Piante, Pianeti e Simbolismo!



Le piante erano viste in stretta relazione con il cosmo, il Sole e la Luna, e gli altri pianeti allora conosciuti. (anche la Luna e il Sole erano ritenuti pianeti, per gli antichi). Come mai - ci si era chiesto - esistono sulla Terra alberi altissimi, svettanti verso il cielo, e fusti più piccoli, giù giù fino ai cespugli, le erbe e i funghi? Perché i pianeti ne regolano la crescita, perché ogni pianeta ha la sua pianta, che gli è sacra, ne carpisce e ne riflette le forze cosmiche.
Gli alberi in genere (e la quercia in particolare, albero che era già al centro delle cerimonie druidiche di "castrazione sacra"; si veda il discorso del vischio) appartengono al Sole: essi esprimono il massimo grado della perfezione vegetale, la piena manifestazione della potenza solare.
Gli arbusti, quasi sempre spinosi, sono di Marte, il pianeta sacro al bellicoso dio della guerra.
Le felci, duttili, sempreverdi, sono dedicate a Giove, simbolo dell'energia divina.
Le erbe e i fiori non possono essere che di Venere: riflettono grazia, bellezza, amore espressi dalla Dea e dal pianeta a lei dedicato.
I muschi, che vivono nelle prossimità umide delle caverne e delle grotte, gli antichi accessi al mondo degli inferi e delle tenebre sono di Mercurio, che era per i Greci messaggero degli Dei e guida delle anime dei morti.
Le alghe appartengono alla Luna, il globo che governa le acque e la vegetazione palustre.
I fungoidi, che rappresentano il primo gradino dell'evoluzione, il tentativo d'ascesa verso forme superiori, sono posti in relazione con Saturno, il pianeta dedicato al mitico padre di Giove che perde il dominio del mondo ed è ricacciato negli inferi, da cui tenta costantemente di evadere per riacquistare l'antica potenza.


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La Sanguinaria (un'erba delle Graminacee) è pianta del Sole. Particolarmente attiva e benefica nelle relazioni amorose, mantiene un costante collegamento astrale fra le persone che deve unire, vi aggiunge una specie di nodo invisibile, ma tenace. Per ottenere l'esito sperato bisogna cogliere la Sanguinaria in un'ora governata da Venere in un giorno di giovedì, preferendo l'ora diurna se deve operare su un uomo, e l'ora notturna se deve operare su una donna.

La Ninfea è la pianta della Luna. La sua essenza è favorevole alle imprese connesse coi viaggi, ma estende la sua influenza anche alle escursioni dell'immaginazione, che stimola fortemente suscitando sogni e visioni. Essenza magica della Luna è anche l'Ireos, le cui esalazioni notturne provocano l'angoscia, e a volte, persino la morte.

La Cinquefoglie è la pianta magica di Mercurio. Conferisce il dono del sapere. Portata sulla persona come talismano, favorisce la ricchezza, la scoperta di cose preziose, persino tesori. Predispone all'interiorizzazione, specialmente nei giorni di mercoledì, nelle ore governate da Mercurio.

La Verbena è la pianta di Venere. Si può agire magicamente su un soggetto, per influenzarlo nel sonno, se si scelgono le ore notturne di Venere, lunedì, in fase di luna nuova.

L'Acanto è la pianta di Marte. Dona forza e coraggio e aiuta a risolvere i problemi più complessi se si impiega nelle ore diurne di Marte e nei giorni di Giove. Usato nelle ore notturne mercuriane, predispone però all'imprudenza, alla collera, alla violenza.

Il Giusquiamo è la pianta di Giove. Infonde saggezza, illuminazione, prosperità. Per ottenere questi benefici effetti, si deve agire di giovedì, nelle ore diurne.

Il Salice è la pianta magica di Saturno. Se ne può trarre, se usato il sabato, una grande forza morale e la capacità di dominare gli spiriti.

