Erbe e Piante: le mie preferite!

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Quando ero piccola, il vilucchio ("Convolvulus arvensis" o la variante dai grandi fiori bianchi "Calystegia sepium") era il mio fiore preferito! Passavo ore e ore a raccoglierli, per adornarmi i capelli, o realizzarmi monili intrecciando i fuscelli intricati e allacciandoli come se fossero braccialetti e collane!
In realtà, questa pianta, così graziosa, è odiatissima da giardinieri e agricoltori, perchè è una pianta infestante: si avvolge attorno altre piante e le soffoca quando crescono. I suoi fusti esili, di crescita rapida, strisciano sul terreno e si arrampicano su qualsiasi supporto disponibile. La sommità dei fusti ruota in senso antiorario facendo un giro completo in meno di due ore e avvolgendosi con rapidità intorno al
supporto. L'apparato radicale, esteso e profondo, tende ad impoverire il suolo; anche dopo averla sradicata, ogni pezzetto lasciato nel terreno sviluppa rapidamente nuovi germogli, tornando ad infestare il terreno.
Esistono poi le varianti "Calystegia soldanella" (Convolvolo delle sabbie), presente nella sabbia e nei ciottoli delle spiagge, e Calystegia Sepium (Vilucchione) dai grandi fiori bianco-neve.
I fiori di Calystegia Sepium restano aperti tutta la notte, se c'è la luna, per questo in Inghilterra la chiamano "Gloria del Mattino"; una tipica farfalla attratta da questi fiori è la "Sfinge del convolvolo" (Herse Convolvoli) che adoperando la lunga "proboscide" succhia il nettare secreto alla base del fiore, impollinando la pianta. In passato le Calystegia (Sepium e Sylvatica, con corolle che va dai 6 ai 7,50 cm) erano associate al Convolvulus, fino a che il botanico Robert Brown non ritenne di separare queste due piante in una nuova collocazione nella sistematica botanica, in riferimento alle grandi brattee che ricoprono i boccioli fiorali, lunghi e conici: "Calystegia" deriva da "Kalyx", "coppa" e "Stege", "coprenti".


La Malva: Malva Sylvestris, presente lungo le strade polverose e nei terreni abbandonati, ha sempre goduto della stima popolare, sia per la bellezza dei suoi grandi fiori rosa-violetti sia per il suo valore come alimento e medicinale. Già nel VIII a.C, i giovani germogli venivano consumati come verdura e questa abitudine persistette anche in epoca romana. Cicerone si lamentava che questa pietanza gli avesse procurato un'indigestione. Il poeta Marziale aveva usato Malva Sylvestris per farsi passare gli effetti delle nottate passate a bere e a mangiare e Plinio scoprì che la linfa di questa pianta mescolata all'acqua gli dava un'efficacia protezione contro i dolori di stomaco. Nell'epoca medioevale, quando era diffusa la convinzione che gli elisir d'amore fossero efficaci, questa pianta godette di una reputazione come antiafrodisiaco, favorente cioè una condotta calma e sobria. In tempi più recenti, le foglie di malva sono state usate per estrarre i pungiglioni di vespa e la sua linfa gommosa è stata ridotta in poltiglia e adoperata come pomata rinfrescante. L'uso delle giovani foglie di malva in insalata ha un effetto lassativo come documenta fin dall'antichità una lettera di Cicerone.

Due delle mie piante preferite! Mentre la Dulcamara l'ho vista una sola volta, da piccola, l'Erba Morella è abbastanza diffusa persino sui marciapiedi.
In estate i fiori viola di Solanum Dulcamara spiccano nelle siepi e ai margini dei boschi, dove il suolo è abbastanza umido.
Da settembre in poi, per tutto l'autunno, le bacche di color rosso brillante rinnovano la vistosità dei fiori.
Solanum Dulcamara è una pianta a crescita rapida, che appoggia i suoi esili fusti ad altre piante, utilizzandole come supporto Le bacche della Dulcamara, sebbene non velenose come quelle della Belladonna, possono comunque causare malesseri se ingerite. Il nome "Dulcamara" deriva dall'unione di due parole latine, "dolce" e "amaro", questo perchè l'alcaloide tossico solanina, presente nel fusto, nelle foglie e nelle bacche, conferisce a queste parti della pianta un sapore dapprima amaro e poi dolce, per i glucosidi che, in seguito, liberano zuccheri per idrolisi operata dalla saliva. L'infuso e il decotto hanno azione diuretica, depurativa, anafrodisiaca; per uso esterno, è utile contro gli eczemi. Tuttavia si ricordi che è pur sempre una pianta tossica.
Solanum Nigrum, Erba Morella (o Mora) ha invece fiori rosastri/bianchi a forma di stella, che in autunno danno alla luce delle piccole bacche nere.
Il nome "Solanum" significa "sollievo" e si riferisce alle proprietà mediche di questa pianta: in tempi antichi, le foglie di questa piantina venivano usate per alleviare il dolore di scottature e vesciche, mentre il loro succo veniva considerato un colluttorio. Anche Solanum Nigrum, come la Dulcamara, contiene solanina, che viene prodotta durante i periodi soleggiati. Esistono più di 1700 specie di Solanum nel mondo, ma solo la Dulcamara e l'Erba Morella sono presenti in Italia; queste piante (come del resto la Belladonna!) sono affini alla patata e anche le foglie e le bacche della pianta della patata contengono la velenosa solanina.


