Totemismo!


In larga misura le credenze e le cerimonie dei popoli pagani dell'Africa media hanno origine totemica: ciascuno di essi si ritiene in rapporto di affinità o di immaginaria parentela con una specie animale (più raramente, piante) alla quale viene attribuita la facoltà di proteggere i membri della comunità e di infondere loro le sue forze superiori. In sostanza, l'animale è assunto come totem perché vegli sull'uomo assicurandogli salute e benessere; l'uomo, dal canto suo, evita di uccidere o di mangiare gli animali totemici. Si può distinguere un totemismo individuale e uno sociale. Nel primo caso la relazione è tra il singolo uomo e il singolo animale: viene chiamato "manituismo" o "nagualismo" ed è legato alla credenza che l'anima di un singolo uomo dimori in un singolo animale, sicché, morendo questo, muore anche l'uomo che vi è collegato. Nel secondo caso un gruppo umano è collegato a una specie animale, per cui dalla prolificità e dalla prosperità della specie animale deriva il benessere del gruppo umano. Di solito si viene a creare un tabù nei confronti degli animali totem, i quali non sono né uccisi né mangiati, salvo il caso non raro che ciò accada nel corso di banchetti rituali, aventi lo scopo di rendere più intima l'unione del gruppo umano con la specie animale che lo protegge. 

Nella relazione d'identificazione fra l'iniziato e il suo totem, quest'ultimo rappresenta la "sua anima della boscaglia". Attraverso riti iniziatici il giovane entra in possesso della sua anima animale e al tempo stesso sacrifica il suo essere animale nella circoncisione. Con questa pratica è ammesso nel clan totemico e stabilisce un rapporto con il proprio totem-animale diventando, così, uomo. Le tribù della costa orientale considerano coloro che non sono stati circoncisi come animali, poiché non hanno ricevuto l'anima animale né hanno sacrificato la propria animalità. A tale credenza si ricollegano pratiche magiche per investire l'uomo delle qualità proprie dell'essere assunto a totem e si ha persino la formazione di società magiche segrete di uomini-leopardi, uomini-serpenti e così via. Alcuni clan, come quello dei Kamba, hanno come totem il leone, il leopardo, lo sciacallo, la scimmia e alcuni uccelli. Lo stesso si può dire del clan dei Cwana, che ha come totem il leone, il  coccodrillo e l'elefante.


Nota di Lunaria: leone, coccodrillo ed elefante nell'Induismo sono stati associati alle Dee:



Nelle credenze dei Baule l'elefante è un simbolo di forza oltre che di longevità. Il corvo, spirito protettore e guida, avverte invece gli uomini dei pericoli che li minacciano (*)
Molti animali-totem sono predatori e alcuni di essi (leone, sciacallo, leopardo) divorano anche cadaveri. Una tribù dei Masai giudica come un segno propizio il fatto che il corpo di una persona defunta, abbandonato in una boscaglia, venga divorato da un leone o da uno sciacallo e pertanto questi animali sono trattati con molta cura. In alcune tribù, in riconoscimento del proprio animale totem, i danzatori in una cerimonia rituale mimano l'animale per assumerne le caratteristiche ed identificarsi con esso.

Nota di Lunaria: idem dicasi per gli indios, il cui animale più sacro è il giaguaro, che viene imitato anche esteticamente. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/indios-sciamani-e-metal-tribale.html

A volte un clan cambia il suo animale totem: per esempio i Sotho, il cui totem era il cinghiale (**) per potergli dare la caccia e cibarsene lo hanno sostituito con la puzzola, di cui non possono mangiare la carne.

(*) Anche il corvo è stato associato alle Dee. Vedi Dhumavati e Morrigan; Branwen è invece associata al "corvo bianco" https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/simbolismo-del-corvo.html
(**) Altro animale associato alla Dea. Vedi l'indù Varahi, la Dea cinghialessa, e ancor prima, la Dea Scrofa del 4500 a.c.




