Il Noce di Benevento


"Mancano pochi minuti alla mezzanotte, e qui fra poco avranno convegno le streghe. Una massa di nuvole, mosse da un vento caldo e foriero di pioggia, preme sulle cose della natura. Tutto fa prevedere qualcosa di funesto e di lugubre; una folgore, con la sua luce bluastra, squarcia le tenebre e illumina il noce, che si profila maestoso e si aggroviglia con rami di altri alberi, creando una caverna vomitante fantasmi minacciosi. I tocchi sordi e lenti dell'orologio non molto lontano risuonano cupamente, lasciando un senso di smarrimento, come se quel suono preludesse all'arrivo di entità malvage. E subito dopo, macabro e triste, nel cimitero vicino, si leva l'urlo dell'upupa, poi il luttuoso stridio della civetta, più in là il miagolio di un gatto scarnito ed evanescente. Un fruscio lente e rabbrividente incomincia a penetrare l'aria già greve e pregna di zolfo, poi un brusio stridulo e ridacchiato si avvicina e si fa sempre più intenso; alcune voci rauche si distinguono e incidono la notte fosca; ha inizio allora una danza convulsa, accompagnata da colpi secchi di tamburelli, sorretti da satiri e folletti con torce rossastre e fumanti, figure esili e spettrali, dall'aspetto bisunto e diabolicamente scarmigliate, contaminano l'oscurità vellutata.
Questa è l'ora in cui le forze del male prevalgono e si spandono per la terra; è l'ora della danza delle streghe, ed esse volano sulle scope e sulle seghe impastate di ricotta; è l'ora in cui le tenebre si esaltano, e si sprigionano tutte le forze occulte e misteriose. Il soprannaturale si rivela insinuando nell'animo un senso di agghiacciante terrore. Danzano le streghe vorticosamente fino allo stordimento, compiono il rito in onore di Mefisto venturo, che ama farsi attendere dalle sue cortigiane fedeli. Allora frizzi, lazzi, parole blasfeme sferzano l'aere e accompagnano l'infuriarsi di questa ridda infernale. Quasi vicino ad esse si erge il millenario Noce e intorno a questo maggiormente si intrecciano e si contorcono le streghe in spasmodico abbandono al vortice della danza; è il Noce di Benevento, dove convengono avvizzite le femmine del male."


Cosi Lorenzo Vessichelli descriveva la notte del Sabba attorno al famoso albero beneventano, a cui giungono, volando, le streghe.

Ma cos'era il Noce? Un albero davvero consacrato alle forze del male o piuttosto non il simbolo del pervertimento cristiano




contro il Paganesimo e tutto ciò che era sacro nella sensibilità pagana?

Sembra che all'inizio del VII secolo i Longobardi fossero i signori del ducato di Benevento. Costoro, che non professavano la religione cristiana, praticavano strani riti, uno dei quali consisteva nell'appendere appunto al Noce una pelle di caprone, che veniva poi colpita con frecce e infine mangiata. Con il tempo la festa assunse per il popolo, sempre più indottrinato dalla propaganda cristiana, e sempre più immemore delle sue radici pagane, le tinte fosche della stregoneria: nel XIII secolo si affermava che intorno al Noce si radunavano più di 2000 streghe e che Satana in persona interveniva per premiare le più perfide e per punire quelle che non erano state abbastanza malvage. Sempre secondo la leggenda, un vescovo di Benevento, Barbato, avrebbe abbattuto "l'albero maledetto" (*), facendo erigere sul posto un tempio dedicato a santa Maria in Voto: pare che la chiesa sorgesse al Piano di Cappella, a pochi kilometri dalla città.
Tutti i noci erano diventati, nel frattempo, piante malefiche: in Inghilterra si diceva che per le streghe era semplicissimo sfuggire al rogo: bastava che si trasferissero "in spirito" in un robusto tronco di noce.

