Germania: Romanticismo Nero, Gothic e Metal! parte II

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Goethe poi è IL nome tedesco da riportare obbligatoriamente, per cui eccolo qui...

INTRODUZIONE A GOETHE

Nota: "Sturm und Drang" significa "Tempesta e assalto/impeto" e l'espressione deriva da un dramma di Klinger.

Vasta, al punto di abbracciare due secoli, e profondamente radicata nel suo tempo, sul quale incise a sua volta il segno potente del proprio passaggio, l'opera di Johann Wolfgang von Goethe sfugge a qualsiasi tentativo di imprigionarla in definizioni o schemi tradizionali. In essa si rispecchiò intera, e ritmata dalle fasi salienti che la caratterizzarono (Illuminismo, Sturm und Drang, Classicismo, Romanticismo), la lunga vicenda culturale europea tra Settecento e Ottocento, ultima gloriosa stagione di quell'Umanesimo Ideale, da cui Goethe ereditò e portò a risultati veramente geniali lo slancio vitale dell'arte, multiforme e ricchissimo.
Il modo migliore per affrontare la lettura della produzione goethiana è forse quello di capire innanzitutto il significato peculiare dell'intreccio composito di elementi che la presuppongono idealmente; una fusione di componenti letterarie, autobiografiche e storiche si illuminano l'una con l'altra e sono intimamente connesse. Così che la lettura dovrebbe avvenire in sincronia su diversi livelli e avere sempre presente il quadro di riferimento globale, culturale e politico.
La seconda metà del Settecento tedesco è infatti marcata da un momento importante: la storia segna il passo, ma, in questo favorevole periodo di stasi riflessiva, maturano un po' dappertutto i grandi avvenimenti che prepararono la nascita di una coscienza nazionale. Stremata dalla Guerra dei Trent'anni e fortemente arretrata rispetto alle altre nazioni, la Germania delle classi dominanti, delle varie dinastie nobili, è impegnata a ricostruire e tenere insieme il mosaico degli infiniti staterelli sanciti dalla pace di Westfalia. Verso la metà del secolo, Federico il Grande, sovrano di Prussia, sale all'apice della gloria dopo la fortunata Guerra dei Sette Anni. Assicuratosi un posto di rilievo tra le potenze europee, si dedica ad una illuminata opera riformatrice interna. Intanto, preceduta da primi albori indipendentistici in America (1776) e nella Francia rivoluzionaria, l'ascesa della borghesia scuote l'orizzonte.
Ostacolata e divisa economicamente da una fitta rete di barriere doganali, e tormentata dal contradditorio conflitto tra ragione e sentimento (tipico del passaggio dall'Illuminismo al Romanticismo, attraverso la fase rivoluzionaria dello Sturm und Drang e del Classicismo) la classe borghese si fa portatrice di un ideale spirito tedesco, attraverso la consapevolezza di una propria unitaria tradizione culturale, nutrita dai giganti della filosofia (Kant e l'Idealismo tedesco, Hegel e lo stato di diritto assoluto) e della letteratura (Lessing, Klopstock, Goethe, Herder, Schiller). In questo panorama la figura di Goethe opera da protagonista non solo per la sua partecipazione politica ma anche e soprattutto in quanto genio dalle attitudini più varie (artista, disegnatore, pittore, scienziato, naturalista, letterato, poeta, narratore, commediografo e tragico).
Gli studi a cui si applica con ferrea autodisciplina, cooperano in lui alla definizione di una conoscenza e osservazione della realtà cosmica e umana: "La mia vita non fu che lavoro e fatica [...] il continuo rotolare di una pietra, che doveva essere sempre risollevata".
Il cammino di Goethe è quello di una conquista progressiva della verità delle cose e del tutto, che sia sintesi analitica e speculativa di uno scienziato della realtà e insieme rivelazione mistica e lirica dell'Io: "Io non ho mai contemplato la natura per scopi poetici. Ma siccome il disegno di paesaggio prima, e la mia attività di naturalista poi, mi hanno indotto a osservare continuamente e minuziosamente gli oggetti naturali, a poco a poco ho imparato a conoscere a menadito la natura fin nei minimi particolari, di modo che, se come poeta ho bisogno di qualche cosa, la trovo a portata di mano, e non è facile che pecchi contro la verità."

Goethe, che esordì da giovane con delle poesie in stile rococò ("Annette" e "Nuovi canti con melodie") e due commedie ("Capriccio d'innamorati" e "I complici") deve la sua immortale fama ad opere come "Canto del Viandante nella Tempesta", "Canto di Maometto" e "Götz von Berlichingen", che divenne il manifesto letterario dello Sturm und Drang. La tematica medievale-cavalleresca, ambientata nel Cinquecento, come storia di un cavaliere in lotta per i diritti del popolo, sarà ripresa, con esiti teatrali e romanzeschi, da von Kleist e Walter Scott.
Nel 1774 Goethe pubblicò il romanzo epistolare "I dolori del Giovane Werther": la vicenda affondava in parte le radici nel vissuto goethiano, ma la narrazione, in una prosa nuova, vibrante, densissima, superava quel poco o tanto di autobiografismo diaristico, nel rendere così efficacemente viva, drammatica ed immediata la cronaca dell'amore infelice del protagonista, sino al suicidio inevitabile, al punto che l'opera anticipa il romanzo moderno. Il suo successo fa talmente clamoroso da scatenare una vera malattia, il "wertherismo", che scosse per mezzo secolo l'Europa intera. (Nota di Lunaria: noi, che non abbiamo più nessun Goethe, invece, quando qualcuno si suicida, diamo la colpa a "social network-blue whale" e/o la musica metal...). Intanto, la corte di Weimar diveniva il nuovo punto della cultura tedesca, con artisti e scrittori quali Herder, Wieland, Schiller.
Al primo decennio weimariano appartengono i due grandi drammi "Ifigenia in Tauride" e "Torquato Tasso" che, entrambi composti in prosa, furono successivamente ripresi e trascritti poeticamente. Alcune delle più belle poesie di Goethe sono "Il Canto Notturno di un Viandante", le ballate "Il Pescatore", "Il Re degli Elfi". Inoltre Goethe riprese l'abbozzo del Faust tracciato a Francoforte ("Urfaust") e vi aggiunse nuove scene.

Fu soprattutto il soggiorno a Roma il periodo più felice per Goethe; vicino all'antichità classica, osservata con quel gusto estetico mutuato dal Winckelmann. Creazioni letterarie nuove, e riflessi dell'ambiente italiano, furono le "Elegie Romane" (1789) e gli "Epigrammi Veneziani" (1790) mentre il "Viaggio in Italia", redatto a circa 30 anni di distanza, è un'importante raccolta di esperienze e scoperte.
Nel 1794 ebbe inizio l'amicizia con Schiller, il quale esercitò grande influenza su Goethe, favorita dall'affinità estetico-culturale che legava i due. Insieme a Schiller, Goethe condusse una battaglia accanita contro la mediocrità letteraria del tempo, contribuendo alla diffusione capillare del Classicismo.
Con la morte di Schiller avvenuta nel 1805 (Goethe dichiarò allora di aver perduto, insieme all'amico, metà della sua esistenza) lo scrittore ricadde in un ulteriore isolamento, nonostante la sua fama avesse ormai popolato l'Europa.
Nel 1808 Goethe incontrò Napoleone, suo ammiratore tenace, accettando da lui alcuni suggerimenti critici sul "Werther". Un anno dopo comparve "Le Affinità Elettive", un romanzo che per la sua novità, in anticipo sui tempi, di profonda indagine psicologica sui sentimenti umani, non fu compreso e apprezzato dal pubblico tedesco.
Gli ultimi anni della vita di Goethe sono caratterizzati da un'intensa vita intellettuale; si spense a Weimar ad 83 anni, il 22 marzo 1832.

***

Essendo nato nel 1749, e in una città dal gusto allora alquanto arretrato come Francoforte sul Meno, Goethe fece ancora in tempo, da bambino poetante, a raccogliere gli ultimi echi della stagione barocca. Più tardi, studente universitario a Lipsia, Goethe ci diede alcune gemme di un'aggraziata poesia rococò: veri ninnoli di porcellana fatti di parole. Ancora pochi anni, a Strasburgo, il giovane poeta fu colto in pieno dalla buriana gotico-espressionistica dello Sturm und Drang: una buriana che in buona parte scatenò lui stesso.
Ne nacquero liriche e inni di una potenza titanica ma anche fortemente controllata. Erano le eruzioni di uno spirito scopertosi ribelle. La vecchia Europa e più ancora la stantia Germania, con tutte le loro tradizioni e forme sclerotizzate, gli stavano troppo strette. Ma, di tanto in tanto, fiorivano poesie dal canto così semplice e trasparente da parere quasi una creazione popolare.
Col 1775 il canto lirico si fece meno frequente. In quell'anno Goethe era stato chiamato alla corte di Weimar dal duca Carlo Augusto. Incombenze di governo e impegni mondani lo assorbirono per un decennio.
Il poeta esisteva ancora, ma aveva cambiato registro. Opere come "il Torquato Tasso", come l'"Ifigenia" pur lasciando trasparire una modernità nervosa e vibrante, avevano movenze classiche. L'autore non perseguiva più il titanismo ma l'armonia, non la sfrenatezza ma la misura, non la profondità ma la trasparenza. E i suoi versi erano di una levigatezza marmorea o cristallina. Che tanta sublimità preludesse al pericolo di inaridire, di disperarsi, di intristire? Goethe dovette forse pensarlo.