I Sotho considerano l'individuo formato da vari elementi che si separano al momento della morte: mele (corpo) o nama (carne), moea (vento, elemento immateriale), che risiede nel cuore o nella testa, e seriti (ombra) I Mbala e i Nyongo del Congo credono che l'individuo sia composto di corpo, sosia, anima vitale e ombra; altri popoli riconoscono 5 diverse anime. Il sosia dopo la morte trova rifugio nell'animale che i parenti del defunto provvedono a uccidere. L'anima è dunque indipendente dal corpo, e lo può lasciare anche durante la vita dell'individuo. Per i Dan questo può avvenire in sogno. Così per i Bantu del Kasai (bacino del Congo) l'anima si separa dal corpo durante il sonno e i sogni che riporta dai suoi viaggi le sono comunicati dalle anime dei morti con i quali parla. I Baluba e i Lulua ritengono che alla persona siano associati tre veicoli sottili: il mujanji, veicolo grossolano assimilato al fantasma che guida la vita animale, il mukishi, veicolo dei sentimenti e dell'intelligenza inferiore, che corrisponde al doppio, al corpo astrale; il m'vidi, veicolo dell'intelligenza superiore e dell'intuizione [...] Nelle concezioni popolari dell'Africa del Nord il corpo è abitato da due anime: una vegetativa (nefs) e l'altra sottile, o respiro (rruh). Alla prima corrispondono le passioni e i comportamenti emozionali; la trasporta il sangue e ha la sua sede nel fegato. Alla seconda corrisponde la volontà, circola attraverso le ossa e ha la sua sede nel cuore. L'unione delle due anime è rappresentata dalla coppia albero-roccia; l'albero è il principio femminile, la roccia quello maschile; il primo fa ombra e dà umidità all'anima vegetativa, esso è rruh; nella roccia c'è nefs. Le acque che scaturiscono dalle rocce sono i simboli della fecondità che arriva dal mondo infero. L'anima può anche lasciare il corpo sotto forma di un'ape, che per i Nigeriani è un simbolo dell'uomo e della sua organizzazione sociale. L'anima lascia il corpo trasformandosi in una farfalla; questa analogia anima-farfalla è ricorrente nel credo dei Congolesi: l'uomo segue dalla vita alla morte il ciclo della farfalla, per cui nell'infanzia è un piccolo bruco, diventa grande nella maturità, e crisalide nella vecchiaia; il bozzolo sarà la sua tomba, da cui uscirà l'anima che si invola come farfalla.
Ancora, l'anima si manifesta come uccello. "Anime uccello" sono considerate quelle dei bambini, che si posano sugli alberi del mondo. [...] L'uccello come simbolo dell'anima ha inoltre la possibilità di rappresentare il passaggio tra la terra e il cielo. Questa simbologia appartiene a diverse tribù di marabutti e berberi.

Il feticismo è la prima manifestazione dell'uomo. Il feticismo consiste nella venerazione di oggetti in cui si ritiene che alloggi una potenza. I feticci naturali devono la loro virtù magica alle forze che li abitano: possono essere pezzi di legno, conchiglie, persino escrementi... che diventano un ricettacolo di forza. Alcune tribù (i Fali, i Bateké...) pensano che dimorino in essi le anime. Altri feticci vengono scolpiti in legno e lo stregone (nganga) con i suoi riti a infondere loro potere. Quando non hanno la funzione di rappresentare un antenato, le statue sono considerate ricettacoli di forze vitali e garanzia di prosperità per la famiglia. Questi oggetti sono uniti ai resti dei defunti o posti in panieri. I Bakongo hanno scolpito in legno, e poi in pietra, statuette che incarnano lo spirito del capo deceduto ed esprimono la continuità della sua presenza per vegliare sul popolo. Alcune tribù ricorrono alle statue per impetrare la pioggia. [...] Un altro simbolo importante è il corno. Alcuni miti dei Dogon raccontano di un ariete celeste che porta una zucca (simbolo femminile e solare) tra le corna. L'ariete, primo figlio del Sole, porta una zucca lunga dipinta con l'olio rosso della matrice solare "sa". L'animale feconda la zucca (che rappresenta l'utero femminile) con un organo sessuale eretto che porta sulla fronte. L'ariete si sposta nella volta celeste durante la stagione delle piogge, prima delle tempeste; esso è d'oro ricoperto di rame rosso, simbolo dell'acqua fecondatrice. I Dogon credono che il loro dio dell'acqua, Nommo, si presenti sulla terra sotto forma di zucca, dando così alla pianta l'immagine di tutto il corpo umano. 

Il colore è un altro elemento cui si ricorre nei rituali magici per le sue valenze simboliche. Il rosso, di cui si colora il manto dell'ariete nel mito citato, diventa sinonimo di ricchezza, di amore e di giovinezza.
Nell'Africa nera le donne, alla vigilia del matrimonio o dopo la nascita del primo figlio, usano spalmarsi tutto il corpo e il viso con una pittura rossa diluita in olio vegetale. Il colore bianco viene usato invece nella Nuova Guinea dalle vedove, in segno di lutto e di dolore. Alcuni sciamani per curare malattie derivanti da un sortilegio fatto ai danni di una persona si fanno consegnare un indumento di colore bianco e operano su di esso per liberare l'ammalato dagli spiriti maligni. Presso alcuni popoli, i giovani circoncisi, prima dell'iniziazione, si spalmano il viso e il corpo di bianco (che è il colore della luce); poi, una volta finito questo periodo, si dipingono di rosso. Dal rosso nasce il verde, secondo la credenza della tribù dei Mossi, dei Bambara e dei Dogon; il colore verde è femminile.
I Pigmei portano al collo degli amuleti, delle pietre, delle foglie, in quanto pensano che in questi oggetti contengono il "mana" (1), chiamato nella loro lingua "megbe". Esso indica la forza misteriosa e divina che si impossessa di certi individui e dà loro potenza; il capo di un clan possiede il mana; tutto ciò che ha forza, perfezione ed efficacia possiede il mana.
Alcune pratiche magiche dell'Africa del Nord, nelle tradizioni islamiche, hanno a che vedere con i nodi, che sono simbolo di protezione. Per esorcizzare il malocchio gli Arabi si facevano dei nodi alla barba. Nei pressi dei marabutti marocchini si trovano nodi fatti sugli alberi che indicano la pratica magica per allontanare una malattia.
Tra gli strumenti magici degli stregoni dell'Africa equatoriale si trova invece la scheggia di bambù, usata per le circoncisioni rituali. Ricordiamo anche che in alcune società ruandesi i guerrieri bevono una birra fatta con le banane: secondo le loro credenze, questo liquido straordinario li renderebbe immortali. 