(*) Nota di Lunaria: Fosse stato l'unico albero abbattuto dai cristiani... purtroppo hanno disboscato intere aree boschive sacre ai Pagani, arrivando a tagliare gli alberi se non a bruciarli ferocemente:




"San Maurilio invece bruciò direttamente gli alberi di un bosco sacro, poi riconsacrato a san Pietro. San Bonifacio, evangelizzando i Germani, fece abbattere la quercia di Geismar consacrata a Thor. Una cinquantina di anni dopo Carlomagno distrusse il santuario in cui era venerato Irminsul, un gigantesco tronco d'albero cui si attribuiva la proprietà di sostenere la volta celeste. In Lituania i cristiani mutilarono decine e decine di alberi. Nel 1258 a Sventaniestis, il vescovo Anselmo diede ordine di abbattere una quercia sacra, e non riuscendo a scalfirlo con l'ascia, lo bruciò. Tra il 1351 e 1355 a Romuva, in Prussia, su richiesta del vescovo Giovanni I, i cristiani fecero segare una quercia sacra sotto la quale si radunava il popolo per pregare. Alcune foreste erano personificate e divinizzate come quella dei Vosgi, la Foresta Nera, consacrata alla Dea Abnoba e le Ardenne, regno di Arduinna, la Dea del cinghiale, assimilata a Diana, culto che risaliva probabilmente all'età della pietra. Molti alberi vennero cristianizzati, "consacrati e dedicati" alla Madonna e ai santi."