Il desiderio dell'Italia Goethe lo aveva sin da quando ammirava, nella casa di Francoforte, le stampe di tipo piranesiano, appese lungo le scale, e giocava con una gondola in miniatura o leggeva la "Gerusalemme Liberata". Ci aveva provato un paio di volte a mettersi in viaggio verso l'Italia, ma poi aveva rimandato, non ritenendosi ancora maturo. Finalmente, nel 1786, sotto falso nome, corse in carrozza verso l'Adige e poi giù in direzione del Veneto. Raccolse, già da allora, il materiale per "Viaggio in Italia"; a Roma giunse il 29 ottobre 1786. E da quel momento visse ore, giorni, mesi indimenticabili.
A Roma - il cuore delle Römische Elegien, le Elegie Romane - Goethe godette di alcune grazie che in Germania aveva sospirato invano: la libertà. La scoperta dei luoghi, monumenti, popolazioni che per lui erano sempre stati un mito, la compagnia di amici locali o germanici (pittori, letterati, musicisti, turisti); la visione di opere d'arte che risvegliarono in lui la vena figurativa, l'uso quotidiano di una lingua a lui molto cara come l'italiano.
è questa gaia esplosione di una giovinezza ritardata e repressa che ispirò le "Elegie Romane": accendendosi a Roma di quei molteplici fuochi riducibili all'eros (la degustazione delle opere d'arte, del carnevale, delle stornellate, delle serate all'osteria, dell'ispirazione poetica), gli venne naturale versare la propria ispirazione nel distico elegiaco, interpretati con oculata libertà: lo stesso metro col quale avevano effuso i loro gaudii e tormenti d'amore i latini (Properzio, Catullo, Tibullo, Ovidio, Orazio). Composte in Italia, le Elegie furono completate in Germania nel 1790; fu generale l'apprezzamento per la bellezza poetica e la maestria formale della raccolta, e così lo stupore per come Goethe, in quei due anni in Italia, si fosse rinnovato come poeta e uomo. Ma non mancarono le critiche negative, per quanto riguardava il contenuto, giudicato troppo osè: ciò che urtò i contemporanei di Goethe fu il fatto che il poeta confessava esperienze personali: Faustina sarebbe stata la sua giovane amante romana.

Con le Elegie siamo in pieno Settecento neoclassico: le chiese sembrano tempietti dorici e corinzi, le stanze hanno decorazioni pompeiane e i mobili si ispirano all'antichità greco-romana, ma lo stesso Goethe si affranca da ogni neoclassicismo d'accademia, da ogni artificioso revival: le forme ricalcano quelle antiche, ma lo spirito che vi alita dentro appare ancora oggi personale e vitale, con un contesto "pagano" che sa di sangue giovane e di primavera, del fascino esercitato da Roma, la Roma dei templi e delle terme, delle statue antiche e degli obelischi, ma anche la Roma curialesca e popolare; diceva giustamente August W. von Schlegel che in quei componimenti si aveva l'impressione di "respirare aria italiana".

Ditemi, o pietre! parlatemi, eccelsi palagi!
date una voce, o vie! Né tu ti scuoti, o genio?
Sì, qui un'anima ha tutto, fra queste divine tue mura,
eterna Roma! tace sol per me tutto ancora.
[...] Tuttor chiese e palagi, rovine contemplo e colonne,
qual chi prudente voglia trarre del viaggio un frutto.
[...] In vero, o Roma, un mondo sei tu; ma pur senza l'amore
non sarìa mondo il mondo, e nemmen Roma, Roma.

Sagt, Steine, mir an, o sprecht, ihr hohen Paläste!
Straßen, redet ein Wort! Genius, regst du dich nicht?
Ja, es ist alles beseelt in deinen heiligen Mauern,
Ewige Roma; nur mir schweiget noch alles so still.
[...] Noch betracht ich Kirch und Palast, Ruinen und Säulen,
Wie ein bedächtiger Mann schicklich die Reise benutzt.
[...] Ein Welt zwar bist du, o Rom; doch ohne die Liebe
Wäre die Welt nicht die Welt, wäre denn Rom auch nicht Rom.

Come lieto mi sento qui in Roma! Ripenso quel tempo,
in cui laggiù, nel norte, grigio opprimeami il giorno.
Torbido il cielo e grave sul capo pesavami, e muto
di colore e di forma stendeasi intorno il mondo.
Ed io su me spiando de l'animo ognora scontento
la fosca via, cadevo muto sui miei pensieri.

O wie fühl ich in Rom mich so froh! gedenk ich der Zeiten,
da mich ein graulicher Tag hinten im Norden umfing,
Trübe der Himmel und schwer auf meine Scheitel sich senkte,
Farb - und gestaltlos die Welt un den Ermatteten lag
und ich über mein Ich, des unbefriedigten Geistes
Düstre Wege zu spähn, still in Betrachtung versank.

Dagli "Epigrammi Veneziani"

2. Appena avevo scorto nel cielo più azzurro il sole splendente,
l'edera ricca cader dalla rupe a formare corone,
alacre il vignaiolo legare al pioppo la vite,
tiepida brezza mi giunse dalla patria di Virgilio.
Allora tornarono a unirsi le muse all'amico: intrecciammo
discorsi in frammenti, come piace al viandante.

Kaum an dem blaueren Himmel erblickt ich die glänzende Sonne,
Reich, vom Felsen herab, Efeu zu Kränzen geschmückt,
Sah den emsigen Winzer die Rebe der Pappel verbinden,
über die Wiege Virgils kam mir ein laulicher Wind;
Da gesellten die Musen sich gleich zum Freunde; wir pflogen
Abgerißnes Gespräch, wie es den Wanderer freut.

7. Un amore avevo, e mi era caro più di ogni altra cosa!
E l'ho perduto! Taci, e sopporta la perdita!

Eine Liebe hatt ich, sie war mir lieber als alles!
Aber ich hab sie nicht mehr! Schweig, und ertrag den Verlust!

8. Questa gondola sembra una culla che dondola lieve,
e la sua piccola cabina a me pare una bara capace.
è giusto: tra la culla e la bara senz'affanno
ondeggiamo
sul Canal Grande attraverso la vita.

Diese Gondel vergleich ich der sanft einschaukelnden Wiege,
und das Kästchen darauf scheint ein geräumiger Sarg.
Recht so! Zwischen der Wiege und dem Sarg wir schwanken
und schweben.
Auf dem Großen Kanal sorglos durchs Leben dahin.

87. Una sola notte sul tuo seno! Il resto poi
verrà. Ancora ci divide Amore tra notte e nebbia,
ma io già vivo il mattino in cui Aurora gli amanti
cuore a cuore sorprenderà, e Febo mattutino verrà a destarli.

Eine einzige Nacht an deinem Herzen! Das andre
gibt sich. Es trennet uns noch Amor in Nebel und Nacht.
Ja, ich erlebe den Morgen, an dem Aurora die Freunde
Busen an Busen belauscht, Phöbus, der frühe, sie weckt.



Commento a "I Dolori del Giovane Werther"



Nel 1772 all'età di 23 anni, Goethe si recò a Wetzlar, secondo la volontà paterna, per studiarvi il funzionamento del tribunale supremo dell'Impero. Fu una breve parentesi, interrotta da un brusco rientro a Francoforte: Goethe si era innamorato di Charlotte Buff, allora fidanzata dell'amico Johann Christoph Kestner. La storia di questo amore infelice dovette formare un primo nucleo ideale di composizione. Ma un particolare drammatico si aggiunse a delineare un quadro con somiglianze e richiami troppo profondi alla realtà autobiografica: attraverso una lettera di Kestner, Goethe ebbe notizia della morte di un certo Jerusalem, segretario di legazione, suicidatosi con le pistole dello stesso Kestner. In quell'istante si configurò chiaro il piano del "Werther": tre amici, Lotte, il fidanzato Alberto e il giovane Werther (nel quale Goethe adombrò se stesso e lo sfortunato Jerusalem).
Scritto di getto in quattro settimane, la forma è quella di un romanzo epistolare, sul modello di Richardson e della "Nouvelle Heloise". Nell'attenzione dedicata a un certo stile e tono sentimentale, a certe cadenze ritmiche e spezzettate della frase, che già fanno preavvertire gli esiti più maturi della corrente preromantica, si avverte l'eco delle recenti letture suggerite dall'amico Herder (Omero, Ossian). Lo studio psicologico del protagonista, l'analisi intimistica della passione nel suo svolgimento sono poi talmente profondi e complessi che, in senso più ampio, come si è detto,  l'opera pone le premesse del romanzo moderno. Il "Werther" ebbe una risonanza a livello europeo (si pensi soltanto all'influenza esercitata su Foscolo e Leopardi) e una vera e propria valanga di traduzioni e imitazioni. Non mancarono crociate anti-wertheriane e ordini di sequestro a carattere censorio per il suo contenuto giudicato antieducativo e persino istigatorio (la febbre wertheriana contò in effetti alcuni suicidi).
Ciò che di deviante, a parte il tragico gesto finale, poteva esserci in questa vicenda era un larvato attacco alla tradizione, alle istituzioni: l'amore infelice di Werther per Lotte, promessa ad Alberto, rappresentava un pericolo potenziale, l'elemento scardinatore di un sistema borghese di certezze convenzionali, di valori centrati sull'onestà, sulla legittimità, la rettitudine. Proiettato nella storia politica-culturale del tempo, il dissidio di Werther era l'inutile, vano tentativo individualistico e intellettuale di una rivolta antiborghese, contro quanto di arretrato e contradditorio continuava a persistere proprio in seno a quella classe che aveva assunto il compito storico di abbattere l'aristocrazia feudale. "Se dovessi dire quello che fui per i giovani tedeschi, direi che sono stato il loro liberatore", disse semplicemente Goethe di se stesso.
Nel suo libro non solo i giovani tedeschi, ma un intero secolo, il Settecento, si era specchiato e riconosciuto (Napoleone portava con sé ovunque il "Werther").