Note di Lunaria:

(1) Riporto l'approfondimento di Mircea Eliade, da "Trattato di Storia delle Religioni"

Il Mana.
L'insolito e lo straordinario sono epifanie conturbanti: indicano la presenza di una COSA DIVERSA da quella che sarebbe naturale; la presenza, o almeno il richiamo, in senso predestinato, di questa COSA DIVERSA. Un animale sagace, un oggetto nuovo o un fatto mostruoso, spiccano così nettamente come spicca un individuo bruttissimo, assai nervoso o isolato dal resto della comunità per una stimmata qualsiasi (naturale o acquisita in cerimonie religiose, compiute per designare l'‘eletto’). Alcuni esempi ci aiuteranno a capire il concetto melanesiano del "mana", dal quale certi autori hanno creduto di poter derivare tutti i fenomeni religiosi. "Mana" è per i melanesiani la forza misteriosa e attiva posseduta da certe persone e, in generale, dalle anime dei morti e da tutti gli spiriti. L'atto grandioso della creazione cosmica è stato possibile soltanto grazie al mana della divinità; il capo del clan possiede anch'egli il mana; gli Inglesi hanno soggiogato i Maori perché il loro mana era più forte; il ministerio del missionario cristiano ha un mana superiore al mana dei riti autoctoni. Del resto anche le latrine hanno il loro mana, dato che i corpi umani sono ‘ricettacoli di forza’, e così pure i loro escrementi. Ma oggetti e uomini hanno il mana perché l'hanno ricevuto da certi esseri superiori, in altre parole PERCHE' partecipano misticamente al sacro, e NELLA MISURA IN CUI vi partecipano. ‘Se osserviamo che un sasso possiede una forza eccezionale, questo avviene perché uno spirito qualsiasi è associato a quel sasso. L'osso di un morto ha il mana perché vi si trova l'anima del morto; un individuo qualsiasi può essere in intima relazione con uno spirito ("spirit") o con l'anima di un morto ("ghost"), al punto da possederne il mana in sé stesso e servirsene a suo talento’. E' una forza diversa dalle forze fisiche, qualitativamente parlando, e si esercita perciò in modo arbitrario. Un guerriero valoroso deve la sua qualità non alle proprie forze e capacità, ma alla forza che gli concede il mana di un guerriero morto; questo mana si trova nel piccolo amuleto di pietra appeso al suo collo, in alcune foglie infilate alla sua cintura, nella formula che pronuncia. Che i porci di un tale si moltiplichino, o il suo giardino prosperi, dipende da certi sassi da lui posseduti, dotati dello speciale mana dei porci e degli alberi. Una barca è veloce soltanto se possiede il mana, e così il falco che prende i pesci e la freccia che uccide. Tutto quel che ‘è’ in misura estrema, possiede il mana; vale a dire tutto quel che appare all'uomo in
aspetto efficace, dinamico, creatore, perfetto. Reagendo contro le teorie di Tylor e della sua scuola, i quali ritengono che la prima fase della religione può essere soltanto l'animismo, l'antropologo inglese Marett ha creduto di poter riconoscere, in questa credenza a una forza impersonale, una fase preanimistica della religione. Eviteremo di precisare fin da ora in che misura si possa parlare di una ‘prima fase’ della religione; parimenti, non indagheremo se identificare una siffatta fase primordiale equivalga a scoprire le ‘origini’ delle religioni. Abbiamo citato qualche esempio del mana soltanto per chiarire la dialettica delle cratofanie e delle ierofanie sul piano più elementare (è bene precisare che ‘il più elementare’ non significa affatto ‘il più primitivo’ in senso psicologico, né ‘il più antico’ in senso cronologico: il livello elementare rappresenta una modalità semplice, trasparente, della ierofania). Gli esempi citati illustrano molto bene questo fatto: che una cratofania o una ierofania SINGOLARIZZA un oggetto rispetto agli altri oggetti, come fa lo straordinario, l'insolito, il nuovo. Notiamo tuttavia:
1) che la nozione di mana, quantunque si ritrovi anche nelle religioni estranee al ciclo melanesiano, non è una nozione universale, e di conseguenza è difficile per noi considerarla prima fase di qualsiasi religione;  2) che non è esatto considerare il mana una forza impersonale.
Vi sono, in realtà, popoli diversi dai Melanesiani che conoscono una forza di questo genere, capace di rendere le cose potenti, REALI nel pieno senso della parola. I Sioux chiamano "wakan" questa forza, che circola per tutto il cosmo ma si manifesta soltanto nei fenomeni straordinari (sole, luna, tuono, vento, eccetera) e nelle personalità forti (stregone, missionario cristiano, esseri mitici e leggendari, eccetera). Gli Irochesi si servono della parola "orenda" per designare la stessa nozione; una tempesta contiene "orenda", l'"orenda" di un uccello che difficilmente si lascia colpire è molto sottile; un energumeno è in preda al proprio "orenda", eccetera. "Oki" presso gli Uroni, "zemi" per le popolazioni delle Antille, "megbe" fra i Pigmei africani (Bambuti), tutte queste parole esprimono la stessa nozione di mana. Ma, ripetiamolo, l'"oki", lo "zemi", il "megbe", l'"orenda", eccetera non appartengono a chicchessia; li possiedono soltanto le divinità, gli eroi, le anime dei morti o gli uomini e gli oggetti che hanno una certa relazione col sacro, cioè gli