Demetra e Persefone


Sono partito dalla cosmogonia di Esiodo, capolavoro della grecità in cui il patriarcato subentra alla più antica organizzazione matriarcale della mitologia.
Potnia, la Grande Madre mediterranea di cui si favoleggia sempre e di cui, ironia del fato, poco si sa, e nulla o quasi si ha, si sostanzia con Demetra, la Madre Terra.
"Colei che dona agli uomini i cereali, la spiga"... orzo, grano, miglio, farro... (Nota di Lunaria: nell'antica Cambogia Po Ino Nogar è la Demetra del riso)
Li dona, piuttosto, alla donna, che generazione dopo generazione impara non solo a prendere quel che la terra dà, le bacche degli arbusti, i frutti degli alberi, le radici, ma anche a chiedere.
Bachofen aveva forse visto giusto quando parlava di due stadi, quello che lui chiamava "Afroditeo" da Afrodite e quello di Demetra. Quello Afroditeo lui lo chiamava Hetarismus, dal greco etèra, cioè cortigiana, e favoleggiava di un'orda-tribù dove libertà sessuale totale e totale promiscuità, dessero alla donna, che si sceglieva gli amanti, facendo i figli, senza un singolo padre, il centro e il punto di forza della vita associata (Nota di Lunaria: ne parla anche Robert Graves in "Il vello d'oro"). Non c'è possesso individuale, né gerarchia, né diritto privato.
Bachofen pubblica il suo testo nel 1861, ed è uno dei tre testi sacri, più citati e letti, insieme all'"Origine della specie" di Darwin e "Il Capitale" di Marx, che modificano radicalmente la concezione che l'uomo ha della sua storia, di cui ancora oggi ne sentiamo inevitabilmente l'influenza.
Il secondo stadio, come dice lui, è quello di Demetra. Quando la vita agricola del villaggio, primavera dopo primavera, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo, si assesta, si consolida, si eternizza, sacralizzandosi. Bachofen lo chiama "cerealicolo coniugale" e immagina si passi al matrimonio e alla coppia: l'aratura del campo, la deposizione del seme-chicco rimanda alla nascita di un figlio dal seme maschile deposto nel ventre materno. In un mondo dove è l'uomo ad arare, seminare, piantare, lavorare la terra e al quale essa dà alla fine i frutti delle sue viscere: Demetra, Terra-Gaia, TerraDemetra.
Demetra, dicono i glottologi, ha dentro quel "da" indoeuropeo che è un teonimo, e che c'è anche in Posei-da-on, che significa "sposo della terra". Rea-Gea ora Demetra, è spiga, è cereale, insegna a piantare e a raccogliere il frutto del seme piantato. Insegna il mistero del seme che si fa frutto. Che è anche il mistero dell'uomo che fa fruttificare la donna, la Donna-Demetra. Come nel mito, quando Demetra, presa d'amore e desiderio carnale, si accoppia con Iasone, figlio di Zeus, nel campo tre volte arato, e dalla loro unione nasce Pluto, il raccolto abbondante, la ricchezza. Zeus, preso da gelosia nel vedere Demetra e Iasone con le gambe e le braccia sporche di terra, dopo aver consumato l'amplesso nel campo, fulmina Iasone, incenerendolo: Zeus, come non voleva cedere il fuoco all'uomo, ora non vuole neanche che l'essere umano (simboleggiato da Iasone) si appropri dei segreti dell'agricoltura, simboleggiati da Demetra.
Demetra, inseparabile dalla figlia Persefone, rapita da Ade, signore del sottosuolo. Le tre, insieme a Ecate, formano una delle prime grandi triadi femminili primigenie.
Demetra-Core, la vergine, Persefone la ninfa, Ecate la Vecchia, rispettivamente il grano verde, la spiga matura, il grano raccolto. (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/le-dee-del-riso-e-del-grano.html)





"Io voglio qui cantare Demetra l'antica, la veneranda, lei dalle belle chiome, e sua figlia Proserpina. Ade, re degli inferi un giorno rapì la misera quando la madre guardava altrove. Proserpina giocava, felice e ignara, con le amiche ninfe coglieva i fiori, rose ed iridi e giacinti. Sul prato fiorito vide un narciso meraviglioso che sbocciava con cento fiori sullo stesso stelo. Il suo profumo inebriava, s'alzava al cielo. Lei, ignara, protese le mani e lo colse, ahimè mentre la terra si spalancava sotto di lei. Lì dov'era il fiore, improvviso comparve il dio degli inferi, che l'afferrò contro il volere suo la trascinò, e in lacrime, sui suoi cavalli la portò via. Lei gridava. Nessuno, mortale o immortale, ascoltò il suo grido. Nemmeno le ninfe amiche..."
"Solo la figlia di Perse, dalla candida mente Ecate dal diadema luminoso, solo lei e il divino Elio, il Sole, udivano il grido dolente..."
"La bionda Demetra (...) rimaneva lontana da tutti gli Dei e si struggeva nel rimpianto della figlia dalla vita sottile. Fu un anno terribile per gli uomini perché la terra non faceva germogliare alcun seme: Demetra, la Dea dalla bella corona, li teneva chiusi nella terra (...) Lei avrebbe distrutto di certo la stirpe dei mortali e tolto così agli immortali d'Olimpo i loro sacrifici se Zeus non fosse intervenuto a porvi rimedio."
"Torna, Persefone, presso tua madre dallo scuro peplo (...) Così Ade diceva. Lui le diede da mangiare il seme del melograno, dolce come il miele, di nascosto, così che non rimanesse per sempre nel mondo di sopra con l'amata madre Demetra."
"La Dea vide la figlia e si slanciò come menade (... ) ma ancora si stavano abbracciando, che la madre ebbe una stretta al cuore. Intuì l'inganno, fu presa da un cupo timore, e staccandosi le chiese: Figlia, mentre eri laggiù hai mangiato del cibo? (...) Se non ne hai mangiato, potrai stare con noi, con me, e gli immortali di Zeus. Ma se ne hai mangiato dovrai ridiscendere agli inferi, e li dovrai abitare per una delle tre stagioni..."

Approfondimento "La Madre del Grano", tratto da



"La Madre del Grano"

Il Mannhardt ha sostenuto che la prima parte del nome di Demetra derivi da un'ipotetica parola cretese "Deai", "Orzo", e che quindi Demetra significhi "Madre dell'Orzo" o Madre del Grano". Poiché sembra che Creta sia stata una delle più antiche sedi del culto di Demetra, non sarebbe da stupire se il suo nome fosse cretese. [...] Il Mannhardt ha raccolto nel folclore dell'Europa moderna una grande abbondanza di esempi analoghi alla Madre del Grano o dell'Orzo dell'Antica Grecia. In Germania il grano si personifica comunemente sotto il nome di Madre del Grano. Così, a primavera, quando le spighe ondeggiano al vento, i contadini dicono: "Ecco la Madre del Grano" oppure "La Madre del Grano corre sui campi" o "La Madre del Grano passa tra il grano". Quando i bambini vogliono andare per i campi a cogliere nel grano gli azzurri fiordalisi o i rossi papaveri, si dice loro di non farlo, perché la Madre del Grano sta a sedere tra il grano e li prenderebbe. O anche, a seconda del genere del raccolto, si dice la Madre della Segale o dei Piselli. E si crede anche che la Madre del Grano faccia crescere il raccolto. Così nelle vicinanze di Magdeburgo si sente dire: "Sarà una buona annata per il lino; è stata vista la madre del lino." In un villaggio della Stiria dicono che si può talvolta vedere a mezzanotte nei campi di grano, che ella fertilizza passandovi sopra, la Madre del Grano sotto forma di una figura femminile fatta con l'ultimo covone e tutta vestita di bianco; ma se essa è adirata col contadino, fa seccare tutto il grano. Per di più la Madre del Grano compie una parte importante nelle usanze della mietitura. Si crede che ella sia presente nel fascio di spighe che si lascia per ultimo in piedi sul campo e, tagliandolo, essa viene presa, cacciata via o uccisa. [...] In alcune parti dell'Holstein, l'ultimo covone viene vestito con abiti da donna e chiamato la Madre del Grano. Viene portato a casa con l'ultimo carro e poi inzuppato ben bene di acqua; quest'ultima operazione è senza dubbio un incantesimo per la pioggia.

