Il Ciclo Arturiano (4) Morgana


LA CAPPELLA DI MORGANA

Tanto cavalcarono che giunsero a una cappella chiamata la cappella di Morgana, da dove si dipartivano due strade. "Signor duca", disse il valletto, "è mio parere che prendiamo la via di destra, ché l'altra conduce alla valle da cui nessuno ritorna. Agireste da folle, se vi inoltraste per di là." "Vuoi togliermi quanto vado cercando? Non è cavaliere ma mercante, chi lascia le vie pericolose per quelle sicure, e mai si compirebbero avventure se i cavalieri erranti facessero quello che tu auguri ch'io faccia." "Voi andrete dove vorrete", replicò il valletto, "ma io non vi seguirò davvero. Vi attenderò qui fino a domani e, se non avrò vostre notizie, tanto varrà che me ne vada." "Mi avrai atteso abbastanza, se m'aspetterai tutto questo tempo." Detto ciò, Galessin raccomandò a Dio lo scudiero ed entrò nella valle, che era chiusa da un muro d'aria. E il racconto dice come; ascoltate. Re Artù aveva una sorella chiamata Morgana, che aveva appreso da Merlino tanti inganni e incantamenti che una moltitudine di persone, tra cui molti sciocchi, la chiamavano Morgana la Fata, o persino la Dea. Ella amò un cavaliere chiamato Guiomar, cugino della regina Ginevra, e costei le faceva spesso dei rimproveri. Un giorno, la regina li colse sul fatto e bandì il cugino; da ciò ebbe origine il grande odio che Morgana portò sempre alla regina. Ella fuggì a sua volta e raggiunse Guiomar; ma egli si era invaghito di una damigella di grande bellezza. Più volte Morgana volle sorprenderli, ché sapeva la verità come la si può sapere per sentito dire. Tanto li spiò, il giorno e la notte, che alla fine li scoprì in questa valle che era una delle più belle del mondo. E a causa del grande dolore che ne ebbe, li rinchiuse in un muro d'aria e condannò la damigella a sentire sempre un freddo glaciale dalla testa alla vita, e un calore torrido dalla vita ai piedi; fece poi un incantamento, sì che alcun cavaliere non potesse uscire dalla valle dopo esservi penetrato, a meno che non avesse mai, nemmeno col pensiero, tradito il proprio amore. Da vent'anni, alcun cavaliere errante di quanti avevano superato il muro d'aria aveva potuto valicarla di nuovo e ve n'erano già 254; così il luogo veniva chiamato la Valle dei Falsi Amanti o la Valle senza Ritorno. Le dame, le damigelle, gli scudieri vi entravano e ne uscivano a loro piacere: così molti prigionieri avevano con sé le amiche che li amavano e i valletti che li servivano e portavano loro le rendite, gli abiti, gli uccelli; e abitavano in case ricchissime; e nella valle v'erano anche cappelle in cui ogni giorno si cantava messa. Frattanto tutti attendevano, con cuore dolce, umile e leale senza biasimo, che li potesse liberare.   Quando Galessin ebbe cavalcato un poco nella valle, trovò una porta bassa davanti alla quale smontò di sella. Essa si apriva su una scalinata che conduceva a un sotterraneo tutto bianco. Là c'erano quattro draghi incatenati per la gola, malvagi e forti e feroci a meraviglia, che si leccavano le unghie insanguinate; si alzarono appena lo videro, si stirarono e drizzarono le creste in modo terribile; tale era la loro forza che conficcavano gli artigli nel suolo con tal facilità che lo si sarebbe creduto burro. Ma Galiessin imbraccia lo scudo, sguaina la spada e avanza: subito essi l'assalgono, insieme. Invano egli ne colpisce uno nel mezzo della fronte: la spada rimbalza come su un'incudine. Allora coprendosi con lo scudo come meglio può, si mette a percuoterli a colpi di impugnatura sì rudemente che fa loro sfavillare gli occhi e combatte tanto e sì bene che infine passa oltre. Il viale che seguiva lo riportò alla luce del giorno ma egli si trovò dinnanzi a un torrente impetuoso e profondo, attraversato a guisa di ponte da una tavola larga un piede: due cavalieri ne difendevano il varco, l'uno armato di lancia, l'altro di scudo e con la spada sguainata. Galessin fa il segno della croce e s'avanza sul Ponte Periglioso, lo scudo davanti al petto. Ma il cavaliere con la lancia lo colpisce sì duramente che al primo colpo lo precipita nel fiume. Quando Galessin ritornò in sé, credette d'aver bevuto troppo. Quattro villani lo stendono sulla riva: innanzi a lui si erge un cavaliere armato che gli strappa l'elmo e la spada; dopo di che lo porta in un verziere dove passeggiava chiacchierando una moltitudine di signori prigionieri e di dame. Là ritrovò Cahedin il Bello, Alano il Biondo e Aiglin delle Valli, tutti e tre compagni della Tavola Rotonda.   