Esistenza, rapporti coi propri simili, natura, poesia, amore, morte... sono temi universali, comuni alla letteratura di tutti i tempi e di tutti i paesi.
Quando nel 1774 apparve il romanzo di Goethe "I dolori del giovane Werther" di Goethe, sentimenti ed espressioni di questo genere suscitarono sorpresa, recriminazioni, entusiasmo.
L'Illuminismo stava per essere messo da parte.
Nel libro di Goethe si afferma un prepotente individualismo, fondato sulla diversa intensità delle passioni e degli stessi sentimenti; l'Illuminismo, al contrario, vagheggiava una perfetta società di uomini tutti uguali fra loro per sentimenti e aspirazioni.
Il romanzo di Goethe diede avvio, insieme ad altri romanzi del tempo, al Romanticismo.

La Natura che gli illuministi vedevano come qualcosa che l'uomo può facilmente comprendere e regolare, anzi, soggiogare, in questa nuova concezione diventa sacra, insondabile, carica di mistero, una magia tenebrosa, con le sue rocce, la vegetazione, i cieli vasti: in essa l'uomo si perde, annichilito, in un'estatica contemplazione che rasserena. 
L'esistenza fugge rapida come un sogno e anche la morte diventa qualche cosa di eroico, una frattura secca, una nuova e sconvolgente esperienza, un passo assurdo e incomprensibile che tuttavia bisogna affrontare.
L'amore non è più il gioco frivolo tipico delle corte settecentesche, ma un tormento, un tormento che è dolce soppotare, un susseguirsi di passioni sconvolgenti.
Questo era il modo nuovo di sentire che era contenuto nel romanzo di Goethe. 

I grandi autori del Romanticismo:

Germania: Goethe, Schiller, Novalis, Tieck
Francia: Stendhal, de Lamartine, De Vigny, de Musset, Victor Hugo.
Inghilterra: Byron, Shelley, Keats
Russia: Lermontov, Puskin
Spagna: José Espronceda, Adolfo Bécquer
Italia: Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni
(aggiungo anche gli Scapigliati, come Tarchetti, totalmente innamorato di Me)
Romania: Eminescu

Le più belle pagine de "I dolori del giovane Werther"

Tutto ciò che sono riuscito a sapere della storia del povero Werther, l'ho raccolto con cura e ora ve lo presento, sicuro che me ne sarete grati. Non potrete rifiutare la vostra ammirazione e il vostro amore al suo spirito e al suo carattere, né le vostre lacrime alla sua sorte.
E tu, anima tormentata, che soffri le sue stesse pene, trova conforto nella sua sofferenza e fa di questo libretto un amico, se per destino o per tua colpa non ne trovi altri.


***

4 maggio 1771

Sono proprio contento di essere partito! Mio carissimo amico, che cosa è mai il cuore dell'uomo? Eravamo inseparabili, eppure ti ho abbandonato e sono contento! So che mi perdonerai. Non pareva che il destino avesse scelto di proposito tutti gli altri miei legami, per angosciare un cuore come il mio? Povera Eleonora! Eppure io ero innocente. Che colpa potevo averne se mentre le eccezionali grazie di sua sorella mi procuravano una piacevole distrazione, una passione andava sorgendo nel suo povero cuore? Sono proprio veramente innocente? Non ho forse alimentato io stesso i suoi sentimenti? Non mi deliziavo io stesso delle spontanee espressioni della sua natura che sovente ci facevano ridere, anche se erano tutt'altro che ridicole? No ho io forse... Oh, che cosa è mai l'uomo che può lagnarsi di tutto! Cercherò di correggermi, amico caro, te lo prometto, non voglio più stare a rimuginare quel tanto di male che il destino ci manda, come ho sempre fatto; voglio godere del presente e tralasciare il passato. Certo, tu hai ragione, mio caro, i dolori tra gli uomini sarebbero minori se essi non lavorassero tanto di fantasia - e Dio solo sa perché sono fatti così - nel richiamare alla memoria i mali passati, piuttosto che accettare un noioso presente. [...] Per il resto qui mi trovo benissimo, la solitudine di questo paesaggio paradisiaco è un balsamo prezioso per la mia anima e la stagione della giovinezza scalda il mio cuore che troppo spesso trema di freddo. Ogni albero, ogni siepe è per me un mazzo di fiori, vorrei diventare un maggiolino per tuffarmi in questo mare di profumi e assorbire ogni nutrimento. [...]

10 maggio

Una meravigliosa serenità ha pervaso la mia anima, come questo dolce mattino primaverile che assaporo con tutto il cuore. Sono solo, felice della mia vita in questo panorama creato apposta per anime come la mia. Sono così lieto, mio caro, così totalmente assorbito da questo sentimento di esistenza tranquilla, che la mia arte ne patisce. Ora non vorrei disegnare nulla, neppure una linea, eppure in simili momenti mi sento un pittore grande come non mai. Quando gli effluvi della bella valle si diffondono intorno a me e il sole alto penetra e fuga la tenebra di questo bosco penetrando solo qua e là all'interno del sacrario, allora mi stendo nell'erba alta vicino il ruscello scrosciante e, stando così presso la terra, osservo più da vicino nella loro realtà mille strane erbe, che mi empiono di meraviglia; quando sento vicino al mio cuore il brusio in mezzo agli steli di questo piccolo mondo, quando vedo le numerose, incomprensibili forme di bruchi, dei moscerini e avverto la presenza dell'Onnipotente, che ci fece a Sua immagine, e insieme l'alito del Supremo Amore che ci porta e ci sostiene in una perenne delizia e... oh, amico mio caro! quando il mondo che mi sta intorno con l'intero cielo riposano nella mia anima, quando l'ombra scende sui miei occhi, come la figura dell'amata... allora spesso mi coglie una nostalgia e penso: "Oh se tu potessi esprimere tutto questo, se tu potessi trasferire sulla carta quello che vive in te con tanta pienezza, con tanto ardore, così da farne lo specchio della tua anima, come la tua anima è lo specchio dell'infinità di Dio!" Amico mio, io non resisto, sono travolto e vinto dalla meravigliosa potenza di questo piccolo mondo.

30 Agosto

E... quando talvolta il dolore mi sopraffà e Lotte non mi concede la misera consolazione di bagnarle la mano col mio pianto desolato... allora devo fuggire, fuori! a grandi passi erro per i campi intorno; allora la mia gioia è scalare un erto monte, o aprirmi un varco nell'intricato bosco, tra le siepi che mi feriscono, traverso i rovi che mi lacerano! Così mi sento alquanto meglio! Alquanto! E quando stanchezza e sete mi fermano per strada, giaccio a volte nella notte profonda, e su di me pende la luna piena; o mi seggo nella foresta solinga su un tronco curvo per accordare un po' di sollievo ai miei piedi sanguinanti, e poi m'assopisco nell'incerta luce di un sonno faticoso! O Guglielmo! La cella solitaria, il cilicio, e la cintura di spine sarebbero delizie, verso cui l'anima mia sospira. Addio! non vedo altro termine a questi tormenti che la tomba.