Stralci tratti da Mircea Eliade

Mettere un bambino ammalato nella cavità di un albero, implica una nuova nascita, e quindi una rigenerazione. In Africa e nel Sindh, il bambino ammalato guarisce passando fra due alberi da frutto legati l'uno all'altro; la malattia rimane fissata negli alberi. Stessa usanza in Scandinavia, dove non soltanto i bambini, ma anche gli adulti, possono guarire passando attraverso la cavità di un albero. Le piante fertilizzanti, come le erbe medicinali, debbono la loro efficacia a questo stesso principio: la Vita e la Forza sono incorporate nella vegetazione. Gli Ebrei chiamavano i figli illegittimi ‘figli delle erbe’;
i Romani ‘figli dei fiori’. La stessa terminologia si ritrova altrove (per esempio fra gli indigeni della Nuova Caledonia). Certe erbe hanno poteri fecondanti; Lea ebbe da Giacobbe il figlio Isacco grazie alle mandragore che Ruben trovò nei campi. Tutte queste erbe miracolose e medicamentose sono soltanto varianti indebolite e razionalizzate di prototipi mitici: l'erba che risuscita i morti, l'erba dell'eterna giovinezza, l'erba che guarisce ogni male.
Nelle tradizioni popolari europee, troviamo altri due complessi drammatici strettamente legati alle feste della primavera, che svolgono funzioni analoghe nell'àmbito dello stesso sistema cerimoniale della rigenerazione dell'‘anno’ e della vegetazione. Si tratta della ‘morte e sepoltura del Carnevale’, e della ‘lotta fra inverno ed estate’, seguìta dall'espulsione dell'inverno (o della ‘Morte’) e dall'introduzione della primavera. La data di quest'ultima cerimonia varia; in generale, l'espulsione dell'Inverno (e l'uccisione della MORTE) avviene nella quarta domenica di quaresima, o (come presso gli Czechi della Boemia) la settimana successiva; in certi villaggi tedeschi della Moravia, si fa la prima domenica dopo Pasqua. Questa differenza, che abbiamo già riscontrato nella cerimonia del ‘Maggio’ (Primo Maggio, Pentecoste, primi di giugno, San Giovanni, eccetera), indica che la cerimonia, passando da una regione all'altra e integrandosi in altri complessi rituali, ha cambiato data. Non possiamo qui soffermarci più oltre sull'origine e il significato del Carnevale; quel che ci interessa è l'atto finale dell'importante festa. L'effigie del Carnevale, in molti luoghi, è ‘condannata a morte’ e giustiziata (il modo dell'esecuzione varia: ora si brucia, ora si affoga o si decapita). In occasione dell'‘esecuzione del Carnevale’, avvengono spesso lotte e risse, si gettano noci sulla figura grottesca che lo rappresenta, o si fanno battaglie di fiori o di legumi, eccetera. In altre regioni (per esempio nelle vicinanze di Tubinga), l'effigie del Carnevale è condannata, decapitata, sepolta nel cimitero, in una cassa da morto, alla fine di una allegra cerimonia. Questa usanza si chiama ‘sepoltura del Carnevale’.
L'altro episodio somigliante, espulsione o uccisione della ‘Morte’, si svolge in varie maniere. L'usanza più diffusa in Europa è questa: i bambini fabbricano un fantoccio di rami e paglia e lo portano fuori del villaggio, dicendo: ‘Andiamo a buttare la Morte nell'acqua, eccetera’, poi lo gettano in un lago o in un pozzo, o lo bruciano. In Austria, davanti al rogo della ‘Morte’, avvengono colluttazioni fra gli spettatori, quando ciascuno cerca di impadronirsi di un frammento dell'effigie. Qui si rivela il potere fertilizzante della ‘Morte’, posseduto anche dalle altre figure della vegetazione e dalle ceneri del legno bruciato in occasione delle feste appartenenti allo stesso complesso di rigenerazione della Natura e d'inizio dell'anno. Appena espulsa o uccisa la ‘Morte’, si introduce la Primavera. Presso i Sassoni della Transilvania, mentre i giovani portano l'‘effigie della Morte’ fuori del villaggio, le ragazze preparano l'arrivo della Primavera, rappresentata da una di loro.
L'importante, ripetiamo, non è soltanto la MANIFESTAZIONE della forza vegetativa, è il TEMPO in cui si attua. Comincia una tappa nuova, cioè si ripete l'atto iniziale, mitico, della rigenerazione. Per questo ritroviamo il cerimoniale della vegetazione  -  in diverse regioni ed epoche diverse  -  celebrato fra il Carnevale e il giorno di San Giovanni. Non fu la comparsa REALE della primavera a creare il rituale della vegetazione; non si tratta di ‘religione naturistica’, ma di un complesso drammatico cerimoniale che si è adattato, secondo le circostanze, alle diverse date del calendario. Il complesso drammatico però ha conservato dappertutto la struttura iniziale; è una commemorazione (cioè una RIATTUALIZZAZIONE) dell'atto primordiale della rigenerazione. Abbiamo visto poi che il ‘Maggio’ dell'anno precedente viene bruciato quando arriva l'albero nuovo; che si bruciano anche le effigi del Carnevale,
dell'Inverno, della Morte, della Vegetazione, e che spesso le loro ceneri sono ricercate per le loro virtù germinative e apotropaiche. Liungman, tuttavia, ha osservato che si bruciano anche certi tronchi d'albero, in altre circostanze; ad esempio, presso gli Slavi sud-danubiani usa di bruciare un albero o un ramo chiamato Badnjak, per Natale, Capodanno o l'Epifania. Il Badnjak brucia per parecchi giorni di séguito in ciascuna casa, e la sua cenere è sparsa sui campi per fecondarli; anch'esso procura ricchezza alla casa e moltiplica i greggi. I Bulgari onorano il "badnjak" perfino con incenso, mirra e olio d'olivo; questa usanza, molto antica nei Balcani, è diffusa in tutta Europa, e ciò conferma l'arcaismo.

