Il Ciclo Arturiano (9) Le Querce di Albion: le pagine più belle




«È l'ora delle devozioni del mattino.» La voce di Lhiannon la richiamò alla realtà. La Somma Sacerdotessa si aggrappò al tavolo e si alzò. E la Dea non voglia che omettiamo anche la fase più trascurabile del rituale! pensò Caillean mentre l'aiutava a uscire nel giardino e a raggiungere il semplice altare di pietra. Ma, mentre accendeva la lampada e portava i fiori, Caillean sentì un senso di pace che riaffiorava nel suo animo. «Ecco, Tu sei venuta con l'aurora, ornata di fiori», disse Lhiannon a voce bassa, mentre levava le mani nell'atto del saluto. «Il Tuo splendore rifulge nel sole che si rafforza e nel fuoco sacro», rispose Caillean. «Sorgendo a oriente, Tu sei venuta a portare nuova vita al mondo.» La voce della Somma Sacerdotessa sembrava più giovane e pura: Caillean sapeva che, se l'avesse guardata, avrebbe visto le rughe sparire dal suo viso e la bellezza della Dea Vergine avrebbe brillato nei suoi occhi. E intanto la stessa forza le colmava il cuore. «I fiori spuntano dalle Tue orme, la terra verdeggia dove passi...» E come aveva fatto tante volte, lasciò che il ritmo della cerimonia la trasportasse in un luogo dove esisteva soltanto l'armonia della Signora.
«Taci!» mormorò Eilan mentre si alzavano. «Sta arrivando la Dea...» Al di là del cerchio della luce dei falò i flauti vibravano dolcemente. Eilan rimase immobile. Nel silenzio improvviso, il crepitio del fuoco giungeva chiaramente. Il rogo fiammeggiante s'era ridotto a tizzoni che emanavano una luce costante, smorzata dalla luna in un pallido nitore dorato, differente da qualsiasi altra luce terrena. Qualcosa brillava al di là di quel cerchio. I druidi biancovestiti si avvicinavano; erano uomini dalle barbe fluenti, inghirlandati di fronde di quercia e con le collane a verga tortile intorno alla gola. Aggirarono i falò seguendo la direzione del sole e si fermarono in attesa. Erano disposti ordinatamente in cerchio come guardie intorno al perimetro di un campo, ma i loro movimenti non avevano la precisione militare appresa da Gaio. Si fermavano semplicemente là dove dovevano stare, come le stelle. I sonagli d'argento tintinnarono con dolcezza e la tensione nel cerchio diventò più intensa. Gaio batté le palpebre, ma non riuscì a scorgere nulla. Tuttavia c'era qualcosa che si muoveva, una massa d'ombra che avanzava verso di loro. Poi si accorse che erano donne avvolte in drappeggi blu come la notte. Entrarono nel cerchio e si fermarono tutto intorno, con gli ornamenti argentei che tintinnavano, e i volti pallidi e indistinti sotto i veli. All'improvviso comprese. Erano le Sacerdotesse della Casa della Foresta, le donne sacre che erano sfuggite alla violenza di Mona. Vedere insieme tanti druidi gli faceva accapponare la pelle; e quando guardava le figure delle Sacerdotesse provava terrore e un senso di predestinazione. La sua sorte era legata in qualche modo a quella delle Sacerdotesse della Casa della Foresta? Il pensiero gli agghiacciava il sangue. Strinse più forte la mano di Eilan. Le ultime tre Sacerdotesse si avviarono verso l'alto sgabello collocato tra i falò. La prima era snella, un po' curva sotto il peso delle vesti, fiancheggiata da una donna alta e da un'altra più tozza. Queste ultime avevano i capelli scuri e portavano ornamenti d'argento. Entrambe erano senza velo, e ciò rendeva visibili le mezzelune blu tatuate sulla fronte. Il primo pensiero di Gaio fu che la giovane donna più alta sarebbe stata una degna avversaria