10 Settembre

Alberto mi aveva promesso di farsi trovare in giardino con Lotte subito dopo cena. Stavo sotto i grandi castagni della terrazza,  guardavo il sole che per l'ultima volta vedevo tramontare di là della valle amata, di là del mite ruscello.
Quante volte avevo di lassù contemplato insieme a lei il magnifico spettacolo... E ora! Camminavo su e giù per quel viale che mi era caro: una segreta simpatia mi aveva fermato qui, prima che io conoscessi Lotte; e qual piacere era stato per noi, al principio della nostra relazione, scoprire reciprocamente la nostra preferenza per quel luogo, uno dei più romantici creati dall'arte!
Anzitutto fra i castagni si gode di una bella vista... Ah, ricordo,
mi sembra di avertene spesso scritto: le alte pareti di faggi, che limitano il viale che diventa sempre più cupo a causa di un boschetto vicino, finché tutto finisce in una piazzetta chiusa intorno a cui sembrano alitare tutti i fremiti della solitudine.
Risento ancora il senso di mistero che mi prese entrandovi la prima volta in pieno pomeriggio; segretamente presentii che stava per diventar teatro, e che teatro, di beatitudine e di dolore.
Avevo già trascorso una mezz'ora immerso nei tristi e dolci pensieri della separazione e del commiato, quando li sentii salire sulla terrazza. Corsi loro incontro e, con un fremito, le afferrai la mano e la baciai.
Eravamo appena risaliti, che la luna si levò su dalla selvosa collina; conversammo un poco e senza avvedercene ci avvicinammo allo scuro recesso.
Lotte vi entrò e sedette, Alberto si mise accanto a lei e io pure;
ma la mia inquietudine non mi lasciò a lungo in pace;
mi alzai, stetti in piedi davanti a loro; camminai su e giù, mi sedetti di nuovo: era uno stato di angoscia.
Lei ci fece osservare il bell'effetto del lume di luna che dal fondo del viale dei faggi rischiarava tutta la terrazza; splendida vista, che il buio circostante faceva anche più luminosa.
Eravamo silenziosi e, dopo qualche tempo, Lotte cominciò a dire:
"Non passeggio mai al chiaro di luna senza pensare a tutti i miei morti, senza esser presa dal sentimento della morte e dell'avvenire.
Noi sopravviveremo!", continuò con una splendida certezza nella voce, "ma, Werther, ci incontreremo ancora? ci riconosceremo? cosa crede? cosa dice?"
"Lotte", disse porgendole la mano, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime - "ci rivedremo! Quaggiù e lassù ci rivedremo!"


INDIVIDUALISMO

"Davvero mi rendo ogni giorno più conto, mio caro, di quanto sia pazzo voler valutare gli altri secondo se stessi. E poiché ho tanto da fare con me stesso ed il mio cuore è così impetuoso - ah, lascio volentieri che gli altri vadano per la loro strada; solo vorrei essere lasciato in pace anch'io..."


NATURA E POESIA

"Non facevo un solo passo che (il paesaggio natale a lui tanto caro) non mi desse una singolare sensazione. Neppure un pellegrino in Terra Santa trova tanti luoghi pieni di memorie religiose, e difficilmente la sua anima può essere pervasa da tante sacre emozioni... Mi sono ricordato allora, con straordinaria vivacità, che talvolta mi fermavo guardando dietro all'acqua, con che singolari sensazioni ne seguivo il corso, come mi apparivano avventurose le regioni verso le quali correva e come all'improvviso la mia fantasia trovava i suoi limiti; eppure bisognava che andasse avanti, sempre più lontano, finché mi perdevo completamente nella contemplazione di distanze invisibili"


ESISTENZA

"Che la vita degli uomini sia solamente un sogno è già stato presentito da molti e anche in me nasce spesso questo pensiero. Quando vedo i limiti entro i quali sono chiuse le forze... intelligenti degli uomini; e poi mi accorgo che se ci dichiariamo soddisfatti su certi punti... lo facciamo solo per una trasognata rassegnazione, poiché riusciamo.. a dipingerne figure variopinte e panorami luminosi sulle pareti che ci tengono prigionieri - allora... non so più che cosa dire.
Rientro in me stesso, e trovo un mondo! Più presentito ed oscuramente desiderato, è vero, che rappresentato con forza vitale. Ed allora tutto mi dilegua davanti ai sensi e continuo la mia vita con un sorriso trasognato."


AMORE

"... Il turbamento e la tenebra dell'anima mia si dissipano ed io respiro di nuovo più libero"


MORTE

"Ah, questo vuoto! Quest'orribile vuoto che sento qui nel mio petto!
Oh, l'uomo è così caduco che anche là dove egli prova la più sostanziale certezza della sua esistenza, là dove la sua presenza lascia l'unica vera impronta, nella memoria, nell'anima dei suoi cari, anche là egli deve spegnersi e sparire, e così presto!
Come è possibile ch'io scompaia? Come puoi tu scomparire? Se noi esistiamo! - Scomparire! Che significa? Ecco un'altra parola! Un suono vuoto! Senza sentimento per il mio cuore - Morto. Lotte. Imprigionato nella terra gelida, così stretto, così al buio!"

Sul "Faust" vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/12/faust.html




APPROFONDIMENTO SU SCHILLER



"Der Geisterseher" viene iniziato da Friedrich Schiller a Dresda nel 1786, per fare la sua comparsa un anno dopo - in un primo frammento "di assaggio" sulla rivista "Thalia", ed essere poi oggetto di limature e ripensamenti fino al 1789. Opera caduta oggi quasi nell'oblio (forse non troppo amata dallo stesso Schiller, come lascerebbe intendere la discontinuità e la stanchezza con cui trascinò la stesura del breve romanzo), "Der Geisterseher" fu invece al suo apparire una delle cose più popolari e acclamate, contribuendo a fare di Schiller, insieme a Goethe e a Bürger, uno degli scrittori che influenzò la generazione gotica dell'ultimo decennio del '700
"Der Geisterseher" venne tradotto in inglese nel 1795 con il titolo "The Ghost-seer, or Apparitionist" (ma Ann Radcliffe nel suo "I Misteri del castello di Udolfo" pubblicato l'anno precedente, mostra di conoscerlo già bene).
Schiller passa dunque in Inghilterra con l'aura di uno scrittore sinistro, nero, terrifico, e proprio "Der Geisterseher" con le sue tetre, inquietanti atmosfere di una Venezia misteriosa dedita a segrete pratiche occultistiche e le palesi allusioni a Cagliostro, rafforza più che mai, agli occhi dei lettori, il suo lato notturno; è insomma proprio questo aspetto a decretare il successo del romanzo. (Nota di Lunaria: curiosamente sono proprio i paesaggi italiani a fare da sfondo ai primi romanzi del genere: non solo la Venezia di Schiller, ma anche Otranto nel "Castello di Otranto" di Walpole e la Napoli del sublime ''L'Italiano o Il Confessionale dei Penitenti Neri'' di Ann Radcliffe...)
In Italia è Giovanni Berchet - affascinato dalla cultura e dall'intonazione appassionata dei canti di Thomas Gray, studioso di classici italiani e latini ma anche di antichi poemi celtici e scandinavi, preludio ideale a quell'interesse tutto romantico per il "primitivo"- che intraprende la non facile impresa della traduzione.
"Il Visionario" è soprattutto la storia della corruzione di un'anima, manovrata dall'esterno, intrapresa con obiettivi precisi e condotta con ponderazione ai danni del protagonista. Lo si potrebbe considerare un romanzo pedagogico alla rovescia, o un romanzo di fomazione in chiave negativa. è ambientato in una Venezia presa dalla frenesia del carnevale, città licenziosa e corrotta, teatro di intrighi di ogni genere. è proprio in questa cornice di feste e degradazioni (oltre tutto mai conosciuta dal vero da Schiller, il quale riuscì a ricostruirla soltanto con il contributo della sua fantasia) che l'autore ci fa raccontare da un cortigiano di nobile sentire la misteriosa storia di un principe tedesco, il quale, essendo il terzo della sua casata, aveva ben poche probabilità di regnare. Il romanzo è appena cominciato, quando un misterioso "armeno" gli dà notizia che nella lontana Germania è morto il primo dei suoi rivali. Da questo momento scatta nel protagonista una lotta interiore fra le sue convinzioni morali e religiose e una smania irrefrenabile di potere e corruzione. Il principe si lancia nel vortice della vita mondana, gioca, accumula debiti, continua a spendere, si lega a compagnie dissolute fino a perdersi dietro la passione furiosa per una bella ragazza greca.
Nel portare avanti questo romanzo Schiller non appare tanto affascinato dallo snodarsi di una storia inverosimile e densa di fatti straordinari, quanto dal manifestarsi di una volontà diabolica che muove l'intera vicenda. E questa volontà, o se si preferisce questo potere occulto, non ha nulla di soprannaturale o prodigioso, è invece essenzialmente umana, si prefigge fini concreti e allarmanti, serve una causa precisa, poggia su un'abilità psicologica davvero infernale, capace di individuare le debolezze della vittima prescelta e di manovrarla in vista dei suoi intenti.

