Libagioni Funebri e Fantasmi in ''La Torcia'' di M.Z.Bradley e in Vincenzo Monti

Uno stralcio molto interessante che descrive l'usanza di celebrare la memoria del defunto tramite vino speziato; aggiungerò anche un celebre passo tratto dall'"Aristodemo" di Vincenzo Monti.



Per tutta la notte Cassandra sentì la pioggia e il vento che assalivano l'alto palazzo di Priamo, mentre le donne della casa reale piangevano Troilo. Lavarono il corpo, lo vestirono, lo coprirono di spezie preziose e bruciarono incenso per coprire l'odore di morte. Nel grigiore tra il buio e il levar del sole interruppero i pianti durati tutta la notte per bere vino e ascoltare il canto di una citareda, che esaltò il valore del giovane morto e raccontò che era caduto perché la sua bellezza era così grande che il Dio della Guerra l'aveva desiderato al punto di prendere le sembianze di Achille per portarselo via. Quando il canto finì, Ecuba chiamò a sé la donna e le diede un anello come compenso per la sua nobile elegia; poi fu invitata a riposare e a bere una coppa di vino caldo alle spezie. Elena, che aveva preso a sua volta una coppa, si portò accanto a Cassandra. «Andrò a sedermi altrove se non vuoi far vedere che parli con me»,
disse. «Sembra ch'io non sia più gradita fra le donne.» Appariva smunta, disfatta e pallida... S'era sciupata dopo la morte dei figli, e Cassandra notò le striature opache nell'oro dei suoi capelli. «No, resta qui», disse Cassandra. «Credo che tu sappia che ti sarò sempre amica.» «Tuttavia la mia offerta era sincera», disse Elena. «Tornerò da Menelao. Forse mi ucciderà, ma potrei avere la possibilità di rivedere l'unica figlia che mi resta prima di morire. Paride pensa che avremo altri figli, e anch'io l'avevo sperato... Voleva che nostro figlio regnasse su Troia dopo di noi.» Guardò Cassandra con aria interrogativa, e costei annuì, sebbene capisse che, approvando quanto aveva previsto Elena, era come se accettasse quella sorte. Negli ultimi anni s'era abituata a quella sensazione e sapeva che era assurda. Se la colpa era di qualcuno, era degli Dei, o delle forze che li facevano agire come agivano. Alzò la coppa verso Elena e bevve, e sentì la forza della bevanda; a quell'ora non era abituata a bere. Aveva mangiato pochissimo il giorno prima. Elena fece eco ai suoi pensieri e disse: «Chissà se la regina fa bene a far servire un vino puro così forte quando siamo semidistrutte dal dolore e dalla fame. In breve tutte le donne saranno ubriache fradicie.» «È una tradizione», disse Cassandra. «Se non servisse il vino migliore, dubiterebbero del suo amore e del suo rispetto per il figlio morto.» «È strano», disse pensosamente Elena, «il modo in cui la gente pensa alla morte o rifiuta di pensarci. Paride, per esempio... sembra convinto che, siccome i nostri figli sono morti, gli Dei accetteranno forse il sacrificio della loro vita e ci risparmieranno.» «Se un Dio accettasse che gli innocenti espiassero i peccati dei colpevoli, non avrei rispetto per lui; tuttavia alcuni credono negli Dei che accettano il sacrificio del sangue innocente», disse Cassandra. Poi soggiunse, quasi in un sussurro: «Forse è un'idea che gli Dei mettono nella mente degli uomini: Agamennone non sacrificò la figlia sull'altare della Vergine perché un vento favorevole portasse la sua flotta a Troia?» «È vero», disse sottovoce Elena. «Anche se adesso Agamennone non vuol sentirne parlare, e dice che il sacrificio è stato opera della moglie, mia sorella, un sacrificio alla sua Dea. Gli achei temono le vecchie Dee, dicono che sono maledette. Anche gli uomini più audaci fuggono atterriti davanti ai Misteri delle donne.» Cassandra girò lo sguardo nella stanza buia dove le donne bevevano e parlavano. «Vorrei che potessimo ispirare loro questo terrore», disse, e ricordò come aveva visitato la tenda di Achille in una visione... o forse in un sogno. Il ricordo l'indusse a pensare che forse