Commento di Robert Graves:



Demetra era la Madre dell'orzo. Secondo il mito, per sfuggire alle attenzioni del dio Poseidone, si mutò in giumenta e si nascose tra i cavalli ma Poseidone si mutò in stallone e riuscì a possederla;
la collera della Dea per questo oltraggio diede origine al simulacro ad Onceo, noto come Demetra Erinni, la Furia. Il culto di Demetra come Dea-Cavalla era assai diffuso tra i Celti della Gallia, che la adoravano sotto il nome di Epona o "Le Tre Epone" (Nota di Lunaria: davvero ridicolo come i cristiani abbiano SCIPPATO il concetto di Trinità alle tante Dee pre-esistenti! Ed è davvero penoso vedere gente che ignora che il concetto di Trinità non è neanche cristiano bensì PAGANO, e da riferirsi alle Dee).
Nella "Topographia Hibernica" di Girardo Cambrense c'è un episodio che rivela come tracce dello stesso culto sopravvivessero ancora in Irlanda nel XII secolo. Si tratta dell'incoronazione di un re irlandese a Tyrconnell, che tra i riti preliminari contemplava la rinascita simbolica dell'eletto della Cavalla Bianca. Il futuro re strisciava nudo a quattro zampe verso la giumenta come se fosse il suo puledro, dopodiché l'animale veniva ucciso, squartato e messo a bollire in un calderone. Il re entrava nel recipiente, sorbiva il brodo e mangiava la carne. Poi, in piedi su una pietra di inaugurazione, riceveva una bacchetta bianca diritta, si voltava tre volte da sinistra a destra, e quindi altre tre da destra a sinistra "In Onore della Trinità", in origine della Triplice Dea Bianca . (Nota di Lunaria: In "Luna Rossa" si trova una modernizzazione della Trinità della Dea, aggiungendo la "quarta faccia" ovvero tutte e 4 le fasi della Luna: Nuova-CrescentePiena-Calante. Personalmente mi piacciono tutte e due le modalità di rappresentazione della Dea, sia come Triplice - e in questo caso, la collegherei a Madre del Tempo: Passato, Presente, Futuro - sia come "Quaterna", e in questo caso, la collegherei alle fasi della vita della donna e della sua sessualità, al modo che si presenta secondo ciascuna fase lunare)
Il culto del Cavallo in Britannia risale ad epoca preistorica: l'unica figura umana rimastaci di tutta l'Arte Britannica del Paleolitico è una scultura in osso ritrovata nella Pin-Hole Cave nel Derbyshire, che raffigura un uomo con una maschera equina. Sassoni e Danesi veneravano il cavallo quanto i loro predecessori celti e il tabù sul consumo di carne equina è ancora vivo in Gran Bretagna. Nella Danimarca medioevale la festa orgiastica del cavallo durava tre giorni; messa al bando dalla Chiesa, sopravvisse tra la classe servile paganeggiante.  Nel romanzo "La caduta del re" di Johannes Jensen, che ne contiene un'accurata descrizione, il prete dà inizio al rito spruzzando ciotole di sangue di cavallo a sud e a est e individuando così il cavallo come incarnazione dello Spirito dell'Anno Solare, figlio della Dea Giumenta. Nel "Romanzo di Pwyll, principe del Dyfed", la Dea compare come Rhiannon, madre di Pryderi. Il nome Rhiannon è una corruzione di Rigantona ("Grande Regina").
La connessione tra Dea/Cavallo proseguì fino al 1673; Anne Armstrong, una strega del Northumberland, confessò al processo di essere stata trasformata in una cavalla dalla sua padrona Ann Forster di Stockield.
(Nota di Lunaria: nell'Europa meridionale l'animale stregonesco per eccellenza era il gatto, e si credeva che le streghe si trasformassero in gatti. Il gatto era sacro alla Dea Bastet)


"O Dea, Madre Divina di tutto, Nume glorioso, Santa Demetra che nutri e fai lieta la vita, Dea generosa che doni ricchezze e maturi le spighe, che ami la pace e le opere dal molto sudore; Tu che al seme presiedi, ai covoni, ai granai, che i frutti maturi e dimori nei sacri recessi di Eleusi, o Amabile e Cara, di tutti i mortali Nutrice, tu prima aggiogasti dei buoi la cervice operosa tu verde alimento, illustre compagna di Bromio, che porti la fiaccola, o Sacra, che ammiri le falci d’estate, Tu terrena, Tu manifesta, Tu a tutti benigna, feconda, dei giovani amica, di prole Santa vergine nutrice, che aggioghi al tuo carro i dragoni mentre intorno al tuo trono si inneggia e si danza; o unigenita Dea, feconda, veneranda ai mortali, che in molte forme appari di fior redimìte e di fronde, vieni, o Beata e Santa, carca di frutti d’estate e portaci la pace e la diletta armonia, la ricchezza felice e insiem la salute sovrana."

Altro approfondimento su Demetra tratto da 



Demetra era una "Cronide", figlia di Crono e sorella di Zeus; ciò non le impedì di accogliere nel suo talamo il potente fratello, signore degli Dei e degli uomini e da questa unione nacque Persefone "dalle bianche braccia", che fu rapita da Ade.
Demetra è la terra feconda di messi; le forze che rendono prolifica la terra sono divine (Zeus) o umane; "La Divina fra le Dee, infatti, unitasi in dolce amore con l'eroe Jasone, in un maggese tre volte arato".
"Io sono l'augusta Demetra, Colei che più di ogni altra agli immortali e ai mortali offre gioia e conforto", incomincia un famoso Inno Omerico.
E Persefone, la figlia di Zeus e di Demetra, è l'anima della terra, e per questo fu rapita da Ade nel suo regno sotterraneo: è la forza occulta che trasforma il seme in pianta o nutre di linfe segrete le radici del regno vegetale o nasconde nella sua tenebra il tesoro dei metalli. La storia di Demetra, "Dea delle splendide messi" è quella di una madre infelice, cui è stata rapita la figlia, l'anima. L'Inno dedicato a Demetra narra infatti la dolorosa vicenda, allorché Ade, fratello di Zeus e signore del regno delle tenebre eterne, sorprese la giovane Persefone, "dalle belle caviglie", mentre, giocando con le figlie di Oceano, coglieva i fiori del prato (Nota di Lunaria: in certi fonti, sono papaveri. E non a caso: il papavero è un fiore che è legato alla droga, all'uso sciamanico della droga, ovviamente, e che si lega alla dimensione onirica, del sogno, dell'incubo, dell'allucinazione); la terra si aprì, la fanciulla sprofondò, fu presa da Ade, figlio di Crono, sul suo carro d'oro trainato da nere cavalle, che la trasportò nel suo regno; la madre udì le grida disperate della figlia che echeggiarono "tra le vette dei monti e gli abissi del mare" e un funesto presagio le mise in cuore la certezza della tragedia.
"Per nove giorni e nove notti la veneranda Demetra vagò stringendo nelle mani fiaccole ardenti; finché al sorgere dell'aurora le andò incontro Ecate che le confermò di avere udito le grida di Persefone, ma di non sapere se il rapitore era un dio o un mortale".
Dopo che Demetra ha scoperto la verità sul rapimento della figlia, avendo interrogato il Sole, nel suo cuore entra un dolore profondo e struggente. Adirata contro Zeus, abbandonò l'Olimpo, nascose il suo aspetto divino sotto le vesti di una donna triste e attempata e vagò sulle vie della terra, lontano da tutto e da tutti: "Era simile ad una vecchia carica di anni, lontana dalla maternità e dai doni di Afrodite".
Dopo varie peripezie ad Eleusi, la Dea si rinchiude nel tempio, struggendosi nel rimpianto della figlia Persefone; la terra cessò di produrre messi, i semi inaridirono, inutilmente i bovi trascinavano gli aratri.
Aridità, carestia: la Dea adirata e sofferente si era proposta di distruggere la stirpe dei mortali, sottraendo così ai Numi il privilegio delle offerte votive e dei sacrifici.
Zeus, turbato, mandò Iride "dalle ali d'oro" a  chiamare Demetra: ma il cuore della Dea non si lasciò persuadere. Allora, a turno, tutti i Numi si recarono ad Eleusi a supplicare Demetra portandole doni magnifici, ma Lei respinse ogni offerta. Disse che sarebbe tornata nell'Olimpo e avrebbe reso ancora fertile la terra dopo aver rivisto sua figlia. Zeus chiamò Hermes e gli affidò l'incarico di convincere Ade a lasciar partire Persefone. Il Signore dei morti, "il Dio dalle cupe chiome", esortò Persefone a tornare da sua madre, ma prima di lasciarla partire le dette da mangiare "il seme del melograno, dolce come il miele, affinché ella non rimanesse per sempre lassù"
Il melograno era il frutto prolifico per eccellenza, il seme dei semi, simbolo di fecondità. In altre parole, la nutrì del suo volere e del suo legittimo desiderio che ella tornasse a regnare "su tutti gli esseri che vivono e si muovono" destinati a popolare il regno dell'ombra eterna.


