L'Orlando Furioso: riassunto

Diciamo la verità: il Rinascimento non è molto citato nella musica Metal... Effettivamente non sono così specialista di Power Metal (o Epic) per sapere se qualche band (magari di ispirazione cristiana) ha mai fatto un concept album dedicato ai Paladini... Probabilmente qualche band di Power o White Metal l'avrà anche fatto, ma io mi ricordo solo i Thy Majestie e il loro cd dedicato a Giovanna d'Arco, e niente più.

Mi informerò meglio, quando avrò più tempo per la connessione internet, perché sarei curiosa di trovare qualche band che abbia pensato di dedicare un concept album o qualche canzone al poema cavalleresco italiano. Che ovviamente, per i nostri standard attuali, è piuttosto anacronistica come letteratura, sia per ideali, sia per linguaggio. Io tuttavia riesco ad apprezzarla a piccole dosi (*) e mi ci dedico di tanto in tanto. Sono tutte atmosfere che si sposano a meraviglia con certo Power\Epic Metal.

(*) Ovviamente non mi interessano le celebrazioni tronfie e vanagloriose del cristianesimo! Mi piace il linguaggio, come gli autori hanno reso la metrica, non certamente le trame inneggianti a crociate e trionfi della croce!

Intanto qui riporto un riassunto sull'"Orlando Furioso" di Ariosto (anche se a dir la verità tra Ariosto e Tasso prediligo il Tasso!) 


Leggetelo con sottofondo di Lordian Guard!
https://www.youtube.com/watch?v=N9S2dKq3qk4 


RIASSUNTO DELL'ORLANDO FURIOSO (e qui trovate le meravigliose immagini https://intervistemetal.blogspot.com/2023/09/ariosto-in-edizione-lussuosa.html )

Mentre Carlo VIII scendeva in Italia, il Boiardo interrompeva l'"Orlando Innamorato" al canto nono, ottava ventiseiesima, del libro terzo. Il poema rimaneva sospeso al momento culminante dello scontro tra Mori e Cristiani. Qui si innesta la "gionta" dell'Ariosto, iniziata verso il 1505 e apparsa a stampa nel 1516 col titolo di "Orlando Furioso". A questa seguì una seconda edizione; la terza ne ampliava il poema, da 40 a 46 canti (4842 ottave). Con questo poema la civiltà letteraria del Rinascimento toccava il suo vertice espressivo e, per ripetere un giudizio del Carducci, la lingua toscana diveniva italiana.

L'intreccio dell'"Orlando" è riassunto nelle strofe prima, seconda e quarta (la terza contiene la dedica al cardinale Ippolito). Sfondo delle diverse vicende la guerra tra Carlo Magno e Agramante, re dei Mori d'Africa, passato in Francia per vendicare la morte del padre Troiano.

"Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano."

Tra battaglie ed amori, spicca la figura del conte Orlando che, cosa incredibile, impazzisce per amore:

"Dirò d'Orlando in un medesimo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima."

Parallela alla storia del conte, quella di Ruggiero, il più cavalleresco degli eroi pagani, progenitori della casa d'Este: è l'omaggio d'obbligo a Ippolito e Alfonso.

"Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio"

Gli antefatti da cui muove il "Furioso" sono presto detti: Orlando era da tempo innamorato di Angelica e per il suo amore aveva compiuto avventure mirabili. Simili sentimenti verso la fanciulla li nutriva anche Rinaldo.

"Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti et immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna"

"Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo;
che ambi avean per la bellezza rara
d'amoroso disio l'animo caldo."

Carlo Magno pensò di sfruttare la rivalità tra i due cugini, proponendo Angelica come premio al migiore in campo.

"Carlo [...] questa donzella, che la causa n'era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
in premio promettendola a quel d'essi
ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli più copia uccidessi

La sorte delle armi fu contraria all fede; della sconfitta fa tesoro Angelica, fuggendo in groppa a Baiardo, il fedele destriero di Rinaldo. Il paladino la insegue, ma rimane attardato da un duello con lo spagnolo Ferraù.