E ovviamente non poteva mancare lo scopiazzamento cattolico:
Esistono, evidentemente, regioni ove si brucia l'albero in date diverse. Nel Tirolo, il primo giovedì della Quaresima, si porta un ciocco in processione solenne; in Svizzera, la Vigilia di Natale, il Capodanno e di Carnevale. Inoltre il cerimoniale del trasporto e del bruciamento del ‘ciocco di Cristo’, del "calendeau" o dell'albero di Carnevale (in Occidente) è eseguito dagli stessi personaggi che portano il ‘Maggio’; vi ritroviamo il ‘Re’ e la ‘Regina’, il Saracino, il ‘selvaggio’, il buffone, eccetera, e ritroviamo gli stessi personaggi drammatici, con lo stesso albero cerimoniale, al momento delle nozze. Liungman crede che tutte queste usanze, consistenti nel trasporto solenne di un albero e nel suo bruciamento, derivino dall'antico uso di bruciare gli alberi il primo maggio, cioè all'inizio dell'Anno Nuovo. In una certa zona (Balcani, eccetera), l'usanza si è spostata verso le feste di Natale e di Capodanno; nell'altra zona (Occidente), l'uso si è fissato sul Martedì Grasso (Carnevale), poi sul Primo Maggio, la Pentecoste e il giorno di San Giovanni. E' interessante rilevare qui il significato cosmico-temporale che aveva (e ancora conserva, benché attenuato) quest'uso di bruciare alberi. La cremazione era e rimane un rituale di rigenerazione, di ricominciamento e, insieme, di commemorazione di un gesto primordiale, attuato ‘in quel tempo’. In questo cerimoniale il valore magico-vegetale passa al secondo piano; suo valore manifesto è la commemorazione dell'‘Anno Nuovo’. Potremmo dunque concludere che, in questo complesso rituale, la concezione teorica, metafisica, precede l'esperienza concreta e l'avvento della primavera.

APPROFONDIMENTO tratto da



Benevento è l'emblema delle streghe, il simbolo concreto della loro azione in mezzo agli uomini: "Ma niente è più rinomato in Italia del Noce di Benevento credendosi che colà sia veramente il maggior concorso delle streghe, le quali sopra un caprone o con una scopa accesa in mano vi concorrano la notte"
"Nulla in Italia è più antico di Benevento, che secondo le leggende locali fu fondata o da Diomede o da Ausone, un figlio di Ulisse e Circe." (secondo la testimonianza di Edward Hutton, visitatore inglese di fine Ottocento che viaggiò in Italia)
Ma la storia di Benevento come città delle streghe inizia già al tempo dei Romani, in pieno paganesimo, col culto a Iside, Diana ed Ecate, trinità di Dee della Luna ma anche degli inferi e della caccia. Il termine locale per strega, cioè Janara, deriva da Dianara, seguace di Diana, anche se altri hanno proposto la derivazione da "ianua", porta in latino, col riferimento al fatto che era davanti alla porta che si posizionava una scopa o del sale per tenere lontane le streghe (da "strix", uccello notturno)
Del resto, l'arrivo (e l'imposizione violenta) del cristianesimo non mutò per niente le antiche credenze: l'imperatore Domiziano fece edificare un tempio in onore di Iside nel 88-89 d.c 

Inoltre, sempre a Benevento, si adorava una vipera d'oro, probabilmente alata o bicefala, cioè l'Anfisbena, il serpente a due teste, una davanti e una dietro: un altro elemento che collega Benevento alle Dee dei serpenti come Iside, Medusa, Giunone, Igea o Angitia. https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/melusina-e-il-serpente.html
A Benevento, sotto l'influenza dei Longobardi, si praticava anche il culto a Wotan, adorato nei pressi del fiume Sabato.
Uomini e donne si radunavano in una radura, la Ripa delle Janare, nei pressi di un albero di noci gigantesco, e appendevano al ramo una pelle di un montone, che veniva poi fatta a brandelli dai guerrieri, per essere divorata in una sorta di pasto rituale.
è probabile che fu questo rito a spaventare i cristiani e a rendere Benevento famosa come "città delle streghe" già dal XIII secolo.
Si noti come il termine popolare per "strega", "lammia" ("lamiae") derivi da Lamia, considerata figlia o serva di Ecate, e qui ancora rispunta fuori il legame tra stregoneria (ovvero l'immagine pervertita e denigrata che ne diede il cristianesimo) e gli antichi culti pagani.