Il nome Polygonatum Multiflorum ("Polys", molti, e "Gònatos", ginocchio) è perfetto per descrivere il ripiegamento ad angolo dei peduncoli fiorali che si riscontra in tutte le specie di questo genere. Il nome "Sigillo di Salomone" allude invece alle macchie scure che si vedono sul rizoma, segno delle cicatrici dei germogli aerei degli anni precedenti, da cui si può dedurre l'età della pianta, anche se qualcuno sostiene che si riferisca all'uso medicinale della pianta, che "sigillava ferite e ossa rotte". Esse sono disposte in modo da disegnare una specie di sigillo, che la tradizione ha voluto attribuire a Salomone in omaggio alla sua straordinaria conoscenza del mondo vegetale. Il rizoma contiene un glucoside affine alla convallarina del mughetto; dissecato e polverizzato ha proprietà astringenti e cicatrizzanti ed è ottimo in impacchi per eliminare contusioni e distorsioni. La poltiglia ricavata dai rizomi ridotti in polvere veniva usata per curare gli occhi tumefatti. I frutti invece sono bacche nere, simili a quelle dell'Erba Morella, e hanno un sapore sgradevole.

L'Ombelico di Venere: Umbilicus rupestris è una pianta decisamente insolita, che cresce sulle rocce a picco sul mare: le foglie, a forma di disco, hanno una fossetta al centro, tale da sembrare appunto un ombelico. I fiori sono lunghe infiorescenze verdastre, con petali saldati a formare un tubo. La pianta spesso cresce anche nelle fenditure delle pietre. 

Drosera Rotundifolia è una pianta che si nutre di insetti dopo averli catturati con le foglie ricoperte di una moltitudine di peli rossi, ciascuno dei quali è sormontato da goccioline risplendenti. I moscerini ne sono attratti ma non appena toccano il liquido ne rimangono invischiati mentre i margini della foglia si ripiegano verso l'interno. Le ghiandole all'apice dei peli secernono succhi che digeriscono le parti dell'insetto trasformandole in liquidi. Diversi giorni dopo, la foglia si srotola e ricompaiono le goccioline; questo comportamento è un adattamento ai suoli acidi dove la pianta cresce poichè non trova nel terreno nutrimenti azotati e la pianta se li procura attraverso gli insetti. I primi studiosi scambiarono queste goccioline per rugiada ritenendo che la pianta fosse in grado di trattenere l'acqua anche sotto il sole; da qui i nomi "Rosolida, Drosera", nonché la fama di pianta magica.

Il posto d'onore tra i vegetali impiegati dalle streghe, secondo le credenze, spetta alla Belladonna, una pianta delle Solanacee. Com'è noto, la Belladonna contiene alcuni alcaloidi, tra cui l'atropina e la scopolamina, ancora adoperati in farmacopea. è la quantità di alcaloidi a determinare il loro effetto positivo o negativo, e le streghe ne usavano in grandi dosi per ottenere le loro "visioni" (nota di Lunaria: l'uso di erbe, a scopo divinitario/mistico è presente anche presso gli Sciamani) "L'atropina", ci dice Ugo Leonzio, "agisce provocando eccitazione motoria e psichica, con offuscamento del sensorio e della coscienza. I sintomi appaiono già dopo la somministrazione di 5-10 mg. I soggetti intossicati presentano fuga d'idee, loquacità, voglia di camminare, di correre, che contrasta con le vertigini, i tremori degli arti, l'andatura vacillante e l'impossibilità di reggersi sulle gambe. Compaiono allucinazioni visive e auditive, con eccitamento maniacale, riso convulso o furiosa agitazione." Con la scopolamina, ancora più velenosa, sono sufficienti 5 mg, per ottenere allucinazioni d'intensità maggiore. Entrambi gli alcaloidi entrano rapidamente in circolo, sia se spalmati sotto forma di unguenti sulla pelle, sia se assunti per fumo. La dose letale è però molto elevata, per cui di rado si sono avuti casi di intossicazione irreversibile.
"Cacciatela dai vostri giardini, e anche dall'uso", implorava l'erborista del XVI secolo John Gerard, "perché questa pianta è furiosa e mortale". I fagiani ne mangiano le bacche nere e lucide, senza apparentemente risentirne, ma bastano due o tre di questi frutti neri e seducentemente brillanti per uccidere un bambino.
Ogni parte di questa pianta - sinistra componente della famiglia della patata - è pericolosa, compresi i fiori porpora scuro. Contiene atropina, solanina, giusquiamina, veleni alcaloidi che attaccano il sistema nervoso, intensificando i battiti cardiaci, indebolendo il polso e dilatando le pupille. Il nome generico "Atropa Belladonna" si riferisce ad Atropo, una delle tre parche, le creature che governavano la vita dell'uomo. Atropo era la parca che recideva il filo della vita."Belladonna" rimanda all'uso che ne facevano le dame nel Rinascimento per dilatare le pupille e rendere più attraente il loro sguardo.

Nel XVI secolo le donne veneziano usavano la belladonna (Atropa Belladonna) per ravvivare la luminosità dello sguardo e per dilatare le pupille. La belladonna è molto tossica; si trova nei boschi, in prossimità delle siepi, e fiorisce in estate con bei fiori rosso porpora e bacche nere e lucenti, che i francesi chiamano "ciliegia della follia" e che, se ingerite, possono essere mortali. La belladonna contiene l'atropina, che è utilizzata in medicina per la sua azione antispasmodica, antiasmatica e midriatica (provoca dilatazione della pupilla) e anche in preanestesia. Anticamente si preparava una "pomata della strega" per rendere insensibile la pelle prima di un intervento.

L'Aconito, un'erba delle Ranuncolacee, contiene un alcaloide estremamente velenoso, l'aconitina, che ha proprietà paralizzanti sulle terminazioni sensitive del corpo umano. Per questo, nella realtà, le streghe nei tempi antichi, avevano "la sensazione di volare".
Luoghi ombrosi, umidi, in prossimità dei ruscelli rappresentano l'habitat ideale per la crescita dell'aconito (Aconitum napellus). è una pianta molto tossica, tanto che nell'antichità i criminali venivano uccisi con questa droga; la sua coltivazione fu vietata nell'antica Roma. Dalle sue radici si ricava un farmaco antidolorifico e antiasmatico.  Evitate di raccogliere i suoi splendidi fiori azzurroviolacei a forma d'elmo: il veleno di questa pianta può penetrare attraverso la pelle!