Nota di Lunaria: certo, oggigiorno "Il Visionario" di Schiller, ai nostri occhi abituati a libri dell'orrore decisamente più "osè" appare quasi "soft". Eppure è un romanzo che merita di essere letto, anche per il fatto che fu proprio questo racconto ad ispirare Ann Radcliffe... e tutti quelli dopo di lei. Qui uno stralcio tra i miei preferiti:

"Mi ero perso a guardarla", continuò. "Non si era accorta di me e non si lasciò turbare dalla mia intrusione, tanto era immersa nel suo raccoglimento.
Lei pregava il suo Dio e io pregavo lei. Sì, l'adoravo. Tutte queste immagini di santi, questi altari, queste candele accese non me l'avevano ricordato: solo allora, per la prima volta, mi resi conto di trovarmi in un luogo sacro. Devo confessarvelo? In quel momento credetti fermamente in quello che la sua bella mano stringeva. Nei suoi occhi lessi la risposta. Grazie al suo incantevole raccoglimento, che me lo rese reale... E la seguii fino in cielo.
Quando si alzò, tornai di nuovo in me. In preda a un timoroso smarrimento mi feci da parte, ma un rumore tradì la mia presenza. La vicinanza imprevista di un uomo avrebbe potuto offenderla; ma niente di tutto questo traspariva dallo sguardo che mi rivolse. Vi era solo pace, una pace ineffabile, e un sorriso benevolo le aleggiava sulle labbra. Scendeva dal suo cielo e io ero la prima creatura che si offriva alla sua benevolenza. Era ancora sospesa nell'universo della preghiera, non era ancora tornata sulla Terra. In un altro angolo della cappella qualcosa si mosse. Era una donna piuttosto anziana, che si era alzata da una sedia proprio dietro di me. Fino a quel momento non mi ero accorto di lei. Si trovava a pochi passi da me, e doveva aver seguito tutti i miei movimenti. Ne fui sconcertato; abbassai gli occhi e mi passarono davanti con un fruscio di vesti.
La vidi percorrere la lunga navata della chiesa; la bella figura eretta. Che incantevole maestà! Che nobile portamento! Non è più la creatura di prima, ha nuove attrattive, è un'apparizione completamente nuova. Si allontanò lentamente; la seguii timidamente a distanza, incerto se osare raggiungerla... O non devo? Non mi farà più dono di un suo sguardo? Forse mi ha guardato quando è passata davanti a me e io non sono riuscito ad alzare gli occhi su di lei? Oh, come mi tormenta questo dubbio!"

Un breve commento anche ai "Masnadieri"...



Il dramma che nel 1781 impone Schiller all'attenzione del mondo teatrale deve certamente molto del suo successo al clamore suscitato dalla violenza del linguaggio, dalla forza della passione e dalla crudezza delle azioni che in esso si rappresentano. Gli slanci lirici, le atrocità, la profondità dello scavo psicologico richiamano subito alla mente del pubblico le modalità espressive del "Macbeth" o del "Riccardo III": "Se mai avevamo di attenderci uno Shakespeare tedesco, ebbene eccolo".
Proprio come una tragedia shakespeariana "I Masnadieri" rappresentano un mondo in disfacimento, dominato da una violenza cieca e totale, la cui catastrofe travolge col suo furore un'intera epoca storica.
La decisione di vivere contro i dettami etici della dottrina dell'amore non scaturisce nel protagonista Karl, al contrario che in Franz, da una riflessione puramente razionale sulla natura dell'uomo; essa nasce invece dalla constatazione che l'ordine naturale fondato sulla legge dell'attrazione spirituale minaccia di perdersi, che l'anarchia della volontà - con i suoi connotati di egoismo, sete di potere e sadismo - domina la realtà moderna e che il male è e deve essere almeno provvisoriamente la norma dell'esistenza.
Il male è pertanto per Karl uno strumento essenzialmente etico: esso segna l'itinerario della volontà che ricerca, per mezzo della distruzione, la nuova legge morale dell'umanità. Lo scontro tra il riconoscimento della verità del bene e la constatazione della necessità del male non può non porsi come contraddizione lacerante. E la malinconia di Karl nel suo monologo metafisico è espressione di questa consapevolezza. Il carattere eroico di Karl si riconosce nel tentativo di agire lasciando aperta la contraddizione fra azione distruttrice e perseguimento di una giustizia ideale. E l'uccisione di Amalia è l'atto simbolico che sancisce la caduta dell'illusione stessa. Affiora alla coscienza dell'eroe tragico la consapevolezza del fatto che due individui spinti dal medesimo disprezzo per la giustizia "possono ridurre in macerie l'intero edificio del mondo morale". Il principio dell'odio sembra infine affermarsi su ogni istanza contraria e il risultato dell'azione di Karl appare indistinguibile da quello a cui sono pervenuti gli intrighi di Franz.
è sufficiente leggere le "Lettere Filosofiche" a cui Schiller consegna una sintesi del proprio pensiero giovanile; il protagonista, Julius, afferma: "Un'anima che ama solo se stessa è un atomo che nuota in un immenso spazio vuoto", ma il desolato scenario di un mondo abbandonato dall'amore quale quello che si prospetta alla riflessione di Julius è lo sfondo dell'azione del primo dramma di Schiller: è la catastrofe che incombe sull'età dell'Illuminismo. Una catastrofe che nei Masnadieri diventa il grande spettacolo di un mondo dominato dall'odio e dalla solitudine dei suoi protagonisti.
Come Schiller presentava "I Masnadieri"
"Questi personaggi immorali dovevano, sotto certi aspetti, brillare e spesso guadagnare in spirito ciò che perdevano in cuore [...] Inoltre, come Garve insegna, nessun uomo è del tutto imperfetto: anche il più dissoluto ha ancora molte idee giuste, molti istinti positivi, molti nobili gesti. Egli è soltanto più imperfetto. Si troveranno qui malvagi che strappano l'ammirazione, malfattori rispettabili e individui orribili non privi di maestà [...] Ci si imbatterà in uomini che abbraccerebbero il Diavolo solo perché  è un essere senza eguali [...] In poche parole, si proverà interesse anche per i miei Jago, si proverà ammirazione per il mio incendiario assassino e quasi lo amerà [...] ma proprio per questa ragione sconsiglierei io stesso di osar mettere in scena questo mio dramma [...] la plebe si lascerebbe convincere da un aspetto bello ad apprezzare anche il fondamento di bruttezza o scorgere nel dramma un'apologia del vizio [...] Il vizio è illustrato nei suoi meccanismi interni. [...] Per colui che si è spinto fino al punto di affinare il suo intelletto a spese del cuore non esiste più nulla di sacro; l'Uomo e Dio sono nulla, i due mondi, ai suoi occhi, non esistono. Non voglio nascondere che, a mio avviso, l'applauso del pubblico non è sempre l'unità di misura per il valore di un dramma."


APPROFONDIMENTO SU HOFFMANN



Se l'Inghilterra è la patria del romanzo gotico e nero, la Germania è la patria della letteratura fantastica del terrore, tanto che Edgar Allan Poe rispondendo ai critici che lo accusavano di aver imitato gli autori europei, si sentirà in dovere di precisare che il terrore dei suoi racconti "non veniva dalla Germania" ma unicamente dal profondo del suo cuore.

Lo Sturm und Drang, le ballate di Herder (*), Burger ("Lenore"), le opere di Goethe riportando in onore antiche tradizioni tedesche, storie di gnomi, elfi, fantasmi, monache insanguinate, castelli tenebrosi immersi in cupe foreste, sviluppano quasi in concorrenza con il gotico inglese una scuola del terrore tipicamente tedesca, destinata ad influenzare i successivi sviluppi del Nero e anche Poe.

Nota di Lunaria: e questa cosa è rimasta anche ai giorni nostri, infatti la Germania è da sempre la terra del Gothik Treffen e non dimentichiamoci dei tanti gruppi Gothic Rock ed Electrogoth provenienti dalla Germania, come i Blutengel... bhè, certamente, band che portano il gotico all'eccesso risultando anche pacchiane... :P, ma vabbè, siamo sensibili al fascino di Chris, per cui gli perdoniamo i suoi testi decisamente puerili ed elementari se non imbarazzanti e totalmente carenti di vera profondità culturale... roba così pacchiana e involontariamente parodistica del Goth che Goethe o Novalis si rivoltano nella tomba... :P

Il più grande scrittore tedesco del Fantastico è Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), strano personaggio di musicista e scrittore, e non è improbabile che molte delle sue allucinazioni letterarie siano frutto degli eccessi alcoolici cui era soggetto.

Hoffmann fu a sua volta influenzato da Johann P. Richter, autore di "La loggia invisibile" (1793), "Espero" (1795), "Il titano" (1803).

Nell'opera "Gli elisir del Diavolo" (1816) troviamo accatastate anche se in modo caotico, tutte le convinzioni artistiche, letterarie, filosofiche e morali di Hoffmann.



Questa la trama: il "santo" frate Medardo beve un misterioso elisir trovato nel suo convento e viene preso dalla frenesia della carne; mandato a Roma, si innamora della giovane Aurelia; uccide Eufemia e Hermogen, matrigna e fratello di Aurelia, e poi fugge in Italia, dove viene aiutato da Pietro Belcampo. Prima di tornare al convento e di concludere santamente la sua vita, Medardo dovrà passare attraverso le più strane e paurose avventure, come l'incontro col suo sosia, che ha la coscienza carica delle sue stesse colpe.