Nota di Lunaria: vedi questa analisi al melograno tratta da



"Frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male: nella tradizione il frutto fu identificato con la mela, ma in Palestina era molto più diffuso il melograno che è un simbolo di fertilità e vitalità perché ricchissimo di semi."
Nota di Lunaria: e infatti simboleggia il grembo femminile per la sua capacità di dare la vita.
Infatti durante la meditazione femminile lunare si immagina un frutto carico di semi (anguria, melograno...) pensando a come la Luna contenga in sé, come dei semi, le fasi (crescente, piena, calante, fase oscura...) che si ripetono, all'infinito.
"Tu che sarai tutte le Lune Piene a venire, e ancora, e ancora, all'infinito... Rendimi come Te, fammi passare tutte le fasi, e ancora, e ancora... Rendimi benedetta."
La Luna Piena contiene dentro di sé tutte le sue fasi passate e tutte le fasi a venire del suo ciclo... esattamente come il melograno sferico contiene in sé tutti i semini che saranno futuri melograni...


Persefone, accompagnata da Hermes, salì sul carro d'oro di Ade, e attraverso i mari, i fiumi, le valli, le montagne, le nubi, pervenne dove dimorava Demetra la quale "scorgendo la figlia si slanciò simile a una menade sul monte ombroso di selve".
Fu lungo e felice l'abbraccio fra la madre e la figlia; poi, ad un tratto, temendo un inganno, la Dea chiese: "Figlia, mentre eri laggiù non hai forse mangiato qualcosa? Se tu non hai mangiato nulla potrai tornare con me nell'Olimpo, se invece hai mangiato qualche seme scenderai di nuovo nelle profondità della terra dove abiterai, ogni anno, per una stagione. Ogni volta che la terra si coprirà di fiori odorosi, multicolori, della primavera, allora, dalla tenebra densa tu sorgerai di nuovo, meraviglioso prodigio per gli Dei e per gli uomini mortali."
Persefone narrò a sua madre com'era stata rapita e com'era poi stata degnamente trattata nel regno di Ade; disse che aveva mangiato il seme di melograno
che volentieri sarebbe tornata, una stagione l'anno, nel regno dei morti, per rinascere eternamente, giovane e bella, a primavera, non nell'Olimpo, ma nella dolce terra.
L'allegoria è evidente: l'anima della terra si rigenera e nel ritmo delle stagioni, nel ciclo vitale della trasmutazione del seme in pianta, elabora un nuovo frutto, portatore di un nuovo frutto.
"Io stessa vi insegnerò il rito", aveva detto Demetra: e i Riti Eleusini, i più segreti e i più antichi di tutta l'Ellade, riproponevano questo mistero della fecondazione e della vita, che si manifesta nei 4 momenti di un ciclo perenne: l'impulso divino che penetra nella materia, la materia o la Madre Terra che accoglie questa forza, il seme divino che viene deposto nella tenebra terrestre: la pianta che dalla terra si protende verso il cielo.


Nota di Lunaria: per quanto riguarda i Misteri Eleusini, dedicati a Demetra, legati alla promessa del ritorno sulla terra, dopo una stagione nel regno dei morti, li rimando in un prossimo post.
Intanto anticipo che durante le Feste Eleusine si beveva il ciceone (kykeon), ovvero una bevanda rituale fatta con acqua, farina d'orzo e foglie di menta, autorizzata dalla stessa Demetra.


L'archetipo della Madre Terra (anche nella sua versione oscura, ctonia, terribile, legata alle profondità inaccessibili, come i crateri vulcanici) è presente anche in tutte le altre culture; vediamo le principali Dee:
1) Pachamama, la Dea inca della Terra, patrona dei vulcani e terremoti
2) Dewi Siri, la Dea indonesiana del riso; in Cambogia la Dea del riso è Po Ino Nogar.
3) Zemyna (Zemes Mate) è la Dea lituana della terra.
4) Erda, gigantessa, moglie di Odino, è la Dea della terra e della saggezza; alcuni però pensano sia figlia di Odino. è Madre di Thor.


Aggiungo anche l'approfondimento tratto da Duby



Io, gàia, màia, "Ah! Terra, buona madre!", il tempo di questa esclamazione, un coro tragico di donne riprende il fiato, e noi notiamo questo màia: piccola madre, buona madre, grande madre, talvolta e quando il termine indica una funzione nel mondo degli uomini, levatrice. Gea è tutto questo e anche molto di più. Quanto ai rapporti con gli umani, che cosa fare dell'adagio secondo cui nella riproduzione la donna imita la terra? Platone è l'inventore di questa formula, presto diventata tòpos e da allora ripetuta fino alla nausea. Ma, davanti alla Terra, tutti i punti di riferimento sembrano vacillare e gli storici delle religioni si trasformano in devoti di Gea. E la "Grande Dea" fa la sua apparizione come Terra-Madre Personificata. E le Terre-Madri si moltiplicano, universalmente presenti dall'Anatolia alla Grecia e dalla Grecia al Giappone passando per l'Africa profonda (e pure per il Pakistan e lo Yemen, nota di Lunaria). Senza dubbio si ammetterà che Gea simbolizza il femminile o è una metafora della madre-umana; ma alla prima occasione il luogo comune dell'imitazione riprende il sopravvento e di nuovo la donna, ridotta al suo utero, verrà dichiarata "immagine mortale della terra-madre". Sullo slancio, perché non identificare Demetra, scomposta in De-mèter (in cui l'elemento De sarebbe un doppione di Gè), con Terra la Madre? E senza preoccuparsi di quel passaggio di Euripide, in cui Gè è contemporaneamente associata a Demetra e distinta da lei, senza inquietarsi del fatto che, nell'"Inno omerico a Demetra" Gea assiste il rapitore contro la madre in lacrime, si postula l'identità di Terra con la madre di Persefone.
Dunque, c'è la Madre e ci sono le Madri, la Grande Dea e la Grande Dea Madre, per non parlare della Dea. Come raccapezzarsi nella selva dei nomi?


Questi sono alcuni dei punti che si possono mettere in rilievo:

1) La Madre rimanda indietro verso l'origine. Per trovarla sbocciata in tutta la sua onnipotenza, bisogna risalire al Neolitico, anzi al Paleolitico.
2) La Madre non ha limitato il suo territorio alla Grecia: essa è senza frontiere e lo spazio aperto alla ricerca della Dea è, si è visto, illimitato.
3) Dopo l'estensione, la condensazione: la Madre è metonimizzata attraverso l'utero, tutta intera è una parte di sé. Spingere indietro il più possibile i limiti del tempo o dello spazio per chiudere meglio la Dea nella sua mètra, luogo del materno nel corpo delle donne, è l'operazione alla quale sembra che non si possa sfuggire. Ma se la Dea è il tutto perché i suoi polloni non hanno bisogno di un Urano geloso per restare per sempre presi nelle profondità del corpo materno, tutto è in questo nascondiglio all'interno del grande contenitore femminile.
Perché il sogno è proprio questo: installare una Grande Dea alla testa del pantheon. Insieme Madre e Grande, superiore a tutti gli Dei. "In luogo e al posto di un dio", la dominanza di una Divinità Femminile. "She-God" che precede "He-God", per prendere questa espressione da Maria Moscovici, "Dio-la-Madre prima di dio padre"

Infine l'approfondimento tratto da 




DALLA GRANDE DEA MADRE AL DIO PADRE

Secondo Merlin Stone la destituzione della Grande Dea, iniziata dagli invasori indo-europei, si compì definitivamente con l'avvento delle religioni monoteiste. La divinità maschile assunse il posto preminente. Le divinità femminili che prima erano state frammentate, ciascuna delle quali mantenendo gli attributi che erano stati della Grande Madre, vennero soppresse (come anche il sacerdozio femminile).
La mitologa Jane Harrison osserva come la Dea che rappresenta la Grande Madre sia stata frammentata in un certo numero di Dee inferiori, a ciascuna delle quali furono riconosciuti gli attributi che una volta erano stati tutti riuniti nell'unica Dea: ad Era spettò il matrimonio, a Demetra l'agricoltura e i Misteri, ad Atena i serpenti, ad Afrodite le colombe, ad Artemide il ruolo di "Signora della Vita Selvaggia". Le Dee greche erano meno potenti della Grande Dea originaria e le loro funzioni più circoscritte. Ognuna aveva un proprio regno e un potere limitato a quel regno.