Famoso era anche lo Stramonio. Anche questa pianta appartiene alle Solanacee e contiene nelle foglie e nei semi gli stessi alcaloidi della Belladonna. Conosciuto come "pane spinoso", "erba del Diavolo", "erba delle streghe", lo Stramonio "oltre ad allucinazioni provoca uno stato di stupore psichico con amnesia", scrive Leonzio.
Nel 1527 Paracelso bruciò a Basilea i libri del sapere ufficiale, e non esitò a dichiarare che tutte le sue conoscenze gli venivano proprio dalle streghe. Erano state loro ad usare la Digitale per curare le malattie del cuore, il Giusquiamo come calmante della muscolatura liscia, e ad imparare la dosatura delle erbe più temibili, la Belladonna e lo Stramonio, a scopo terapeutico: la prima era impiegata come antispastico, il secondo come antiasmatico. Avevano anche scoperto il rimedio per attuare i dolori del parto, ricorrendo alla Segala Cornuta, una  graminacea, che però contiene un fungo che produce l'ergotina, un alcaloide tossico, in grado di provocare stati di allucinazione. La studiosa Linda R. Caporal ha ipotizzato che le ragazze di Salem, e più in generale, l'isteria di massa che colpì la cittadina nel 1692, fossero i risultati di un intossicamento da Segala Cornuta, la cui farina veniva impiegata per preparare il pane.


Hyoscyamus Niger, il Giusquiamo, è conosciuto fin dall'antichità per le sue virtù terapeutiche, ed era compreso tra le piante medicinali egizie perchè è nominato nel famoso papiro di Ebers. Citato da Dioscoride, non ignorato dagli Arabi, nel Medioevo entrò nell'alone cupo della fama delle streghe. Il Giusquiamo è una pianta vischiosa e fetida, i cui principi attivi ne fanno un sedativo nervoso usato contro i dolori nevritici, gli spasmi dell'apparato digerente, l'alcoolismo e le malattie mentali accompagnate da eccitazione o melanconia. Poichè contine alcaloidi velenosi la sua utilizzazione può essere attuata esclusivamente sotto il controllo del medico; all'esterno, un cataplasma di foglie di Giusquiamo lenisce il dolore. Come molte Solanacee, questa pianta ha un aspetto insieme misterioso e affascinante. Ha proprietà allucinogene e si dice che nel passato fosse usata per ricavare pozioni d'amore. Come Atropa Belladonna contiene sostanze alcaloidi (giusquiamina, scopolamina, atropina) e ogni parte della pianta è velenosa. Sintomi caratteristici di avvelenamento sono: disturbi alla vista, delirio e convulsioni, coma, morte.
Piccole quantità di questa pianta sono state per lungo tempo usate dai medici per portare sollievo ai sofferenti. Al tempo degli Assiri, si usava un estratto della pianta contro il mal di denti; oggi si usano gli alcaloidi estratti dalle foglie e dai germogli verdi della pianta come sedativo per curare malanni quali le malattie mentali e il mal di mare. Il nome Hyoscyamus significa in greco "fava di porco" e allude alla capsula, una fava velenosa, da lasciare ai porci.

Digitalis Purpurea è una pianta di grande interesse ma estremamente velenosa, per cui deve essere perentoriamente esclusa dalla fitoterapia famigliare e affidata esclusivamente ai dosaggi di un medico. Nel XVIII secolo un medico inglese avendo imparato l'uso di questa erba da una "vecchia delle erbe" ne sperimentò le caratteristiche e ne divulgò le virtù, ma subito dopo la pianta tornò nel dimenticatoio donde fu tratta solo nel 1842 da R.P. Debreye che la consacrò definitivamente tra i cardiotonici. In Inghilterra fu il medico William Withering a parlarne per primo, nel 1785; la chiamò "Foxglove", "guanto di volpe". In Italia la sia chiama "Digitale" per la forma a ditale dei suoi fiori che Pascoli celebrò nella poesia dedicata a questa pianta: "Una spiga di fiori, anzi di dita/spruzzolate di sangue/dita umane" La parte farmacologicamente attiva sono le foglie del secondo anno, prima della fioritura (la pianta produce anche 80 fiori su un unico stelo), raccolte nel pomeriggio quando è massimo il contenuto in glucosidi. I principi attivi sono la digitossina, la gitossina e la gitalossina, la cui concentrazione varia a seconda delle piante, specialmente in quelle spontanee. La Digitale è il principale medicamento per il cuore e viene usata nelle insufficienze cardiache e nelle turbe di ritmo.

Phytolacca Decandra è conosciuta col nome "Uva Turca" ed è diffusa anche nelle città. Importata dall'America settentrionale nel XVII secolo, si è poi spontaneizzata nella regione mediterranea. è un arbusto dalle infiorescenze bianche cui fanno seguito bacche rosse contenenti una sostanza usata un tempo per tingere vini, liquori e dolci; le bacche, di sapore gradevole, mangiate in gran quantità possono però provocare avvelenamenti. La parte terapeuticamente più attiva è la radice, ma anche il resto delle pietre conviene gli stessi principi attivi che, in dosi eccesive, possono diventare tossici. La radice è usata in polvere come purgativo e depurativo, e anche contro l'obesità; la sua azione viene indicata come terapeutica anche per gli effetti da reumatismo cronico. I giovani turioni e le foglie vengono consumati cotti. 

L'Artemisia era associata ad Artemide in quanto il suo infuso allevia i disturbi mestruali. L'Artemisia è una pianta medicinale che, oltre a quanto è stato detto, abbassa la febbre ed espelle i parassiti presenti nell'intestino perciò è considerata un simbolo di purificazione. In Cina il decotto di Artemisia veniva bevuto durante la festa del quinto giorno del quinto mese. Inoltre per scongiurare la presenza di entità malefiche si tiravano frecce di Artemisia contro il cielo, la terra e i quattro punti cardinali o si appendevano figurine di uomini o tigri alle porte. Quest'ultima usanza rimanda alla pratica tipica delle campagne di appendere dell'Artemisia nelle stalle per allontanare le mosche dagli animali. Una specie di Artemisia viene utilizzata nella termogenoterapia o kaobustione, una medicina alternativa in cui vengono bruciati piccoli mucchi di foglie su alcuni parti del corpo.