L'ispirazione gotico-nera evidente in molte scene terrifiche del romanzo ritorna anche nei racconti "Il maggiorasco" e "Il voto" e nella raccolta "Notturni secondo Callot"; tipicamente tedesca e hoffmaniana è invece la fantasia delle "Novelle Musicali", pervase da un sottile umorismo macabro.
Poco apprezzato in Germania, Hoffmann diventa celebre all'estero, con disappunto di Goethe che trova disdicevole per la letteratura tedesca esser rappresentata da "quel malato",
In Francia, Hoffmann influenzerà Balzac ("Pelle di Zigrino" - autore che tratterò prossimamente. Nota di Lunaria) e Poe.

(*) Troviamo elementi sepolcrali anche in due poesie giovanili di Heinrich Heine (tratte dal "Il libro dei canti")

I pallidi morti, ch'io seppi
con magico motto evocare,
nel mondo di tenebra eterna
non vogliono più ritornare.

Il magico motto che appresi
obliai nel terrore; e me, ora,
gli spiriti stessi trascinano
laggiù, nella cupa dimora.

Lasciatemi, demoni oscuri,
e non sospingetemi più!
Ancora molta gioia può esservi
per me, nella luce quassù.

Io tendere debbo pur sempre
qui verso il bellissimo fiore;
che vale l'intera mia vita,
se darle non posso il mio amore?

Ancora una volta abbracciarla
e premerla al cuore infuocato!
La bocca baciandole e il viso,
godere un tormento beato!

Ancora una volta nel labbro
udire un suo tenero accento...
e tosto nel mondo di tenebra
vi posso seguire contento.

Gli spiriti m'hanno compreso
e accennano orribile un "sì"
Diletta ora sono venuto;
diletta, m'ami tu, dì?

Io, della mia donna la casa ho lasciato,
e la mezzanotte è appena suonata.
E dal cimitero, che sto costeggiando,
severe le tombe mi vanno accennando.

E là, della luna nel vivo chiarore,
m'accenna la lapide dell'umile cantore.
E ascolto un bisbiglio: "Io vengo, fratello!"
e un bianco fantasma vien su dall'avello.

E l'umil cantore, già fuori venuto,
sull'alta lapide sta ora seduto;
esperto percuote le corde alla cetra
e canta con voce così sorda e tetra:

Orsù ricordate l'antico motivo,
voi torbide corde, che il petto a me vivo
percosse con tanto furore?
Lo chiamano gli angeli gioire superno,
lo chiamano i diavoli tormento d'inferno,
lo chiamano gli uomini: Amore!

E questa parola è appena suonata,
ed, ecco, ogni tomba s'è già scoperchiata.
Aeree figure ne escono e ondeggiano
intorno al cantore, e in coro salmeggiano:

Folle amore, la tua possa
ci distese nella fossa;
gli occhi un tempo ci chiudesti,
perchè ora ci ridesti?

è un ululo, un gemito confuso, un gridare
e d'ossa un sinistro urtare e scrosciare;
intorno al cantore lo sciame si serra.
Selvagge le corde cantando egli afferra....


Aggiungo anche Wilhelm H. Wackenroder, stralcio tratto da "Il meraviglioso racconto orientale del santo ignudo", 1814

Due amanti, avidi di abbandonarsi interamente ai prodigi della solitudine notturna, risalivano quella notte con una leggera imbarcazione il fiume che scorreva davanti alla caverna del santo. Il raggio penetrante della luna rischiarava le loro anime fin nelle più intime profondità e le liberava dalla loro oscurità. Essi sentivano le loro emozioni più sottili sciogliersi ed unirsi per vogare in un flusso senza rive. Dall'imbarcazione si levavano verso gli spazi del cielo le onde d'una musica eterea. Oboi soavi e non so quali altri incantevoli strumenti esalavano un universo di fluttuanti sonorità, e in tale ondeggiamento sonoro si sentiva risalire questo canto:

Brezze soavi, voi scivolate sui prati e le morbide acque.
Raggi lunari, voi tessete giacigli d'amore per gli amanti
Con quale dolcezza di miele si riflette la tua volta
O Cielo!
L'amore illumina le stelle nel firmamento di stelle pieno
niente può squarciare i veli all'infuori dell'amore
caldo come l'estate.
E sotto un soffio che si distende sorridono acque e cielo.
Già il chiaro di luna stende sui fiori la sua sonnolenza.
Fra strani profumi la palma cantando oscilla
e la musica del sonno annuncia l'Amore senza pari.


APPROFONDIMENTO SU MEYRINK

tratto da



Esoterismo e letteratura si intrecciano inestricabilmente nella vita dello scrittore austriaco Gustav Meyrink (il cui vero cognome era il più banale Meyer) nato nel 1868 e morto nel 1932.
L'origine di tale intreccio viene narrato da lui stesso in un breve brano di carattere autobiografico intitolato "Il mio risveglio alla veggenza". Lo scrittore racconta che fino al 1891 aveva avuto solo tre interessi: le donne, gli scacchi e il canottaggio. Colto da tedio esistenziale e oppresso da delusioni amorose, pensò di suicidarsi. Già aveva in mano la rivoltella, quando il commesso di una libreria fece scivolare sotto la porta del suo studio un opuscolo. "Presi il fascicolo e cominciai a sfogliarlo. Contenuto: spiritismo, occultismo, stregoneria. Questi argomenti, che fino ad allora avevo conosciuto solo per sentito parlare, a tal segno risvegliarono il mio interesse, che riposi la rivoltella nel cassetto..."
Ebbe inizio così una delle più singolari avventure nell'"Altrove Assoluto" che registri la storia della letteratura. L'interesse risvegliato da quell'opuscolo si trasformò presto "in un'ansia ardente di sapere, una sete struggente e inesauribile". Il giovane ex aspirante suicida si inoltrò così nel mare sconfinato dei libri d'occultismo e come tanti altri prima di lui, vi si perse senza essere in grado di individuare alcun approdo sicuro. Si mise dunque alla ricerca di qualcuno che potessse indicargli la giusta via, ma scuole yoga, congreghe di occultisti e gruppi spiritistici lo delusero. Poi, un giorno, si ricordò del consiglio di sant'Agostino: "Noli foras ire, in te ipsum redii: in interiore homine habitat veritas", e cercò dentro se stesso quella luce di infinito che invano era andato cercando nel mondo delle forme sensibili. Scoprì così che si era sviluppata in lui una vista interiore, una forma di preveggenza capace di far lume proprio su quell'universo sconosciuto rimasto fino ad allora impenetrabile: "Questo potere della visione fu proprio la causa prima che mi fece diventare scrittore [...] Avevo imparato a pensare con immagini e spesso ebbi visioni le quali, apertamente o simbolicamente, mi davano avvertimenti, consigli, insegnamenti."
La sua vita ne risultò trasformata. Si ritirò dalle attività di finanza e commercio e dal 1902 si dedicò in pratica a tempo pieno alla duplici e sovrapposta vita di ricercatore dell'Occulto e di narratore.
Iniziò da qui anche la leggenda del Meyrink "Mago", giunto in contatto con società segrete di ogni tipo, dal taoismo orientale all'ermetismo rosicruciano, all'alchimia kabbalistica ai residui del misticismo guerresco dei Templari; si disse che lo scrittore avesse avuto in dono la facoltà di parlare con gli spiriti angelici, secondo il metodo insegnato dall'inglese John Dee e che nei vicoli del ghetto ebreo di Praga gli fosse stata rivelata dai discendenti di Rabbi Loew l'arte di creare il Golem; si pensava che i seguaci della Società di Thule di origine iperborea gli avessero rivelato i misteri delle pratiche sciamaniche pre-ariane. Che emissari del Re del Mondo, giunti dalle segreta città di Agharta, perduta nel Deserto di Gobi, gli avessero spiegato la storia ignota dell'uomo e delle razze anteriori - discese dalle stelle - che in epoche remote popolavano il nostro pianeta. Di tutto ciò Meyrink lasciò ampia traccia nella sua opera narrativa. Destinata non tanto a raccontare, quanto piuttosto a rivelare in forma allegorica e romanzata le vie e i mezzi per raggiungere uno "stato" e una "conoscenza" d'ordine superiore.
Tutti i suoi scritti (cinque romanzi e quattro raccolte di racconti) disegnano una specie di immagine simbolica del cammino lungo la "Via del Risveglio": l'itinerario che percorre l'adepto per superare, in vita, la condizione umana, e riaccendere la scintilla divina presente in ciascuno di noi.
Nel romanzo "Der Golem" (1915) è già tracciata la tesi di fondo di Meyrink che peraltro è quella di tutte le tradizioni iniziatiche di Oriente e Occidente. La vita normale è "sonno". Ciò che noi chiamiamo agire e imparare altro non è che il frutto pressoché automatico di azioni meccaniche, che si dipanano sul piano materiale; chi limita se stesso a condursi su questo piano, si logora e si consuma come fa un meccanismo, che alla fine si rompe, e rimane materia inerte. Invece l'uomo risvegliato, grazie alla sapienza esoterica, rompe il guscio dell'animalità e fa ascendere la sua coscienza fino ai piani superiori dell'essere; "sveglio durante la vita", resterà tale anche dopo la morte fisica: sua, e soltanto sua, sarà l'eternità.
Tutto ciò Meyrink lo spiega ricorrendo a simboli tratti da tradizioni diverse: dalla Kabbalah alla teosofia di Madame Blavatsky, dalle dottrine ermetiche alla sapienza dei Veda, dal taoismo alla mistica tedesca pre-protestante. Questo impasto di sapienze differenti, amalgamato da una facilità narrativa non comune, e fatto lievitare da una fantasia sulfurea, grottesca e a tratti crudele, si conferma in opere di straordinaria originalità e suggestione (Nota di Lunaria: infatti Meyrink non è uno scrittore "facile"; piuttosto, alcuni suoi racconti vanno riletti più volte, vuoi per lo stile allegorico, vuoi per il contesto allucinato o delirante - vedi un racconto come "Danza Macabra", basato sull'avvelenamento da funghi, ma che alla prima lettura risulta stravagante)
Gershom Scholem, il massimo studioso contemporaneo delle dottrine kabbalistiche, nel suo saggio "La Kabbalah e il suo simbolismo" (1960), dopo aver passato in rassegna la trattazione romanzata del tema del Golem da parte di autori come Jacob Grimm, Achim von Arnim, E.T.A. Hoffmann, scrive che Meyrink "supera di gran lunga tutti questi tentativi: qui tutto è trasformato con i risultati più fantastici e, ancor più, deformato. Sotto la facciata - concepita con effetti del tutto esotici e futuristici - del ghetto di Praga e di una presunta Kabbalah vengono presentate idee di redenzione piuttoste indiane che ebraiche. Ma, pur con tutto il suo disordine impuro e arruffato, il Golem di Meyrink è avvolto da un'atmosfera inimitabile, dove elementi di incontrollabile profondità, anzi, di grandezza, si uniscono a un raro senso della ciarlataneria mistica e ad una singolare capacità di épater le bourgeois, impressionare i borghesi. Il Golem di Meyrink è in parte la materializzazione collettiva del ghetto con tutti i torbidi residui dello spettrale [...] Insomma, giungere ad un tutt'uno col Golem, identificarsi in esso, significa simbolicamente acquisire la sapienza superiore che garantisce l'immortalità."
Questi concetti fondamentali, la "Via del Risveglio" e l'identificazione con una creatura dotata di poteri magici, sono alla base anche degli altri romanzi scritti da Meyrink: "Il volto verde" (1916), "La notte di Valpurga" (1917), "Il Domenicano Bianco" (1921), "L'angelo della finestra d'occidente" (1927). In essi si sviluppa la tesi secondo la quale ciascun essere umano non rappresenta un io autonomo, ma è la manifestazione, nell'arco di un'esistenza terrena, di un dio o di un demone preesistente ed eterno. (Nota di Lunaria: forse Meyrink sviluppò in senso occulto la nota filosofia Ego-centrica dell'Unico di Max Stirner, e in senso a noi contemporaneo possiamo dire che Lavey riprese, potenziandola, l'intuizione di Meyrink)
Il cammino della redenzione, ovvero della riunificazione all'io superiore, vi è descritto in toni diversi, a volte terrificanti, a volte sereni: il che è conforme all'insegnamento esoterico che prevede diverse vie, alcune placide, altre mistiche, lunari, fiammeggianti, atroci, ardenti come il Sole.
I suoi racconti sono spesso storie scritte in uno stile asciutto ed essenziale, nelle quali ogni parola è tesa ad un unico scopo: la rivelazione dell'orrore che fermenta al di sotto di ogni comportamento in apparenza normale, la suggestione che sotto ogni anormalità palese se ne nasconde una ancora più grande, più atroce, tale da sconfinare nell'inverosimile e nell'assurdo. Il mondo delle apparenze vi è demolito, le forme quotidiane sono semplici mantelli che servono a celare il fantastico, il grottesco e il bizzarro.
Molte scuole esoteriche insegnano che il primo passo sulla Via del Risveglio consiste in un brusco scossone, uno shock subitaneo e feroce che demolisce la placida animalità della carne per dar luogo a una brama ardente e insaziabile di infinito. I racconti di Meyrink testimoniano quanto rude e crudele possa essere il principio del cammino che porta verso l'altrove assoluto e quanto sorprendenti possano essere le figure che ci accompagneranno lungo la strada.