Altro approfondimento tratto da



Quando in autunno gli alberi perdono le foglie e poi a primavera nuovamente se ne ricoprono (...) e gli alberi come il tasso che restano verdi sia in estate che in autunno (...) ingenerò in innumerevoli popoli che l'esistenza del mondo dipendesse soprattutto da un potente albero cosmico: l'Yggdrasill della religione nordgermanica innalza la sua cima nel cielo e le sue radici penetrano addentro nelle profondità della terra. Collega la terra sia con le potenze celesti che con quelle infernali. Presso i Celti abbondano gli esempi del culto degli alberi. Nomi quali Mac Dara significano "figlio della quercia", "Derdraigin" significa "Figlia del susino di macchia", Mac Cairthin, "figlio del sorbo selvatico". Anche le iscrizioni attestano il culto degli alberi. Nei Pirenei incontriamo iscrizioni sacre a Fagus, il faggio, venerato per i suoi frutti indispensabili all'allevamento dei maiali; anche il tasso godette di culto quale albero sempreverde; Apollo ebbe un tempio circolare in una stupenda foresta della Gallia. Nella religiosità scozzese ed irlandese era venerata la sorba, a motivo dei frutti rossi. 
E esattamente come a proposito del culto delle pietre (*) i predicatori cristiani dovettero instancabilmente cercare di sradicare il culto degli alberi, abbattendoli. I Pagani tolleravano la distruzione dei loro templi, ma si opposero con violenza allorché San Martino volle abbattere un pino sacro. Tuttavia, ancora oggi in molti luoghi sono visibili alberi addobbati con pezzi di stoffa. In tali casi, la chiesa ha cercato di cristianizzare il culto con un'immagine sacra. Sant'Albeo fece erigere, su istruzione di un angelo!, un chiostro il cui nome suona "Ymlech Ybuir". In Irlanda sono sacri ancora oggi il tasso, il sorbo selvatico, il biancospino, il sambuco e il nocciolo. La quercia, poi, era in primo piano. Massimo Tirio nel secondo secolo dell'era cristiana scriveva che "I Celti veneravano Zeus" e un'alta quercia è il simbolo del Dio. Era anche un albero divinatorio e potrebbe esserci stata l'usanza di mangiare le ghiande per trovare l'ispirazione.

(*) Nota di Lunaria: ne parla diffusamente Mircea Eliade in "Trattato di Storia delle religioni"; riassumendo, spesso l'umanità considerava i sassi o i meteoriti magici, sacri, le case del Dio/Dea o con proprietà taumaturgiche in grado di guarire o "creare" la gravidanza. Erano anche associati all'eternità, alla partenogenesi - li si riteneva "nati da sé" - e all'organo maschile (infatti venivano "oliati" e tale pratica la si ritrova scritta persino nella Bibbia a testimonianza che gli stessi Ebrei, per un periodo della loro storia, non solo adoravano gli alberi - "il roveto ardente" - ma persino le pietre). Anche la Kaba islamica in realtà rientra nel culto della pietra, e Mircea Eliade ipotizza che all'inizio fosse persino dedicato a una Dea. Per quanto riguarda i cristiani, hanno assimilato il culto delle pietre nelle loro chiese: nella chiesa di san Volfango c'è una cappella - eretta nel 1713! - che ospita all'interno "la pietra sacra", ovvero un masso calcareo - si pensa - toccato dal santo. Nella chiesa di Maria Schnee (nell'ex Boemia tedesca) c'è un grande masso diviso da una profonda spaccatura centrale (riferimento concettuale alla Yoni induista, il culto della Vagina: i popoli protostorici dell'India consideravano le pietre forate un emblema del "Yoni", e l'azione rituale di passare per il buco implicherebbe rigenerazione per mezzo del Principio Cosmico Femminile) e nella cavità venivano offerti cereali e ceri; Nella cappella di San Nicolò si trova l'"Handstein" (pietra della mano): ci si infila la mano per ottenere la guarigione.