MORGANA E LA SOVRANITà

tratto da



La morte di Artù è sempre stata accompagnata dal mistero, ma in tutto questo arcano non c'è niente di più enigmatico della comparsa di Morgana la Fata.
Anche se nella "Historia" Goffredo di Monmouth quando racconta della battaglia di Camlan cita appena Avalon  e per nulla Morgana, al contrario nella "Vita di Merlino" si concede qualche dettaglio in più. La prima volta in cui compare, Morgana viene collegata all'Insula Pomorum (Isola delle Mele) e presentata come una delle nove sorelle che "sono solite maltrattare tutti coloro che giungono alla loro terra. Quella che può ritenersi la prima fra loro, possiede straordinarie doti di guaritrice e in beltà supera tutte le altre. Il suo nome è Morgen ed è abilissima nell'uso delle piante medicamentose per la guarigione delle malattie corporali. Ella, inoltre, conosce anche le arti magiche, come la capacità di cambiare aspetto e volare attraverso l'aria"
Ma da dove arriva, così all'improvviso, questa singolare figura di Morgana? Di primo acchito pare che Goffredo si sia compiaciuto nel creare, inventandoselo, un motivo affascinante del tutto simile a quello delle nove sorelle dell'isola di Senna; ma non è così, questi personaggi già compaiono in precedenti opere dei poeti gallesi: "Il calderone della testa di Annwn, rinfocolato dal respiro di nove vergini". Annwn è parola gallese che indica l'Aldilà celtico, cosa che fa pensare a Morgen/Morgana la Fata come a una originaria divinità della mitologia gallese.


Nota di Lunaria: Qui compariva la stessa ipotesi



Fatto che non sorprende nel momento in cui da Goffredo veniamo a sapere che sia per la redazione della "Historia" che per quella della "Vita di Merlino" sue fonti di ispirazione sono stati gli antichi testi gallesi. Nella storia del mago, si dice che la prima a ricevere Artù al termine della battaglia di Camlan fu proprio Morgana, la quale, dopo aver attentamente scrutato le ferite, si era pronunciata dicendo che forse la guarigione ci sarebbe stata, ma solo dopo un lungo periodo di assidue cure.
Ci siamo resi conto che in molti scritti Morgen/Morgana veniva confusa a causa della mutilazione del suo nome. Quando compare nel "Roman de Troie" (Il romanzo di Troia), un'opera francese redatta attorno al 1160, Morgana viene presentata come una bellissima giovane fata che si innamora del mortale Ettore (Cynyr, il padre putativo di Artù) verso il quale poi
riversa tutto il suo odio una volta da lui respinta.

Nota di Lunaria: credo sarebbe interessante fare un parallelo tra la figura di Morgana e molte dame delle poesie italiane del '200. Per esempio Giacomino Pugliese, che tra l'altro in "La dolce cera piangente" cita Tristano ed Isotta. La mia ipotesi è che pure se non nominata espressamente nella letteratura italiana, almeno tra il '200 e il '300 Morgana fosse citata, sotto altro nome, da diversi autori che erano a conoscenza della sua leggenda e la usarono come ispirazione poetica. Per fare un solo esempio, in Cielo d'Alcamo nel componimento "Contrasto" si citano la Siria e Babilonia. Ci si potrebbe chiedere cosa il poeta conoscesse di Babilonia e, in particolare, se le figure delle antiche Dee babilonesi (Ishtar) fossero in qualche modo note e usate come fonte di ispirazione per le figure femminili cantate nei componimenti.