in un combattimento, mentre, negli occhi della sua compagna, scorgeva una profonda insoddisfazione. Il gruppo si fermò. Vi fu un breve rito con un bacile d'oro, ma Gaio non lo comprese. Poi aiutarono la Sacerdotessa a sedere sullo sgabello a tre gambe e la portarono alla sommità del tumulo, tra i fuochi. Il suono delle campanelle raggiunse il culmine, quindi cessò. «Figli di Don, perché siete venuti qui?» chiese la donna alta, chiamando i presenti nel nome della mitica antenata delle tribù. «Noi chiediamo la benedizione della Dea», rispose uno dei druidi. «Allora invocatela!» Due donne gettarono manciate di erbe sulle braci. Gaio dilatò le narici quando il fumo profumato salì turbinando e riempì l'aria d'una foschia lucente. Era abituato all'incenso, ma non aveva mai provato quello strano senso di oppressione. Avrebbe giurato che il tempo stesse per cambiare, eppure il cielo era sereno. Intorno a lui il sussurro stava diventando un mormorio di molte voci, un brusio d'invocazioni. Sentiva i druidi che salmodiavano, e gli pareva che sotto i suoi piedi la terra vibrasse in risposta. Ebbe di nuovo paura. Guardò Eilan e vide che il suo sguardo estatico era fisso sulle tre figure in mezzo ai fuochi. La donna velata gemette e barcollò. È come la Sibilla, pensò Gaio. O come la Pizia di Delfi, di cui mi parlava il mio istitutore. Ma non si sarebbe mai aspettato di poter assistere di persona a una scena simile. Il canto divenne più intenso. All'improvviso la donna velata restò immobile e le altre due indietreggiarono. Gaio trattenne il respiro, perché la Sacerdotessa sembrava diventata più alta. Si raddrizzò e si voltò come se si guardasse intorno. Poi rise sommessamente e scostò il velo. Gaio aveva sentito dire che la Somma Sacerdotessa di Vernemeton era vecchia: ma quella donna era di una bellezza fulgida e i suoi gesti avevano un'energia travolgente. Il cinismo romano lo abbandonò e in lui ebbe la meglio il sangue materno. È vero... tutte le leggende sono vere... la Dea è presente...
«Io sono la terra verde che vi culla, sono il grembo delle acque», disse la Sacerdotessa con una voce che sembrava parlargli all'orecchio. «Io sono la luna candida e il mare di stelle. Sono la notte da cui nacquero le prime luci. Io sono la madre degli dei, io sono la vergine, io sono il serpente tenebroso che inghiotte ogni cosa. Mi vedete? Mi desiderate? Mi accettate?» «Noi vediamo...» risuonò il mormorio di risposta. «Noi ti vediamo e adoriamo...» «Rallegratevi, allora, perché la vita può continuare. Cantate, danzate, banchettate e fate l'amore, e avrete la mia benedizione: il bestiame si riprodurrà e il grano crescerà.» «Signora!» esclamò all'improvviso una voce di donna. «Hanno portato il mio uomo alle miniere e i miei figli sono alla fame. Che cosa devo fare?» «Hanno preso mio figlio!» gridò un uomo, e altri gli fecero eco. «Quando ci libererai dai romani? Quando volerà la freccia di guerra?» Si levò un vocio di protesta e Gaio si tese; sentiva l'agitazione nell'aria. Sarebbe bastato che Eilan dicesse una parola perché lo facessero a pezzi. Ma quando la guardò vide che aveva gli occhi lucidi di lacrime. «Siete miei figli, voi che ascoltate il grido di vostra sorella e non provvedete a lei?» I drappeggi scuri volteggiarono quando la Dea si girò. «Abbiate cura l'uno dell'altro! Nei volumi arcani dei cieli io ho letto il nome di Roma, e su quel rotolo ho visto che quel nome significa Morte! Roma cadrà, ma non spetta a voi decidere la sua sorte. Ho detto. Ascoltate ora la mia parola!