Melagrana: Simbolo di fecondità per i numerosi semi che lo compongono, questo frutto del melograno ricorre spesso nella religiosità dell'antica Grecia. Il suo albero era sacro ad Era, protettrice delle spose e dei parti.
Durante i Misteri Eleusini i sacerdoti di Demetra dovevano portare sul capo rami di melograno, e tutti i partecipanti ai riti durante quei giorni dovevano assolutamente astenersi dal mangiare un solo suo frutto. Tale proibizione aveva origine dal fatto che Persefone era stata condannata a rimanere nell'Ade per avervi mangiato un seme di melagrana, contravvenendo così al digiuno obbligatorio per coloro che visitavano il mondo sotterraneo.

Tra i Romani le spose si presentavano al rito nuziale ornate di rami di melograno, in quanto quest'ultimo simboleggiava il matrimonio seguito da figli. In India le donne sono solite combattere la sterilità bevendo succo di melagrana.

Altro approfondimento

Già da tempo coltivata nel bacino del Mediterraneo e nel Vicino Oriente l'albero della melagrana fu probabilmente diffuso dai Fenici e introdotto in località più calde sia come albero da frutta sia come pianta medicinale. I suoi numerosi semi, racchiusi in una polpa succosa, alludevano alla fecondità, mentre l'intero frutto era simbolo di Dee come la fenicia Astarte (Ashtoret) delle Dee misteriche come Demetra e Persefone (Ceres e Proserpina), di Afrodite (Venere) e di Athena. Secondo il mito che è all'origine del culto eleusino, Persefone, rapita e trascinata nel mondo infero avrebbe potuto, per intercessione di Zeus, lasciare l'Ade se non avesse mangiato un seme di melagrana. Per questo fu costretta a trascorrere nell'Ade almeno uno terzo dell'anno.
La discesa di una Dea nel mondo dei morti per portare nel mondo nuova vita e conoscenza è un tema ricorrente nella mitologia e riflette il ciclo delle stagioni, della Luna e delle donne. Nella leggenda greca, Persefone, la figlia di Demetra, fu rapita e portata negli Inferi. Demetra, per il dolore, ritirò i poteri della fertilità e della crescita dal mondo finché sua figlia venne ritrovata. Persefone, però, poteva tornare per sempre nel mondo solo se non avesse portato con sé nulla dagli inferi; ma lei mangiò qualche seme di melograno, un atto che la costrinse a ritornare negli inferi una volta all'anno. Persefone, o Kore, era la Vergine della pianta del granoturco, cioè il seme, mentre Demetra era la pianta stessa. La storia fa eco al principio unitario del ciclo lunare dove la prole e la madre sono fatti della stessa sostanza. (NOTA BENE: questo concetto "della stessa sostanza" è stato scippato dai cristiani, in rapporto però al loro dio padre con il figlio cristo!) Il raccolto de granoturco, e quindi la sua morte, non uccideva il principio che lo faceva crescere ma era necessario perché potesse tornare alla vita. Persefone, come il seme di granoturco, rimaneva nel Mondo Sotterraneo fino alla sua rinascita in primavera, e per quella parte dell'anno era la Regina dei morti. La discesa di Persefone può anche essere vista come simbolo del ciclo femminile, come anche del ciclo vitale. Una volta al mese le donne si ritirano nella fase calante del loro ciclo mensile per rimanere nell'oscurità della fase mestruale. Persefone, come Eva, coglie il frutto rosso, simbolo delle mestruazioni, si lega al ciclo delle energie del rinnovamento discendendo nel Mondo Sotterraneo (Nota di Lunaria: anche la Dea Ishtar è scesa nel mondo sotterraneo, e ad ogni porta oltrepassata, si privava di un indumento). Sopra di lei, nel mondo, le energie della fertilità vengono ritirate, durante l'inverno, da Demetra, riflettendo così la sintonia tra il ciclo femminile e quello della terra. Durante le mestruazioni la donna ritira le sue energie dal mondo esterno focalizzando la sua attenzione all'interno di sé per comprendersi e crescere e quindi portare la sua conoscenza nella vita di tutti i giorni. Sia Persefone che la donna mestruata sono in uno stato "invernale" e le energie fertili sono ritirate. La prima discesa nel buio è necessaria alla Vergine per crescere e passare allo stato di Madre. Le successive discese, ogni mese, la rendono in grado di accedere ancora alla parte più giovane di se stessa così da cominciare di nuovo il ciclo vitale. La discesa di ogni mese con Persefone è simile alla discesa nel Mondo Sotterraneo del subconscio e avvicina la donna alla sorgente di tutta la vita e della coscienza per dare senso all'esistenza.
Ma c'è di più: addentare il melograno significa accettare l'offerta sessuale di Ade. La madre di Attis, l'amato della Grande Madre Cibele, sarebbe rimasta incinta per aver toccato un albero di melagrana. Alberi di melagrana venivano piantati anche sulle tombe degli eroi (forse per assicurare loro una copiosa discendenza). Questi alberi erano familiarmente immaginati come ricettacoli di ninfe particolari, le Ree.
A Roma, la melagrana tenuta in mano da Giunone era simbolo del matrimonio. L'albero per via dei suoi fiori profumati di colore rosso-fuoco, era considerato anche l'immagine di amore e matrimonio, seguito da fertilità. Le spose portavano ghirlande fatte di questi rami.