stregoni, i feticci, gli idoli, eccetera. Per citare soltanto uno degli ultimi etnografi che hanno descritto questi fenomeni magicoreligiosi e, ciò che più conta, presso una popolazione arcaica ove l'esistenza del mana era piuttosto controversa, lo Schebesta scrive: ‘Il "megbe" è diffuso dappertutto, ma la sua potenza non si manifesta dappertutto con la stessa intensità, né con lo stesso aspetto. Certi animali ne sono largamente forniti; gli esseri umani possiedono il "megbe" chi più chi meno. Gli uomini capaci si distinguono appunto per l'abbondanza di "megbe" da loro accumulata. Anche gli stregoni sono ricchi di "megbe". Questa forza parrebbe legata all'anima-ombra, e destinata a scomparire insieme a lei con la morte, sia che emigri in un'altra persona, sia che si trasformi nel Totem’. Benché certi studiosi abbiano aggiunto a questa lista qualche altro termine ("ngai" dei Masai, "andriamanitha" dei Malgasci, "petara" dei Dayak, eccetera), e nonostante i tentativi di interpretare nello stesso senso il "brahman" indiano, lo "xvarenah" iraniano, l'"imperium" romano, il "hamingia" nordico, la nozione di mana non è universale. Il mana non compare in tutte le religioni, e anche dove appare non è la forma religiosa unica e neppure la più antica. ‘Il mana... non è affatto universale, e di conseguenza basare sul mana una teoria generale della religione primitiva non è soltanto erroneo, è anche fallace’. Diremo di più, fra le varie formule ("mana", "wakan", "orenda", eccetera) vi sono, se non differenze spiccate, almeno sfumature, troppo spesso trascurate nei primi studi. Così, l'americanista Paul Radin, analizzando le conclusioni che W. Jones, la Fletcher e Hewitt hanno tratto dalle loro ricerche sul "wakanda" e sul "manito" dei Sioux e degli Algonchini, osserva che questi termini significano ‘sacro’, ‘importante’, ‘strano’, ‘meraviglioso’, ‘straordinario’, ‘forte’, ma senza implicare la minima idea di ‘forza inerente’. Ora Marrett  -  e del resto anche altri  -  ha creduto che il mana rappresentasse una ‘forza universale’, quantunque Codrington avesse già richiamato l'attenzione sul fatto che ‘questa forza, quantunque impersonale in sé, è sempre attaccata a una persona che la dirige... Nessun uomo ha questa forza di per sé stesso; tutto quel che fa, è fatto con l'aiuto di esseri personali, spiriti della natura o antenati’. Ricerche recenti (Hocart, Hogbin, Capell) hanno precisato queste distinzioni stabilite da Codrington. ‘Come potrebbe essere impersonale, se è sempre legata a esseri personali?’ si domandava Hocart ironicamente. A Guadacanal e Malaita, per esempio, possiedono il "nanama" esclusivamente gli spiriti e le anime dei morti, quantunque possano utilizzare questa forza a vantaggio dell'uomo. ‘Un uomo può lavorare d'impegno, ma se non ottiene l'approvazione degli spiriti, che esercitano il loro potere a suo vantaggio, non sarà mai ricco’. ‘Tutti gli sforzi sono compiuti per assicurarsi il favore degli spiriti, in modo che il mana sia sempre disponibile. I sacrifici sono il mezzo più usato per ottenere la loro benevolenza, ma certe altre cerimonie sono parimenti credute di loro gradimento’. Radin notava a sua volta che gli Indiani non contrappongono PERSONALE a IMPERSONALE, CORPOREO a INCORPOREO. ‘Quel che sembra attirare la loro attenzione è, anzitutto, la questione dell'esistenza reale; tutto quel che può essere percepito dai sensi, tutto quel che è pensabile, esiste’. Bisogna dunque porre il problema in termini ontologici: quel che ESISTE, quel che è REALE, quel che NON ESISTE, e non in termini di PERSONALEIMPERSONALE, CORPOREO-INCORPOREO; concetti che, nella coscienza dei ‘primitivi’, non hanno la precisione acquisita nelle culture storiche. Ciò che è fornito di mana esiste sul piano ontologico, e di conseguenza è efficace, fecondo, fertile. Non si potrebbe perciò affermare l'‘impersonalità’ del mana, dato che questa nozione non ha senso sull'orizzonte mentale arcaico. D'altra parte non si trova in nessun luogo il mana ipostasiato, staccato dagli oggetti, dagli avvenimenti cosmici, dagli esseri o dagli uomini. Meglio ancora, l'analisi approfondita dimostra che un oggetto, un fenomeno cosmico, un essere qualsiasi eccetera, possiedono il mana grazie all'intervento di uno spirito o alla confusione con l'epifania di un qualsiasi essere divino. Ne consegue che la teoria del mana come forza magica impersonale non è affatto giustificata. Immaginare, su questo fondamento, un periodo prereligioso (dominato unicamente dalla magìa) è implicitamente errato. Tale teoria, del resto, è intaccata dal fatto che non tutti i popoli (specie i più primitivi) conoscono il mana, e anche dal fatto che la magìa, quantunque si ritrovi un po' dappertutto, non compare mai scompagnata dalla religione. Ancor più: la magìa non domina dappertutto la vita spirituale delle società ‘primitive’; anzi si sviluppa in modo predominante nelle società più evolute (ad esempio: la pratica della magìa è debolissima presso i Kurnai australiani e presso i Fuegini; in certe società di Eschimesi e di Koryak, è meno praticata che non presso gli Ainu e Samoiedi loro vicini, a loro superiori come civiltà, eccetera).