«Ricordate il cerchio della vita. Tutto ciò che perdete lo ritroverete un giorno, e ciò che vi è stato tolto sarà restituito. Ecco, io invoco la potenza del cielo, perché il mondo si rinnovi!» La Sacerdotessa levò le mani nel chiaro di luna, e Gaio ebbe l'impressione che il chiarore divenisse più intenso, fino a oscurarne la figura. Le altre Sacerdotesse incominciarono a cantare: Sui sacri alberi antichi, spargi la tua luce argentea; mostra il tuo volto affinché lo vediamo risplendere svelato nella notte... Gaio rabbrividì. Non aveva mai immaginato che le voci femminili potessero essere tanto belle. Per un momento il mondo intero parve sprofondare in un silenzio incantato; poi le braccia della Somma Sacerdotessa si tesero. Le due assistenti si voltarono sui due lati e nello stesso momento i falò divamparono furiosamente. Avevano gettato qualcosa tra le fiamme? Non riusciva a vedere... e quasi non riusciva a pensare, perché tutti gridavano. «Danzate!» La voce della Dea si levò su tutti gli altri suoni. «Rallegratevi, riceverete la mia estasi!» Per un momento s'inarcò verso l'alto, con le braccia spalancate come per abbracciare il mondo. Poi si accasciò fra le braccia della Sacerdotessa più alta. Ma Gaio non vide ciò che accadde dopo perché qualcuno lo urtò. Strinse più forte la mano di Eilan e sentì che l'altra mano gli veniva afferrata da uno sconosciuto. I tamburi rullarono. Si mossero; l'intero cerchio si mosse, e nel mondo non c'era più nulla tranne il ritmo dei tamburi. E mentre quel rullo lo trascinava avanti, scorse Cynric e Dieda dall'altra parte del cerchio, e gli parve che il viso di Dieda brillasse di lacrime.

"Crediamo di servire la Dea forse nella sua forma più pura, quale Divinità di tutte le donne. Perciò ci impegniamo a servirla come Madre, Sorella e Figlia. E a volte diciamo di vedere il Volto della Dea nella faccia di ogni Donna"
La luna piena guardava dai cieli come un occhio vigile, come se Arianrhod avesse deciso di osservare le cerimonie. Mentre il canto delle Sacerdotesse che l'avevano accompagnata svaniva nel silenzio, un freddo interiore fece accapponare le braccia di Eilan, anche se la notte era tiepida. Aveva sperato che piovesse? Non sarebbe cambiato nulla; se i druidi avessero permesso alle condizioni climatiche di influire sui loro riti, non ci sarebbe stata una vera religione. Eilan sapeva che doveva rallegrarsi perché i cieli avevano deciso di benedire la sua iniziazione, ma il chiaro di luna la metteva a disagio. Almeno la luce avrebbe dovuto renderle più facile percorrere il sentiero, e tutto ciò che le Sacerdotesse avevano chiesto era che attraversasse la foresta sino a tornare al santuario, e non sembrava molto difficile. Ansiosa di farla finita, Eilan si affrettò ad avventurarsi nelle ombre sotto gli alberi, lontano dallo sguardo implacabile della luna. Aveva camminato sì e no il tempo necessario per filare un braccio di lino quando si accorse d'essersi smarrita. Controllò il proprio respiro e si voltò. Doveva essere la prima prova, pensò: vedere se sapeva servirsi dei sensi interiori per ritrovare la strada. Attinse alla potenza della terra sotto i suoi piedi: almeno quella non era cambiata. Le energie della luna e delle stelle cantavano nel cielo, e, mentre Eilan apriva tutta se stessa per diventare la colonna che le collegava, respirando con un ritmo regolare fino ad acquisire la certezza di essere al centro dell'universo, la paura si dileguò. Riaprì gli occhi. Il panico era svanito, ma il chiaro di luna che filtrava tra le fronde sembrava provenire da ogni parte. Non aveva idea della direzione da prendere per arrivare al santuario. Tuttavia, se avesse scelto un percorso qualunque e l'avesse seguito sino in fondo, sarebbe riuscita ad attraversare la foresta. Un tempo, le avevano detto, tutta l'isola era stata ricoperta dagli alberi; ma adesso era costellata di strade, pascoli e campi. Non avrebbe camminato a lungo senza incontrare qualcuno in grado di indicarle la giusta via. Canticchiando, Eilan avanzò; e solo più tardi si accorse che era il canto salmodiato dalle Sacerdotesse al sorgere della luna. Mentre camminava, il fulgore screziato della luna trasformò il mondo, ed Eilan comprese perché si era spaventata. Ogni ramoscello era orlato d'argento, le foglie scintillavano e la luce danzava e si irradiava da ogni pietra... Ma ora sapeva di vedere qualcosa di diverso dalla luce della luna. Ogni cosa vivente della foresta aveva una sua luminosità... una luminosità che crebbe fino a quando Eilan non poté vedere bene, quasi vi fosse la luce del giorno. Ma non era giorno, perché la luce era priva d'ombre: era un'illuminazione diffusa in cui i colori della foresta splendevano come gemme smorzate. Con un brivido, comprese di aver varcato il confine che separa l'Altro Mondo dai territori degli uomini.