poteva avere ancora accesso alla mente dell'eroe acheo: avrebbe tentato alla prima occasione. Alzò la coppa in silenzio e bevve. Elena fece altrettanto. Nella stanza si sentì una corrente d'aria. La porta s'era aperta e Andromaca stava sulla soglia: reggeva una torcia con le fiamme agitate dal vento. Aveva i capelli gocciolanti di pioggia, l'abito e il mantello infradiciati. Entrò come uno spettro, salmodiando sottovoce un inno funebre. Si chinò sul corpo di Troilo e baciò la guancia pallida. «Addio, fratello caro», disse con voce chiara ed esile. «Tu precedi il più grande degli eroi per parlare agli Dei della sua eterna vergogna.» Cassandra le si avvicinò in fretta e disse a voce bassa ma udibile: «La vergogna inflitta al valoroso ricade su coloro che la infliggono, non su chi la subisce». Versò una coppa di vino speziato, fortissimo, ancora meno diluito di quanto lo fosse stato quando la brocca era piena. Forse era meglio così: Andromaca si sarebbe addormentata e avrebbe dimenticato l'orrore, se non la sofferenza. Le mise in mano la coppa e sentì nel suo alito il puzzo del vino... dovunque fosse stata, aveva bevuto parecchio. «Bevi, sorella mia», invitò. «Ah, sì», disse Andromaca, con il viso grondante di lacrime. «Venni con te a Troia quand'eravamo quasi bambine e durante il viaggio tu mi dicesti quanto era bello e valoroso. Mio figlio è nato nelle tue mani. Sei la mia amica più cara.» Abbracciò Cassandra e si abbrancò a lei, barcollando, e Cassandra si accorse che era già ubriaca. Lei medesima sentiva l'effetto del vino che aveva bevuto, e capiva lo stato d'animo di Andromaca. Costei si chinò di nuovo a baciare il viso di Troilo e disse a Ecuba: «Sei fortunata, madre, perché puoi ornare il suo cadavere e piangere. Il mio Ettore giace sotto la pioggia, insepolto e illacrimato.» «Non è illacrimato», disse dolcemente Cassandra. «Tutte noi piangiamo per lui. Il suo spirito udrà le tue lacrime e i tuoi lamenti, anche se il suo corpo è laggiù, con i cavalli di Achille.» Le si spezzò la voce al pensiero del giorno successivo alla venuta di Andromaca a Troia, quando Ettore le aveva proibito di portar armi e aveva minacciato di picchiarla. Aveva parlato per confortare Andromaca, ma adesso si chiedeva se non aveva peggiorato le cose. Gli occhi della cognata erano freddi e asciutti. Cassandra la guidò verso la panca: ma, quando Andromaca vide Elena lì seduta, indietreggiò snudando i denti in una smorfia che fece apparire il suo viso simile a un teschio. «Tu sei qui e fingi di essere addolorata?»
«Gli Dei sanno che non fingo», disse Elena a voce bassa. «Ma se preferisci, me ne andrò. Tu hai più diritto di restare.» «Oh, Andromaca», disse Cassandra, «non parlare così. Entrambe siete venute in questa città come straniere, e qui avete trovato una casa. Tu hai perso il marito, ed Elena i figli, per volere degli Dei: dovreste essere unite nel dolore, non avventarvi l'una contro l'altra. Siete entrambe mie sorelle e vi amo.» Con una mano attirò vicina Elena, con l'altro braccio strinse a sé Andromaca. «Hai ragione», disse Andromaca, «siamo tutti impotenti nelle mani degli Dei.» Arricciò il naso e finì di bere il vino. Con voce impastata da ubriaca continuò: «Sorella, siamo entrambe vittime in questa guerra. Gli Dei non vogliono che la pazzia degli uomini ci se... ci separi...» S'impappinò goffamente. Si abbracciarono, in lacrime, ed Ecuba venne a unirsi al loro abbraccio, piangendo a sua volta. «Quanti morti! Quanti morti! I tuoi adorati figli, Elena! I miei figli! Dov'è il figlio di Ettore, il mio ultimo nipote?» «Non è l'ultimo, madre. Hai dimenticato? Creusa e le sue figlie sono state mandate al sicuro: non rischiano nulla», le ricordò Cassandra. «Sono lontane da Achille e dall'esercito nemico.» Andromaca disse: «Astianatte è troppo grande per restare nell'alloggio delle donne. Non posso neppure confortarlo, né cercare conforto vedendo nel suo viso