"Come l'avremo in potestate, allora
di ch'esser de' si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno.
Al pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone
[...] Oh gran bontà de' cavalieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insiem van senza sospetto aversi. [...]
E come quei che non sapean se l'una
o l'altra via facesse la donzella
(però che senza differenzia alcuna
apparia in amendue l'orma novella)
si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,
e ritrovossi al fine onde si tolse."

Angelica trova modo di accompagnarsi a Sacripante, re di Circassia, che accetta di scortarla in Oriente, persuaso di dolci compensi. Sulla loro via transita un cavaliere misterioso, che unisce all'aspetto gagliardo un'eleganza piuttosto civettuola e sospetta di femminilità. Lo scontro è inevitabile: Sacripante ha la peggio. Angelica lo conforta, ma invano: per il saracino lo scorno è troppo grave, soprattutto quando scopre di essere stato scavalcato da una donna: Bradamante.

Un incontro tra Rinaldo e Sacripante si tramuta in un duello, che consente ad Angelica un nuovo dirottamento: si imbatte in un lascivo eremita che evoca un demonio per distrarre i duellanti. Rinaldo finisce al campo cristiano e da Carlo viene spedito in Inghilterra in cerca di alleati. Il poeta accompagna la nave del paladino al largo e l'abbandona in mezzo ai flutti in tempesta, per tornare a Bradamante, sulle piste dell'amato Ruggiero. Presso una fonte la bella guerriera incontra Pinabello; con lui si avvia al castello del mago Atlante dove Ruggiero è prigioniero. Il traditore, riconosciuta nel cavaliere la figlia del nemico Amone di Chiarmonte, la butta in una spelonca. Ma l'eroina non può morire: è attesa dalla maga Melissa.

Laggiù, in una tomba marmorea, giace l'anima del mago Merlino, che predice a Bradamante la stirpe degli eroi che discenderà da lei e Ruggiero; esorta Bradamante a liberare l'amato: vi riuscirà sottraendo a un nano, Brunello, un anello che rende invisibili.


Il castello di Atlante sorge inaccessibile su un colle; l'incantatore scende a valle su un cavallo alato, l'ippogrifo, e armato di armi magiche.

"Non stette molto a uscir fuor de la porta
l'incantator, ch'udì 'l suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta,
che vede che colui poco la nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
ch'a forar l'abbia o romper la corazza.
[...] Non è finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta generò d'un grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo:
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli agghiacciati mari.


Bradamante lo sfida a battaglia e, aiutata dall'anello, lo vince: si trova davanti a un vecchio supplice e piangente che dice di aver costruito il castello per impedire che si compia il triste destino di Ruggiero: gli astri predicevano che la morte avrebbe seguito a breve distanza il battesimo.


"La donna in terra posto già l'avea:
se quel non si difese, io ben l'escuso;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.
[...] un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel ch'ella ha giunto alla stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco
età di settanta anni o poco manco.
[..] La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, et a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la ròcca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella ròcca in cima al sasso,
né per avidità sono rubatore;
ma per ritrar sol dall'estremo passo
un cavalier gentil, mi mosse amore"


La donna e il prigioniero risalgono la china; giunti a castello, il mago spezza alcuni vasi e sul colle deserto  rimangono solo cavalieri e fanciulle, queste ultime non troppo liete della libertà senza agi. La resa incondizionata di Atlante si rivela però solo apparente. Riappare a un tratto l'ippogrifo, che si posa docile accanto a Ruggiero. Appena l'eroe è in groppa, si innalza e dilegua all'orizzonte. Rinaldo giunto in Bretagna, si inoltra nella selva dove erravano in cerca di avventura i cavalieri della Tavola Rotonda. Trova ospitalità in una badìa. Dai frati viene a sapere di una donzella condannata al rogo, a meno che qualcuno non provi la sua innocenza. Il paladino ne accetta la difesa in nome della cavalleria e dei diritti femminili: perché alla donna non è concesso di amare secondo le regole riconosciute all'uomo? Combatte, libera l'innocente e punisce i colpevoli (canti V-VI)
L'ippogrifo porta Ruggiero in un'isola speduta (canto VI).

Quello ippogrifo, grande e strano augello,
lo porta via con tal prestezza d'ale,
che lascieria di lungo tratto quello
celer ministro del fulmineo strale.
(...) Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio
per linea dritta e senza mai piegarsi,
con larghe ruote, omai de l'aria sazio,
cominciò sopra una isola a calarsi;
pari a quella ove, dopo lungo strazio
far del suo amante e lungo a lui celarsi,
la vergine Aretusa passò invano
di sotto il mar per camin cieco e strano.