C'erano tredici querce sacre, dodici in cerchio, la più vecchia al centro, e ombreggiavano l'altare di pietra. Eilan, mentre le guardava, aveva la sensazione che anche nel caldo sonnolento del pomeriggio gli alberi conservassero qualcosa della magia di cui la luna li aveva avvolti poche notti prima. La voce di Caillean si smorzò in un mormorio di sottofondo mentre Eilan levava lo sguardo verso l'alto. Sicuramente la luce che brillava sulle loro foglie superava lo splendore del sole. Tutti i suoi sensi parevano acuiti dopo Beltane. La voce della Sacerdotessa ridivenne nitida. «Anticamente c'era un sodalizio di nove Somme Sacerdotesse, una per ogni regione di questa terra. Stavano alle spalle delle regine delle tribù, e le consigliavano e le sostenevano.» Eilan si appoggiò al tronco massiccio della quercia, attinse alla sua forza solida, e si sforzò di tenere aperti gli occhi. «Non erano regine loro stesse?» chiese Dieda. «Avevano un ruolo meno pubblico, sebbene spesso appartenessero alla stirpe reale. Ma erano le iniziatrici dei re, perché, quando un sovrano giungeva alla consacrazione, la Sacerdotessa diveniva il canale grazie al quale la Dea accettava i suoi servizi, e gli conferiva un potere che a sua volta trasmetteva alla regina.» «Non erano vergini», commentò Miellyn in tono acido, ed Eilan si ritrovò completamente sveglia. Ricordava le parole del Merlino. Per Gaio, lei era stata la Dea? E quale era, allora, il suo destino? «Le Sacerdotesse giacevano con gli uomini quando lo imponeva il servizio della Signora», rispose Caillean in tono neutro. «Ma non si sposavano, e partorivano figli solo quando era l'unico modo per preservare una stirpe reale. Restavano libere.» «Nella Casa della Foresta non ci sposiamo, ma non direi che siamo libere», osservò Dieda aggrottando la fronte. «Anche se la Sacerdotessa dell'Oracolo sceglie colei che deve succederle, spetta al Consiglio dei druidi approvare la sua scelta.» «Perché le cose sono cambiate?» chiese Eilan mentre un impulso rendeva più intenso il suo tono. «A causa di Mona?» «I druidi sostengono che l'attuale clausura serve a proteggerci», rispose Caillean con la stessa guardinga indifferenza. «Dicono che solo se ci conserviamo pure come vestali saremo rispettate da Roma.» Eilan la fissò. Allora ciò che ho fatto con Gaio non ha violato le leggi della Dea, ma soltanto le decisioni dei druidi. «Ma dovremo vivere sempre così?» chiese malinconicamente Miellyn. «Non esiste un posto dove possiamo dire la verità e servire la Dea senza l'interferenza degli uomini?» Caillean chiuse gli occhi. Per un momento Eilan ebbe la sensazione che persino gli alberi restassero immobili, in attesa di ascoltare ciò che avrebbe detto la Sacerdotessa. «Solo in un luogo al di fuori del tempo...» mormorò Caillean. «Protette dal mondo grazie a una nebbia magica.» Per un momento anche Eilan ebbe la sensazione di vedere una nebbia che aleggiava come un velo sulle acque argentee, e cigni candidi che cantavano mentre prendevano il volo. Poi Caillean trasalì e aprì gli occhi. Si guardò intorno, confusa. Attraverso gli alberi giunse il suono del gong che annunciava il pasto della sera.