Ovviamente il cristianesimo scopiazza alla grande questo simbolismo!
il succo rosso diventa il sangue dei martiri, i semi diventano simboli dei cristiani riuniti in chiesa; i cattolici, poi, hanno associato il melograno, a mo' di scettro, alla loro "madonna della melagrana", scopiazzata dalla Dea Kupaba!


Il mirto rappresenta l'amore sensuale, la felicità coniugale, la longevità, l'armonia. L'arbusto sempreverde che arricchisce la flora della macchia mediterranea, è spesso collegato ai rituali che riguardano il matrimonio e la nascita dei bambini, è il simbolo delle Dee dell'amore, specialmente della greca Afrodite. Quando la Dea nacque dalle onde marine, le Ore le offrirono una ghirlanda di mirto e, per la sua vittoria contro Giunone e Minerva fu coronata di rami di mirto dagli Amori.
L'arbusto è venerato presso la setta Mandacan come simbolo della vita; era inoltre l'emblema cinese del successo. Plutarco racconta come durante i simposi i convitati cantavano, passandosi fra di loro un ramo di mirto, come simbolo di allegria. Infine, il mirto simboleggia l'accademia e l'onore. Si usava per commemorare il sacrificio vittorioso e per celebrare il trionfo delle legioni romane.

La Quercia, essendo un albero molto diffuso, ha dato origine a leggende presso molti popoli europei, dai Celti ai Romani, dagli Anglosassoni, ai Normanni, continuando ad alimentarle attraverso l'intero Medioevo fino ai nostri giorni. Era uno dei "sette alberi nobili", della tradizione irlandese, e la sua distruzione si ritorceva su colui il quale se ne era reso colpevole con malattie, morìe di bestiame, rovesci economici.
Quando san Columcille edificò una chiesa in Irlanda, dopo aver incendiato una Quercia per far posto alla costruzione, incorse nelle ire del re, il quale considerò addirittura l'abbattimento della pianta alla stregua di un omicidio. Il sant'uomo potè proseguire il lavore, ma dovette impegnarsi a non toccare più alcuna Quercia.
I primi norvegesi invasori delle terre britanniche introdussero la credenza secondo cui la Quercia era l'albero del fulmine e perciò sacra a Thor, aggiungendo che essa offriva protezione ai viandanti durante i temporali. Può sembrare un controsenso, ma la doppia credenza è spiegabile per il fatto che le querce sono frequentemente colpite dal "fuoco celeste" e per il detto secondo cui "il fulmine non cade mai nello stesso posto".
Di qui l'usanza ancor viva tra certi contadini, di tagliare un pezzo di tronco colpito appunto dal fulmine e di appenderlo sulla porta di casa proprio come "parafulmine magico".
La Quercia venne anche considerata un'eccellente difesa contro le streghe, tanto che persino san Bedra, il medico inglese dottore della Chiesa, famoso erudito, narrava che sant'Agostino da Canterbury era uso pregare sotto le fronde di questo albero da quando re Etelberto (un sovrano del Kent, che favorì l'introduzione del cristianesimo nel suo regno) glielo aveva raccomandato per evitare l'azione di sortilegi.
Il culto della Quercia venne alfine proibito dalla chiesa
cristiana. Fu sempre tollerato, tuttavia, l'uso di danzare tre volte attorno all'albero dopo un matrimonio religioso, per invocare la buona sorte sugli sposi.  Dopo questa cerimonia si usava offrire una bevanda a base di ghiande tritate e bollite.
Contro la tonsillite si usa portare al collo una coroncina di 9 o 13 ghiande che simboleggiano le tonsille infiammate. Staccatene una ogni giorno e buttatela lontano da voi: gettata l'ultima, dovreste essere guariti. Se non accade, ricominciate con la cura, ma bruciate le ghiande. Se è un maleficio, arrostite le ghiande, scoprirete la persona che ha lanciato l'incantesimo, perchè sarà colpita da una forte raucedine. 


