstulit: in facili est omnia posse Deo. Pars "Hymenaee" canunt, pars clamant Euhion, "Euhoe!"

Approfondimento tratto da



Arianna, Dea della vegetazione

L'uso delle statuine appese ai rami degli alberi da frutto era corrente in Grecia e a Creta. Nella maggior parte dei casi esse raffiguravano Arianna. Poiché questo appunto fu in origine la figlia di Minosse: una Dea minoica primitiva, uno spirito della vegetazione, dell'albero. Il suo nome, Arianna, o meglio Ariagne, tradotto di solito come "la più sacra" sarebbe reso molto meglio con "l'intatta", "l'intoccabile". La vergine Arianna pagò a caro prezzo il fatto di non essere più tale perché il volubile Teseo l'abbandonò a Nasso. Fu poi consolata da Dioniso.
In seguito all'abbandono, pare che si sia impiccata. L'impiccagione di Arianna a Cipro ricorda quella di Erigone a Icaria, ma con l'impiccagione pose fine ai suoi giorni anche sua sorella Fedra, la "Brillante", dopo essere stata respinta dal figliastro Ippolito. E Fedra a volte viene rappresentata su un'altalena (Erigone, figlia di Icario, era nota come colei che apriva le Aiorie, durante le quali venivano appese bambole e maschere, agli alberi, per assicurare la fecondità, mentre fanciulle in piedi, su una stretta piattaforma appesa ai rami, si dondolavano. Così si dice sia nata l'altalena. La simulazione del dondolio dovrebbe rappresentare l'orgasmo femminile. Il dondolio è un atto rituale che viene praticato ancora in India)
In Arcadia esisteva un culto di Artemide Apankoméne, o di Artemide Kondylits, "l'Impiccata", "la Strangolata" (Nota di Lunaria: vedi il collegamento con i Tarocchi: L'Appeso, il Dodicesimo Arcano, che rappresenta il sacrificio di sé, le Divinità incarnate che si sono immolate: il dono di se stessi https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/esoterismo-16.html)
Artemide, la vergine che con le sue compagne frequenta le foreste selvagge, era anch'essa una divinità dell'albero, cui erano consacrati il noce, il cedro e l'abete rosso. Che cosa possono significare tutte queste impiccagioni, di cui il dondolio rituale o le bambole appese ai rami non sono che surrogati? L'impiego dell'altalena era associato al rinnovamento della vegetazione, le bambole stimolavano l'accrescimento degli alberi, e molti Dei si sacrificano impiccandosi: Dioniso Zagreo, Odino.
(Nota di Lunaria: anche il cristo si appende al legno e reclina il capo anche se non viene impiccato; comunque, nella storiella evangelica, è Giuda ad impiccarsi... i cristiani ovviamente scopiazzando questo o quello non hanno dimenticato di inserire anche la storia di un'impiccagione, già che c'erano... )

Il sacrificio di sé è il dono totale, e, nei casi citati, si trattava di provocare l'avvio della vegetazione. Della fede arcaica negli effetti fecondatori e rigeneratori dell'impiccagione esiste un'antica traccia: si credeva che la mandragora crescesse sotto il patibolo, dal seme degli impiccati
Secondo il mito di Arianna, ella muore, impiccata a Cipro (o bruciata da Artemide, su istigazione di Dioniso, in certe versioni): era necessario che Arianna morisse per diventare immortale e potersi unire al Dio che a sua volta, come tutte le divinità della vegetazione, è un Dio che muore e resuscita.
(Nota di Lunaria: Nella fantasia cristiana, spesso cristo è rappresentato crocifisso all'albero della conoscenza del bene e del male, descritto in Genesi... ovviamente scopiazzato da altri culti)





ma tant'è... la zuppa cristiana (un minestrone indigesto stra-bollito cucinato con tutti gli elementi Pagani pre-cristiani) non ha ancora stufato i palati dei buongustai che si dichiarano cristiani... Grandi amanti, questi cristiani/cattolici, della loro zuppa cristiana... un po' meno amanti dei libri di mitologia ed archeologia, quelli con tante immagini belle grandi, così non si fa neanche fatica a mettere in moto il cervellino atrofizzato da 2000 anni di idiozie cristiane, nel vedere gli scopiazzamenti al Paganesimo...

Approfondimento sul vino, tratto da Mircea Eliade "Trattato di storia delle religioni"

La Luna e la Vegetazione.