L'eroe lega il cavallo a un mirto, ma un lamento lo scuote;

Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
che tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri si vedean lepri e conigli,
e cerci con la fronte alta e superba,
senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,
pascano o stiansi rominando l'erba;
saltano i daini e i capri isnelli e destri,
che sono in copia in quei luoghi campestri.
(...) Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,
e si ritruova in su l'erboso smalto;
tuttavia in man le redine si serra,
che non vuol che'l destrier più vada in alto:
poi lo lega nel margine marino
a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
(...) dentro risuona e con strepito bolle
tanto che quel furor truovi la via;
così murmura e stride e si corruccia
quel mirto offeso, e al fin apre la buccia.
Onde con mesta e flebil voce uscìo
espedita e chiarissima favella,
e disse (...) Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, e subito levosse;


nella pianta è chiuso il paladino Astolfo. La maga Alcina, innamorata di lui, l'aveva creato signore dell'isola; poi, passata a un altro amore, l'aveva trasformato in mirto.


Il nome mio fu Astolfo: e paladino
era di Francia, assai temuto in guerra:
d'Orlando e di Rinaldo era cugino,
la cui fama alcun termine non serra (...)
Alcina i pesci uscir facea de l'acque
con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
io non so dir s'a un parto o dopo o inanti.
Guardommi Alcina; e subito le piacque
l'aspetto mio, come mostrò ai sembianti:
e pensò con astuzia e con ingegno
tormi ai compagni; e riuscì il disegno.
(...) Alcina in gran delizie mi tenea,
e del mio amore ardeva tutta quanta;
né minor fiamma del mio core accese
il veder lei sì bella e sì cortese.
(...) Io da lei altretanto era o più amato:
Alcina più non si curava d'altri;
ella ogn'altro suo amante avea lasciato,
ch'inanzi a me ben ce ne fur degli altri.
(...) Quando credea d'esser felice, e quando
crede ch'amar più mi dovesse Alcina,
il cor che m'avea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.
(...) Non era stato oltre a duo mesi in regno,
ch'un novo amante al loco mio fu assunto.
Da sé cacciommi la fata con sdegno,
e da la grazia sia m'ebbe disgiunto:
e seppi poi, che tratti a simil porto
avea mill'altri amanti, e tutti a torto.
E perché essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi là. per lo terren fecondo
li muta, altri in abete, altri in oliva,
altri in palma, altri in cedro, altri secondo
che vedi me su questa verde riva;
altri in liquido fonte, alcuni in fiera,
come più agrada a quella fata altiera.


Ruggiero si avvia al regno di Logistilla, figlia di Amore, sorella di Alcina e simbolo della Ragione; ma ecco apparire Alcina. (canto VII)

Seco pensava come nel paese
di Logistilla a salvamento andasse
(...) La bella Alcina venne un pezzo inante,
verso Ruggier fuor de le prime porte,
e lo raccolse in signoril sembiante,
in mezzo bella ed onorata corte.


Bradamante è subito dimenticata: non per incostanza, ma per magia.

Di persona era tanto ben formata,
quanto me' finger san pittori industri;
con bionda chioma lunga ed annodata:
oro non è che più risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
misto color di rose e di ligustri;
di terso avorio era la fronte lieta,
che lo spazio finia con giusta meta.
(...) Bianca nieve è il bel collo, e 'l petto latte;
il collo è tondo, il petto colmo e largo:
due pome acerbe, e pur d'avorio fatte
(...) La bella donna [Bradamante] che cotanto amava,
novellamente gli è dal cor partita;
che per incanto Alcina gli lo lava
d'ogni antica amorosa sua ferita.


Lo smarrimento però ha breve durata: sopraggiunge Melissa con l'anello fatato avuto da Bradamante e il mondo incantevole di Alcina si dissolve. Lei stessa appare ora vecchia orribile e ripugnante.