Merlin Stone osserva: "è lecito chiederci in quale misura la soppressione dei rituali femminili sia stata in realtà la soppressione dei diritti delle donne."
La mitologia patriarcale, che prima esaltava Zeus e gli eroi e ora "il dio unico", riflette lo scontro e l'assoggettamento di popoli le cui religioni erano fondate sulla Madre.
Marija Gimbutas chiamava "Vecchia Europa" la prima civiltà europea. Se risaliamo a 5000, forse addirittura 25000 anni fa, prima della comparsa delle religioni maschili, la Vecchia Europa era una cultura matrifocale di popolazioni pacifiche, legate alla terra e al mare, che adoravano la Grande Dea (Nota: infatti non sono state trovate immagini che raffigurino battaglie o uccisioni, ma statuette femminili disarmate)
Probabilmente questa società venne sottomessa dagli invasori indo-europei seminomadi, che usavano il cavallo, avevano una cultura patrifocale e adoravano divinità maschili del cielo e della guerra.

La Grande Dea era adorata con moltissimi nomi: Astarte, Ishtar, Inanna, Nut, Iside, Ashtoreth, Asherah, Hathor, Nina, Nammu ecc., e aveva caratteristiche simili ovunque. Rappresentava la forza vitale femminile, collegata alla natura e alla fertilità. Il serpente, la colomba, l'albero e la luna erano i suoi simboli sacri e li ritroviamo in diverse mitologie.
Non esisteva un "dio creatore", ma la Dea dava origine al figlio, che poi diventava il suo sposo. Questa ideologia è riscontrabile anche nel primigenio pantheon greco, dove Gea, la Dea Terra, partorisce Urano\Cielo e poi si unisce a lui generando altri figli.
Gli invasori indo-europei che riuscirono a sottomettere le popolazioni della Vecchia Europa mantennero in parte la Dea, facendola diventare "la consorte" dei loro Dei maschili e, in quanto "moglie", era sottomessa all'autorità del marito-dio che si appropriava dei tanti poteri che appartenevano originariamente alla Dea. La Dea venne anche "fratturata" in più divinità femminili minori. I miti vennero riscritti per "dare sostegno" al cambiamento sociale in corso: comparvero eroi che uccidevano serpenti (Apollo uccide Pitone), smembravano Dee (Marduk uccide la Dea Tiamat) o le stupravano (Zeus).
Ogni donna è il personaggio principale dell'intreccio rappresentato dalla storia della propria vita (...) Per imparare ad essere migliori protagoniste o eroine della loro storia personale occorre che facciano scelte consapevoli, scelte che daranno un'impronta precisa alla loro vita. Così come un tempo non si rendevano conto dei potenti effetti che gli stereotipi culturali esercitavano su di loro, oggi possono non aver coscienza delle potenti forze interne che le condizionano nelle azioni e nelle sensazioni.
Questi potenti modelli interni o archetipi sono responsabili delle principali differenze che distinguono le donne fra di loro. Alcune donne per sentirsi realizzate hanno bisogno dei ruoli tradizionali di moglie e madre, altre ricercano autonomia, altre ancora solitudine. Ciò che realizza un tipo di donna può non avere senso per un'altra, a seconda della Dea che agisce in lei.
Inoltre, in una stessa donna sono presenti più Dee, e più la personalità è complessa, maggiore è la probabilità che le Dee attive siano più di una e che ciò che soddisfa una parte di lei possa apparire insignificante a un'altra parte.
La conoscenza delle divinità femminili fornisce alla donna una chiave per la comprensione di sé e dei rapporti che stabilisce con uomini e donne, con genitori, amanti, figli. 

La prospettiva junghiana mi ha fatto capire che le donne sono influenzate da potenti forze interne o archetipi, che si possono vedere impersonati dalle divinità femminili greche. E la prospettiva femminile mi ha dato una comprensione di come forze esterne o stereotipi - vale a dire i ruoli ai quali la società si aspetta che le donne si conformino - rinforzino alcuni modelli di Dee e ne rimuovano altri. Vedo quindi la donna come un essere preso "tra due fuochi": un essere "agito" dall'interno, da archetipi di divinità femminili, e dall'esterno, da stereotipi culturali.
Una volta diventata consapevole delle forze che la influenzano, la donna conquista il potere che deriva dalla conoscenza. Le Dee sono forze potenti, invisibili, che modellano il comportamento e influenzano le emozioni. La conoscenza delle Dee che abitano le donne è una nuova terra di scoperta per approfondire la conoscenza della psicologia femminile.
Quando la donna sa quali Dee sono presenti in lei come forze dominanti, impara a conoscere la forza di certi istinti, le sue priorità e capacità, le possibilità di trovare il senso di sé attraverso scelte che altri possono non incoraggiare.
[...] Ogni donna ha in sé doni "profusi da una Dea" che deve conoscere e accettare con gratitudine. Ogni donna ha in sé anche difetti "profusi da una Dea" che deve riconoscere e superare per poter cambiare.   

Quando una donna "cambia marcia" e passa ad aspetti diversi di sé, ad esempio, può darsi che si stia spostando da un modello di Dea a un altro: in una certa situazione è un'Atena estroversa e razionale che presta attenzione ai dettagli; in un'altra, è un'Estia introversa custode del focolare; [...] la Dea dominante spiega come una funzione possa essere, paradossalmente, assai sviluppata e tuttavia inconscia.
Le divinità femminili che descriverò in questo libro sono le sei Dee dell'Olimpo: Estia, Demetra, Era, Artemide, Atena, Afrodite, con l'aggiunta di Persefone, inseparabile da Demetra.
Affinché la donna possa amare profondamente, lavorare in maniera significativa ed essere sensuale e creativa, occorre che nella sua vita trovino in qualche modo espressione le Dee di tutte e tre le categorie.
Il primo gruppo è quello delle Dee vergini: Artemide, Atena, Estia.
Artemide (Diana) era la Dea della caccia e della Luna. Era l'arciera dalla mira infallibile.
Atena (Minerva) era la Dea della saggezza e dei mestieri, stratega in battaglia.
Estia (Vesta), Dea del focolare, era presente nelle abitazioni e nei templi sotto la specie del fuoco del focolare.

Le Dee vergini rappresentano la qualità femminile dell'indipendenza e dell'autosufficienza. Come archetipi esprimono il bisogno di indipendenza della donna. Artemide e Atena rappresentano il concentrarsi sulla meta e il pensiero logico, Estia riguarda il centro spirituale.
Definisco Dee come Era, Demetra e Persefone "Dee vulnerabili".
Era, nota ai romani come Giunone, era la Dea del matrimonio, moglie di Zeus; Demetra (Cerere), era la Dea delle messi.
Persefone\Proserpina era sua figlia, chiamata anche Kore, "Fanciulla".
Queste Dee rappresentano i ruoli tradizionali di moglie, madre, figlia. La loro identità e il loro benessere dipendono dalla presenza, nella loro vita, di un rapporto con gli altri: sono sintonizzate sugli altri e perciò vulnerabili.
Vennero tutte violentate, rapite o umiliate da divinità maschili.
Queste Dee possono aiutare a capire la natura e la modalità delle reazioni alla perdita e la possibilità di crescita attraverso la sofferenza.

Afrodite\Venere, in quanto Dea alchemica è un caso a parte.
Era la più bella e irresistibile fra tutte le divinità femminili. Ebbe molti amori; da lei emanavano amore e bellezza, sensualità, vita nuova.
Stringeva relazioni di sua scelta e non fu mai vittimizzata.
In tal modo mantenne la sua autonomia, come le Dee vergini Atena-Artemide-Estia e visse i rapporti con gli altri come una Dea vulnerabile. Questo archetipo spinge la donna a cercare intensità e stabilità nei rapporti e a tenere in considerazione il processo creativo e il cambiamento.