Le relazioni fra la luna, la pioggia e la vegetazione erano state già osservate, prima della scoperta dell'agricoltura [...] Il legame organico fra la luna e la vegetazione è tanto forte che moltissimi dèi della fertilità sono contemporaneamente divinità lunari; ad esempio Hathor l'egiziana, Ishtar, l'iranica Anahita, eccetera. In quasi tutti gli dèi della vegetazione e della fecondità esistono come sopravvivenza  -  anche quando la loro ‘forma’ divina si è fatta completamente autonoma  attributi o efficienze lunari. Sin è contemporaneamente il creatore delle erbe; Dionysos è insieme dio lunare e dio della vegetazione; Osiride cumula tutti gli attributi: della luna, delle acque, della vegetazione e dell'agricoltura. Possiamo, in particolare, distinguere il complesso lunaacque-vegetazione nel carattere sacro di alcune bevande d'origine divina, come il "soma" indiano o il "haoma" iranico; questi ultimi, del resto, furono personificati in divinità autonome, benché infinitamente meno importanti degli dèi principali del pantheon indo-iranico. Tuttavia possiamo identificare nel liquore divino, che conferisce l'immortalità a chi ne beve, il sacro concentrato nella luna, nelle acque e nella vegetazione. Tale liquore è la ‘sostanza divina’ per eccellenza, perché trasmette la ‘vita’ come ‘realtà assoluta’, vale a dire come immortalità. L'"amrta", l'ambrosia, il "soma", il "haoma", eccetera hanno un prototipo celeste riservato agli dèi e agli eroi, ma sono anche presenti nelle bevande terrestri, nel "soma" bevuto dagli Indiani dei tempi vedici, nel vino delle orgie dionisiache, eccetera. Inoltre queste bevande ‘concrete’ debbono la loro efficacia al prototipo celeste corrispondente. La sacra ebbrezza permette di partecipare, benché in modo folgorante e imperfetto, alla modalità divina; cioè realizza il paradosso di ESSERE REALMENTE e contemporaneamente di VIVERE; il paradosso di possedere un'ESISTENZA PLENARIA e nello stesso tempo DIVENIRE, di essere FORZA e insieme EQUILIBRIO. Il destino metafisico della luna è di VIVERE pur rimanendo IMMORTALE, di conoscere la morte in quanto riposo e rigenerazione, mai come fine. Questo è il destino con cui l'uomo cerca di rendersi solidale mediante tutti i riti, simboli e miti. Riti, simboli e miti nei quali, come abbiamo visto, coesistono le sacralità della luna, delle acque e della vegetazione, sia che queste ultime traggano la loro sacralità da quella della luna, sia che formino ierofanie autonome. Comunque sia, incontriamo sempre una verità ultima, fonte di forza e di vita, dalla quale sono uscite, direttamente o mediante benedizione, tutte le forme viventi.
Il miracoloso caldaio di Hymir ha corrispondenze nelle altre mitologie indo-ariane. Serve a preparare l'ambrosia, bevanda divina. Quel che interessa in questo capitolo è un particolare rivelatore, che i caldai mitici e magici della tradizione celtica sono stati trovati in fondo all'oceano o ai laghi. Il caldaio miracoloso della tradizione irlandese, Murias, prende il nome da "muir", ‘mare’. La forza magica sta nell'acqua; i caldai, le pentole, i calici sono i veicoli della forza magica, spesso simboleggiata da un liquido divino, ambrosia o ‘acqua viva’; conferiscono l'immortalità o la giovinezza eterna, trasformano chi li possiede in eroe o dio, eccetera.
Gli Indiani dell'Orenoco lasciano alle donne l'incarico di seminare il granturco e piantare i tuberi, perché ‘come le donne sanno concepire e mettere al mondo i figli, così i semi e i tuberi piantati da loro dànno frutti assai più abbondanti che se li avessero piantati gli uomini’. A Nias, una palma da vino piantata da una donna dà linfa in maggior quantità della palma piantata da un uomo. Le stesse idee si trovano in Africa, presso gli Ewe. Nell'America del Sud, per esempio fra i Jibaros, si crede ‘che le donne abbiano un'influenza speciale e misteriosa sulla crescita delle piante coltivate’. Questa solidarietà fra la donna e il solco fertile si conservò anche quando l'agricoltura divenne una tecnica maschile e l'aratro sostituì la primitiva zappa, e spiega moltissimi riti e credenze
che esamineremo insieme ai complessi drammatici agrari.


Nota bene: l'asfissiante nazareno COPIA letteralmente la metafora del vino in Giovanni 15:1-5
"Io sono la vite vera, e il Padre mio è l'agricoltore... io sono la vite, voi i tralci, Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla"




Io, io, io... il megalomane nazareno sapeva dire solo questo. Io, io, io... io di qui, io di lì, io sono la verità, io sono la vita, io vengo nella gloria e blablabla... tanto non aveva problemi a trovare le oche che gli stavano appresso prostrandosi a 90°!