Villa Cortese e Inveruno

 Dopo aver visto questa foto d'epoca, parecchi mesi fa


Non potevo non innamorarmi di questa chiesetta campestre (in realtà la definizione corretta è "oratorio") che fa così "Myricae" di Pascoli (ma anche molto alla "Dusk and Her Embrace")


Anche se, ahimè, non mi era possibile raggiungerla: non c'è una stazione a Villa Cortese! Ma solo un unico pulman che neanche so dove lasciava giù (e dubito davvero lasciasse giù nei pressi della chiesetta...)
Alla fine sono comunque riuscita ad organizzarmi e ad arrivare, di Nero Velluto Vestita, in questa deliziosa chiesetta campestre (non c'era in giro nessuno, tra l'altro)




In tutta la sua bellezza campestre





L'unico difetto? Il sole cocente che mi ha "ustionato" da tanto era ferocemente caldo! 


Vedere questa chiesetta al crepuscolo... sarebbe stata tutt'altra cosa



Dipendesse da me "l'urbanistica", avrei piantato nei dintorni centinaia di gigari e dulcamare, per rendere questa chiesetta la Perfezione dal punto di vista Estetico-Campestre Lunariale.  Avendo poi il potere di "resuscitare i morti"... credo proprio che avrei resuscitato Thomas Gray (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/06/thomas-gray-elegia-scritta-in-un.html) ah, come Mi avrebbe concupito, in quello scenario campestre, tutto in adorazione di Me!, componendo un'Elegia in Onore della Bellezza Lunariale su uno sfondo campestre!



Lo Stemma di Villa Cortese


Già che c'ero poi sono andata ed esplorare la vicina Inveruno, prima la cappella di san Rocco




poi la zona più "del centro", con la chiesa di san Martino





















Ecco alcune notizie che ho reperito leggendo un libro su Inveruno

Info tratte da 


I documenti parlando di Inveruno fin dal secolo VIII, ma l'origine è precedente: alla Basilica di Sant'Ambrogio di Milano si conserva un documento del 922; il paese si chiamava "Euruno"; nel 1097 il nome si è modificato in "Everuno" e nel XII finalmente compare il nome Inveruno.

L'origine viene dal latino Eburunum e Eburunus, dedotti dalla forma gallica Eburunos, formato dalla parola Eburos che in lingua gallica e celtica significa "tasso". 
Vi sono anche città francesi, di origine celtica, derivati da Eburos, come Yverdon ed Embrun.
Anche Airuno, Arluno, (*) Enduno, paesi vicini, hanno il suffisso in -uno che in lingua celtica significava "località" o "fortezza". 
Probabilmente, il nome di Inveruno significava "località del tasso".  (Nota di Lunaria: anche Cornaredo sembri derivi il nome dalla pianta del Corniolo, o almeno così mi è stato detto quando sono andata a visitarlo...)

I Romani arrivarono solo verso il II secolo a.C.
Resti di tombe romane furono trovate nel 1930, a sud della scomparsa stazione del tram che veniva chiamata "Gamba de legn" dove oggi si trovano delle case popolari in via Liguria.
Nel Museo di Legnano si trovano conservati alcuni reperti archeologici.

Ad Inveruno c'era un monastero e in una nota del 1300 si trova scritto "Domus de Inveruno for. 6"
La chiesa parrocchiale, di San Martino, era, prima del 1588, logora; venne abbattuta e sulle sue fondamenta venne edificata una nuova chiesa nel 1604.


(*) Nota di Lunaria: Arluno ancora mi manca! è da qualche anno che vorrei andare a vederlo... anche Arluno ha conservato traccia di un culto a Diana. 
Le origini di Arluno sono antichissime, forse celtiche. Della successiva e lunga età romana restano poche tracce: un paio di tombe scoperte in paese, con un corredo di monete ma soprattutto il nome, che deriverebbe da "Ara Lunae" , cioè altare dedicato al culto pagano della Luna-Diana, sorella del Sole-Apollo. Del resto ancora oggi una mezzaluna fa bella mostra di sé sullo stemma comunale, fra due ali candide.  
Una mia personale ipotesi è che anche Garbagnate fosse sede di un qualche culto dedicato a Cerere; infatti la radice "Garbagn" e la desinenza "-Ate" ha origini celtiche e romane. "Garbagn\Garben" starebbe per "manipolo\fascio di spighe" e "-ate", "luogo\contrada".
In tedesco, "Garben" significa "covoni", "Ate" "luogo": "luogo dei covoni", quindi grano. "Garbum" potrebbe alludere anche a "cespuglieto", cioè terreno incolto.
Robecchetto con Induno, Inveruno, Arluno: i nomi con un finale composto potrebbe trarre la sua origine dal suffisso celtico -dunon, che nell'antica lingua nordica significa "fortezza", "roccia". Numerosi toponimi la cui parte finale proviene da -dunon hanno cambiato l'originale -duno in -onno (Saronno, Caronno, Castronno)Anche i suffissi in -ate, -ago denunciano radici galliche. Suffissi che risalgono al gallico sono: -laanon, -lanon, -lan, -lano. Il termine -bar segnala la presenza di un rilievo o di una cima.