La iena, che si ciba di carogne, assume in Africa un ulteriore significato simbolico, poiché le si attribuiscono facoltà di divinazione ed è pertanto simbolo di conoscenza, anche se rimane un animale mortale e terreno. Per i Bambara la iena si oppone all'avvoltoio, il quale pur nutrendosi di carogne è aereo e pertanto divino. Il cane, molto legato al mondo dei defunti, svolge il ruolo di intermediario tra i vivi e i morti: per suo tramite i vivi interrogano le anime dei defunti e le divinità sovrane del loro paese. Presso i Bantu del bacino congolese esiste una pratica divinatoria che si svolge per mezzo dell'ipnotismo: durante tale pratica la persona che si fa predire il futuro è legata da un filo all'indovino, e viene calata dentro una fossa nella quale contatterà gli spiriti con l'intermediazione di una cane o una gallina. Presso i Lulua si adotta lo stesso procedimento nei riti iniziatici delle donne sciamano che, dopo essere uscite dalla fossa in cui compiono la prova di morte e rinascita, sono considerate investite di poteri sciamanici. Uno dei fratelli appende loro una gallina al collo dicendo "Attraverso questo richiamo eserciterai il potere di catturare nella boscaglia le anime dei medium defunti, per condurle e fissarle agli alberi ad esse consacrati"
Nella tradizione musulmana uno degli animali favorevoli all'uomo è il gatto, a patto che non sia nero. Quest'ultimo possiede qualità magiche e la sua carne è mangiata per liberarsi dal malocchio. Se la milza di un gatto nero viene avvicinata a una donna mestruata ha il potere di fermare il flusso. Nello stesso contesto religioso, se una persona sogna un cane (1) significa che è in corso una stregoneria. Un'usanza diffusa tra i Bantu del Kasai per risolvere il problema della morte misteriosa di una persona è la seguente: il capo appende a un albero il cane del defunto, rivestito di una pelle di leopardo; in seguito lo divide tra tutti gli abitanti che devono mangiarlo. La testa è per il capo che, dopo averla cosparsa di bianco di caolino, la interroga in questi termini: "Tu, cane, e tu, leopardo, guardate bene! Tu, cane, annusa da quale parte è venuta la morte di quest'uomo. Tu vedi le anime, tu vedi gli stregoni, non ingannarti su chi ha causato la morte di quest'uomo!" Se qualche tempo dopo si ammala qualcuno, questo è il colpevole. In molte tribù si ritiene che il canto del cuculo faccia impazzire il bestiame che lo ascolta nelle ore calde della giornata, perché eccita l'istinto sessuale degli animali. Per l'islam, il cane è simbolo della ghiottoneria e dell'avidità ed è impuro. Possiede 52 caratteristiche, 25 sante, 25 sataniche. A Tangeri la carne di un cucciolo di cane da caccia viene mangiata per eliminare il malocchio.
Nelle leggende sulle origini dei popoli del Camerun svolge un ruolo importante la lucertola. (Nota di Lunaria: anche alle Hawaii la lucertola era importante: veniva adorata come un Dio https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/antiche-hawaii-storia-pele-danza-e.html) La lucertola è legata alle leggende sull'origine della morte. "All'inizio Dio inviò due messaggeri sulla terra: il camaleonte doveva annunciare agli uomini la resurrezione dopo la morte, la lucertola portava l'annuncio della morte senza ritorno. Il messaggero che fosse arrivato primo avrebbe prevalso. La lucertola ingannò il camaleonte e gli disse: "procedi lentamente, lentamente... se corri, scuoti il mondo!" Poi, preso il vantaggio, annunciò la morte senza ritorno"