i lineamenti del padre». La voce era ancora più triste del suo viso in lacrime. «Quando ho perduto... i miei piccoli», ricordò Elena con voce tremante, «mi hanno portato Nico perché mi confortasse. Andrò a prendere tuo figlio e te lo porterò.» «Oh, che tu sia benedetta», esclamò Andromaca. Cassandra le disse: «Lascia che ti accompagni nella tua stanza: non vorrai che venga qui, in mezzo a queste donne ubriache». «Sì, te lo porterò là», la rassicurò Elena. «Tu hai ancora tuo figlio, ed è il più grande dei doni.» A una a una le donne, sfinite dal dolore e dal vino, se ne andarono a letto. Solo Ecuba e Polissena, nella veste di sacerdotessa, presero posto alla testa e ai piedi di Troilo, per vegliarlo fino a quando fossero venuti a prendere il corpo per arderlo. Cassandra si domandava se doveva restare: ma non gliel'avevano chiesto, neppure per compiere le mansioni di sacerdotessa purificando la camera ardente. Avevano più bisogno di lei Andromaca ed Elena: sapeva di essere estranea, fra le donne di Troia, come loro che venivano da Colchide e da Sparta. Andò con Elena ed Andromaca nelle stanze di Paride, dove trovarono Nico e Astianatte. I due bambini avevano pianto. Astianatte aveva la faccia sporca e macchiata di lacrime. Qualcuno gli aveva detto che suo padre era morto e aveva cercato di consolarlo. Elena portò i due bambini al pozzo nel cortile e lavò loro il viso con un lembo del velo. Astianatte si buttò fra le braccia della madre, poi disse: «Non piangere, madre. Mi hanno detto che non dovevo piangere, perché mio padre è un eroe. Quindi, perché tu piangi?» Elena disse dolcemente: «Astianatte, devi asciugare le lacrime di tua madre; ora è compito tuo averne cura, poiché tuo padre non può più farlo». Quando il figlio l'abbracciò, Andromaca si sciolse di nuovo in lacrime da ubriaca. Elena e Cassandra la portarono nella sua stanza, la misero a letto e le posero accanto il figlio. «Nico resterà con me», disse Elena. «Oh, perché ce li tolgono così giovani?» Ma quando prese fra le braccia Nico, egli si ritrasse sdegnato. «Non sono un bambino, madre! Tornerò con gli uomini.» Soffocando i singhiozzi, Elena replicò: «Come vuoi, figlio: ma prima abbracciami». Nico obbedì controvoglia e corse via. Elena, con la faccia grondante di lacrime, lo guardò allontanarsi senza protestare. «Paride non si è comportato con lui meglio di Menelao», osservò. «Non mi piace vedere gli uomini che fanno diventare i bambini simili a loro. Grazie agli Dei, Astianatte non si vergogna ancora di stare con la madre», disse guardando la pioggia grigia che cadeva fuori del palazzo. «Cassandra!» esclamò all'improvviso. La sua voce era così piena di paura che per poco Cassandra non lasciò cadere la torcia. «Se finiremo nelle mani degli achei, che sarà di mio figlio? Forse i troiani non si fermeranno di fronte a nulla, pur di impedire a Menelao di riprenderselo.» «Vuoi dire che mio padre o uno dei miei fratelli lo ucciderebbero per evitare che torni a Sparta?» Cassandra non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Non che mi sembri possibile, però...» «Se lo credi, forse dovresti tornare davvero da Menelao e portare in salvo il bambino», disse Cassandra. «Senza dubbio ti accoglierebbe a braccia aperte, se gli riportassi il figlio...» «Io pensavo che Nico si sarebbe trovato meglio a Troia, che Paride sarebbe stato per lui un padre migliore di Menelao», disse amaramente Elena. «E lo è stato, Cassandra. Lo è stato. Ma ora... ora lo odia perché è vivo mentre i nostri figli sono morti...» La voce le si spezzò; per un momento pianse, aggrappata a Cassandra. «Allora andrai?» «Non posso», mormorò stordita Elena. «Non so decidermi a lasciare Paride. Mi ripeto che il volere degli Dei m'impone di restare finché tutto sarà finito. Paride non mi ama più, ma preferisco stare a Troia anziché a Sparta...» Non finì la frase, poi riprese: «Cassandra, tu sei stanca. Non devo più