Bibliografia

Le opere e traduzioni in italiano:

- Das Wachsfigurenkabinett (1907)  ["Il baraccone delle figure di cera"; ripubblicato col titolo "Racconti di cera"] 
- Der Golem (1915)  [Il Golem]
- Das Grüne Gesicht (1916)  [La faccia verde]
- Walpurgisnacht (1917)  [La notte di Valpurga]
- Der weisse Dominikaner (1921)   [Il Domenicano Bianco]
- An der Grenze des Jenseits (1923)  [Alla frontiera dell'aldilà]
- Das Haus der Alchimisten (1926)   [La casa dell'alchimista]
- Der Engel von westlichen Fenster (1927)  [L'angelo della finestra d'occidente]

Altri racconti tradotti in  italiano: "Il cardinale Napellus", "Il diagramma magico"

APPROFONDIMENTO SU GOETHE E RILKE

Tratto da


Nel "Prologo in cielo" del Faust di Goethe, Dio e Mefistofele si incontrano, discutono e scommettono sull'anima di Faust: Raffaele, Gabriele e Michele, gli arcangeli, fanno "da corona" al loro dialogo.

Raffaele
Risuona il Sole al modo antico
nel coro fraterno dell'emule sfere
ed il percorso che gli è prescritto
adempie con passo di tuono.
La vista sua dà forza agli angeli
se anche è impossibile fissarlo a fondo.
Le opere incomprensibilmente immense
splendono come nel primo giorno.

Gabriele
E veloce, inconcepibilmente veloce
ruota in sua gloria la Terra.
Si muta lume di paradiso
in tetra notte profondissima,
in onde immani il mare schiuma
dall'ultime rupi d'abisso;
e rupi e mare travolge
la corsa in eterno veloce degli astri.

Michele 
E bufere gridano a gara
dal mare alle rive, dalle rive al mare,
furia che tutto recinge
con una illuminata catena d'effetti.
Sterminio di fulmine brucia
e percorre lo schianto del tuono.
Eppure i tuoi nunzi adorano, Signore,
calmo il corso del tuo giorno.

Insieme
La vista tua dà forza agli angeli
se anche è impossibile fissarti a fondo.
E tutte le immense tue opere
splendono come nel primo giorno.

Un altro poeta tedesco, Rilke, ha cantato gli angeli: nelle sue "Elegie di Duino" si trovano versi dedicati agli angeli che per Rilke rappresentano la capacità di andare al di là di se stessi, per ascendere fino a Dio.
"Chi siete?" chiede il poeta. E così si sente rispondere:

Opera prima felice, beniamini del creato,
cime, crinali di monti all'aurora
dell'intera creazione - polline di fioritura divina,
articolazioni della luce, varchi, scale, troni,
spazi di essenza, scudi di delizie, tumulti
di un sentire turbinoso, rapito, e singolari, d'un tratto
specchi, che la bellezza da loro emanata
riattingono di nuovo in sé, nel proprio volto...

Anche se è da notare che per Rilke, i suoi angeli non erano quelli cristiani, ma ispirati a quelli della teologia islamica.


APPROFONDIMENTO:  La morte di Siegfried e Crimilde in ''La Canzone dei Nibelunghi''

Info tratte da



Il testo a cui attingiamo il mito degli eroi germanici, in particolare il mito di Siegfried, Sigfrido, è un poema di 2379 strofe di quattro versi ottonari ciascuna, apparso per la prima volta intorno al 1200. Si ignora l'autore, anche se sono state fatte diverse ipotesi: ad esempio, Kürenberg, un poeta vissuto tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo, del quale sappiamo che componeva strofe modellate come quelle della "Canzone dei Nibelunghi", o Sigerhant von Lorsch, o Walter von de Vogelweide. Ma la critica più recente ha rinunciato alla ricerca della paternità e sembra orientata a concepire anche quest'opera, come del resto l'Edda e il Kalevala, come la raccolta postuma di canti popolari preesistenti, raccolta da attribuire presumibilmente ad uno Spielmann o cantore. La redazione più antica del poema è in un linguaggio antico tedesco che sembra riflettere inflessioni renane o bavaresi o addirittura austriache: noi comunque non lo leggiamo più nel linguaggio originario bensì nella traduzione in tedesco moderno.
Il problema più grande, comunque, è capire se i miti che formano il poema siano sorti nella Germania del VI secolo e siano da lì emigrati nel nord scandinavo o se viceversa siano originariamente miti vichinghi trapiantati e importati nel mondo germanico.