Tutti conosciamo la famosa mela della Genesi, che molti ritengono alludi al sesso femminile (quando viene tagliata a metà); eppure la mela era famosa anche in ere pre-bibliche, tanto che in Asia era considerata segno di bellezza, prosperità, ricchezza. Ciò si riflette anche in quello offerto da Paride ad Afrodite, nel famoso giudizio che la confermò "Miss Universo". Ugualmente nota è la favola delle Esperidi, le quali custodivano con il drago Ladone i pomi d'oro su un'isola "del più estremo Occidente", pomi rapiti, poi, da Ercole o secondo altri, da Atlante. Perchè pomi d'oro? Perchè alla mela erano attribuiti eccezionali poteri ristoratori e guaritori. Un riflesso del giardino delle Esperidi ci è dato dalla leggenda di Re Artù, che vuole le ferite del vecchio sovrano curate ad Avalon, la "valle dei meli" celtica. I Romani coltivavano la pianta con gran cura, prevedendo sanzioni severe per chi le arrecasse danno. In Irlanda si giunse addirittura a chiedere un sacrificio di sangue al responsabile del danneggiamento, il quale doveva immolare un animale ai piedi dell'albero abbattuto: un animale le cui carni arrostite andavano ad indenizzare il proprietario della pianta. Gli Scandinavi ritenevano il melo apportatore di fortuna e bellezza, tanto che lo avevano dedicato a Idunn, Dea del rinnovamento e dell'eterna giovinezza, e il sidro era la loro "bevanda magica", la corrispondenza del nettare degli Dei ellenci, che assicurava l'immortalità. Di riflesso le sono stati attribuiti valori afrodisiaci, sottolineati da manuali erotici indiani, dove la troviamo come componente principale di una pomata ottenuta aggiungendo alla sua poltiglia pepe nero, pepe rosso e miele.
Da "La Dea Bianca" di Robert Graves
Anche il simbolismo della mela fu corrotto dagli Ebrei. La mela era sacra a Venere; che gli ebrei praticassero un rito di adorazione del Capro (Dioniso-Capro, Pan; gli ebrei lo chiamavano Azazel e lo sacrificavano nel giorno dell'Espiazione), come altri popoli, è testimoniato dal precetto deuteronomico - che per noi suona assurdo - "Non cuocere un capretto nel latte di sua madre", che vieterebbe quindi un rito eucaristico non più tollerato dai sacerdoti di Jahvèh (Nota di Lunaria: in realtà gli Ebrei inizialmente erano politeisti: furono i violenti sacerdoti di Jahvèh, i Leviti, e sopra di questi, l'elite dei Konath - poi Cohen - discendenti da Aronne, che riscrissero miti e storia, proibendo il culto della Dea Ashera "moglie" di Jahvèh e imponendo il culto monoteista unico. In questo modo potevano accentrare tutto il potere nelle loro mani, dominando incontrastati, come poi è stato. Maometto del resto fece la stessa identica cosa, perchè per consolidare il potere, impose il culto del solo allah, a discapito della Triplice Dea: Al Lat, Manat, Al Uzza; gli Arabi pre-islamici erano politeisti!) Lo stesso Maimonide (Ebreo Spagnolo del XII secolo riformatore della religione giudaica) interpreta il precetto deuteronomico come un'ingiunzione contro la partecipazione al culto di Astaroth. Il Dio Dioniso veniva commemorato facendo cuocere un capretto farcito di mele: in Grecia i termini indicanti la capra o la pecora e la mela sono identici (melon/malum). Eracle che riuniva in una sola persona Apollo e Dioniso era chiamato Melon perchè i devoti gli offrivano mele e perchè le Tre Figlie dell'Ovest (le Esperidi: ancora la Triplice Dea) gli avevano donato il ramo delle mele d'oro, che lo aveva reso immortale. Si pensa che la mela abbia rivestito una così straordinaria importante mitica perchè se si taglia una mela orizzontalmente, ciascuna metà ha al centro una stella a cinque punte, simbolo di immortalità, che rappresenta la Dea nelle sue cinque stazioni: dalla nascita alla morte e di nuovo alla nascita. Rappresenta anche il pianeta Venere, adorato come Espero, la stella della sera in una metà del frutto e come Lucifero figlio del mattino nell'altra metà (Nota di Lunaria: si noti come sia la mela, che il nome Lucifero furono poi profanati dai cristiani che diedero loro valenze negative...) Il mito di Adamo ed Eva non è che una rielaborazione del mito di Trittolemo, favorito dalla Dea dell'orzo Demetra, che venne espulso da Eleusi e mandato nell'Attica con una sacca di sementi per insegnare al mondo l'agricoltura. [...] Il fatto che Eva "la madre dei viventi", sia stata foggiata dalla costola di Adamo, deriverebbe da una raffigurazione pittorica della Dea Anatha di Ungarit ignuda, che osserva Aleyn alias Baal mentre spinge un coltello a lama ricurva sotto la quinta costola del suo gemello Mot: questa uccisione è stata interpretata erroneamente come la rimozione da parte di Jahvèh di una sesta costola, che poi diventerà Eva. (Nota di Lunaria: i cristiani hanno persino perfezionato la misoginia del mito: pontificarono l'inferiorità morale della donna perchè "tratta" da una costola ricurva - e lo stesso Maometto avvalora questo precetto, parlando della debolezza e della curvità delle donne e quindi della necessità della loro sottomissione. Sicuramente i Greci furono un popolo misogino, e tra i più misogini nell'antichità, ma ai livelli dei popoli del dio unico non ci arrivarono: San Tommaso d'Aquino è molto più misogino di Aristotele, del resto, che ci risparmiò il concetto di "dio che nasce maschio in terra".)





Carlina Vulgaris: è curiosa la leggenda che circola su questa pianta: nel secolo VIII, l'esercito di Carlo Magno venne colpito dalla peste e Carlo pregò Dio perché lo aiutasse. Gli apparve un angelo con arco e frecce, il quale disse all'imperatore di scoccarne una: la pianta su cui la freccia fosse andata a conficcarsi avrebbe curato la malattia. La freccia andò a posarsi proprio su questa pianta!
La Carlina ha proprietà simili a quella della canfora e venne impiegata come antisettico mentre gli antichi Sassoni la usavano come talismano contro il malocchio. I capolini (che contengono i semini) si aprono quando l'aria è asciutta e si chiudono se c'è umidità e in certe zone di campagna li si usava come barometro.
Ha le foglie spinose. Per curiosità: Carlina vulgaris appartiene alla famiglia delle Composite, esattamente come il cardo, altra pianta spinosa e amatissima dagli Scozzesi.


Crithmum Maritimum: "A metà strada cade colui che raccoglie l'erba di san Pietro, lavoro terribile!", così scrive Shakespeare nel "Re Lear", riferendosi alla gente che si guadagnava pericolosamente da vivere, raccogliendo Crithmum Maritimum dai dirupi più scoscesi. Al tempo di Shakespeare le foglie carnose e i piccioli di questa pianta venivano mangiati dopo essere stati cucinati come gli asparagi; le foglie erano anche conservati sotto aceto.
Inoltre, come la gran parte delle specie non velenose delle Ombrellifere, questa pianta era consigliata dagli erboristi del passato per aiutare la digestione e come cura per i calcoli renali. Il nome comune "Erba di san Pietro" si spiega ricordando che san Pietro è il patrono dei pescatori e che questa pianta predilige gli ambienti di mare, le rocce soleggiate, gli spruzzi salmastri, i climi marittimi.
La carnosità delle sue foglie è un adattamento alle condizioni dell'habitat in cui la pianta vive. L'aria salmastra tende ad assorbire acqua dalle piante non protette, cosicché C. Maritimum assomiglia a una pianta del deserto, essendo le sue foglie carnose coperte da un'epidermide cutinizzata che limita le perdite d'acqua.


