In generale, tutta la mitologia norrena escatologica è impregnata di concezioni lugubri e maestose, che corrispondevano alla bellicosa esistenza delle tribù barbare. Le tribù erano rette da un'aristocrazia militare, la cui visione del mondo si rifletteva appunto in questa mitologia, alla quale si intrecciò anche un filone più luminoso: il culto contadino, legato all'agricoltura, delle divinità della fertilità.
Fra gli altri personaggi mitologici dell'Edda si distinguono le Norne, le Dee del destino, cioè le sorelle Urdh (il passato), Verdhandi (il presente) e Skuld (il futuro), il frassino Yggdrasil, albero del mondo, (1) il destriero di Odino, il cavallo a otto zampe Sleipnir, nonché attributi sacri di Dei ed eroi, vale a dire oggetti dotati di proprio nome quali il martello di Thor (Molnir\Mjolnir) o la spada di Sigurdh (Gram)
(1) OVVIAMENTE SCOPIAZZATI DAL CRISTIANESIMO
SACERDOTI E SIBILLE
Giulio Cesare, che li aveva combattuti, giudicava che la più importante differenza tra Germani e Celti consistesse proprio nel fatto che i Germani "non hanno druidi incaricati di organizzare i riti del servizio divino e non sono particolarmente zelanti nell'offerta di sacrifici" ("De bello gallico", VI, 21)
Lo stesso Cesare ci informa su una consuetudine straordinariamente interessante e profondamente arcaica dei germani (svevi) in base alla quale la divinazione e l'accertamento della volontà degli Dei, anche nelle questioni militari, erano affidati a vecchie matrone (matres familiae); testimonianza di quanto fossero tenaci tra i Germani dell'epoca le sopravvivenze del matriarcato.
Lo scontro con i romani accelerò il processo di disgregazione dell'ordinamento gentilizio-comunitario in atto tra i germani. Appena un secolo e mezzo dopo Cesare, Tacito informa sulla situazione molto influente dei sacerdoti germanici, i quali godevano di autorità molto maggiore che non i re o i capi tribali (reges) e i comandanti militari (duces). La giustizia era nelle mani dei sacerdoti, i quali, parlando in nome degli Dei, potevano condannare a morte e ad altre pene (Tacito, Germania, VII); avevano inoltre la direzione delle assemblee tribali. Era naturalmente nelle mani dei sacerdoti anche tutto ciò che riguardava il culto, le offerte di sacrifici e le divinazioni. Purtroppo nessuno degli scrittori antichi ci informa in che modo e da quali strati sociali venisse reclutato questo gruppo dirigente sacerdotale.
Secondo quanto riferisce Ammiano Marcellino, nella tribù dei Burgundi, il sacerdote supremo era inamovibile, restava cioè in carica per tutta la vita, né era lecito procedere contro di lui per le sue azioni, mentre il re era responsabile di fronte alla tribù non soltanto per gli insuccessi militari, ma anche per sfortune della vita economica quali il cattivo raccolto e in questi casi veniva deposto (Ammiano Marcellino, Storie, XXVIII,14). Possiamo qui riconoscere l'istituto, caratteristico di quell'epoca, del re sacro dotato di scarso potere, la cui persona è considerata magicamente legata alla fortuna del popolo e alla vita della natura.
La funzione delle donne sia nella vita sociale sia in quella religiosa dei Germani continuava ad essere molto importante all'epoca di Tacito, come del resto in seguito.
"Credono", scriveva Tacito, "che vi sia nella donne qualcosa di santo e fatidico, non rifiutano con disprezzo i loro consigli né trascurano le loro previsioni." (Germania, VIII)
Godevano di particolare rispetto certe sibille che esercitavano un'enorme influenza sugli affari pubblici e non solo, talvolta su quelli della propria tribù. La più celebre era la vergine profetessa Veleda, della tribù dei Bructerii, che svolse una funzione di primo piano durante la rivolta di Civilis nel 69-70. Alcuni Germani erano malcontenti della posizione così elevata delle loro sibille e perfino durante la rivolta sostenevano che "se fosse possibile scegliersi i propri sovrani, sarebbe più onorevole subire la signoria dei sovrani romani che quella delle donne tedesche" (Tacito, Historiae, V, 25).