Qui riporto una parte molto emozionante del poema, quando Crimilde appare preda di un triste presagio, relativo alla morte di Siegfried. Ad organizzare il tradimento, per compiacere Brunilde, offesa da Crimilde, è Hagen.
Sapendo che Siegfried è invulnerabile su tutto il corpo, tranne in una piccola zona non protetta magicamente, riesce ad ingannare Crimilde; fingendosi preoccupato per la sicurezza di Siegfried, recitando la parte dell'amico fidato, riesce a farsi confidare da Crimilde che:

"Quando il caldo sangue scorse dalle ferite del drago, e il buon cavaliere vi si bagnò, una foglia di tiglio gli cadde fra le spalle, e là può essere ferito. Ciò mi procura timore e pena."

Ma non basta; Hagen vuole sapere meglio dov'è ubicata la zona indifesa, e così dice a Crimilde che sapendolo, potrà difenderlo da qualsiasi insidia; e allora concorda con Crimilde un segno di riconoscimento:

"Con fine seta io cucirò segretamente una crocellina sulla sua veste; allora la tua mano, o eroe, proteggerà il marito mio, quando entrerà nella mischia, e sarà dinanzi ai suoi amici nel turbine della battaglia"

Il cantore del poema commenta:

"Certo fino alla fine del mondo nessun cavaliere farà una simile perfidia, come la fece lui, quando la bella regina si affidò alla sua fedeltà."

Ormai il piano è tanto facile da realizzare che Hagen organizza una battuta di caccia; i vivandieri recano moltissimi cibi ma senza portare le bevande: errore volontario, che serve a garantirsi che, per la gran sete, Siegfried debba piegarsi nell'acqua di una sorgente, offrendo all'attentatore il dorso, e sul dorso, la crocetta ricamata sulla veste, che contrassegni il punto vulnerabile.
Nel momento del commiato dall'amato, Crimilde comincia a intuire una sventura imminente anche se non avverte il marito del colloquio avuto con Hagen:

"Pensava ella alle cose che a Hagen avea detto
ma pure confessarlo non osò al suo diletto.
La nobile regina cominciò a piangere forte,
gemendo e lamentandosi come se egli andasse a morte."

"Diceva: tralasciate la caccia, mio signore,
ho sognato stanotte un sogno pien d'orrore.
Due selvaggi cinghiali vi piombavano addosso
nel bosco, e sopra i fiori era sparso sangue rosso."

"Vedete come piango, povera donna; io sento
che qualcuno vi minaccia, e temo un tradimento.
Forse già a vendicarsi pensa qualche nemico.
Rimanete, signore, in fedeltà ve lo dico."

E siccome il marito oppone la sua virile energia, la donna insiste:

"Ah, no, Siegfried, mio caro! La tua vita è in periglio.
Questa notte ho sognato che mentre eri sul ciglio
del bosco due montagne ti cadean su le spalle,
e non ti scorgevo più ne la profonda valle."

Crimilde tuttavia non riesce a dissuadere il marito: ormai è destino che il fato si compia. Tanto è la buona fede, tanto la sua lealtà, che l'eroe cade nel tranello senza sospettare niente. Mentre si china sull'acqua per placare la sete, Hagen gli sottrae la spada e lo colpisce:

"Quando Siegfried a bere pur si chinò veloce
Hagen gli immerse il ferro attraverso la croce.
Sprizzò il sangue dal cuore spaccato su la vesta di Hagen"

Le spoglie di Siegfried vengono abbandonate davanti alla porta dell'appartamento di Crimilde, per aggiungere scherno e spregio al delitto.
E la povera vedova non può che effondersi in lacrime e giurare vendetta.


Sotto vari aspetti, si può anche dire che il personaggio-chiave del poema non è Sigfrido, bensì Crimilde. L'amore che essa, giovinetta, prova per Sigfrido, la felicità ch'ella prova al suo fianco quando è divenuta sua sposa, l'angoscia e la lunga disperazione della sua condizione di vedova, la sua immutabile fedeltà alla memoria dell'eroe assassinato, il suo inflessibile accanimento a raggiungere attraverso tutti gli ostacoli, e anche col delitto, l'autore di tutti i suoi mali, Hagen: di tutto questo è fatta la trama del poema. Quando Crimilde perisce il poema finisce. Essa è al centro dell'azione. "La Canzone dei Nibelunghi" è precisamente, come dicono due manoscritti giunti fino a noi, "il libro di Crimilde".
La progressiva mutazione del personaggio ha dello sconcertante: si va dalla prima presentazione quando la bellezza della fanciulla suscita estasi ed entusiasmo, fino alle ultime pagine della tragedia quando le sue azioni suscitano orrore, sdegno, esecrazione.

La prima volta che vediamo Crimilde assistiamo a un rito di quella umana religione della grazia e della bellezza che accomuna in un sol anelito tutta la società cavalleresca. La gentile fanciulla esce dalle sue stanze, seguita dalle ancelle, fulgida e bella come l'aurora, che irrompe vittoriosa da un velario di fosche nubi; onde Siegfried dimentica la sua pena d'amore per contemplare estasiato quelle forme gentili.

Nelle ultime pagine invece la vedova terribile è divenuta, come la chiama Hagen, "una donna infernale". Senza batter ciglio, ha ricevuto sul grembo il capo del figliolo; fa troncare la testa del fratello Gunther e, afferratala per i capelli la presenta, atroce trofeo, agli occhi di Hagen. Non amore materno, non amore fraterno, sono in lei; nessuna traccia di umanità. E il gesto di Ildebrando, che ferma per sempre quella furia infernale, non desta un senso di raccapriccio o di condanna, perché sembra che ristabilisca l'equilibrio: alla morte di Hagen non poteva non seguire quella di Crimilde, dal momento che è difficile stabilire chi dei due sia stato più colpevole.

Degno antagonista di Crimilde è Hagen che, soprattutto nella seconda parte del poema, acquista un rilievo crescente e assume proporzioni gigantesche.
Egli si comporta come vuole la sua demoniaca natura: è convinto, a ragione, che Crimilde vuole la sua morte, e si regola in base a tale convincimento, senza esitazioni, con cinico e crudele realismo: morrà, ma trascinerà con sé nella morte quanti più avversari potrà. Non cerca una via di uscita, di compromesso, di pacificazione: volge le cose al peggio, quanto più può.
In ciò è di una coerenza intima esemplare, che mai si smentisce, e questa sua accettazione della morte, questo suo correre intrepido, quasi ostinato, verso la distruzione sua e degli altri ha qualcosa di grandioso, di veramente epico. Tuttavia è una grandezza che non desta ammirazione, ma piuttosto sgomento e orrore.
Durante la cavalcata verso la morte degli eroi burgundi, il personaggio che tutto e tutti sovrasta nella seconda parte del poema è Hagen. Egli è conscio del destino che lo attende, ma pure lo sfida ora per ora, con tenacia veramente eroica. Man mano che si procede, Crimilde va perdendo umanità e trasformandosi in una furia, mentre Hagen, al contrario, accanto alla truce violenza, acquista elementi di grandezza epica.

Nota di Lunaria: aggiungo questo approfondimento



 
Sulla Letteratura Tedesca prima dell'anno Mille https://intervistemetal.blogspot.com/2022/02/la-letteratura-tedesca-prima-dellanno.html

E musicalmente? cosa mi piace ascoltare?

Dopo i nomi citati nella prima parte, https://intervistemetal.blogspot.it/2018/01/germania-romanticismo-nero-gothic-e.html

ecco qui l'altra carrellata :D

I Die Verbannten Kinder Evas (austriaci), Sonne Hagal e i Faun (nella scena Neo Classic i primi e Folk/Medieval/Pagan gli altri due) 





o i Lacrimosa 




Anche se a mio parere il più bel cd che contiene un testo in tedesco è questo qui


Quando la band in questione (che non è tedesca) suonava Gothic Metal, ovviamente.



Nel Gothic Rock, invece, credo che i più talentuosi siano i Lacrimas Profundere, 



anche se molti altri potrebbero citare prima dei Lacrimas Profundere, per importanza storica e di visibilità, gli In My Rosary (band che io ho sempre seguito pochissimo) 



mentre band come Love Like Blood, Dronning Maud Land, The Merry Thoughts o Crudeness sono sempre stati "di seconda linea" e pallidi imitatori del binomio FOTN/Sisters of Mercy che ripropongono pedissequamente (con qualche clonaggio, già che ci sono, anche dei Mission) e spesso spompatamente (anche se tutto sommato i The Merry Thoughts risultano piacevoli nello scopiazzamento Sisteriano e un po' di verve ce l'hanno...).






Un artista che ha invece mostrato personalità e carisma è Sopor Aeternus


col suo "marchio di fabbrica" di un sound totalmente decadente, operistico, oscuro, anche se alla lunga, una "full immersion" nei cd di questo artista forse può "frollare le orecchie" data "la ripetitività" del suo celebre "marchio di fabbrica".





Poi vabbè, Umbra et Imago e Sanguis et Cinis (austriaci) sono molto ascoltati anche se il discorso è lo stesso fatto per i Blutengel... :P





comunque tra i due i meno pacchiani sono i Sanguis et Cinis...
 

Più seri e colti sono senz'altro gli Haggard