Perché, tra i tanti sempreverdi, proprio l'agrifoglio e il vischio accompagnano le feste natalizie? La leggenda nordica che ce ne narra l'origine non è molto allegra. Baldur, figlio di Odino, venne ucciso da un suo nemico, Loki, appunto con una freccia tratta da un ramo di vischio. Odino maledisse la pianta, ma la moglie del Dio, piangendo la morte di Baldur, vi fece cadere alcune lacrime, che diventarono perle: così il vischio fu rivalutato, anche se fu allontanato dai templi in favore dell'agrifoglio, il cespuglio accanto al quale era spirato Baldur, reso da Odino sempreverde e dotato di bacche rosse, in ricordo del sangue sparso dal figlio. L'agrifoglio venne subito ammesso nelle chiese cristiane, mentre al vischio ne fu a lungo vietato l'accesso, dato l'uso fattone dalle religioni pagane, che lo avevano rivestito di tanti significati magici. Poiché ciò sia avvenuto, resta un mistero, anche se numerose leggende circondano questo sempreverde.
Il vischio è una pianticella parassita di diversi alberi, con foglie verdi e dure e frutti a bacca bianchi. In genere, però, il mito si riferisce al vischio quercino, parassita delle querce che ha foglie più piccole di quello comune. Vischio e querce erano sacri ai druidi, gli antichi sacerdoti celtici, e sacro era il rituale con cui, durante il solstizio d'inverno, i rametti venivano staccati dall'albero: l'operazione veniva effettuata con un falcetto d'oro, e il vischio, per non perdere i suoi poteri occulti, non doveva toccare il suolo, ma essere raccolto in un panno di lino.
Plinio ci spiega questo complesso procedimento dicendoci come i druidi ritenessero così di "evirare la quercia". La credenza ci porta alla magia similitudinaria: il liquido appiccicoso del vischio era forse paragonato a quello spermatico, per cui la pianticella era ritenuta apportatrice di fertilità.
Curioso è il fatto che tale credenza non sia propria soltanto dell'Europa celtica: la troviamo pure presso gli Ainu dell'antico Giappone, dove anche il rituale per cogliere il vischio era pressapoco uguale a quello dei druidi. "Molti credono ancora oggi che questa pianta abbia il potere di far fruttificare i giardini", ci dice Frazer. "E si sa che qualche donna sterile mangia vischio per avere prole." Anche in molte regioni africane, la pianticella è considerata sacra, apportatrice d'incolumità, tanto che i guerrieri Valo, andando in guerra, ne portavano addosso le foglie per assicurarsi l'invulnerabilità. In Europa troviamo altre credenze: i contadini di molti paesi (compresi alcuni italiani) ritenevano il vischio capace di domare gli incendi, per cui ne appendevano i rami sui tetti delle case.
In Boemia lo si chiamava "scopa del tuono" poichè lo si considerava in grado di allontanare i fulmini.
Il vischio è stato usato anche in campo terapeutico: nella Francia meridionale lo si applicava sull'addome dei sofferenti di colite, in Svezia e in Inghilterra lo si pensava atto a preservare dagli attacchi epilettici, mentre in alcune regioni tedesche lo si mette tuttora al collo dei bambini per immunizzarli dalle malattie. Tali credenze - ci dice Frazer - sono forse dovute al fatto che gli uomini di ogni tempo e luogo hanno visto qualcosa di soprannaturale in questa pianta che cresce e prospera senza affondare le radici nella terra. Non sappiamo se la spiegazione sia davvero questa: sta di fatto che la chiesa ha cercato a lungo e inutilmente di far dimenticare i poteri magici del vischio, vedendosi infine costretta ad accettarne l'uso e a inserirlo nella tradizione cristiana. Alla pianticella (come all'agrifoglio) è stato così attribuito il generico simbolo di pace e serenità.


Da "La Dea Bianca" di Robert Graves:

Eracle era anche connesso al culto del Fallo e al rito dell'Evirazione: "Il mito dell'evirazione di Urano ad opera del figlio di Crono [...] Il significato originario è quello dell'eliminazione annuale del vecchio re della quercia da parte del suo successore [...] La cerimonia druidica del taglio del vischio della quercia rappresentava l'evirazione del vecchio re da parte del suo successore essendo il vischio un simbolo eminentemente fallico. Dopo la castrazione il re veniva mangiato eucaristicamente". Anche la ghianda è un simbolo fallico, così come il fungo.

Nella tradizione popolare francese, italiana e britannica, la pervinca è il fiore della morte. In epoca medioevale si poneva una ghirlanda di pervinche sul capo dei condannati alla pena capitale. I cinque petali azzurri la rendono sacra alla Dea e gli spessi viticci potevano ben rappresentare i lacci con cui essa legava la sua vittima. Del resto, il suo nome latino è "vincapervinca" ("che lega tutt'intorno"), anche se i grammatici medioevali la collegavano con "vincere", "conquistare" e non con "vincire", "legare", sicché "pervinke" acquistò il significato di "vincitore su tutto". Ma chi vince sempre su tutto è ancora sempre la morte.