Le Sacerdotesse adoravano la Luna nuova nel Bosco Sacro dietro la Casa della Foresta, secondo un rituale che gli uomini non avevano inventato e non erano autorizzati a seguire. Caillean osservava le novizie che venivano a completare il cerchio, e si sentiva come una gallina che conta i suoi pulcini... o, forse, pensò osservando il biancore delle loro vesti nella mezza luce, erano piccoli cigni che stavano per trasformarsi in cigni adulti. Vi fu un momento di silenzio mentre il cerchio si completava. Caillean si portò davanti al mucchio di pietre che era il loro altare, con Dieda a sinistra e Miellyn a destra, posizione che solitamente era lei a occupare. Ma quella sera Eilan era tormentata dai crampi e il posto della Somma Sacerdotessa era toccato a Caillean. Le sembrava strano essere lì e non sentire l'energia di Eilan che controbilanciava la sua. Dieda alzò la mano, e il silenzio fu spezzato da un tintinnio di sonagli argentei.
«Salute a te, luna nuova, gemma di dolcezza», cantarono le fanciulle.
Erano una dozzina ed erano venute alla Casa della Foresta dopo che Eilan era diventata la Somma Sacerdotessa. Gli arrivi più recenti erano motivati dalla musica di Dieda. Quando il vecchio Ardanos aveva tramato per far entrare a Vernemeton la figlia e la nipote aveva ottenuto risultati migliori del previsto. Caillean ascoltava le voci pure che lodavano il cielo e sospirava di soddisfazione.
«M'inginocchio davanti a te, ti offro il mio amore; m'inginocchio davanti a te, ti porgo la mia mano, levo gli occhi verso di te, o luna nuova delle stagioni!»
A ogni frase s'inchinavano, quindi alzavano le braccia in atto di supplica, con gli occhi fissi sulla falce argentea, e il loro salmodiare diventava come una danza. Poi cominciarono a muoversi lentamente secondo la direzione del sole, spostandosi intorno al cerchio, con le braccia protese.

«Salute a te, Luna nuova, gioiosa fanciulla del mio amore! Salute a te, Luna nuova, gioiosa fanciulla della grazia! Tu segui il tuo corso,
tu ci mostri il volto splendente, o Luna nuova delle stagioni!»

Caillean lasciò che il suo sguardo si perdesse in lontananza e che il ritmo del canto la trasportasse in una trance ancora più profonda. Ogni volta diventava più facile. Nella sua vita c'era stato un periodo di vuoto quando sembrava che nulla avesse più senso. Ma, grazie alla Dea, sembrava superato. Con la fine dei cicli mestruali, le dighe del suo spirito si erano schiuse e a ogni stagione sentiva con un'intensità via via più forte le maree del potere. E tu ne sei la causa, Eilan, pensò mentre lanciava il suo pensiero in volo verso la mole scura della Casa della Foresta al di là degli alberi. Senti come cantano dolcemente le tue figlie? Involontariamente spalancò le braccia. Le giovani che circondavano l'altare parevano muoversi in una nebbia luminosa.
«Tu, vergine regina dell'ispirazione, tu, vergine regina della fortuna, tu, vergine regina, amata luna nuova delle stagioni!»
Ancora una volta i sonagli tintinnarono dolcemente e il canto si spense nel silenzio; ma era un silenzio diverso, carico di energia. Caillean tese le braccia e percepì la tensione del compimento quando le altre due le presero le mani. Un secondo fremito le annunciò che le fanciulle s'erano prese per mano in un cerchio intorno a lei.
«Sappiate, sorelle mie, che il Potere della Luna è il Potere delle donne, la luce che rifulge nell'oscurità, le maree che governano i piani interiori. La Luna vergine governa ciò che cresce e ciò che inizia; perciò attingiamo dal suo potere per gli scopi per i quali è stato richiesto il nostro aiuto. Sorelle siete pronte a prestare la vostra energia all'opera che stiamo compiendo?»
Dal cerchio giunse un mormorio d'assenso, e Caillean piantò più saldamente i piedi nell'erba fresca.