Dal commento di Mircea Eliade:

"Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania. Non v'è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v'è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. IL SASSO, ANZITUTTO, E'. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, COLPISCE. Ancor prima di afferrarla per colpire, l'uomo urta contro la pietra, non necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La roccia gli rivela qualche cosa che trascende la precarietà della sua condizione umana: un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l'uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo DIVERSO da quel mondo profano di cui fa parte. Non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi. La devozione del primitivo si riferisce sempre, in ogni caso, a qualche cosa di diverso, che la pietra incorpora ed esprime. Una roccia, un ciottolo, sono oggetto di rispettosa devozione perché rappresentano o imitano QUALCHE COSA, perché vengono da QUALCHE POSTO. Il loro valore sacro è dovuto esclusivamente a questi qualche cosa e qualche posto, mai alla loro stessa esistenza. Gli uomini hanno adorato i sassi soltanto nella misura in cui rappresentavano UNA COSA DIVERSA dai sassi. Li hanno adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come centri di energia destinati alla difesa propria o a quella dei loro morti. E ciò avveniva, è bene dirlo subito, perché le pietre con incidenza cultuale erano in maggioranza utilizzate come STRUMENTI: servivano a ottenere qualche cosa, ad assicurarne il possesso. La loro funzione era magica più che religiosa. Fornite di certe virtù sacre dovute all'origine o alla forma, erano non adorate ma utilizzate (...) Leenhardt scrive che ‘i sassi sono lo spirito pietrificato degli antenati’. La formula è bella, ma non si deve prendere alla lettera. Non si tratta di spirito pietrificato, ma di rappresentazione concreta, di un'‘abitazione’ provvisoria o simbolica dello spirito. Del resto lo stesso Leenhardt confessa: ‘che si tratti di spirito, dio, totem del clan, tutti questi concetti hanno in realtà una rappresentazione concreta, che è il sasso’. I Khasi dell'Assam credono che la Grande Madre del clan sia rappresentata dai dolmen ("maw-kynthei", ‘i sassi femmina’), e che il Grande Padre sia presente nei menhir ("maw-shynrang", ‘i sassi maschi’). In altre zone culturali i menhir incarnano addirittura la divinità suprema (uranica). Abbiamo già visto che in molte tribù africane il culto del dio supremo del Cielo comprende menhir (a cui si fanno sacrifici) e altre pietre sacre (...) La pietra, la roccia, il monolito, il dolmen, il menhir DIVENTANO sacri grazie alla forza spirituale di cui portano il segno (...) A Decines (Rodano), ancora in tempi recenti, le donne si ponevano a sedere sopra un monolito che sta in un campo nella località Pierrefrite. A Saint-Renan (Finisterra) la donna che desiderava un figlio si coricava per tre notti consecutive sopra una grande roccia, ‘la cavalla di Pietra’. Parimenti i novelli sposi, nelle prime notti dopo le nozze, venivano a strofinare il ventre contro quella pietra. La pratica si ritrova in molte regioni. Ancora nel 1923 le contadine che venivano a Londra abbracciavano le colonne della cattedrale di San Paolo per avere figli (...) Numerosi megaliti favoriscono i primi passi dei bambini o assicurano loro buona salute. Nel cantone di Amance c'è una ‘Pietra forata’; le donne le si inginocchiano davanti e la pregano per la salute dei figli, gettando una moneta nel buco. I genitori portavano il neonato alla ‘pietra forata’ di Fovent-le-Haut e lo facevano passare per il foro. ‘Era, in un certo senso, il battesimo della pietra, destinato a preservare il bambino