Così Ruggier, poi che Melissa fece
ch'a riveder se ne tornò la fata
con quell'annello inanzi a cui non lece
(...) invece de la bella, che dianzi avea lasciata,
donna sì laida, che la terra tutta
né la più vecchia avea né la più brutta.
Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il crin raro e canuto,
sua statura a sei palmi non giungea
ogni dente di bocca era caduto.


L'eroe fugge verso il regno di Logistilla. Mentre Alcina lo insegue, Melissa annulla gli incantesimi e libera i prigionieri: al duca Astolfo è restituita la lancia d'oro che disarciona al solo contatto. Entra così attivamente sulla scena il fantasioso paladino, pronto per le più incredibili avventure (canto VIII)
Angelica, sfuggita per caso alla lussuria dell'eremita, cade prigioniera dei pirati di Ebuda, che la espongono su uno scoglio, come offerta sacrificale per un feroce mostro marino.
"Oh se l'avesse il suo Orlando saputo".


Passando una lor fusta a terra a terra
inanzi a quella solitaria riva
dove fra sterpi in su l'erbos terra
la sfortunata Angelica dormiva,
smontaro alquanti galeotti in terra
per riportarne e legna ed acqua viva;
e di quante mai fur belle e leggiadre
trovaro il fiore in braccio al santo padre.

Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
per sì barbare genti e sì villane!
(...) La bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu prima che desta.
(...) Al mostro fu condotta finalmente,
piangendo dietro a lei tutta la gente.
Chi narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,
l'alta querela che nel ciel penetra?
maraviglia ho che non s'apriro i lidi,
quando fu posta in su la fredda pietra,
dove in catena, priva di sussidi,
morte aspettava abominosa e tetra.
Io nol dirò; che sì il dolor mi muove,
che mi sforza voltar le rime altrove
e trovar versi non tanto lugubri,
fin che'l mio spirto stanco si riabbia.


Il paladino entra in azione. Dopo una notte insonne e inquieta...

Oh infelice! Oh misero! che voglio
se non morir, se 'l mio bel fior colto hanno?
(...) Così, piangendo forte e sospirando,
seco dicea l'addolorato Orlando.
(...) Misero me! chi ha cangiata mia dolcezza in tosco?
Ode la donna sua che gli domanda,
piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.
(...) A questo orribil grido risvegliossi
e tutto pien di lacrime trovossi.


...abbandona il campo, solo con il fedele Brigliadoro.


Da mezza notte tacito si parte,
e non saluta e non fa motto al zio;
né al fido suo compagno Brandimarte.


La sua partenza sorprende e sdegna Carlo, che ordina a Brandimarte di raggiungerlo e persuaderlo al ritorno.

Con suo gran dispiacere s'avede Carlo
che partito la notte è 'l suo nipote


Brandimarte ubbidisce senza avvertire l'amata Fiordiligi, illudendosi di un ritorno in giornata.

A Fiordiligi sua nulla ne disse,
perché 'l disegno suo non gl'impedisse


Passa un mese, e la donna parte alla ricerca del marito che non ritorna.

E poi ch'ella aspettato quasi un mese
indarno l'ebbe, e che tornar nol vide,
di desiderio sì di lui s'accese,
che sì partì senza compagni o guide;
e cercandone andò molto paese


La primavera vede Orlando in Normandia. Qui sente voci sul mostro e temendo per Angelica salpa per Ebuda.

(...) per distrugger quell'isola d'Ebuda,
che, di quante il mar cinge, è la più cruda.
(...) e quante donne può pigliar, vivanda
tutte destina a un animal vorace
che viene ogni dì al lito, e sempre nuova
donna o donzella, onde si pasca, truova;
che mercanti e corsar che vanno attorno,
ve ne fan copia, e più delle più belle.
Ben potete contare, una per giorno,
quante morte vi sian donne e donzelle.


Una tempesta spinge la nave alle foci della Schelda dove l'infelice Olimpia è in difficoltà: interviene il conte, la rende al fidanzato Bireno e riparte.
 


AGGIORNAMENTO: l'ho trovata, una band christian power metal italiana!!!! 
pure visti in cd al mercatino dell'usato... quasi quasi... ;) così me li metto come sottofondo quando mi leggo l'Ariosto!!!




Qui trovate i dipinti e le incisioni più belle: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/07/altra-arte-rinascimentale.html