«Noi invochiamo la Dea, la Signora della Vita che ha per veste il cielo stellato; la Dea è la vergine sposa, la Madre di tutti i viventi, la Saggezza che trascende il mondo. È tutte le Dee, e tutte le Dee sono una sola Dea; in tutte le sue fasi, in tutti i nostri volti, come risplende nei cieli, risplende in noi tutte!»
Parlava come se tentasse di respirare controvento.
«Dea, ascoltaci...» invocò. «Dea, sii vicina a noi», fecero eco le altre. «Dea, ascoltaci!» La tensione era quasi insopportabile. Caillean la sentiva fremere attraverso le mani intrecciate alle sue. «Per la guarigione di Pethoc, madre di Ambigatos, noi chiamiamo questo potere!» Caillean sentì Dieda intonare la prima nota dell'accordo risanatore; un quarto delle fanciulle si unì al canto, con un suono basso e vibrante come quello della corda di un'arpa, ma più profondo, più dolce, più alto, che continuava all'infinito. Poi venne la seconda nota, e metà del cerchio prese a cantare; e la terza, mentre l'accordo saliva e si completava in una nota altissima su cui la voce di Dieda ascese limpida, come un'allodola che s'invola nel cielo. Era un principio adottato dagli arpisti di Eriu nella loro magia; ma era stata un'idea di Eilan, quella di applicarla al canto, e Dieda aveva elaborato la tecnica e l'aveva insegnata alle allieve. Trovarsi al centro del canto era come stare all'interno di un'arpa. Gradualmente, mentre le voci si mescolavano, Caillean incominciò ad allacciare un contatto con gli spiriti delle altre. Io volo con ali di luce. Non avrebbe saputo dire di chi fosse quel pensiero, e non aveva importanza, perché in quel momento, mentre erano tutte collegate, provava la stessa sensazione.
«Vedo arcobaleni intorno alla luna... nella luce del sole... nell'acqua della cascata... tutto il mondo risplende... «Acqua fresca... il calore di un fuoco... la morbidezza delle piume d'un anatroccolo... le braccia di mia madre...»
In quella fusione di suoni tutti i sensi si confondevano. Solo la mente di Dieda rimaneva distinta dalle altre... Critica e ancora insoddisfatta.
«Ora respirate, e trattenete il respiro... Tanais barcolla. Aspetta, aspetta... ora dovrebbe intervenire Rhian con la quinta nota... Così va meglio. Ora saliamo la scala... Restate con me, tutte... Mantenete l'armonia!»
Le ultime irregolarità sparirono. Le voci unite delle donne ascesero e divennero la Voce della Dea. Per qualche istante cessò anche il monologo interiore di Dieda. Caillean sentì la tensione che si allentava nell'aria mentre l'accordo vibrava con un'intensità non umana. E, sebbene Caillean non conoscesse le parole per descrivere quanto fosse calzante ciò che udiva, era abbastanza esperta di canto per comprendere l'estasi di una musicista esperta che viveva l'esperienza dell'armonia perfetta. Dovette far forza su se stessa per scuotersi, protendersi verso l'energia che le palpitava intorno e attirarla a sé, tenere fissa nella mente l'immagine della malata per cui operavano. Ora vedeva una nebbia di energia che diventava più luminosa a ogni respiro. Caillean attirò il Potere in sé, vi proiettò l'immagine e tutte poterono vederla, baluginante sopra il mucchio di pietre. Il suono crebbe fino a quando le sembrò di non poterlo più sopportare. Alzò le braccia... Tutte alzarono le braccia mentre il Potere zampillava in una colonna di luce, un'ondata di suono purissimo per trasmettere forza alla malata. E poi svanì. Si fermarono. Avevano la certezza di essere riuscite nell'intento. Quella notte evocarono ancora due volte il Potere per operare guarigioni e infine un'ultima volta per recuperare una parte dell'energia che avevano perduto. Quando tutto finì, la pace era ritornata persino negli occhi di Dieda. Poi, con un mormorio conclusivo di gratitudine, ritornarono in processione alla Casa della Foresta per cenare e dormire. Ma Caillean, sebbene fosse stanca, si recò nell'edificio separato dove alloggiava la Somma Sacerdotessa per riferirle com'era andata.