Nota di Lunaria: sulla lucertola, riporto anche questo approfondimento tratto da




Lucertola - Tempo dei sogni

La lucertola cerca il sole e il calore proprio come l'anima dell'uomo desidera acquistare consapevolezza. La lucertola sogna e si unisce in questo stato con il tempo dei sogni e con le numerose e varie possibilità offerte. Essa rappresenta il cosmo infinito e l'arte e i suoi sogni da vivere, cioè creare l'arte e il proprio ambiente con le proprie forze. Coma talismano aiuta a sviluppare i propri sogni, attirare la fantasia e il senso artistico, crearsi uno spazio dove sia possibile vivere i sogni

Nota di Lunaria: nella mitologia aborigena si  da(va) grande importanza alla lucertola:
Mangar-kunjer-kunja: il Dio Lucertola che ha creato gli esseri umani; trovò alcuni esseri su una collina, ma queste creature erano fuse l'una all'altra; il Dio le separò e fece loro alcuni buchi che divennero bocche, orecchie, nasi, poi insegnò loro l'uso degli strumenti (coltello, lancia, scudo, boomerang e tjurunga) e del fuoco. Infine istituì il matrimonio. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/aborigeni-storia-miti-credenze.html


Nell'Africa Occidentale il ragno (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/il-simbolismo-del-ragno.html ) incarna la funzione del Demiurgo che ha preparato la materia di cui è fatto l'uomo, ha creato il sole, la luna e le stelle. In seguito, il Dio del cielo, Nyame, ha inspirato la vita nell'uomo. Il ragno intercede poi tra gli uomini e gli Dei come eroe civilizzatore che porta i cereali e inventa la zappa. Gli Ashanti venerano il ragno come il loro Dio primordiale. Una leggenda del Mali lo descrive come il consigliere dell'Essere Supremo, un eroe creatore che "travestendosi da uccello, prende il volo e crea all'insaputa del suo signore il sole, la luna, le stelle. Poi regola il giorno e la notte e inventa la rugiada". Questo animale inoltre è il simbolo del potere divinatorio. I popoli del Camerun gli attribuiscono il privilegio, ricevuto dal cielo, di decifrare l'avvenire. Nella tradizione islamica è sacro il ragno bianco, in quanto si narra che salvò il profeta tessendo la tela attraverso l'apertura della caverna nella quale si era rifugiato per sfuggire ai nemici.
Il ragno nero, invece, è da uccidere. Se il "Buseha", ragno velenoso, punge qualcuno, la puntura viene paragonata al malocchio.
Il corano, nella sura del ragno, dice che coloro che si sottopongono a signori diversi da Dio hanno per simbolo il ragno perché la sua casa è la più fragile delle case.
I miti dei Kikuyu dell'Africa Orientale ci tramandano la storia del porcospino inventore della fede e consigliere degli uomini che, grazie a lui, ritrovano il Sole e la Luna dopo che erano scomparsi. A lui attribuiscono l'invenzione dell'agricoltura.
Un altro animale venerato dalle tribù del lago Ciad e dai Pigmei è il rospo, legato alle origini del mondo. Per i Pigmei incarna lo spirito malefico responsabile dell'avvento della morte sulla terra.
Nell'Africa Nera, fra i popoli del Niger, ha grande rilievo la tartaruga, considerata un compagno benefico oltre che un antenato. Così ogni famiglia ne possiede una. In assenza del patriarca, sono offerti all'animale il primo boccone di cibo e il primo sorso d'acqua.
Il serpente è al centro di una ricca simbologia presso gli abitanti dell'Africa Nera: ne è un esempio Nommo, Dio delle acque, che si presenta sotto forma di serpente per portare agli uomini i cereali e altri beni preziosi per le colture. Un altro esempio è il serpente-dio della fertilità e della fecondità, grande divinità della costa degli schiavi. Le giovani ragazze della tribù sono votate a questa divinità e si "fidanzano" ritualmente con gli Dei nella stagione della semina. I popoli della Guinea invocano il serpente nei periodi di siccità o di forti piogge.


Altro post utile: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/ntu.html

(1) APPROFONDIMENTO SUL CANE


tratto da



Il cane simboleggia la fedeltà, la nobiltà; Plutarco dice che i cani simboleggiano "il principio filosofico conservatore, vigile della vita"; "alzando il suo collo irsuto, il suo muso alternativamente nero e dorato, il cane denotava il messaggero che faceva la spola fra le potenze celesti e infernali" (Apuleio).
Custode dei confini fra questo e l'altro mondo, guardiano dei passaggi, dell'oltretomba, veglia sui morti: psicopompo, perché è stato compagno in vita e continua ad esserlo anche dopo. Quando è un animale lunare con la lepre e la lucertola, il cane è un intermediario fra le divinità lunari; è anche solare in Estremo Oriente, come anche yang di giorno e yin di notte.
Il cane e la lontra occupano un posto particolare fra gli animali "puliti" dello Zoroastrismo: ucciderli è peccato.
Il nordico Garmr, "il divoratore", è spesso raffigurato come cane e Brimo "il distruttore", è accompagnato da un cane.
Il cane si accompagna a tutte le Dee cacciatrici (Diana/Devana/Artemide) e la Dea Madre ha anche un aspetto di cane (nota di Lunaria: lo vedremo meglio più sotto, citando l'Induismo) un cane nero simboleggia la stregoneria, poiché sono sempre con le streghe insieme ai gatti, e in tale contesto le streghe sono viste come "maghe della pioggia". In alcune culture come quella africana o oceaniana, si associa il cane al fuoco.