Qualche tempo prima la medesima funzione era stata riconosciuta ad Albruna (o Avrinia) (Tacito, Germania VIII) e successivamente a Hanna (Dione Cassio, Storia Romana, XVII, 5, cfr. ivi XXXVIII, 48)
Queste vergini dotate di virtù profetiche ricordano lo sciamanesimo femminile. è evidentemente una sopravvivenza di quest'ultimo anche l'usanza diffusa nella tribù dei Nahamarbali dove, secondo Tacito, il sacerdote indossava abiti femminili (Germania, XLIII); questo fenomeno di travestitismo legato allo sciamanesimo femminile esisteva anche presso i popoli della Siberia e dell'America settentrionale (Nota di Lunaria: e pure presso gli Africani, gli indù e i sacerdoti di Cibele: vedi i Gelede travestiti da donne incinte, il culto a Bahuchara e a Cibele; tuttavia non sono a conoscenza di una diffusione altrettanto ampia di donne travestite da uomini, a parte il caso della Vergine Giurata albanese, che però non aveva funzioni religiose)
Presso i Germani le forme del culto non erano complesse e consistevano principalmente nell'offerta di sacrifici e nella divinazione o interpretazione della volontà degli Dei. I sacrifici erano molto crudeli: non di rado si offrivano agli Dei vittime umane, soprattutto prigionieri di guerra (Tacito, Germania, XXXIX, Annales I,89)
Talvolta nei sanguinosi combattimenti intestini le tribù in lotta si condannavano vicendevolmente in sacrificio alle divinità delle battaglie, dopodiché la parte soccombente veniva totalmente sterminata: venivano uccisi sia i guerrieri sia i cavalli sia "tutto ciò che avesse vita" come riferisce Tacito.
Per quanto riguarda i Cimbri, all'epoca della loro spedizione contro l'Italia i prigionieri venivano uccisi personalmente dalle anziane sacerdotesse o sibille che traevano auspici sull'esito della guerra dal sangue e dalle interiora delle vittime. (Strabone, Geografica, VII, 2,3) Anche questo sanguinario culto barbarico era, a sua volta, frutto della forma di vita guerresca dell'epoca.
I Germani non avevano santuari o altri edifici per il culto: questa funzione era svolta nei boschi sacri in mezzo ai quali erano situati gli altari. Non esistevano nemmeno rappresentazioni delle divinità, se si escludono certi rozzi tronchi d'albero conservati qua e là che fungevano da idoli.
Grazie alle notizie fornite dagli autori romani, conosciamo un gran numero di nomi di divinità celtiche. La maggior parte di esse erano divinità protettrici locali e tribali che, di regola, portavano addirittura il nome della rispettiva tribù: gli Allobrogi avevano il dio Allobrox, gli Arverni avevano Arvernorix, i Santoni Santius, i Marsachi avevano le Madri Marsache e i Nervii le Nervine e così via. Certe divinità erano comuni alle tribù celtiche della Gallia e della Britannia; è il caso di Belenus (Belis, Bel), Kalumos (Kumall), Ogmios (Ogmian, Ogam), Esus (Esar) ecc. Anch'esse, presumibilmente, erano in origine divinità locali e tribali. Così la Dea Brigantia era la protettrice della tribù dei Briganti, Mogons era il protettore dei Mogonziachi, mentre Dumiatis veniva adorato nella regione dell'attuale Puy-de-Dome; può darsi che Esus fosse il dio eponimo della tribù o stirpe degli Esuvii.
Essendo originariamente patroni comunitari e tribali, gli Dei celtici hanno conservato in molti casi caratteristiche estremamente arcaiche, e lasciano trasparire dai rispettivi nomi e attributi una più antica origine totemica.
Alcune divinità sono evidentemente connesse con il culto venatorio, quali gli Dei gallici Moccus (cinghiale) https://intervistemetal.blogspot.com/2020/08/il-culto-lugh.html
e Cernunnos (un Dio dalle corna di cervo) e la Dea Artio, raffigurata in compagnia di un orso. Si incontra spesso l'immagine di un serpente cornuto che accompagna le raffigurazioni di varie divinità. In Irlanda esisteva un dio-pesce.
Altre sono legate agli animali domestici, ed erano considerate protettrici dell'allevamento: è il caso della Dea Epona (da epos, cavallo) raffigurata a cavallo di un destriero, del Dio Mullo (mulo, asino) di Tarvos (toro) e di Damona, protettrice dei bovini.
Altre divinità rivelano un legame palese con i fenomeni della natura, e alcune di esse erano evidentemente protettrici della fertilità e dell'agricoltura, oppure rappresentavano figure ancora più complesse. Fra le divinità dei fenomeni celesti si distinguono il dio del fulmine Leuzetios e il dio del fuoco Taranis (Taranucus) che aveva come attributo una ruota con raggi o un martello (i Romani lo identificavano con Giove); Le divinità solari (Krom, Dagda, Samhan).