trattenerti. Va' a dormire. Oppure tornerai a vegliare Troilo?» «No, non credo che mi vogliano», rispose Cassandra. «Tornerò alla Casa del Signore del Sole.» «Con questa pioggia? Senti che temporale!» disse Elena. «Puoi dormire qui, se vuoi. Puoi dormire nel mio letto... è molto improbabile che arrivi Paride. Avranno bevuto tanto in onore dello spirito di Ettore che non riusciranno a salire le scale. O se vuoi posso ordinare alle schiave di prepararti un letto nell'altra stanza.» «Sei molto gentile, sorella, ma le schiave ormai dormiranno. Lasciale riposare», disse Cassandra. «La pioggia mi schiarirà la testa.» Prese il mantello, alzò il cappuccio, abbracciò Elena e la baciò. «Andromaca non pensava veramente quello che ti ha detto.» «Oh, lo so. Al suo posto proverei gli stessi sentimenti», disse Elena. «Ha paura. Che sarà ora di lei e di Astianatte? Paride ha già deciso di succedere a Priamo, senza lasciare il posto al figlio di Ettore. E se Paride dovesse portare a buon fine la guerra...» «Non è possibile», disse Cassandra. «Tuttavia tu non devi aver paura, Elena. Menelao non ha combattuto tutti questi anni per vendicarsi.» «Lo so. Gli ho parlato», replicò Elena, facendola trasalire. «Non so perché, ma mi rivuole con lui.» «Gli hai parlato? Quando?» Cassandra stava per chiedere come aveva fatto; poi ricordò che, come moglie di Paride, Elena poteva andare dove voleva, anche al campo acheo. Ma perché era andata a conferire con i comandanti nemici? si chiese insospettita; poi assolse l'amica dall'ombra del tradimento. Era comprensibile che Elena si preoccupasse della propria sorte e di quella del figlio. «Se parlerai di nuovo con lui», disse, «chiedigli se può influire in qualche modo su Achille per ottenere la restituzione del corpo di Ettore.» «Credimi, ho tentato e tenterò ancora», le assicurò Elena. «Senti, la pioggia è meno forte; se vai ora, arriverai prima che ricominci a diluviare.» La baciò di nuovo e l'accompagnò alla porta della reggia. Cassandra uscì sotto la pioggia. Prima che avesse salito metà della prima rampa di scale, ricominciò un terribile rovescio, mentre il vento le artigliava il mantello. Per un attimo pensò con rammarico che avrebbe dovuto accettare il letto offerto da Elena. Enea stava banchettando e bevendo con gli uomini, e difficilmente l'avrebbe raggiunta quella notte. Ma ormai era assurdo tornare indietro. Continuò la salita sotto il temporale. Quando svoltò nella via della Casa del Signore del Sole, sentì dietro di sé un passo leggero. Dopo tanti anni di guerra gli sconosciuti la innervosivano; si voltò, nella luce fioca delle torce appese sopra la porta, e scorse il viso e la figura ammantata di Criseide. Nonostante la luce scarsa vide che aveva la veste gualcita e macchiata di vino, i cosmetici impiastricciati sul viso. Sospirò, chiedendosi in quale letto avesse passato parte della notte e perché l'avesse lasciato con quel nubifragio. Sembra una gatta dopo una notte di vagabondaggi... Solo che una gatta si sarebbe lavata il muso... Il custode della Casa del Signore del Sole le accolse con stupore ed esclamò: «Siete rimaste in giro con questo tempaccio orribile, signore?» Ma nessuno aveva mai mostrato curiosità per gli andirivieni di Cassandra; avrebbe potuto avere tanti amanti quanti ne aveva Criseide, e nessuno se ne sarebbe curato. Mentre attraversavano il cortile verso il dormitorio, situato nella parte più alta del Tempio, Cassandra rallentò per non distanziare la ragazza. «È così tardi che fra poco sarà chiaro», disse. «Vuoi venire nella mia stanza a lavarti la faccia prima che ti vedano nel Tempio così conciata?» «No», rispose Criseide. «Perché? Non mi vergogno di ciò che faccio.» «Dovresti evitare che tuo padre ti veda così», disse Cassandra. «Gli spezzerai il cuore.» La risata di Criseide era un tintinnio di vetri infranti. «Oh, andiamo! Non s'illuderà che sia uscita vergine dal letto di Agamennone!» «Forse