Una ballata medioevale francese recita:

"Sui gradini del palazzo c'è una bellissima donna Essa ha tanti amorosi
che non sa quale prendere. è il piccolo calzolaio che ha avuto la preferenza. Un giorno mentre la calzava le pose la sua domanda: "Bella se voi voleste, noi dormiremmo insieme, in un grande letto quadrato ornato di bianchi teli, e ai quattro angoli del letto un mazzo di pervinche. E in mezzo al letto il fiume è così largo che i cavalli del re potrebbero berci tutti quanti. E là noi dormiremmo fino alla fine del mondo."


"Aux marches du palais l'est une tant belle femme. Elle a tant d'amoiureux qu'elle ne sait lequel prendre. C'est le p'tit cordonnier qu'a eu la préférence.Un jour en la chaussant il lui fit sa demande: "La belle, si vous l'vouliez, nous dormirions ensemble, dans un grand lit carré, orné de teilles blanches, et aux quatre coins du lit un bouquet de pervenches. Et au mitan du lit la rivière est si grande que les chevaux du roi pourroient y boire ensemble. Et là nous dormirions jusq'à la fin du monde"

I cipressi erano accostati alla morte già nell'antica Grecia. Come questo sia avvenuto ce lo racconta Ovidio, narrandoci la storia di un giovanetto di nome Ciparisso il quale, inseguendo un cervo per gioco, gli scagliò un dardo; non aveva intenzione di ucciderlo ma purtroppo così accadde. Ciparisso rimase molto colpito; si accostò al cervo e, provando un acuto senso di rimorso, cominciò a piangere a dirotto. In quel momento comparve Apollo: osservando la scena, volle che l'episodio vivesse almeno simbolicamente nel tempo e operò una magica trasformazione; le lacrime del fanciullo e il sangue dell'animale divennero a poco a poco di colore verde intenso, mentre i due corpi si unirono in un tronco. Era nato il cipresso, al quale il Dio così si rivolse: "Sarai pianto da me, piangerai sugli altri, sarai presente presso chi soffre." 

Il frassino: quest'albero, che cresce nei boschi di montagna, è notoriamente utile per il legno chiaro e forte che, nelle antiche credenze, rappresenta spesso l'onestà e la forza delle persone a cui venga dedicato dalla nascita. Le sue ceneri godono fama di possedere virtù curative eccezionali, e furono quindi usate per fabbricare vari impiastri. Se avete un frassino nel vostro giardino - aggiungono gli inglesi - osservatelo attentamente: ogni suo malanno ne rifletterà uno proprio a voi o a qualcuno dei vostri cari. Guai, poi, se l'albero fosse abbattuto o morisse per qualsiasi causa: ciò segnerebbe un imminente lutto familiare. La credenza ha un'antica superstizione, secondo cui una strega venne cacciata dal palazzo di un sovrano a cui aveva chiesto cibo e rifugio, proprio con un ramo di frassino. Lanciata la tradizionale maledizione, la strega la lasciò operante per secoli, tanto da far nascere la convinzione che ogni frassino caduto o rinsecchito causasse la morte di un membro della famiglia reale entro un anno. A supporto di questa "teoria" viene portata l'esecuzione di Carlo I, re d'Inghilterra e di Scozia, decapitato nel 1649, esattamente un anno dopo che era stato abbattuto il suo frassino. Stando a un'altra credenza diffusa un po' ovunque, il frassino respingerebbe i serpenti in genere e le vipere in particolare: è certo per questo motivo che per tanto tempo i bastoni da passeggio sono stati tratti preferibilmente da tale pianta. Del frassino si parla nella mitologia germanica come dell'albero cosmico: eternamente verde, unisce il Cielo alla Terra, e dalle sue fronde si sparge la rugiada. Le sue radici vanno in tre direzioni: una conduce al mondo sotterraneo, agli inferi, l'altra al regno dei giganti del gelo e la terza a quello degli uomini. Alla sommità della pianta si incontrano gli Dei i quali si servono di uno scoiattolo per far giungere i loro messaggi agli umani.

Il sambuco diffuso in Europa e nell'Asia mediterranea, ha fiori che vengono usati sia nella farmacopea autentica, sia nella medicina popolare, per infusi sudoriferi. Con i suoi frutti si prepara il cosiddetto vino di sambuco con funzione lassativa, mentre altri prodotti con virtù salutari si hanno dal midollo binco dei rami. L'arborea Sambucus Nigra, la più comune, ha un significato magico sinistro, poichè alcuni popoli credono che proprio a questa pianta si sia impiccato Giuda Iscariota: sarebbe quindi prediletta dalle streghe, che si trasformerebbero nella pianta stessa per evitare le persecuzioni, fino a quando spirando un vento migliore, ridiverrebbero donne per volarsene via. Ad evitare che l'albero diventi rifugio delle incantatrici non c'è che da tagliarne un ramo e bruciarlo. In Inghilterra si dice che un sambuco "malefico" può essere riconosciuto in modo semplicissimo, spezzandone un ramoscello: da quello stregato dovrebbe sgorgare una goccia di sangue. La credenza deriva da una cronaca medievale, stando alla quale la stilla di sangue sarebbe uscita da un arbusto di proprietà di una vecchia contadina, riconosciuta come incantatrice e come tale bruciata sul rogo. Le altre specie di sambuco possono essere usate per fabbricare decotti contro l'angina e il mal di gola, l'erisipela, i reumatismi, il morso dei serpenti, l'idrofobi e le convulsioni. Il sambuco che cresce accanto a un salice, ha, poi, virtù incomparabili: assicura una vita lunghissima e dà modo di trarre dalla stessa tutto quanto si vuole. Sarebbe, insomma, il corrispondente vegetale della famosa pietra filosofale.