dai malefìci e a portargli fortuna’. A Natale e il giorno di San Giovanni Battista (cioè ai due solstizi), si ponevano candele accanto a certe pietre forate, e si spandeva sulle pietre dell'olio, che poi veniva raccolto e usato come rimedio. La Chiesa ha lungamente combattuto queste usanze . La loro sopravvivenza malgrado le pressioni del clero, e specialmente malgrado un secolo di razionalismo antireligioso e antisuperstizioso, è una nuova prova del vigore di queste pratiche (...) Oggi la credenza non è più basata su nessuna considerazione teorica, ma è giustificata da leggende recenti o da interpretazioni sacerdotali (un santo si è riposato su quella roccia; sopra il menhir c'è la croce, eccetera). Un esempio suggestivo della multivalenza simbolica della pietra è dato dalle meteoriti. La Pietra Nera della Mecca e quella di Pessinunte, immagine aniconica della Grande Madre dei Frigi, Cibele, portata a Roma durante l'ultima guerra punica, sono le più illustri meteoriti. Il loro carattere sacro era dovuto anzitutto alla loro origine celeste. Ma erano insieme immagini della Grande Madre, cioè della divinità tellurica per eccellenza. E' difficile credere che la loro origine uranica sia stata dimenticata, perché le credenze popolari attribuiscono questa discendenza a tutti gli strumenti preistorici di pietra chiamati ‘pietre del fulmine’. Probabilmente le meteoriti divennero immagini della Grande Dea perché si credettero inseguite dal fulmine, simbolo del Dio uranico. Ma, d'altra parte, la Ka'ba era considerata il ‘centro del mondo’, cioè non soltanto il centro della terra: sopra di essa, nel centro del cielo, doveva trovarsi la ‘Porta del Cielo’. Evidentemente, cadendo dal cielo, la Pietra Nera della Ka'ba bucò il firmamento, e attraverso quel foro può avvenire la comunicazione fra Terra e Cielo (vi passa l'‘Axis Mundi’) (...) ‘Gli Arabi adorano le pietre’, scriveva Clemente Alessandrino (...) si può supporre che al tempo di Clemente la maggioranza degli Arabi ‘adorassero’ i sassi. Ricerche recenti hanno dimostrato che gli Arabi preislamici veneravano certe pietre chiamate dai Grecolatini "baytili", parola di origine semitica che significa ‘casa di Dio’ (55). Del resto tali pietre sacre non furono venerate soltanto nel mondo semitico, ma anche dalle popolazioni dell'Africa del nord, anche prima dei loro contatti con i Cartaginesi. Ma i betili non furono mai adorati in quanto SASSI, lo furono soltanto nella misura in cui manifestavano una PRESENZA DIVINA. Rappresentavano la ‘casa’ di Dio, erano il suo segno, il suo emblema, il ricettacolo della sua forza o il testimonio incrollabile di un atto religioso compiuto in suo nome. Qualche esempio scelto nel mondo semitico farà comprendere meglio il loro significato e la loro funzione. In viaggio per la Mesopotamia, Giacobbe attraversò Haran: "Giunto a un certo luogo, volendovi riposare dopo il tramonto del sole, prese delle pietre che vi si trovavano, e postele sotto il suo capo, ivi dormì. E vide in sogno una scala rizzata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; gli angeli di Dio salivano e discendevano per essa; e il Signore, appoggiato alla scala, gli diceva: ‘Io sono il Signore Dio d'Abramo tuo padre e il Dio d'Isacco; la terra nella quale dormi, la darò a te e alla tua stirpe...’... Svegliatosi Giacobbe dal suo sogno disse: ‘Veramente, il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo!’ e intimorito così continuò: ‘Quanto è terribile questo luogo! altro non è che la casa di Dio e la porta del cielo’. Alzatosi dunque al mattino, Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva posato il capo e la alzò in memoria, versandovi olio sopra. E mise nome Bethel a quel luogo."