no», disse Cassandra. «Non può rimproverare a te gli eventi della guerra. Ma vedendoti così conciata si addolorerebbe.» «Credi che m'importi? Io stavo bene dov'ero, e vorrei che avesse pensato agli affari suoi e mi avesse lasciata là.» «Criseide», disse dolcemente Cassandra, «sai quanto si disperava per te? Non pensava ad altro.» «Allora è uno sciocco.» «Criseide...» Cassandra la guardò. Si chiese che cosa aveva nel cuore... se pure aveva un cuore. Infine domandò, incuriosita: «Non ti dà vergogna apparire davanti agli uomini di Troia, i quali ti riconoscono e sanno che eri la concubina di Agamennone?» «No», rispose Criseide in tono di sfida. «Come Andromaca non aveva vergogna se gli uomini sapevano che apparteneva a Ettore, ed Elena non ne ha se è noto che appartiene a Paride.» C'era una differenza, secondo Cassandra: ma non riusciva a riordinare i propri pensieri per poterle dire qual era. «Se la città cadrà», continuò Criseide, «tutte verremo assegnate a un uomo: perciò mi do a chi voglio, finché posso ancora farlo. E tu, Cassandra, intendi conservare la verginità perché un vincitore te la tolga a forza?» Non posso darle torto... Cassandra non seppe che cosa rispondere; si voltò ed entrò nella sua stanza. All'interno, un'ancella neghittosa aveva lasciato spalancate le imposte, ed entravano vento e pioggia. Il pagliericcio di Melissa era fradicio. La bambina era rotolata fuori del giaciglio sul pavimento di pietra, e s'era rifugiata contro la parete. Ma anche così era tutta bagnata. Cassandra chiuse le imposte e portò la bambina nel suo letto. Melissa era fredda come una ranocchietta; piagnucolò quando Cassandra la sollevò, ma senza destarsi. Cassandra l'avvolse nelle coperte, la cullò, la strinse al seno finché sentì che i piedini e le manine incominciavano a scaldarsi, poi la posò e si stese accanto a lei, avvolgendosi nel mantello. Il fragore del temporale era smorzato dalle finestre chiuse, ma il vento scuoteva ancora con forza le imposte. Cassandra chiuse gli occhi, cercando di inviare lo spirito lontano da lì. Con sua sorpresa, quando si liberò dal corpo e si allontanò dal letto passando dalla finestra, non sentì più il temporale, ma solo un silenzio profondo: sul piano dove ora si muoveva il suo spirito non c'erano intemperie. Veloce come il pensiero, scese la collina nel chiaro di luna e volò sulla pianura tra le porte di Troia e il terrapieno che difendeva il campo acheo. Sotto quella luna impossibile le ombre erano nitide e nere sulla pianura silenziosa e deserta. C'era soltanto una sentinella semiaddormentata. Paride aveva ragione, pensò: avrebbero dovuto scagliare tutte le loro forze in un attacco notturno. Poi ricordò che nel mondo fisico i bastioni achei erano protetti dalla pioggia meglio che da tutte le sentinelle. Scorse una struttura in ombra e riconobbe il carro di Achille, e una sagoma indistinta che doveva essere il cadavere di Ettore. Il suo primo pensiero fu di gratitudine perché in quella sorta di Aldilà (come era giunta in quel mondo di morte quand'era ancora tra i vivi?) il corpo di Ettore non era martellato dalla pioggia e dal vento urlante. E, mentre pensava a lui, Ettore le apparve sorridendo. «Sorella», disse, «sei tu. Dovevo aspettarmi di vederti qui.» «Ettore...» Cassandra s'interruppe. «Come stai?» «Ma...» Parve riflettere. «Meglio di quanto mi aspettassi», rispose. «Non soffro più, quindi credo di essere morto. Ricordo solo che sono stato ferito e ho pensato che doveva essere la fine. Poi mi sono svegliato, e Patroclo mi ha aiutato a rialzarmi. È rimasto con me per un po', quindi ha detto che doveva stare al fianco di Achille e se n'è andato. Poi, stanotte sono andato alla reggia, ma Andromaca non poteva vedermi. Ho cercato di parlare con lei e quindi con nostra madre, per assicurarle che stavo bene, ma sembrava che non mi udissero.» «Quand'eri vivo, udivi mai la voce dei morti?» «No, naturalmente. Non