In "Erec e Enide" di Chrétien de Troyes (1168) è Morgana la Fata, compagna di Guigomar, signore di Avalon. Ma nello stesso racconto è anche Morgana la sorella di Artù; mentre nell'Yvain, Chrétien ce la presenta come Morgana la Saggia.
Nel "Brut" (1189-1205), prima traduzione in inglese della versione latina della "Historia" di Goffredo di Monmouth, ella è Argante, così come citata da Artù morente rivolto a Costantino, quando la battaglia di Camlan è finalmente terminata. "Ora andrò ad Avalon, presso la più bella fra le fanciulle, da Argante la regina, una fata elfica bellissima, e sarà lei a curare e sanare queste mie ferite, ridonandomi la piena salute grazie a erbe e droghe all'uopo preparate". Ovviamente, questa ulteriore corruzione del nome ha da leggersi come Margante.
Giraldo Cambrense fa numerosi riferimenti a Morganis nel contesto di Avalon, dipingendola come una donna esperta di arti occulte e conoscitrice delle segrete parole degli Dei. è con Giraldo che tramite la parola scritta per la prima volta si collegano Avalonia e Glastonia. Nella sua opera "Speculum Ecclesiae", Giraldo racconta che "dopo la battaglia di Camlan, il corpo di Artù, che era stato mortalmente ferito, venne portato via da una certa nobile matrona chiamata Morgana, che era sua cugina, fino all'Isola di Avalon, nota oggi come Glastonbury." Nella precedente opera "De instructione principium" lo stesso Giraldo ci parla della condizione di Morgana e Avalon, informandoci che si tratta di una "nobildonna che regnava in quelle terre e vicina per sangue ad Artù", mentre nel medesimo testo è anche descritta come "una qual certa Dea fatata... chiamata Morganis". All'epoca in cui Giraldo scriveva, la tradizione e la mitologia relativa a Artù e all'Ynis Afallach venivano ricordate solo più dalla gente comune e nei bardi. Per quanto Giraldo ben conoscesse questa discendenza prettamente gallese, amò presentarla al suo uditorio normanno come il lavoro della fantasia, pur non scordando di riconoscerle una matrice gallese: "I bardi, i narratori di storie, i cantori e i poeti dell'Ynis Prydein sono soliti immaginarla e descriverla come Margan una Dea dell'Annfwyn, che nascose Artù nell'Ynis Afallach onde poterlo guarire da tutte le sue ferite". Annwn (da cui Annfwyn è una variante) era il nome gallese che indicava l'Aldilà celtico e i legami di Morgana con questo mondo oscuro sono ampiamente confermati da un altro testo in cui viene chiamata "Morgana la principessa dell'Annwn"
In pieno contrasto con la figura divinizzata che ne dà Giraldo, i connotati che noi oggi siamo soliti attribuire a Morgana la Fata traggono la loro origine da quello che è noto come il "Ciclo Vulgato Cistercense" (1220) dove Morgana compare come la giovane figlia di Hoel (Gorlois) duca di Tintagel e quindi sorellastra di Artù [infatti Artù è figlio della moglia di Gorlois, Igraine, sedotta con l'inganno da Uther Pendragon]. Sarebbe stato improbabile che dei monaci avallassero e glorificassero un personaggio dalle chiare radici pagane nella figura di una divinità celtica. In questa dimensione, Morgana è svestita della sua autorità divina e trasformata in una "persona malvagia", (*) proprio quella che c'è stata propinata dalle più recenti e moderne versioni della mitologia arturiana.
  
(*) che poi, questo è presente anche nel folklore locale. Vedi qui




"Anna la Nera" è quanto è rimasto, denigrato in epoca cristiana, delle antiche Signore.
Vedi i miei molti post sull'Irlanda.