Le Dee greche sono immagini di donne vissute nella fantasia umana che riproducono o rappresentano ciò che le donne sono; ciascuna ha tratti positivi quanto potenzialmente negativi.
Si possono anche considerare come una metafora dei vari aspetti dei conflitti interni di donne complesse; in ogni donna sono potenzialmente presenti tutte le Dee; quando nella psiche molte di loro sono in competizione per il predominio, la donna deve decidere quale aspetto di sé esprimere e quando.

Come noi, anche le Dee greche vivevano in una società patriarcale e spesso erano deboli di fronte a divinità maschili che potevano negare loro quanto desideravano e sopraffarle.
Le divinità femminili greche rappresentano modelli che rispecchiano la vita propria di una cultura patriarcale.

Nell'antica Grecia le donne sapevano che la loro mansione o posizione nella vita le poneva sotto il dominio di una particolare Dea: le tessitrici avevano come patrona Atena, le adolescenti Artemide, le donne sposate Era. Le Dee erano esseri potenti cui si rendeva omaggio con rituali e offerte.
Oggi le divinità femminili persistono come archetipi: tutte le Dee sono modelli potenziali nella psiche della donna ma ne vengono attivati, potenziati o sviluppati solo alcuni.
Gli archetipi possono essere paragonati ad "impronte genetiche"; allo stesso modo, quale Dea o Dee siano attivate in una certa donna, in un dato momento, dipende da vari elementi che interagiscono tra loro: predisposizione, famiglia, cultura, circostanze fortuite.

L'effetto della cultura sulle divinità femminili
Quali sono le Dee che la cultura sostiene attraverso i ruoli che consente alle donne?
Nelle società patriarcali i ruoli accettabili sono quelli della fanciulla (Persefone), della moglie (Era) o della madre (Demetra). Afrodite viene condannata come "prostituta tentatrice" per via di una svalutazione della sensualità di questo archetipo.
Un'Era sicura di sé e collerica viene definita "bisbetica".
In alcune culture si nega alla donna l'indipendenza, l'intelligenza e la sessualità cosicché qualsiasi segno della presenza di Artemide, Atena, Afrodite viene soffocato.


INVOCAZIONE ALLE DEE

Molti Inni Omerici erano invocazioni; un inno serviva a creare nella mente dell'ascoltatore l'immagine di una Dea ben precisa;
la Dea era invitata ad essere presente, ad entrare in casa.
Le donne potrebbero rendersi conto che un archetipo delle Dee, che potrebbe essere molto utile, non è ancora sviluppato o manca del tutto. è possibile "invocare" quella Dea-archetipo, facendo uno sforzo cosciente per vederne, sentirne o avvertirne la presenza (nota: si può fare questa cosa anche con Dee di altri pantheon, per esempio quello indù) per metterla a fuoco attraverso l'immaginazione e quindi "assorbire" la forza di cui è portatrice.

Questi sono alcuni esempi:
Atena, aiutami a pensare chiaramente in questa situazione.
Persefone, aiutami ad essere aperta e ricettiva.
Era, aiutami ad impegnarmi in un rapporto e ad essere fedele.
Demetra, insegnami ad essere paziente e generosa, ad essere una buona madre.
Artemide, aiutami a concentrarmi su quel progetto.
Afrodite, aiutami ad amare e a gioire del mio corpo.
Estia, onorami della tua presenza, portami pace e serenità.

La donna attraversa molte fasi nella vita, ognuna delle quali può essere dominata da una o più Dee; se si ricordano i momenti della propria vita passata, spesso si riesce a vedere quali sono state le Dee più importanti che facevano sentire il loro influsso in quel periodo della nostra vita.
Da giovani, per esempio, è facile subire l'archetipo-Artemide, perché ci si concentra sugli studi. Con la mezza età tra i 35 e i 45 anni vengono introdotti altri archetipi e quelli che dominavano la nostra adolescenza perdono intensità.


LE DEE VERGINI: ARTEMIDE, ATENA, ESTIA

Le tre Dee vergini della mitologia greca sono Artemide, Dea della caccia e della luna, Atena, Dea della saggezza e dei mestieri, Estia Dea del focolare, che personificano gli aspetti di indipendenza, attività e non-rapporto della psicologia della donna.
Artemide ed Atena sono orientate verso l'esterno e la realizzazione, mentre Estia è rivolta all'interno.
Tutte e tre simboleggiano delle spinte a sviluppare i propri talenti ed interessi, a esprimere se stesse in modo chiaro, a mettere ordine. Una donna che desidera "una stanza per sé", che vuole scoprire come funziona una cosa, che si immerge nella natura, o che vuole stare da sola manifesta un'affinità con queste Dee.
L'aspetto della Dea vergine rappresenta quella parte della donna che non ha bisogno di un uomo o della sua approvazione, che esiste per se stessa. Il termine "vergine" infatti non si riferisce al non avere una vita sessuale, ma a non farsi manipolare e consumare dall'altro.

Una donna che viva secondo l'archetipo della Dea vergine fa quello che fa non per piacere all'altro, per essere approvata o per catturare l'interesse dell'altro, ma fa quello che fa perché lo sente vero. Può dover dire "no" quando sarebbe più facile "dire sì" e non è influenzata dalle considerazioni che inducono le altre donne ad orientare le scelte in base alla convenienza.
Se la donna è "una in se stessa" sarà motivata dal bisogno di seguire i propri valori, di fare ciò che per lei ha senso, a prescindere da ciò che pensano gli altri; è la donna non manipolata dalle aspettative sociali e culturali collettive di matrice maschilista e patriarcale.
L'aspetto della Dea vergine è pura essenza di ciò che la donna è, un aspetto che rimane intatto e incontaminato perché lei non lo altera per adeguarsi ai modelli maschili e lo custodisce sacro e inviolato.
Quando una donna riesce a concentrarsi sulla soluzione di un problema o sulla realizzazione di un progetto, senza prestare attenzione ad altro, possiede una capacità di concentrazione cosciente che porta alla realizzazione.
Danielle Steel, autrice di 17 romanzi, è un esempio di questa coscienza concentrata: scriveva 20 ore al giorno e dormiva dalle due alle quattro ore per notte, fino a che non terminava il romanzo.
Un altro esempio di donna-Dea vergine è stata l'aviatrice Amelia Earhart, che decise di volare dove nessun pilota si era mai spinto prima; anche poetesse, pittrici, musiciste, appartengono a questo archetipo; anche gruppi femminili e gruppi dove si svolgono lavori femminili sono espressioni dell'archetipo della Dea Vergine.

Nota: si approfondisca questo genere di riflessione con gli scritti di Carla Lonzi, specialmente quando Carla faceva notare che la cultura patriarcale per sua natura è colonizzatrice della mente femminile.
Le donne che seguono le proprie inclinazioni diventano campionesse, scienziate, dirigenti di industria oppure si dedicano alla spiritualità; per poter sviluppare i loro talenti e dedicarsi in modo esclusivo alla realizzazione di quanto hanno in mente le donne dell'archetipo Dea-vergine evitano i ruoli femminili tradizionali e arrivando anche ad isolarsi, separandosi come fece Artemide, che si ritirò nei boschi con le sue ninfe, oppure "si mascolizzano" come Atena, identificandosi con loro; infine, Estia si appartò, ritirandosi in se stessa e restando sola.
Gli aspetti negativi di questi archetipi sono l'essere escluse, non importarsi di nessuno e ignorare un'intimità emotiva.


DEMETRA: DEA DELLE MESSI, NUTRICE E MADRE

Demetra, Dea delle messi, presiedeva all'abbondanza dei raccolti. I romani la chiamavano Cerere, da cui deriva la parola "cereale".
Nell'"Inno a Demetra" viene descritta come "quella temibile Dea dagli splendidi capelli e dalla spada d'oro" (probabilmente si allude al covone di grano). Veniva raffigurata come una bellissima donna dai capelli d'oro, vestita di blu e come una figura matronale seduta.
Parte del nome Demetra, "Meter", sembra significare "Madre", ma non è chiaro a cosa si riferisca il "De" o il più antico "Da".
Era una Dea Madre, madre delle messi e della fanciulla Persefone (la romana Proserpina)
Demetra era la secondogenita di Rea e Crono, e la seconda ad essere divorata dal padre.
Fu la quarta consorte regale di Zeus, che le era pure fratello, precedendo Era che fu la settima ed ultima. Dall'unione di Zeus e Demetra nacque Persefone.
La storia di Demetra e Persefone si incentra sulla relazione di Demetra al rapimento di Persefone da parte di suo fratello Ade, Dio degli inferi.
Il mito di Demetra e di Persefone divenne il fondamento dei Misteri Eleusini, che per più di 2000 anni furono i più sacri e i più importanti rituali religiosi dell'antica Grecia.