Breve introduzione alla Lirica Greca

Nota di Lunaria: niente da fare, non riescono proprio a piacermi la cultura greca e quella romana... ma visto che ho trovato questo commento, lo metto a disposizione di tutti. Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/11/lamore-e-il-carpe-diem-in-catullo.html

Info tratte da

"La lirica si può chiamare la cima, il colmo, la sommità della poesia, la quale è la sommità del discorso umano." Questa definizione di Giacomo Leopardi ci dice che la "lirica" in fondo non è altro che l'essenza stessa della poesia. Come genere letterario a se stante la lirica presenta alcune caratteristiche che la distinguono sia dal romanzo sia da altre forme di poesia.

La lirica è una poesia breve, in cui l'ispirazione del poeta si manifesta attraverso una serie di immagini folgoranti che tendono ad esprimere nel modo più completo un sentimento, una passione, uno stato d'animo.

La lirica nacque in Grecia, quando l'atmosfera epica che aveva dato origine ai poemi omerici si placò e gli uomini cominciarono a sentire il bisogno di una poesia più semplice, immediata, più legata ai sentimenti e alle manifestazioni della vita quotidiana.

Allora i poeti, invece che cantare le gesta degli eroi, esercitarono la loro fantasia su temi meno vasti, ma spesso più intensi.  Questa rivoluzione condusse a un radicale cambiamento di prospettiva nel giudicare la poesia.

Poeti come Saffo, Alcèo, Pindaro vennero esaltati per l'intensità del sentimento che mettevano nei loro versi.

Anche quando racconta la malinconia di una giovane donna che lascia le compagne per andare incontro allo sposo, la poetessa Saffo esprime la propria malinconia: è il suo cuore che palpita dietro i versi che mette sulla bocca di un'altra donna.

Storicamente, la grande lirica greca ebbe il suo periodo di massimo splendore tra il VII e VI secolo a.c

Si ebbe una grande fioritura di poeti che composero migliaia di versi che sono andati in gran parte perduti.

Anche delle liriche dei poeti più famosi, come Alcèo, Saffo, Archiloco, Tirtèo, Mimnèrmo, Ibico, Alcmane, Anacreonte, Simònide, non sono giunti che pochi frammenti.

Fa eccezione solo Pindaro, del quale c'è pervenuta l'intera raccolta degli "Epinìci": 44 odi trionfali, nelle quali celebra i vincitori delle grandi feste panelleniche che si tenevano in determinati periodi a Olimpia, a Nemèa, all'Istmo e a Delfo.

Gli antichi considerarono Pindaro il più grande dei lirici greci.

Nota di Lunaria: aggiungo anche Corinna, l'altra poetessa dell'antichità della quale c'è giunta testimonianza. Vinse una gara di poesia.

METTIAMO LA PROVA, PRIMA CHE QUALCUNO STARNAZZI DICENDO CHE "NON è VERO NIENTE, TE LA SEI INVENTATA TU! SOLO ARISTOTELE HA SCRITTO! EH EH EH!"




Appena possibile riporterò qualche info anche tratta da questi due libri, (https://intervistemetal.blogspot.com/2022/11/la-poetessa-del-papiro-di-grenfell.html) tanto per turare la bocca a certi personaggi che starnazzano falsità sulla Storia delle Donne, ripetendo il mantra del "eh eh eh, le donne non hanno fatto niente per 2000 anni! solo aristotele ha fatto, eh eh eh!"

E sto ancora aspettando che gli idolatri italiani di aristotele, quelli del sacro dogma "aristotele ha sempre ragione su ogni cosa che ha detto", commentino le frasucole del loro idolo intoccabile dove il signor aristotele ritiene giustissima la SCHIAVITù DEI MASCHI NON GRECI... quindi se fosse vivo, oggigiorno, metterebbe le catene ai piedi PURE AI SUOI FANS ITALIANI e li farebbe lavorare (agggratis) nelle miniere e a pulire le latrine, i lavori che "convenivano ai barbari non greci". 