Per approfondimenti dal punto di vista ginocentrico, vedi "Luna Rossa"



L'albero, o la colonna, simboleggia le energie dinamiche dell'origine dell'ispirazione e dell'estasi. L'immagine dell'albero sacro della Luna è molto antica e appare ripetutamente nell'arte religiosa di fonti diverse, dall'antica cultura assira fino alla chiesa cristiana, sia medioevale che moderna. Nell'arte assira l'albero della Luna è dipinto carico di frutti, con la Luna crescente che spunta tra i rami, altre volte è stilizzato come una colonna con in cima la Luna. A volte l'albero era raffigurato, oltre che carico di frutti, anche adorno di luci e di fiocchi, che ricorda l'immagine familiare dell'albero di Natale e del maio (palo ornato intorno al quale i giovani danzavano nelle feste di calendimaggio https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/palo-di-calendimaggio.html).
 
Il maio può essere inteso come albero di Luna stilizzato e adornato con nastri bianchi, rossi e blu come simboli delle diverse energie femminili che portavano la fertilità primaverile.

Molte Dee Lunari erano collegate a un particolare tipo di albero, alcuni dei quali erano considerati magici. Nella mitologia greca la Dea Atena rappresentava il fuoco creativo dell'ispirazione ed era raffigurata da un albero di olive nere.

Nell'antica Grecia l'Albero della Vita portava mele d'oro ed era chiamato l'Albero di Hera, dal nome della Dea della Luna, dell'alba e del tramonto, il cui nome significa "utero".

Nelle leggende di Artù, egli, ferito mortalmente nella battaglia di Camlann, viene portato dalla fata Morgana ad Avalon, l'Altro Mondo, chiamato Isola delle Mele, per essere guarito.
  
L'Albero del Grembo è un'immagine soggettiva del Sacro Albero della Luna, l'albero della vita e della conoscenza. Simile a un utero nella forma, carico di frutti, e con la Luna tra i rami,
fornisce un legame conscio tra la Donna, le Energie del suo Ciclo e la Luna.

Le acque dell'Albero del Grembo sono quelle del subconscio: sono la sorgente interiore d'ispirazione creativa e da queste acque nascono idee e intuizioni. L'acqua ha sempre avuto un forte legame con il mondo interiore e gli antichi offrivano preghiere, ringraziamenti o suppliche gettando offerte votive nell'acqua (nota di Lunaria: attualmente, ancora oggi si offrono alla Dea Yemanja, in Brasile, offerte floreali: le Sacerdotesse o le fedeli della Dea, gettano fiori in mare).

Visualizzando l'Albero del Grembo e lanciando una richiesta nell'acqua, una donna può creare un legame con la sua sorgente creativa e dare vita a nuove idee.
La storia di Adamo ed Eva parla di due alberi: l'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza, separando il concetto della consapevolezza individuale del ciclo della vita e della rinascita del ciclo della natura. Eva, tuttavia, unisce queste idee cogliendo il frutto. Prendendolo, ella assume la natura ciclica e si unisce ai ritmi della natura e dell'universo diventando conscia, a livello personale, della connessione di questi ritmi con i cicli della vita. Il frutto dell'Albero del Grembo contiene la conoscenza del potere di dare la vita e dei ritmi della vita. Raccogliendo il frutto, Eva, risveglia in sé questi ritmi, attivando la relazione tra mente, utero ed energie creative. Il frutto, tuttavia non può essere raccolto senza portare con sé il serpente, essendo questo il rinnovamento delle energie che portano alla conoscenza.
Dopo aver morso la mela, Eva offre il frutto ad Adamo e, così facendo, offre la consapevolezza e la conoscenza dell'Albero della Vita attraverso se stessa. (*)
L'aspetto ctonio, umido, nascosto, sotterraneo e rigenerante del Serpente "carica" l'aspetto manifesto, visibile, luminoso della Madre Terra, Gaia.


(*) Ma il frutto mestruale non può essere colto dall'uomo perché contiene la conoscenza intrinseca della natura ciclica delle donne; ma i suoi frutti possono essere dati agli uomini dalle donne che lo hanno colto. Questo potente e importante simbolismo, nella storia di Adamo ed Eva fu sostituito con un'immagine negativa della donna che venne vista di indole più debole dell'uomo e fonte della tentazione che lo allontanava da Dio.


Per approfondire:

Il simbolismo della Noce: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/noce-e-nodo-il-simbolismo.html
Erbe magiche: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/i-segreti-occulti-delle-erbe-e-delle.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/erbe-e-piante-le-mie-preferite.html
Culti degli alberi e come i cristiani li hanno scopiazzati:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/germani-celti.html
Una vittima dell'inquisizione e i primi pensatori anticlericali e anticristiani: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/giannone-meslier-de-sade-de-la-barre-e.html
Misoginia cristiana: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/misoginia-e-ginofobia-durante-la-caccia.html