In Alchimia, il cane col lupo è la natura duale di Mercurio.
Nel contesto amerindiano è interscambiabile col coyote; animale del tuono, portatore della pioggia, antenato mitico; un cane bianco veniva sacrificato dagli Irochesi perché portasse le loro preghiere nell'oltretomba.
Xotl, Dio Azteco della morte e del sole al tramonto, era cinocefalo e patrono dei cani. Per i Maya, un cane che porta una torcia rappresenta il fulmine.
L'ultimo segno dello Zodiaco Messicano, che rappresentava il periodo dell'assenza di tempo o del caos, era il cane in quanto fine dell'anno e morte, ma anche resurrezione e rinascita.
Nel Buddhismo, il "Cane Leone" è guardiano e difensore della legge.
Nel contesto celtico è associato alle acque che guariscono, accompagna gli Dei cacciatori e della guerra. Nodens, Dio della guarigione, è accompagnato dal cane (Nota di Lunaria: ovviamente il cattolicesimo associa il cane a uno dei loro santi: san vito, san rocco, san martin de porres)
I cinesi associavano il cane alle meteore e alle eclissi: quando il cane impazzisce e morde il sole o la luna. 
Nel contesto ebraico, il cane è un animale impuro.
Per gli Egizi, era sacro ad Anubi, il Dio dalla testa di cane o di sciacallo; il cane è anche attributo di Iside Amenti, "La Nascosta". 
Per Omero, il cane è attributo di Ermete/Mercurio. I cani di Ade rappresentano l'oscurità, Cerbero sorveglia l'ingresso dell'Oltretomba.
Ecate ha i suoi cani da guerra e a Lei e a Eileithyae venivano sacrificati dei cani (nell'Induismo, Hadkai è la Dea dei cani e anche Kali qualche volta si accompagna ai cani. Nota di Lunaria).






Nel simbolismo mitriaco il cane è associato al sacrificio del toro ed è raffigurato con il serpente e lo scorpione, come presso i semiti, e ha una valenza maligna. Nel contesto Parso, il Sag-dig era un cane bianco con gli occhi gialli, forse uno psicopompo.
Nella iconografia fenicia il cane accompagna il sole ed è emblema di Gala, la Grande Guaritrice, come aspetto della Dea Madre, e di Belit-ili degli Accadi: il suo trono è sorretto da cani, oppure ha un cane ai suoi piedi.
Nel pantheon indù, il cane da caccia (chiamato Sarama) è un attributo di Indra.
Sarama aveva aiutato i Devas a recuperare le mucche rapite dai demoni.
Sarama, che è un cane femmina, viene vista come Madre di tutti i cani e nel Bhagavata Purana è vista anche come Madre di tutte le bestie da caccia, ma in questo Purana Sarama viene vista come figlia di Daksha e non come cagna. Il suo nome significa "Colei che corre veloce"; viene anche onorata come "Colei che ha zampe valide" e "La Fortunata"; "Deva Shuni" significa "La Cagna Divina". Nel terzo Mandala del Rig Veda si descrive Sarama come "La Sapiente", alludendo ai suoi poteri intuitivi. Sarama è anche colei che crea l'acqua per irrigare i campi ed è anche simbolo della luce, specialmente dell'alba perché è "colei che viaggia e che cerca la Verità che non possiede ma che piuttosto trova in ciò che è perduto".
I cani nell'induismo sono associati a Bhairava (una forma di Shiva); Bhairav è accompagnato dal suo cane nero.





Anche per gli indù il cane è associato al mondo dei morti; Dattatreya (che è un'incarnazione della Trimurti Brahma, Vishnu e Shiva) è seguito da quattro cani, che rappresentano i Veda e la sua completa padronanza della conoscenza vedica.




Yama, dio della morte, è vegliato da due cani, chiamati Sarameyas, che hanno quattro occhi. Nell'induismo spesso si fanno offerte anche ai cani, durante le cerimonie (specialmente in Nepal, dove i cani vengono anche inghirlandati). Secondo gli astrologi indù nutrire cani neri servirebbe ad evitare gli effetti nefasti causati da Saturno (Shani) e Rahu.   