PERSEFONE



LA DISCESA DI PERSEFONE

L'antico mito di Persefone e della sua discesa negli inferi era il primo e ultimo specchio del viaggio della mia anima, il significato della mia ricerca, il disegno del mio destino. Rivedevo me stessa nell'invisibilità di Persefone. Anch'io ero stata rapita dal potere maschile di ricchezza e dominio, di morte e incorporeità. Avevo cercato di soddisfare le aspettative del mondo, incapace di trovare la mia voce che si era ridotta a un debole sussurro di disperazione. Ero un'ombra, inconsistente e vulnerabile a causa della mia gioventù e della mia inesperienza, perduta in un mondo ostile. Attorno a me, si accesero centinaia di scintille quando mi resi conto che quell'antico mito non era solo la mia storia: era la storia di tutte le donne. E poteva parlare anche agli uomini, perché se non avessero trovato un equilibrio con la loro parte femminile, sarebbero rimasti i sovrani feriti e impotenti di una terra desolata. Quel mito rappresentava la storia della nostra epoca, della nostra cultura. Tutte noi eravamo state rapite e, privo del nostro contributo divinamente femminile, il mondo era diventato sterile, una terra desolata in cui tutti i suoi figli ora affrontavano l'inverno dell'estinzione. Anche se separate dalla Madre Terra, dal divino che vive in noi, dai poteri di creare cultura e vita, le donne hanno raffinato l'arte di una straordinaria purezza spirituale. Nutriamo la vita davanti alla morte, comprendiamo la saggezza dei sogni e ci occupiamo della fiamma eterna del cuore compassionevole. Utilizziamo il dono della Dea che molti chiamano "intuito femminile". Cambiamo forma e sopravviviamo tra le rovine dei templi, arrivando addirittura a dimenticare i nostri veri nomi, ma ricordando sempre la promessa dell'amore. Per gran parte della storia documentata i potenti hanno governato, gli uomini sono andati in guerra, le economie sono fiorite e morte, i giornalisti ne hanno scritto e gli artisti hanno reagito; e in tutto questo, le donne sono sempre state imprigionate in torri inaccessibili, nascoste dietro veli neri, perseguitate dalla religione e da un'infinita serie di veti sociali; è stato negato loro il diritto di votare, lavorare, viaggiare liberamente, possedere proprietà, predicare da un pulpito, parlare della saggezza dei loro cuori. Fino a poco tempo fa, i sogni delle donne non sono mai stati raccontati o pubblicati. Eppure, sebbene invisibili e impotenti come Persefone, hanno coltivato i misteri della rinascita dell'anima. E come Persefone, stanno risorgendo, non come sporadiche eccezioni ma come comunità globale per reclamare il loro ruolo giusto, equo e vitale di creatrici di cultura. Per migliaia di anni, la storia archetipica della discesa eroica nel regno delle ombre, il confronto con la paura, con la morte e con la devastazione e la rinascita, attraverso l'uso divino delle nostre risorse interiori e degli strumenti sacri di guarigione, è stata raccontata mediante le vite di molti uomini: mosè, buddha, gesù, maometto e altri. Secondo queste versioni della storia, la conclusione per le donne è sempre la stessa: gli uomini devono spingersi oltre per incontrare il divino [rivisto come maschile. Nota di Lunaria], e le donne devono rimanere a casa o nel migliore dei casi, seguirli restando sempre in secondo piano [è il caso di "sante o filosofe" come Caterina da Siena, Simone Weil, Edith Stein, che non andavano contro il patriarcato, anzi legittimavano un discorso di redentore maschio e di dio padre]. Tuttavia, nelle sue prime versioni, precedenti alle varie riscritture in chiave maschile, quella era la storia della discesa della Dea negli inferi. E la Dea, nelle versioni più antiche, non viene rapita ma scende volontariamente per affrontare e trasformare il mistero della morte in rinascita. (Nota: come Ishtar https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/ishtar.html)
La Dea ci ha teso la mano ed evocandola possiamo ricordare chi siamo e perché siamo qui. In questo periodo di profonda crisi, alla fine del millennio, alla fine delle grandi epoche patriarcali si sta verificando un cambiamento a livello quantistico Questo è il momento della rinascita, del ritorno dagli inferi. Non è più sufficiente credere nel viaggio di qualcun altro o accettare passivamente l'interpretazione di prelati e psicopompi. Le loro storie non possono sostituire la nostra ricerca. Devono invece ispirarla, perché sarà cambiata, finché l'umanità non si sarà risvegliata e non avrà compreso la sua eredità divina. Nello specchio di questo antico racconto, mi resi conto della magia più grande: siamo tutti parte della coscienza di un universo divino e vivente, che cerca di capire se stesso. Insieme, con questa ricerca miracolosa, restituiremo al mondo i doni meravigliosi della compassione, dell'amore e del rispetto per la vita in tutte le sue forme. E allora, la terra desolata fiorirà e tornerà ad essere un paradiso. Questo è un viaggio compiuto dalle donne, ma gli uomini dovranno accompagnarle perché solo insieme potremo incarnare il mistero della rinascita. E quella che era una parte del mio viaggio che dovevo ancora compiere.


IL RATTO DI PERSEFONE

Persefone stava cogliendo fiori su un prato con le sue amiche, quando il suolo si aprì improvvisamente davanti a lei: emerse Ade che l'afferrò e sprofondò nuovamente nella voragine. Demetra udì l'eco delle grida di Persefone e corse a cercare la figlia. Dopo dieci giorni di ricerca, Demetra incontrò Ecate, che le suggerì di recarsi da Elio, il dio del sole; Elio le disse che Ade aveva rapito Persefone e l'aveva portata nel mondo sotterraneo per farla diventare la sua sposa. Consigliò a Demetra di accettare l'accaduto. Ma Demetra oltre al dolore, sentiva anche l'oltraggio; abbandonò l'Olimpo, si travestì da vecchia e andò in giro vagando. Un giorno giunse ad Eleusi, si sedette accanto al pozzo e conobbe le figlie di Celeo, reggente della città. Quando Demetra disse che cercava qualcuno a cui far da nutrice, la accompagnarono a casa della madre, perché avevano un fratellino di nome Demofonte.
Demofonte crebbe come un dio: Demetra lo nutriva di ambrosia e lo esponeva a un fuoco che lo avrebbe reso immortale, se Metanira, la madre di Demofonte, non lo avesse scoperto, gridando di paura. Demetra si infuriò, rimproverò la donna e le rivelò la sua vera identità, trasformandosi.
Ordinò quindi l'edificazione di un tempio, vi si sedette e rifiutò di compiere la propria funzione di Dea delle messi: niente poteva più crescere e nascere. Arrivò la carestia. Alla fine Zeus se ne accorse, e dopo vari tentativi di convincerla, mandò Ermes, messaggero degli Dei, da Ade ordinandogli di restituire Persefone. La fanciulla sedeva in trono, profondamente triste. Si rallegrò di essere nuovamente libera, ma prima che Persefone se ne andasse, Ade le fece mangiare alcuni semi di melograno.
Quando Demetra rivide la figlia, abbracciandola, le chiese se avesse per caso mangiato qualcosa nel mondo degli Inferi. Poiché aveva mangiato i semi del melograno, avrebbe trascorso due terzi dell'anno con Demetra e la rimanente parte nel mondo sotterraneo con Ade.
Demetra restituì la fertilità alla terra; quindi istituì i Misteri Eleusini.


L'ARCHETIPO DEMETRA

Demetra è l'archetipo della madre. Rappresenta l'istinto materno che si realizza nella gravidanza e nel dare nutrimento fisico, psicologico e spirituale. Una donna di questo tipo può soffrire enormemente se il suo bisogno di essere nutrice viene rifiutato o ostacolato.
Quando Demetra è l'archetipo predominante nella psiche di una donna, la maternità è il ruolo più importante nella sua vita.
L'archetipo Demetra spinge la donna a curare ed accudire gli altri; può trovare espressione in professioni come l'insegnamento, la cura dei malati; l'archetipo non si limita solo alla maternità fisica.

