Poesia del Medioevo (Duecento e Trecento)

Raccolta di scritti tratti da







Nota di Lunaria: in questo post non ho riportato i commenti al ciclo arturiano e carolingio, visto che li avevo postati qui: 
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/il-mito-degli-eroi-nel-ciclo-carolingio.html
http://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/introduzione-al-ciclo-di-re-artu.html
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la condizione della donna nel Medioevo, https://intervistemetal.blogspot.com/2020/08/lavoratrici-imprenditrici-spie-le-donne.html
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i lavori e i contadini https://intervistemetal.blogspot.com/2020/08/lavoratrici-imprenditrici-spie-le-donne.htmlhttps://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/lavori-e-divertimenti-nel-medioevo.html

i castelli: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/come-si-viveva-in-un-castello.html

i manoscritti, le miniature e le iscrizioni runiche (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/manoscritti-e-miniature.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/07/norvegia-1-introduzione-alledda.html). 

Un romanzo ambientato nel Medioevo: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/12/recensione-catherine-gaia-junior.html

la poesia inglese medioevale: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/storia-della-letteratura-inglese-2.html

l'alchimia: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/alchimia-3-alchimia-e-scienze-occulte.html

l'arte gotica: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/breve-introduzione-allarte-gotica.html

Dante, Boccaccio, Petrarca, Christine de Pizan: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/letteratura-medioevale-maschile-e-anche.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/12/breve-introduzione-al-decameron.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/01/dante.html

Qui trovate alcune band dei giorni nostri che ripropongono della musica medioevale: http://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/medioevo-3-la-poesia-e-la-musica.html 

Per quanto riguarda Petrarca, qui l'ho riportato in sintesi, su di lui andate a visionare questo post: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/letteratura-medioevale-maschile-e-anche.html
… devo dire che la letteratura medioevale l'ho sempre letta poco e l'ho anche trattata poco, un po' perché è comunque una letteratura anche molto cristiana, un po' perché certe atmosfere cupe e cimiteriali sono decisamente successive e dal punto di vista poetico prediligo il Cinquecento, il Seicento e l'Ottocento, però non escludo nei prossimi mesi di ri-noleggiarmi certe antologie poetiche che hanno lì in biblioteca, dedicate persino all'anno 1000...

Per quanto riguarda Dante, eh, ho qui una vagonata di materiale, ma sempre pochissimo tempo da dedicare a lui (non me ne voglia Dante, ma il mio cuoricino non batte per lui bensì per i poeti inglesi e per il mio adorato Tarchetti e quindi Dante, poveretto, resta sempre nell'angolino...), comunque prima o poi metterò a disposizione tutto questo materiale (anche piuttosto datato e raro) che ho qui su Dante perché sono sicura che farà la gioia dei collezionisti di materiale dantesco. Intanto qui trovate alcuni dei suoi versi: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/letteratura-medioevale-maschile-e-anche.html

Tra i due, comunque, preferisco Petrarca.

IL DOLCE STIL NOVO

Il Dolce Stil Novo è una corrente di poesia sviluppatasi tra il 1280 e il 1310 a Bologna e a Firenze, e così chiamata da un'espressione usata da Dante nel Purgatorio. Ne fecero parte Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Cino da Pistoia. Erano quelli gli anni in cui nelle città dell'Italia centro-settentrionale la nuova classe borghese si affermava oltre che sul piano economico anche su quello politico e culturale. Bologna era sede di un'importante Università dalla quale uscivano notai, giudici, maestri di retorica. Firenze si avviava a conquistare l'egemonia sugli altri Comuni toscani grazie ai suoi banchieri e mercanti che allargavano la loro sfera di influenza non solo sui mercati italiani ma anche su quelli d'Oltraparte. In questo contesto erano perfettamente integrati i poeti del Dolce Stil Novo i quali appartenevano in larga parte alla classe borghese, esercitavano quasi tutti un'attività professionale (notai o giudici) e partecipavano alla vita politica della loro città. Al tempo stesso coltivavano la poesia dalla quale bandivano ogni riferimento d'attualità e ogni argomento estraneo alla tematica amorosa.