E infine, la mia pianta preferita: Arum maculatum! è conosciuto col pittoresco nome di "Pan di biscia" o Gigaro.

In Arum maculatum, un'ampia brattea, chiamata spata, circonda un'infiorescenza allungata terminante a clava, lo spadice, che emette un odore di sostanza organica in decomposizione. Tale odore, insieme al lieve calore emanante dallo spadice, attira gli insetti e questi vengono intrappolati dai peli che si trovano nello spadice, sopra i fiori maschili.
I fiori sono disposti in due gruppi: quello superiore è formato dai fiori maschili, quello inferiore dai fiori femminili. Gli insetti prigionieri girano attorno ai fiori, raccogliendo e depositando il polline, finché non muoiono o non riescono a liberarsi. Questo può accadere quando la spata avvizzisce, dopo la fecondazione. Nel passato, le radici venivano raccolte per il loro alto contenuto di amido e nel secolo XVII erano usate per irrigidire i colletti alti a piegoline, allora di moda. Le bacche rosse di questa pianta, che sono velenose, possono rivelarsi letali se ingerite dai bambini: infatti, Arum maculatum e Arum italicum sono chiamati anche "pan di biscia". L'altezza della pianta varia dai 30 ai 45 cm. Fiorisce da aprile a giugno.
Sembra che in passato fosse utilizzata per trarre auspici sull'andamento dei raccolti, o più in generale, come "scacciamalocchio" 


Qui riporto una mia poesia, per celebrare questa pianta così stravagante.

Il tosco secreto celi tra vuote canne,
mefitiche radici aggrovigliate e vermiglie bacche di morte.
Fiore, tu sei?, con il gladio eretto e leggera membrana,
mandorla smeraldina.

Sei tu fiore o pan di biscia?
E rimbomba tuono di procella imminente su cielo antracite.
Ti contemplo serena, oh stravagante Arum Maculatum.
Tu, pianta d'averno, di putredine infesti i campi.
Atra minaccia, infero fiore.


APPROFONDIMENTO: GLI ALBERI SACRI,  tratto da "Il Ramo d'Oro" di James G. Frazer

"Poiché Diana era, come Artemide, una Dea della fertilità, e della nascita, e come tale aveva bisogno, al pari della sua sorella greca, di un compagno maschile. Questo compagno [...] era Virbio. Nel suo carattere di fondatore del Sacro Bosco e di primo re di Nemi, Virbio è chiaramente il predecessore tipico e l'archetipo di quella linea di sacerdoti che servirono Diana, sotto il titolo di re del bosco, e che uno dopo l'altro morirono tutti di morte violenta. è quindi naturale supporre che essi stessero alla Dea del bosco nello stesso rapporto in cui vi stava Virbio; e insomma che il mortale re del bosco avesse come regina la stessa Diana silvestre. Se l'Albero Sacro da cui dipendeva la sua vita era creduto, com'è probabile, una speciale personificazione di lei, il sacerdote può averlo non soltanto venerato come una Dea, ma abbracciato come una moglie. Non v'è perlomeno nulla di assurdo in questa supposizione poiché anche al tempo di Plinio un nobile romano usava trattare in questa maniera un bel faggio in un altro bosco di Diana, sui colli Albani. L'abbracciava, lo baciava, giaceva alla sua ombra, e gli versava vino sul tronco. Apparentemente prendeva l'albero per la Dea. Il costume di maritare fisicamente uomini e donne a degli alberi viene praticato ancora in India e in altre parti dell'Oriente (Nota di Lunaria: si tenga presente che Frazer scrive il libro nel 1922. Oggi forse queste usanze sono sparite). Perchè dunque non lo sarebbe stato nell'antico Lazio?"





Vedi anche:
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https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/edera-simbolismo.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/la-mandragora.html
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