ho mai imparato ad ascoltarla.» «Ebbene: è per questo che non hanno potuto sentirti. Cosa posso fare per te, fratello? Vuoi sacrifici o...» «Non so a cosa servirebbero», disse Ettore. «Ma raccomanda ad Andromaca di non piangere. Mi sembra così strano non poterla confortare. Dille che non si addolori; e se puoi, dille che presto verrò a prendere Astianatte. Vorrei lasciarlo alle sue cure, ma mi è stato detto...» «Chi te l'ha detto?» «Non lo so», rispose Ettore. «Non ricordo... forse è stato Patroclo, ma so che presto verranno da me mio figlio, e mio padre, e Paride. Andromaca no... resterà lì per lungo tempo.» Si avvicinò, e Cassandra sentì il tocco lieve delle sue labbra sulla fronte. «Addio anche a te, sorella», disse. «Non temere. Dovrai soffrire molto, ma ti assicuro che tutto finirà bene.» «E Troia?» «Ah, no. È già caduta», disse Ettore. «Vedi?» Gentilmente, la fece voltare con mani incorporee. E Cassandra vide un gran cumulo di macerie dal quale si levavano alte fiamme, là dove una volta sorgeva Troia. Ma il fragore della distruzione... com'era possibile che non l'avesse udito? «Qui il tempo non esiste», continuò Ettore. «Ciò che è e ciò che sarà sono una sola cosa. Non comprendo», disse, agitandosi, «perché stanotte sono entrato nelle sale del palazzo di mio padre e stavano banchettando; e ora, guarda, la città è caduta. Forse quand'ero sulla terra avrei dovuto interrogare coloro che conoscono queste cose: ma sembrava che non ne avessi mai la possibilità. Ora vedo Apollo e Poseidone... guarda, lottano tra loro per la città...» Indicò al di sopra delle macerie, dove due figure mostruose giganteggiavano sopra le nubi e si battevano, splendenti come folgori. Cassandra rabbrividì alla vista del volto amato del Signore del Sole, coronato dai riccioli d'oro. Si sarebbe voltato e l'avrebbe vista aggirarsi nei reami proibiti? Si volse risolutamente verso l'ombra di Ettore. «E Troilo? Sta bene?» «È stato per un po' con me: mi ha seguito correndo», disse Ettore. «Ma ora è alla reggia con nostra madre: ha cercato di dirle che non deve disperarsi. Non riusciva a credere che non potesse farsi sentire. Forse nostra madre ti ascolterebbe, se glielo dicessi tu. Sa che sei sacerdotessa e che conosci queste cose.» «Ah, non so se darà ascolto neppure a me, fratello caro», disse Cassandra. «Ha le sue opinioni, e rifiuta le mie. Ma per amore dei nostri genitori e per la loro tranquillità...» S'interruppe per riflettere. «Sono venuta per cercare di spaventare Achille e indurlo a rendere il tuo corpo in cambio del riscatto. Forse, in questo riusciresti meglio di me.» «Credi che abbia paura dei fantasmi? Ha ucciso tanti nemici che deve essere sempre circondato dai loro spettri», disse Ettore. «Ma vedrò che cosa posso fare. Ritorna, sorella, torna dalla tua parte del muro che ora sorge tra noi, e di' a nostro padre e a nostra madre che non devono perdere tempo piangendo: presto saranno con me. E assicurati che Andromaca non si addolori: aspetterò qui nostro figlio. Di' a lui di non aver paura, perché sarò pronto a riceverlo. Andromaca non vorrà certo fargli vivere i giorni che si preparano.» Ettore si allontanò, fluttuando, verso la tenda di Achille. Dopo un momento si voltò di nuovo... e già, pensò Cassandra, sembrava distante e strano, come uno sconosciuto. «No, non seguirmi, sorella. Qui le nostre strade si separano. Forse c'incontreremo ancora e ci comprenderemo meglio.» «Non devo raggiungere te e Troilo, con i nostri genitori?» «Non lo so», disse Ettore. «Tu servi altri Dei; credo che, se varcherai le soglie della morte, andrai altrove. Ma a me è dato sapere che le nostre strade si dividono qui; per molto tempo, se non per sempre. Che tu possa avere fortuna, Cassandra.» Tornò ad abbracciarla, e Cassandra si stupì nel sentire la forza di quell'abbraccio. Non era uno spettro: era reale quanto lei. Poi si dileguò: anche la sua ombra svanì sulla pianura.