Infine, un'ultima nota, riguardo "la spada nella roccia"



Dopo la morte di re Uther Pendragon, è necessario trovare il successore. La vigilia di Natale [festa pagana...], tutti si riuniscono in chiesa, e, per miracolo, quando escono dalla chiesa, trovano una pietra quadrata che "nel bel mezzo portava una spada conficcata".
Un'iscrizione sulla pietra recitava "Questa spada è il segno che indicherà colui che è degno re alla vista di Dio. Nessuno sarà mai in grado di estrarla dalla roccia eccetto quello da Dio designato". Ovviamente è solo un Artù 15enne a saperla estrarre, in quanto figlio (illegittimo) di Uther.
Di tutta questa vicenda a noi interessano questi aspetti: la spada aveva nome Caledfwlch, tradotta in latino, da Goffredo con "Caliburnis" e poi "Excalibur". Da questo momento la spada si trasforma nel simbolo della potenza di Artù sui campi di battaglia; mentre la leggenda della Dama del Lago che esce dalle acque per afferrare al volo la spada e inabissarla nelle acque è certamente un'aggiunta successiva, ascrivibile almeno al XII secolo.
La cosa interessante è che la venerazione di una spada conficcata nel terreno è pratica comune presso le tribù curde. Izady, uno studioso,  in "The Kurds: a concise handbook" ha supposto una matrice comune, a questa tradizione. Da parte mia (non credo che il libro sia stato tradotto in italiano, quindi ipotizzo).

Inoltre, l'idea di associare la spada alla "Dama del Lago" ma anche a Morgana secondo me è una riproposizione (cristianizzata, certamente, ma che affonda su un substrato pagano, come il 99,9% del cattolicesimo) del concetto di Regalità Irlandese, simboleggiato da Dee come Maeve, Andraste\Andate, ériu, Banbha... tutte Dee della Sovranità, della territorialità, del suolo, della Patria, che venivano rappresentate in terra da una Sacerdotessa che diventava sposa del re, proprio perché era dalla Sacerdotessa "che passava" la concessione a regnare per il re; sarebbe molto lungo riportare le analisi antropologiche e sociologiche che Naomi Wolf riporta in "Vagina" 
dove spiegava perché in caso di guerra vi è sempre "lo stupro di massa" delle donne del "nemico" (e i monoteisti nell'antico testamento stupravano le vergini dei nemici, portandosele prima via come "merce e bottino"). Stuprare, in contesti di guerra, serve proprio a  rafforzare l'idea che si sta invadendo "la terra dell'altro".
Il fatto che la spada (fallica) di Artù sia conficcata in una roccia (utero) è un simbolismo per rappresentare la sessualità umana, e la roccia, nella litolatria, rappresenta il potere fecondativo e di fertilità (per approfondimenti, si veda "Trattato di storia delle religioni" di Mircea Eliade)
Il fatto che la spada di Excalibur passi anche per mani femminili che hanno vegliato su Artù e concesso a lui la sovranità rimanda all'idea di regalità irlandese: il re regnava sulla Terra se la Dea gli concedeva il diritto a regnare perché la Terra è il corpo della Dea e solo Lei sceglie a chi concederlo. L'idea che la terra (anche coltivabile) sia il corpo della Madre è presente in quasi tutte le mitologie, e anche Mircea Eliade ne parla a lungo quindi consiglio di approfondire il discorso leggendo l'analisi che ne fa Eliade. Da parte mia, riporto solo questo passaggio:
"Nondimeno i resti dell'antichissimo culto della Terra Madre affiorano nei documenti arcaici ed etnografici. Un profeta indiano Smohalla, della tribù umasilla (Stati Uniti), vietava ai suoi discepoli di zappare la terra perché, diceva, ‘è un peccato ferire, tagliare, lacerare o graffiare la nostra comune madre con lavori agricoli’. E giustificava così il suo atteggiamento contrario all'agricoltura: ‘Mi domandate di lavorare la terra? Prenderò dunque un coltello per immergerlo nel petto di mia madre? Mi domandate di zappare e di togliere i sassi? Debbo dunque mutilare la sua carne per arrivare fino alle sue ossa? Mi domandate di tagliare l'erba e il fieno, venderlo e arricchirmi come fanno i bianchi? Ma come oserei tagliare i capelli di mia madre?"
Come si vede, anticamente, era inconcepibile "fare qualcosa contro la terra". Se la terra è della Dea, se la terra è la Dea (spiritualità di tipo immanente) e se la Dea ha corpo femminile, allora i corpi femminili in terra sono immagini della Dea, a sua immagine. è per questo che il monoteismo rinnega tutto questo postulando che dio è trascendente (non è presente in terra e "disciolto" in essa), che è maschile (e scende sulla terra per castigare, vedi la vicenda di Adamo ed Eva)
e che la donna non è "immagine di dio", ma "serva dell'uomo e sua gloria" (Efesini 5,21 - 1 Corinti 14,34 - 1 Corinti 11,1)
Per di più, l'idea monoteista cristiana è che gesù cristo sia lo sposo dell'umanità-femmina: il maschile è visto come dio e sposo, l'umanità, con le sue bassezze, è femminile; nell'antica sovranità era esattamente il contrario! Era la Dea la sposa femmina dell'umanità-maschile: infatti, metaforicamente, sposava il re e unendosi a lui gli permetteva di regnare.
Come si vede, i concetti cristiani monoteisti sono delle negazioni totali al ragionamento che invece stava alla base del concetto di Sovranità.