Dar da mangiare agli altri è fonte di appagamento per la donna-Demetra; le piace preparare grandi pranzi. Demetra, nella sua funzione di Dea delle messi, aveva insegnato all'umanità a coltivare i campi ed era responsabile dell'abbondanza dei raccolti.
Un altro attributo di Demetra è la perseveranza di madre, che rifiuta di darsi per vinta quando è in gioco il benessere dei figli. Un esempio, sono le madri argentine dei desaparecidos, che rifiutarono di rassegnarsi alla perdita dei figli, rapiti dal regime, e continuarono a protestare contro la dittatura.

Demetra era la più generosa delle Dee greche. Diede all'umanità l'agricoltura e i raccolti. Queste qualità di generosità si ritrovano nelle donne-Demetra.
Demetra era figlia di Rea, e Gea, la Madre Terra, era sua nonna. Come Dea delle messi, Demetra prosegue il lignaggio delle Dee femminili preposte alla fertilità.

Quando l'archetipo Demetra è una forza potente che la donna non riesce a soddisfare, può accadere che soffra della tipica depressione da "nido vuoto" e del senso di inutilità.
Può succedere che la donna sia sterile, che il figlio muoia o lasci la casa.
Non avendo altre realizzazioni personali, perdendo il ruolo materno, queste donne perdono il senso della vita. (Nota: problema che è stato affrontato anche da Betty Friedan)
Una donna di questo tipo diventa una "Demetra dolente". Quando la Dea dolente interruppe le sue funzioni, non cresceva più nulla e la carestia minacciava l'umanità. Allo stesso modo l'aspetto distruttivo della donna-Demetra si esprime nel rifiuto di fornire ciò che prima offriva all'altro.


APPROFONDIMENTO

La Dea Terra Madre in Africa e America, tratto da


Un grande primitivo Essere Supremo Femminile non può che concepirsi in funzione del suo fondamentale carattere: la maternità inesauribilmente feconda, la sacra maternità della Terra con cui l'Essere Supremo si identifica. Il vasto grembo di Gaia è il suo grembo: in esso si celebra senza sosta il mistero delle generazioni infinite.
Studiando gli Esseri Supremi del Continente Africano il Petazzoni ha dato un giusto rilievo ad alcune epifanie femminili degli Esseri stessi. Una delle più notevoli è quella di Nzambi, che nel bacino del Congo e precisamente nel Gabon, lungo la costa di Loango, sta a significare la Terra, assunta - come principio femminino fondamentale - al grado di Essere Supremo. Le sta vicino un essere celeste determinato nella forma di Nzambi Mpungu. Si tratta di un culto indigeno della Terra Madre esistito in una vasta plaga lungo la succitata costa occidentale d'Africa, di carattere misterioso, praticata specialmente dalle donne, e che anche sul corso dell'Ogovè è oggetto di somma venerazione da parte di associazioni cultuali femminili con esclusione di maschi.
(Nota di Lunaria: in realtà che ai primordi esistesse un vero e proprio matriarcato in Africa è un'ipotesi sostenuta in diversi libri: tanto per iniziare, c'è un mito africano che parla di quando le donne persero il potere e poi, se analizziamo le due Dee più famose - Mami Wata e Oya - notiamo che sono due manifestazioni potenti e da "leader" del femminile; la bambolina della fecondità e della prosperità nota come Ashanti ha forme femminili come a lasciar intendere che sia dalla donna che dipende la vita e non "dallo spermatico maschio" - anche se esiste un culto di venerazione del Fallo - idea che comunque è stata assunta prima dai Greci e poi dall'Europa cristiana)
Nulla si oppone ad una diagnosi di culto primitivo (niente di più primitivo del culto della Madre Terra) affermatosi probabilmente ad una comunità di tipo matrilineare, dove l'esercizio di culto sia privato che pubblico era affidato essenzialmente alle donne.
Analoghe osservazioni sono da fare relativamente al culto della Terra Madre presso gli Yoruba e gli Ibo stanziate ad occidente e ad oriente del basso Niger (...) Odudua, la Grande Dea della Terra e il suo paredro Obatala. Anche nei Baganda prevaleva un ordinamento matrilineare (...) Ma non è chiaro qui l'influsso prepotente della nuova società patriarcale che ha capovolto la situazione primitiva.
Prima di chiudere queste sommarie osservazioni sugli Esseri Supremi del mondo africano, desidero richiamarmi ancora a un mito delle origini raccolto nell'Etiopia occidentale e precisamente nel Caffa, fra le popolazioni dei Mangio in cui l'Essere Supremo appare sotto l'aspetto della Terra Madre, gravida all'inizio di tre creature umane, dalle quali si dipartono tre diverse stirpi.
Concezioni di Terra Madre/matrilinearità li si ritrova anche negli Indiani Pawnee: il primitivo assetto matrilineare testimoniato, che lasciò tracce nelle tradizioni tribali, la precedenza della creazione data alla donna sull'uomo, il ricordo di un primitivo dominio delle donne quali capitribù, il posto privilegiato dato alle donne come lavoratrici della terra, custodi delle sementi, guardiane dei sacri fasci, la venerazione dei venti e degli astri subordinata alla fondamentale importanza della cultura del mais, il che significa predominio della divinità della Terra nel cui grembo si compiva il mistero della spiga, infine il mito delle relazioni poliandriche della Terra Madre con le quattro divinità dei venti che colloca bene la Terra al centro di un primitivo sistema religioso in rispondenza probabilmente con un primitivo assetto sociale.
Presso i Sia, come presso i Pueblos del Nuovo Messico e Arizona, vige il matriarcato. Anche se l'Essere Supremo è concepito come ragno, egli dà alla luce due donne, progenitrici del genere umano, una delle stirpi indiane, l'altra dei rimanenti popoli.
(Nota di Lunaria: Un altro elemento è sicuramente il mito di Arachne, e anche qui, il ragno sarebbe stato originariamente una donna, per di più, trasformato come tale da una Dea, quindi più che parlare di dio Ragno, qui sarebbe più corretto parlare di Dea Ragno, a mio avviso)
Ma la Dea Madre o comunque l'atto del generare non dipende da un solo utero: gli Zuni del Nuovo Messico (tribù affine ai Sia) credono in una Dea con quattro uteri, i Babilonesi ne avevano una con sette uteri e sette mammelle (la Dea Nisaba). Tra i Guarani dimoranti nella parte meridionale del Mato Grosso, il primo uomo nacque da un capello della Madre Primordiale, la Madre Terra, raffigurata in una grotta nelle fattezze di un pipistrello.
Nel mito australiano Arunta il sole emerge dalla terra sotto l'aspetto di uno spirito-donna in un punto ancora oggi segnato da una grande pietra.

APPROFONDIMENTO:

Info tratte da


Le grandi Dee dell'Olimpo rappresentano scissioni della figura femminile e condannano la donna ad assumere una maschera e recitare un ruolo fisso e immutabile.
Chiarirò in seguito come ognuna delle grande Dee rappresenti un solo aspetto di quell'identità femminile di cui Simone de Beauvoir ha tracciato il faticoso percorso e che oggi viene rivendicata dalla donna come l'indispensabile integrazione che le permette di essere Persona.


LA METAFORA DELL'IDENTITà FEMMINILE: IL MITO DI PERSEFONE

L'identità femminile più arcaica è legata alla maternità, alla possibilità biologica della donna di creare una vita dentro di sé, di farla crescere e di farla nascere.
I miti relativi alla Dea Madre quale creatrice dell'universo, che risalgono al periodo della non conoscenza della paternità biologica dell'uomo, si possono anche interpretare constatando che un "passaggio dello stadio matriarcale allo stadio patriarcale sopraggiunge in ogni vita individuale"
La prima tappa dell'ontogenesi è comunque per tutti legata alla figura materna.