Numerosissime erano le divinità dei fiumi e delle sorgenti. Alla flora delle foreste era a quanto pare connesso Esus, uno degli Dei più venerati, nel quale certi studiosi hanno cercato addirittura di identificare un antico unico Dio del celti. Di questo Dio si conoscono due raffigurazioni in forma di uomo intento ad abbattere un albero; una di esse, che reca il nome della divinità, si trova su un altare rinvenuto a Parigi nel punto in cui sorge attualmente la cattedrale di Notre Dame. Il poeta romano Lucano ricorda il nome di Esus insieme con quelli di Teutates e Taranis: su questa circostanza certi studiosi hanno fondato la teoria che queste tre divinità costituissero una specie di suprema trinità della religione celtica, ma questa interpretazione non è sufficientemente valida, tanto più che in nessuna iscrizione i tre nomi compaiono insieme. Interessante è anche il personaggio di Ogmius, dio della saggezza e dell'eloquenza e forse, in origine, protettore dei campi di grano; gli scrittori antichi lo assimilavano ad Ercole.
La forma di vita bellicosa delle tribù celtiche generò tutta una serie di divinità della guerra, ovvero investì di funzioni militari le divinità preesistenti. è il caso del britannico Belatukadros (il cui nome, individuato in 14 iscrizioni, significa "splendente in guerra") di Caturix ("re della battaglia") di Cocidius, Belenes e Belisama.
L'esistenza di un precedente periodo matriarcale è rivelata dall'adorazione di Dee Madri (Matres o Matronae) che venivano raffigurate sotto forma di triadi.
Oltre alle divinità i Celti credevano in numerosi spiriti, fate, elfi, mostri e divinizzavano gli alberi, le sorgente, le pietre.
Su Lugh: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/08/il-culto-lugh.html
Altre sono legate agli animali domestici, ed erano considerate protettrici dell'allevamento: è il caso della Dea Epona (da epos, cavallo) raffigurata a cavallo di un destriero, del Dio Mullo (mulo, asino) di Tarvos (toro) e di Damona, protettrice dei bovini.
Altre divinità rivelano un legame palese con i fenomeni della natura, e alcune di esse erano evidentemente protettrici della fertilità e dell'agricoltura, oppure rappresentavano figure ancora più complesse. Fra le divinità dei fenomeni celesti si distinguono il dio del fulmine Leuzetios e il dio del fuoco Taranis (Taranucus) che aveva come attributo una ruota con raggi o un martello (i Romani lo identificavano con Giove); Le divinità solari (Krom, Dagda, Samhan).
Numerosissime erano le divinità dei fiumi e delle sorgenti. Alla flora delle foreste era a quanto pare connesso Esus, uno degli Dei più venerati, nel quale certi studiosi hanno cercato addirittura di identificare un antico unico Dio del celti. Di questo Dio si conoscono due raffigurazioni in forma di uomo intento ad abbattere un albero; una di esse, che reca il nome della divinità, si trova su un altare rinvenuto a Parigi nel punto in cui sorge attualmente la cattedrale di Notre Dame. Il poeta romano Lucano ricorda il nome di Esus insieme con quelli di Teutates e Taranis: su questa circostanza certi studiosi hanno fondato la teoria che queste tre divinità costituissero una specie di suprema trinità della religione celtica, ma questa interpretazione non è sufficientemente valida, tanto più che in nessuna iscrizione i tre nomi compaiono insieme. Interessante è anche il personaggio di Ogmius, dio della saggezza e dell'eloquenza e forse, in origine, protettore dei campi di grano; gli scrittori antichi lo assimilavano ad Ercole.
La forma di vita bellicosa delle tribù celtiche generò tutta una serie di divinità della guerra, ovvero investì di funzioni militari le divinità preesistenti. è il caso del britannico Belatukadros (il cui nome, individuato in 14 iscrizioni, significa "splendente in guerra") di Caturix ("re della battaglia") di Cocidius, Belenes e Belisama.
L'esistenza di un precedente periodo matriarcale è rivelata dall'adorazione di Dee Madri (Matres o Matronae) che venivano raffigurate sotto forma di triadi.
Oltre alle divinità i Celti credevano in numerosi spiriti, fate, elfi, mostri e divinizzavano gli alberi, le sorgente, le pietre.
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