Quindi, per quanto il racconto di Artù abbia "l'impronta cristiana", quel "Questa spada è il segno che indicherà colui che è degno re alla vista di Dio. Nessuno sarà mai in grado di estrarla dalla roccia eccetto quello da Dio designato", in realtà il concetto che stava dietro era proprio quello della Dea della Sovranità, di stirpe, di popolo, di patria, di identità nazionale (una Maeve, una Banbha, una ériu...) quindi la frase vera si leggerebbe così:
 "Questa spada è il segno che indicherà colui che è degno re alla vista della Dea. Nessuno sarà mai in grado di estrarla dalla roccia eccetto quello dalla Dea designato"
che ha più senso logico, nel contesto celta-irlandese precristiano che pure servì alla formazione della mitologia arturiana.
Artù, alla fine del suo operato, cede la spada alla Dama del Lago, Dea Acquatica (e non a caso, una figura femminile connessa alle acque, visto che le acque rappresentano le profondità uterine, il grembo femminile dal quale emerge tutto) perché starà a Lei scegliere il successore di Artù, ovvero colui che ancora regnerà sulla terra.




Del resto, nell'induismo è la Shakti femminile che attiva il maschile, e non viceversa. Inoltre abbiamo lo stesso concetto: è la Dea che dà la spada al re!



Inoltre, come già facevo notare parlando della Svizzera https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/svizzera-le-origini-pagane.html
il concetto di Patria, Nazione, Identità Culturale è metaforicamente femminile.
Morgana con la spada, la Dama del Lago sono concetti, figure letterarie cristianizzate che rimandano all'antica Dea della Sovranità.
Cambiano i nomi, cambiano i tempi, i dettagli... ma il simbolismo vero del concetto non cambia!!!




Altre info su Morgana

Secondo il mito, Morgana è figlia di Igraine e di Urien, e sorellastra di Artù.
Innamorata di Lancilotto, ma non corrisposta (Ginevra le diventa nemica perenne) diventò, nella fantasia medioevale, la donna assetata di sesso e tentatrice, oscura e nefasta come la Dea Morrigan. Morgana è considerata colpevole soprattutto di incesto perché ha un rapporto sessuale col fratello Artù, concependo  Mordred, colui che ucciderà suo padre Artù.
Morgana è considerata la strega che annienta gli uomini con le sue arti magiche (1) e che adora la Dea, quindi oltre che strega è anche eretica.


(1) Vedi lo stralcio del Malleus Maleficarum: "come conseguenza del loro primo difetto, quello dell'intelligenza, [le donne] sono più portate a rinnegare la fede [...] studiano, escogitano e infliggono varie vendette, sia attraverso stregonerie..."