Ma aristotele ha sempre ragione, come dicono i suoi idolatri, perciò avrebbe ragione anche a mettervi le catene ai piedi per farvi spalare carbone ad vitam per il benessere del vostro padrone greco, no? ;-) No, in quel caso, quando le frasucole sull'inferiorità e sulla schiavitù riguardano voi, e non solo le donne, eh, in quel caso "aristotele va giudicato nel suo contesto storico, non ha detto cose sempre giuste e blablablabla".

Eh sì, perché la misoginia aristotelica vi piace ed è intoccabile, però le frasucole razziste e di suprematismo greco sul resto dei maschi non greci, ah, quelle frasucole lì che decretano la vostra inferiorità in quanto maschi non greci, non vi piacciono mica tanto, vero? 

A proposito, certamente più utili al progresso dell'intera umanità, dalla Grecia ricordiamo le Astarte

capitanate dalla grande Tristessa, purtroppo deceduta nel 2014 ;-(

Noi non abbiamo mai dimenticato quel "Rise from within" che uscì nel 2000 celebrando la Nera Fiamma Ellenica, e che a distanza di così tanti anni non ha perso neanche un grammo di oscura bellezza 



Ma quale "Grecia, patria di aristotele", per noi la Grecia resta la patria di Tristessa!!!!


Nell'antichità, la musica era una componente essenziale della poesia lirica; ce ne danno testimonianza anche le opere con cui gli artisti greci raffigurarono i poeti lirici del loro tempo.

La lirica, come dice la parola stessa, prende il suo nome da uno strumento, la lira (insieme alla cetra e al flauto) che accompagnava le poesie liriche; la musica non era un elemento marginale della lirica, ma una sua precisa caratteristica.

I lirici greci sono grandi perché hanno inventato queste immagini che sentiamo vive ancora oggi. 

Quando Saffo canta: 

"Scuote amore il mio cuore 

come vento nei monti si abbatte su querce"

"Tramontata è la luna;

tramontate sono le Pleiadi;

è mezzanotte;

l'ora passa;

e io sono qui, sola"

dice con parole di un'immediatezza e semplicità inimitabili tutta la forza fatale della passione a cui l'uomo nulla può opporre.

è come creatori di immagini eterne che i grandi lirici greci sono al vertice delle poesie.

"In me Eros,

che mai alcuna età mi rasserena,

come il vento del nord rosso di fulmini,

rapido muove..." (Ibico)


"Di quelli che caddero alle Termopili,

famosa è la ventura, bella la sorte

e la tomba un'ara..." (Simonide)


Alcmàne così descrive l'infinita quiete notturna:

"Dormono le cime dei monti

e le vallate intorno,

i declivi e i burroni;

dormono i rettili, quanti nella specie

la nera terra alleva,

le fiere di selva, le varie forme di api,

i mostri nel fondo cupo del mare;

dormono le generazioni

degli uccelli dalle lunghe ali."


BREVE COMMENTO A SAFFO

Prendiamo un sentimento che oggi definiremmo romantico: la malinconia. Ecco come lo canta Saffo, la più grande poetessa dell'antichità, nata nell'isola di Lesbo verso la fine del VII secolo a.C.

"Malinconia"

Tramontata è la Luna;

tramontate sono le Pleiadi;

è mezzanotte; l'ora passa

e io sono qui, sola.

Sono appena quattro versi, semplici: Saffo è riuscita a "dire" ciò che sentiamo tutti quando certi aspetti della Natura si riflettono nel nostro animo e ci costringono a prendere atto della fugacità della vita ("l'ora passa"), della solitudine che ci circonda quando ci troviamo a interrogare il nostro cuore, il nostro destino.

Possiamo dire che la poesia lirica nell'Antica Grecia, possiede la freschezza e l'incanto dell'alba, quando dinanzi ai nostri occhi, la Natura sembra svegliarsi dal sonno della notte per rinnovare l'eterno miracolo della vita. 

Le immagini, i colori di poeti come Saffo e Alcèo, Alcmàne e Ibico, Anacreonte e Simonide, hanno infatti una forza di suggestione unica, perché al di là delle parole noi avvertiamo che certi accostamenti, certe illuminazioni, sono il risultato di una confidenza con la Natura che più tardi è andata in massima parte perduta. Qualunque cosa cantino, gli antichi lirici greci lo fanno immergendo la loro tavolozza nel grande spettacolo della Natura, da cui ricavano immagini e simboli che colpiscono insieme la fantasia e il cuore.