Nota di Lunaria: anche Bachofen analizza il cane. Lo riporto qui



Il mito allude a questo aspetto (la natura lunare della Madre) quando fa adornare con una testa bovina il capo di Iside, per punizione del suo gesto; associata in tal modo, ella diviene simile alla cornuta Io, che viene fecondata dal sole, e domina nel cielo notturno, illuminata dalla sua luce. In base allo stesso nesso concettuale, tutte le donne lunari dionisiache sono rappresentanti del lato negativo della natura, signore della morte non meno che della vita; come divinità sepolcrali, esse rivelano il carattere materno della loro natura materiale non meno di quanto lo manifesti il loro aspetto benefico che dona vita e prosperità. La connessione di Arianna col labirinto, il culto di Afrodite come Venere Libitina, le frecce di Artemide che colpiscono rapide, il rapporto di Demetra e Core con Aidoneo, esprimono chiaramente l'oscuro lato sepolcrale della natura materna della luna; perciò le immagini delle Grandi Madri sepolcrali appaiono spesso insieme al simbolo della luna, come nel bel rilievo in terracotta proveniente da Tarso, che si trova al Louvre. La stessa connessione della vita e della morte appare in singoli attributi. Mi riferisco soprattutto alla figura del cane; in questo senso, il cane ha anche una precisa connotazione con la luna. è l'animale di Diana, consacrato al suo servizio e intimamente affine alla sua natura.
Il cane fa parte del seguito di Diana come animale della distruzione, è associato in modo particolare ad Ecate, è rappresentato con tre teste quale custode del mondo sotterraneo che riceve amichevolmente i nuovi arrivati ma impedisce loro il ritorno. Per tali motivi appare spesso sui sarcofagi, dove forse, in epoca tarda, sta ad esprimere solo l'amore fedele che dura al di là della morte. Nel suo tempio romano, Iside era raffigurata mentre cavalca un cane.


Nota di Lunaria: nell'Induismo, abbiamo Hadkai (già il nome è simile ad Ecate...) associata ai cani.




APPROFONDIMENTO SUL CANE: HUACA DE LA LUNA, IL CULTO CHIMù DELLA LUNA
tratto da




Il più antico dei due templi è la Huaca de la Luna, alto una ventina di metri.
Anche qui i cercatori di tesori si dettero da fare, nei secoli successivi alla conquista spagnola, e da numerosi rinvenimenti si è potuto stabilire che nella religione dei Chimù il culto della Luna veniva al primo posto.
Questo culto era il legame spirituale che univa i Chimù agli altri popoli della costa, mentre la religione degli abitanti dell'altipiano era imperniata sul culto del Sole, che incominciò a diffondersi fra i Chimù soltanto agli inizi del XV secolo, quando furono sottomessi all'inca Tupac Yupanqui e che finì col soppiantare gradatamente quello autoctono della Luna.
Anche altre popolazioni consideravano la Luna una divinità più potente del Sole. Tutte le religioni paleoamericane erano soggette a mutamenti, perché non costituivano ciascuna la proprietà intangibile e caratteristica di una determinata schiatta ma si trasformavano con lei, adeguandosi al suo grado di evoluzione. La maggior parte dei popoli più antichi considerò la Luna Signora dell'universo poiché era visibile non soltanto di notte ma anche in certe ore del giorno. E a questa sua superiorità si richiamarono per l'appunto i sacerdoti dei Chimù quando il culto del Sole incominciò a metterne in pericolo la supremazia. Un altro motivo che corroborava la loro concezione era un fenomeno che essi avevano osservato più volte: talvolta avveniva che la Luna coprisse il Sole, mentre il Sole non copriva mai la Luna. Ancora in tempi relativamente vicini a noi, i Chimù indicevano grandi cerimonie in onore della Luna quando si verificava un'eclisse solare, che essi interpretavano come una vittoria quando si verificava un'eclisse solare, che essi interpretavano come una vittoria del nostro satellite. Invece quando l'ombra della terra si proiettava sulla Luna e la nascondeva, si abbandonavano a manifestazioni collettive di cordoglio accompagnate da cerimonie e danze rituali che si protraevano finché durava l'oscuramento.
Sia per i peruviani che per gli antichi messicani, determinati animali, secondo un contesto totemistico tradizionale, erano considerati i
servitori delle Divinità. I canidi (cane, lupo, volpe) erano ritenute creature eminentemente lunari. Gli Indios erano convinti che il cane conversasse con la Luna quando la notte ululava per ore e ore.


Nota di Lunaria: immagine ben presente nel Tarocco della Luna




Il cane mitizzato - Cerbero - compare non soltanto nella religione dei Maya e degli Zapotechi, in cui Xolotl, il dio cinocefalo accompagnava quotidianamente il Sole fino al momento in cui scompariva negli inferi, o in quella Azteca, secondo la quale un cane rosso aveva il compito di guidare i defunti nell'aldilà, aiutandoli a varcare il fiume a nove bracci che sbarrava loro il cammino; lo ritroviamo anche presso i Chimù, che fra i doni funerari mettevano qualche statuetta in forma di cane. Immagini di cani sopra falci di luna, insieme con stelle e serpenti erano uno dei motivi preferiti dell'ornamentazione pittorica dei vasi impiegati a scopi rituali e teste di canidi in argilla e in metallo sono state rinvenute sia nella Huaca de la Luna, la piramide scoperta sulla riva del Rio Moche, sia in parecchi tumuli funerari, grandi e piccoli.
Oltre che alla Luna, i Chimù professavano una grande venerazione per le divinità dell'acqua.



Totemismo in Grecia: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/lupo-e-orsa-nellantica-grecia.html

Sulla tartaruga: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/il-simbolismo-della-tartaruga.html