La prima opera letteraria nella quale appare Morgana è  "Vita Merlini" di Goffredo di Monmouth (1148): Morgana è una fata guaritrice, cura le ferite di  Artu' e vive ad Avalon assieme ad alcune Sacerdotesse.
"L'Isola dei Frutti, che è detta Fortunata, prende tal nome ché li produce da sé sola... In quel luogo nove sorelle per singolare regola concedono privilegi a coloro che lì giungono proveniente dai nostri lidi. La maggiore fra loro è la più esperta nell'arte della medicina e supera le sue sorelle per avvenenza e maestà. Si chiama Morgana e insegna quale virtù possieda ogni tipo di erba per curare i corpi dei sofferenti. è a lei nota anche l'arte con cui sa mutarsi d'aspetto e sa solcare i cieli con le sue ali straordinarie (*), come Dedalo: quando vuole diventa Bristi, Carnoti o Papia: quando vuole correrà per l'aria fino ai vostri lidi. Si dice che abbia anche istruito le sorelle nella matematica" (Goffredo di Monmouth, "Vita Merlini" III)


(*) Nota di Lunaria: si ricordi che erano gli Dei Pagani ad essere alati, non gli angeli cristiani, concetto che viene postulato solo in età patristica, successiva di secoli, quindi, al messaggio biblico!
Alcune Dee alate: Lilith, Baltis, Ishtar, Khvaninda (la Nike persiana), Iside, Nike, Vica Pota, Nemesi...


Nel 1170 anche un altro romanzo cita Morgana, "Erec et Enide", dove Morgana appare in compagnia del suo amato Guingamar. In questo testo è descritta come una guaritrice ed è appellata "sorella di Artù". Benoit de Saint Maure la cita nel "Roman de Troie" del 1160 e in la "Vulgata Lancelot" si dice: "Verità fu che Morgana, la sorella di re Artù, era molto esperta di incantesimi e di sortilegi più di tutte le donne; e per il grande impegno che ci mise lasciò e abbandonò la comunità della gente e soggiornava giorno e notte in foreste profonde e presso le fonti, cosicché molte persone, che erano molte nel paese, non dicevano che era una donna, ma la chiamavano Morgana la Dea".
Da questo momento, Morgana verrà vista come un personaggio negativo e da guaritrice diventerà "infida traditrice e maga": il cristianesimo non ha mai apprezzato donne indipendenti e sapienti che potevano essere "una concorrenza" per preti, teologi e papi. 

Si noti che una delle prime fonti su Morgana (1148) dice che Morgana "Si dice che abbia anche istruito le sorelle nella matematica", ovvero che abbia avuto un ruolo di sapienza persino nelle materie scientifiche, come Ipazia.
Anzi, sarebbe troppo fantasioso supporre che la figura di Morgana in realtà sia stata ispirata proprio da Ipazia e ricalcata su di lei? Era una delle donne più celebri e stimate dell'antichità.

In "La bataille Loquifer" Morgana è descritta come un'assassina: rapisce Rainouart, che si innamora di lei; dal loro connubio nasce un bambino. L'eroe riparte e Morgana lo lascia andare, ma poi causa un naufragio per far perire Rainouart. Morgana viene citata anche in altri poemi: in "Le jeu de la feuillée" di Adam Le Bossu, protegge il poeta, donandogli ricchezza, ispirazione, felicità; qui Morgana compare come una delle tre fate, o meglio, Dee, già citate in altre mitologie (Parche, Norne, Moire, Ourmes...)
In "Erec et Enide" di Chrétien de Troyes, Morgana consegna al re un unguento in grado di sanare le ferite.
In "Le chevalier au lion" Morgana è chiamata la saggia, una fata benevola e guaritrice, in grado di guarire dalla pazzia.


La scrittrice Marion Zimmer Bradley però ha reso la figura di Morgana (e di altre donne) più vicine all'idea delle figure delle Sacerdotesse e delle Druidesse.

Vedi "Le Nebbie di Avalon"





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