La Dea Madre era dispensatrice di vita e di morte, libera di vincoli matrimoniali, capace di riconoscere il proprio bisogno di piacere, capace di prendere questo piacere senza sentimenti di colpa.
Così nel mito; e tuttavia è proprio il destino biologico della maternità quello che, non potendo contare la donna sull'onnipotenza della Dea Madre la quale non aveva certamente bisogno di lavorare per sopravvivere, l'ha resa soggetta all'uomo.
Non accettando un'identità femminile legata soltanto alla maternità ma ritenendo la femminilità una "condizione estremamente variegata, improntata ad una diversità di rappresentazioni, di immagini, di percezioni sia interne che esterne" e non volendo etichettare la donna secondo un ruolo fisso e immutabile, ho scelto quale paradigma dell'identità femminile il mito di Persefone.
Ho già detto come il triplice aspetto di Demetra, Persefone ed Ecate rappresenti per Jung una "personalità sopradeterminata", di cui ognuna delle tre figure costituisce un aspetto: la Madre, la Fanciulla, la Regina del Regno delle Ombre.
Non va dimenticato che l'evirazione di Urano avviene per mezzo di un falcetto che Rea trae dalle sue viscere. La falce, a sua volta, nel mito è il simbolo della Luna ed è considerata la faccia oscura e terribile della Grande Madre.
Come sposa di Ade, Ecate è preposta a tutte le potenze della morte. Le tre figure simbolizzano quindi il percorso che ogni essere umano deve compiere e in cui Demetra ed Ecate rappresentano entrambe l'Inverno: l'inizio e fine della vita, tutto quello che è conosciuto e tutto quello che è ignoto, che non è soltanto la morte, ma il "lato oscuro dell'anima umana".
Persefone a sua volta rappresenterebbe un equilibrio tra le due facce della Madre.

Nella prima parte del mito, Demetra e Persefone sono l'una lo specchio dell'altra ed è la Figlia che dà alla Madre la sua identità, ma la simbiosi non può essere considerata positiva; la figlia deve essere separata dalla madre per poter crescere, e questo avviene con l'aiuto di Gea che rappresenta la faccia positiva materna, la quale non soltanto deve favorire il distacco, ma permette l'identificazione con lei. è Gea infatti che aiuta Ade nel ratto di Persefone, ma è sempre Gea che, intercedendo presso Demetra, ottiene che la venga restituita la figlia e che questa possa identificarsi con la madre: soltanto a questo punto la terra ritorna ad essere fertile chiudendo e riaprendo così il ciclo della vita.
Nei misteri eleusini le Dee venerate erano due, la madre e la figlia, considerate tuttavia come un'unità e legate da un vincolo di affetto simile a quello di una coppia di amanti, un legame simbiotico. Vedremo come il distacco della Madre rappresenti una tappa fondamentale nella vita di una donna.
La figura di Persefone che i reperti archeologici ci hanno trasmessa tiene in mano una spiga, e dal chicco di grano, seminato nella terra, ne nascerà una nuova, che verrà tagliata, al culmine dell'estate, perché il ciclo ricominci.
Nel simbolo dunque sono racchiusi il passato, il presente e l'avvenire, nel senso della continuità della specie che la donna assicura.
Sono queste le ragioni che fanno ritenere Demetra-Persefone-Ecate una sola persona, quella persona predeterminata che fa dire a Jung:
"Ogni madre contiene in sé la propria figlia e ogni figlia la propria madre, ma ogni donna si amplia in una direzione nella madre, nell'altra nella figlia"

L'identità della donna tuttavia non è legata soltanto al rapporto con la madre ma appare strettamente legata al suo corpo e alle fasi che questo attraversa.
I cambiamenti del corpo e le ferite che su di esso possono essere inferte e colpire gli organi più squisitamente legati all'identità femminile dovranno assicurare non soltanto la capacità di dare una risposta adeguata a questi cambiamenti che, soprattutto quando comportano mutilazioni, sono vissuti come frustrazioni, ma quella di saper ristrutturare in maniera positiva il proprio Sé.
Come nel mito dell'Araba Fenice, l'uccello dalle penne di porpora e d'oro che moriva tra le fiamme, e subito dopo, risorgeva, la donna dovrà essere capace, se questo le succede, di bruciare "quella che era" e risorgere, totalmente rinnovata. Anche per questa ragione il mito di Persefone si presta a rispecchiare il percorso dell'identità femminile, tipico della civiltà mediterranea in cui si è sviluppato e che questo possa essere paragonato, proprio a causa dei radicali cambiamenti che lo caratterizzano, al ciclo delle quattro stagioni.

Persefone nasce dal rapporto tra Zeus e sua sorella Demetra, la Dea Madre "libera dal legame matrimoniale". Essa viene descritta come una fanciulla "dal volto di bocciolo", come una "splendida meraviglia" di cui si innamorò Ade, fratello di Zeus e sovrano del Tartaro.
Ade, con il consenso di Zeus e la complicità di Gea che aveva fatto spuntare nel prato dove Persefone coglieva i fiori un bellissimo narciso, aprì una voragine nel campo e rapì Persefone, portandola con il suo carro, tirato da cavalli immortali, nel regno dell'oscurità, "senza minimamente curarsi del suo disperato pianto."

Demetra cercò la figlia per "nove giorni e nove notti, senza mangiare né bere e invocando disperatamente il suo nome".
Il decimo giorno riuscì ad ottenere da Trittolemo, che a sua volta l'aveva udito dal fratello, il racconto del rapimento della figlia e a costringere Elio ad ammettere che Ade si era macchiato di quell'ignobile ratto, probabilmente con la connivenza di Zeus. Demetra era così furibonda che, invece di risalire all'Olimpo, continuò a vagare sulla terra impedendo agli alberi di produrre frutti e alle erbe di crescere, minacciando di lasciare per sempre la terra sterile se la figlia non le fosse stata restituita.
Zeus fu costretto a mediare tra Ade e Demetra, pregando il primo di restituire la figlia alla madre e promettendo alla seconda la restituzione di Persefone "purché essa non abbia ancora assaggiato il cibo dei morti."
Ma Persefone aveva ingoiato alcuni chicchi di una melagrana cresciuta nella terra degli Inferi.
è la figura paterna, rappresentata da Zeus, quella che di fronte alle reiterate minacce di Demetra, è costretta ad intervenire.
Fu così deciso che Persefone avrebbe trascorso tre mesi come sposa di Ade e regina degli Inferi e i restanti nove mesi sulla terra. Scese a quel punto sulla terra Gea, Madre di tutti gli Dei, pregò Demetra di permettere che il frumento, donatore di vita, crescesse di nuovo. Demetra obbedì e lasciò che spuntasse il frutto nei campi pieni di zolle. L'ampia terra si coprì di una pesante massa di erbe e di fiori.

Nel mito vi sono molti simboli, tra cui quello già sottolineato della necessaria separazione dalla madre per raggiungere lo stadio di donna adulta, di cui il melograno rosso può rappresentare sia l'evento mestruale che il sangue della deflorazione. Sono la mestruazione e la deflorazione che permettono alla figlia femmina l'identificazione positiva con la Madre-Creatrice-di-Vita e con la Madre-Compagna-di-un-uomo.
La separazione da un rapporto simbiotico con la Madre-Castrante-Divoratrice, quale quello di Demetra con Persefone, può attuarsi solo per intervento sia del padre Zeus - anche se nel mito avviene con l'inganno - sia per quello della parte positiva della madre, la quale sollecita il distacco da sé, offrendo alla fanciulla un narciso.
Il distacco dalla madre può avvenire attraverso il passaggio dall'appoggio alla linea narcisistica, permettendo la soddisfazione del bisogno di autonomia, indispensabile per il raggiungimento della maturità psicologica.
Il narciso, che Persefone si china a raccogliere, rappresenta quindi l'aiuto che le viene dato per superare il conflitto dipendenza-autonomia, che deve essere considerato uno dei momenti più critici dello sviluppo psicosessuale.

Demetra ed Ecate rappresentano le due face della Madre e sono simboli dell'Inverno. Noi consideriamo l'Inverno il tempo della vecchiaia, il preludio della morte; ma se ci riferiamo al mito e riflettiamo su di esso, scopriamo che l'Inverno rappresenta, in un ciclo che continua, anche il periodo in cui il seme, piantato nella terra, protetto dalla terra, si prepara a sbocciare.
Volendo paragonare il ciclo vitale della donna a quello delle nostre stagioni, mi sembra giusto considerare l'Inverno prima di tutto l'infanzia della vita, il tempo in cui la simbiosi con la Madre e la capacità del Padre di dare al figlio il necessario nutrimento materiale e psicologico permetteranno nel proseguire del tempo all'individuo di "fiorire e fruttificare".
L'Inverno è adatto a rappresentare tanto l'Infanzia quanto la Vecchiaia:

"è un grosso errore supporre che il significato della vita si esaurisca con la giovinezza e con la fase di espansione, che una donna per esempio sia finita quando sopraggiunge la menopausa. Il meriggio della vita umana è ricco di significati quanto il mattino; ma sono significati e prospettive completamente diversi" (Jung)