Cymbalaria muralis: questa deliziosa piantina con i suoi festoni di fogliame e i fiori viola, simili a bocche di leone, vive sui vecchi muri, dappertutto in Italia, anche se non è una specie indigena. Fu introdotta nelle regioni meridionali nel secoli XVII. Da lì in poi si inselvatichì.
Questa specie è impollinata dalle api. I peduncoli fiorali sovrastano le foglie, cosicché le corolle che hanno un indicatore giallo del miele sul labbro inferiore, sono visibili agli insetti. Dopo che i fiori sono stati impollinati, i peduncoli si curvano, fino a che le capsule non vengono spinte dentro le fenditure della roccia o del muro.
I semi sono così liberati nell'ambiente più adatto alla germinazione. Le foglie sono lobate come piccole foglie d'erba. Può raggiungere anche i 75 cm di lunghezza!


Circaea Lutetiana (Erba Circe): nel secolo XVI, il botanico fiammingo Mathias de Lobel tentò di identificare una pianta magica che il medico greco antico Dioscoride aveva dedicato alla mitica maga Circe. La identificò in questa specie che chiamò Circaea Lutetiana, dato che Lutetia era il nome romano della città di Parigi, dove de Lobel e altri botanici lavoravano. Questa specie appartiene alla famiglia delle Onagracee, i cui rappresentanti più noti sono gli epilobi.
C. Lutetiana differisce dalle altre specie della famiglia delle Onagracee per il fatto che il frutto non è disperso dal vento. I piccoli uncini si attaccano al pelo di un animale o al piumaggio di un uccello e il frutto viene portato a distanze considerevoli. Il comportamento dei frutti è il carattere che giustifica il ricordo della potente maga Circe, figlia di Apollo. Come Circe si impadroniva dei viandanti con i suoi incantesimi, così con le loro setole uncinate i frutti di questa pianta si attaccano ai passanti. I pallidi fiori, che vengono impollinati da piccole mosche, si stagliano contro l'ombra in cui la pianta solitamente cresce. 


Echium Vulgare è conosciuta col nome popolare di Erba Viperina, probabilmente perché un tempo era usata per curare i morsi di vipera. E in effetti Dioscoride la menziona come rimedio, sia preventivo che curativo L'erborista inglese del XVII secolo William Coles riteneva che il fusto di E. Vulgare fosse "macchiato come la pelle di un serpente" e ciò secondo la "dottrina dei segni" era prova del suo valore antitossico. Il nome Echium deriva dal greco ékis, vipera ed è chiaramente riferito a tutte queste antiche credenze. Si pensava che un infuso di semi scacciasse la malinconia e che promuovesse il flusso latteo delle madri.

Genziana: è un peccato che un fiore selvatico così bello sia così raro in Italia. Lo si trova talora nelle praterie umide e ai margini degli acquitrini delle Alpi e dell'Appennino settentrionale e centrale.
Mai comune, in tempi recenti lo è sempre meno. Questo declino è dovuto allo sfruttamento intensivo della montagna. L'erborista del XVI secolo John Gerard ne consigliava la coltivazione per la bellezza dei fiori. Sosteneva anche che le sue radici fossero utili contro le malattie pestifere o per curare i morsi degli insetti. Più recentemente la radice è stata usata per fare tonici amari.
Esistono diverse genziane: Gentiana Pneumonanthe (minacciata di estinzione), Gentiana Cruciata, Gentianella Campestris, Gentianella Amarella, Gentiana Kochiana, Gentiana Nivalis.
Il nome "Gentiana", secondo Plinio il Vecchio, è derivato da Gentius, re degli antichi Illiri che ne avrebbe scoperto le proprietà medicamentose.


Tanacetum Parthenium (Matricale): si tratta di una pianta originaria delle regioni mediterranee orientali, dalla quale si è diffusa in tutta Italia e nel resto d'Europa, disseminandosi spontaneamente da antiche coltivazioni nei giardini e negli orti. La coltivazione a scopo medicinale è stata motivo della sua grande diffusione.
Nel passato la Matricale era ritenuta efficace per combattere le febbri, il mal di testa, e infermità femminili connesse al parto. Il nome della specie, Parthenium deriva dal greco "Parthenos", fanciulla, e indica l'uso che si faceva della pianta nella cura dei disturbi femminili. Taluni però sostengono che il nome è un riferimento al colore verginale dei fiori (sono piccole margheritine).
Oggi questa pianta viene considerata un'erba da combattere. è comune sui muri, dove si diffonde rapidamente.


Myosotis Arvensis (Non-tiscordar-di-me): nella Germania medievale, un cavaliere e la sua dama stavano passeggiando lungo la riva di un fiume. Il cavaliere si chinò per raccogliere un mazzetto di fiori da offrire alla sua bella, ma, vinto dal peso dell'armatura, cadde nel fiume. Mentre era in procinto di annegare, gettò i fiori alla sua amata, gridando "Vergisz mein nicht!" ("Non ti scordar di me!") Da quel leggendario episodio, Myosotis Arvensis divenne noto in Germania come "Non-ti-scordar-di-me" e associato all'idea di amore vero. La stessa leggenda passò anche in Francia e poi in Italia. Nel 1802 Samuel Taylor Coleridge scrisse una poesia basata su quel tragico episodio. Chiamò la poesia "The Keepsake" ("Il ricordo") e così disse di questo fiore: "Quell'azzurro fiorellino dall'occhio luminoso lungo il ruscello/gemma gentile della speranza/dolce non-ti-scordar-di-me"

Onopordon Acanthium (Cardo di Scozia): emblema araldico della Scozia, Onopordon Acanthium, "Cardo di Scozia", ha una lunghissima storia. Già i primi re di quella regione usavano questa pianta come loro segno araldico, ma essa venne accettata come emblema nazionale solo nel 1503, quando William Dunbar scrisse una poesia intitolata "Il cardo e la rosa" per celebrare il matrimonio di re Giacomo III di Scozia con la principessa Margherita di Inghilterra. Nel 1687 Giacomo II istituì l'Ordine del Cardo, quale speciale ordine cavalleresco scozzese. Questo ordine è ora il più antico di tutti quelli presenti in Gran Bretagna, fatta eccezione per l'Ordine della Giarrettiera. A parte la sua importanza simbolica, O. Acanthium ebbe anche vari usi pratici: in tutta Europa, dai suoi acheni veniva estratto un olio usato sia in cucina sia come combustibile per le lampade; nell'Inghilterra del secolo XVI, le fibre di cotone e i peli del fusto erano usati per imbottire materassi e cuscini. Questa pianta è stata adoperata anche in medicina. Gli erboristi secoli fa ritenevano che una pozione fatta con il fusto potesse curare il cancro e vari disturbi nervosi. I fusti infatti possono essere pelati, bolliti, conditi col burro.