Vincenzo Monti, inizio dall' "Aristodemo"



Aristodemo: "Sì, Gonippo, un orrendo pensiero; e quanto è truce tu non lo sai. Lo sguardo tuo non passa dentro il mio cor, né mira la tempesta che lo sconvolge tutto. Ah! mio fedele, credimi, io sono sventurato assai, senza misura sventurato; un empio, un maledetto nel furor del cielo, e l'orror di natura e di me stesso."


Gonippo: "Deh, che strando disordine di mente! Certo il dolore la ragion t'offusca, e la tristezza tua da falso e guasto immaginar si crea."

Aristodemo: "Così pur fosse! Ma mi conosci tu? Sai tu qual sangue dalle mani mi gronda? Hai tu veduto spalancarsi i sepolcri, e dal profondo mandar gli spettri a rovesciarmi il trono?" "Sì morirò; son pronto: eccoti il petto, eccoti il sangue mio; versalo tutto, vendica la natura, e alfin mi salva dall'orror di vederti, ombra crudele."

Aristodemo: "Ebben: sia questo adunque l'ultimo orror che dal mio labbro intendi. Come or vedi tu me, così vegg'io l'ombra sovente della figlia uccisa; ed, ahi, quanto tremenda! Allor che tutte dormon le cose, ed io sol veglio e siedo al chiaror fioco di notturno lume; ecco il lume repente impallidirsi; e nell'alzar degli occhi ecco lo spettro starmi d'incontro, ed occupar la porta minaccioso e gigante. Egli è ravvolto in manto sepolcral, quel manto stesso onde Dirce [è il nome della figlia uccisa da
Aristodemo, nota di Lunaria] coperta era quel giorno che passò nella tomba. I suoi capelli, aggruppati nel sangue e nella polve, a rovescio gli cadono sul volto, e più lo fanno, col celarlo, orrendo. Spaventato io m'arretro, e con un grido volgo altrove la fronte; e me 'l riveggo seduto al fianco. Mi riguarda fiso, ed imobil stassi, e non fa motto. Poi, dal volto togliendosi le chiome e piovendone sangue, apre la veste, e squarciato m'addita, ahi vista! Il seno di nera tabe [sangue] ancor stillante e brutto. Io lo respingo; ed ei più fiero incalza, e col petto mi preme e colle braccia. Parmi allor sentir sotto la mano tepide e rotte palpitar le viscere: e quel tocco d'orror mi drizza i crini. Tento fuggir, ma pigliami lo spettro traverso i fianchi e mi trascina a' piedi di quella tomba, e "Qui t'apetto" grida, e ciò detto, sparisce."

Gonippo: "Inorridisco. O sia vero il portento o sia d'afflitta malinconica mente opra ed inganno, ti compiango, mio re. Molto patirne certo tu dèi; ma disperarsi poi debolezza saria. Salda costanza d'ogni disastro è vincitrice. Il tempo, la lontananza dileguar potranno de' tuoi spirti il tumulto e la tristezza. Questi luoghi abbandona, ove nudrito da tanti oggetti è il tuo dolor. Scorriamo la Grecia tutta, visitiam cittadi, vediamone i costumi. In cento modi t'occuperai, ti distrarrai...Che pensi? Oimè! Che tenti, sconsigliato?"




P.s purtroppo il mio adorato Vincenzo Monti non lo possiedo in questa bella edizione