Orchis Mascula  (Dita di morto): secondo Dioscoride, questa pianta veniva usata dagli sposi della Tessaglia per predeterminare il sesso dei nascituri. Se l'uomo mangiava il grosso tubero, nascevano maschi, se la donna si nutriva del tubero piccolo, erano in arrivo femmine. Per secoli questa pianta è stata associata all'amore e alla riproduzione e fino a poco tempo fa era impiegata come pozione d'amore in Irlanda e nelle isole Shetland.
Nell'"Amleto" Shakespeare, che comprende questa orchidea nella "fantastica ghirlanda" posata sul corpo dell'annegata Ofelia, chiamò col nome "long purples" ("le lunghe porpore") i suoi fiori e aggiunse: "Ma le nostre fredde donzelle li chiamano dita di morto". La leggenda narra, inoltre, che questa pianta era ai piedi della croce e che le macchie delle sue foglie sono state provocate dal sangue del cristo morente.


Papavero: il fiore del papavero (Papaver Rhoeas) perde i petali dopo un solo giorno; tuttavia, una pianta può produrre, durante l'estate, più di 400 fiori in successione.
Oggigiorno questa pianta è sempre più minacciata dai diserbanti.
L'accostamento tra questi fiori (ricordiamo che la pianta è tossica) e le coltivazioni di frumento è antichissimo: Cerere, la Dea latina delle messi e dell'agricoltura era raffigurata con una ghirlanda di papaveri; il nome comune del papavero è anche "rosolaccio", cioè rosa dei campi.
Varianti di colore di questo fiore sono state coltivate per ottenere varietà da giardino quali lo "Shirley Poppy".


Nota di Lunaria: il papavero era sacro a Creta.
Probabilmente le Sacerdotesse lo usavano per cadere in trance e profetizzare. Era anche associato alla Dea forse perché il suo baccello ricorda perfettamente una vagina
Le capsule di papavero ornavano il copricapo delle statuette cretesi della "Sacerdotessa orante"


Sonchus Asper (Crespigno spinoso): un tempo si credeva che il lattice che fuoriesce dai tagli della radice o del fusto aumentasse la quantità di latte prodotta dalle scrofe. Per tale motivo, si somministrava questa pianta anche alle madri. La Sonchus Asper appartiene alla famiglia delle Composite, che comprende anche la lattuga e la cicoria selvatica (ma tenete presente che le foglie di Sonchus sono leggermente spinose sull'orlo, non fanno venire l'acquolina in bocca... anche se in passato le foglie appena nate, vicino al fusto, venivano usate nelle insalate).
I semi si disperdono al vento perché sono dotati di un piccolo "paracadute" in setole piumose, che fanno volare via i semi ad ogni alito di vento, anche facendo loro percorrere grandi distanze. 
Questa pianta raggiunge un'altezza eccezionale, anche 1.80. infatti è più alta di me! xD


Lathraea Squamaria: il pallore cadaverico del fusto, dei fiori e delle brattee (foglie non verdi che crescono attorno al fusto) è forse all'origine del nome Lathraea, che deriva dal greco Latraios e significa "nascosto". Si pensava infatti che una pianta così spettrale nascesse da un corpo sepolto.
In realtà è una pianta parassita, priva di clorofilla perché estrae il proprio nutrimento da piante ospiti, di solito noccioli, querce, faggi, olmi, aceri. Lathraea Squamaria attacca alle radici della pianta ospite piccoli austori, che lisano i tessuti fino a raggiungere gli elementi di trasporto della pianta ospite. La linfa viene quindi deviata dalle radici dell'ospite fino agli elementi di trasporto del parassita. Il rapporto tra la parassita e la pianta ospite è finamente bilanciato: infatti, troppa asportazione di nutrimento causerebbe la morte della pianta ospite, un prelievo insufficiente renderebbe il parassita talmente debole da impedirne la riproduzione.
I fiori di color crema o rosa pallido, sono accompagnati da brattee che hanno forma di squame; da qui il nome "Squamaria".


Verbena Officinalis: a motivo dei suoi fiori minuti, questa pianta sfugge facilmente allo sguardo. Ma la mitologia e la medicina non l'hanno mai ignorata. Secondo gli antichi miti, chi raccoglie la verbena dovrebbe benedirla: la leggenda sostiene infatti che la pianta cresceva sul calvario e venne adoperata per fermare il sangue di cristo.
In latino, Officinalis significa "della farmacia": la verbena, sin dai tempi lontanissimi, è sempre stata ritenuta medicamentosa oltre che magica, sia per prevenire che per curare le infezioni e le calamità. Era ritenuta capace di tener lontano la peste e si diceva che se portata attorno alla testa avrebbe funzionato da talismano contro le emicranie e i morsi velenosi.
Il nome Verbena è il termine latino per indicare le piante usate nei sacrifici religiosi (Nota di Lunaria: e quindi si capisce perché anche i cristiani la considerassero legata al loro mito della crocifissione...). Anche i Druidi la usavano e popolarmente era considerata antidoto per talune forme di malocchio. I fiori sono densamente raccolti in lunghi ed esili spighe. Può raggiungere i 60 cm di altezza.