Pur collegandosi ai tradizionali modelli della poesia d'amore (provenzali e siciliani) gli stilnovisti introdussero importanti novità contenutistiche e formali. Sul piano dei contenuti i più significativi elementi di rinnovamento erano:
⦁ Il concetto dell'amore-virtù, ovvero dell'amore inteso come strumento non più di nobilitazione sociale e morale, come avveniva nelle esperienze precedenti, ma di elevazione spirituale, mezzo di riscatto dal peccato e salvezza dell'anima.
⦁ La figura della donna-angelo, intermediaria tra Dio e l'uomo, dispensatrice di virtù e capace quindi di nobilitare un sentimento terreno come l'amore, nel quale la Chiesa aveva fino a quel momento visto uno strumento di perdizione.
⦁ Il rapporto strettissimo tra amore e cuore gentile, cioè nobile. Sostiene infatti Guido Guinizzelli nella canzone "Al cor gentil", considerata il manifesto poetico della scuola, che l'amore può avere sede solo in un cuore nobile. La nobiltà di cui parlano gli stilnovisti - ed è questo l'elemento di maggior novità - non è però legata alla nascita, è piuttosto una perfezione morale, un insieme di doti spirituali che predispongono l'uomo al bene e lo rendono degno di accogliere in sé l'amore.
Dal punto di vista espressivo la nuova concezione dell'amore, così astratta e spirituale, si traduce in uno stile dolce, caratterizzato da parole piane, prive di consonanti aspre, e di una sintassi limpida e semplice; vi ricorrono frequentemente coppie di aggettivi, sostantivi, verbi che conferiscono allo stile armonia e simmetria.

Motivi ricorrenti sono la lode della donna-angelo, la celebrazione delle sue virtù, la descrizione degli effetti beatificanti del saluto che essa passando per le vie della città rivolge a quanti la incontrano e che è inteso come apportatore di salvezza, l'atteggiamento dell'innamorato che contempla estasiato l'amata e si dichiara incapace di esprimere a parole la perfezione della donna. Questi motivi ricorrono in tutti gli scrittori dello Stilnovo, anche se poi ciascun poeta li tratta in modo soggettivo e personale, finendo per esprimere attraverso la tematica amorosa il suo rapporto con il mondo.
"Tanto gentile e tanto onesta pare" di Dante Alighieri è uno dei più alti esempi della cosiddetta "poesia della lode". Il testo è tratto da "Vita Nova", un libretto misto di prosa e versi in cui Dante racconta, interpretandola in chiave morale e religiosa, la storia del suo amore per Beatrice. Il titolo non vuol dire solo "vita giovanile" ma soprattutto "vita rinnovata dall'amore" e intende sottolineare il profondo mutamento verificatosi nella vita del poeta in seguito al suo amore per Beatrice e la contrapposizione tra una "vita nuova" illuminata e vivificata da un amore disinteressato che trova pieno appagamento nella lode della donna e diviene strumento di perfezionamento interiore e di avvicinamento a Dio:
Tanto gentile e tanto onesta pare (1)
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscono di guardare.
Ella si va (2), sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta (3),
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi (4) una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che da la sua labbia (5) si mova
uno spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.


(1) Appare
(2) Continua il suo cammino
(3) Vestita, ammantata
(4) Attraverso gli occhi
(5) Dalle sue labbra


è questo uno dei più alti esempi della cosiddetta "poesia della lode": utilizzando alcuni dei luoghi comuni dello Stilnovo (la donna che passa per la via, il saluto), Dante descrive da una parte le virtù dell'amata, dall'altra gli effetti che la sua apparizione produce non solo sul poeta innamorato, ma su tutti quelli che la vedono.
Le virtù della donna sono la gentilezza, intesa nel senso di nobiltà d'animo, l'onestà ovvero quel decoro esteriore che è l'espressione di equilibrio interno, e l'umiltà. I mezzi attraverso i quali queste virtù hanno modo di rivelarsi e di effondersi su quanti la circondano sono l'apparizione e il saluto. Silenzio, tremore, dolcezza, sono le reazioni di chi vede una tale creatura, reazioni paragonabili a quelle che si possono provare al rivelarsi di qualcosa di soprannaturale. Chi legge ha l'impressione che la donna descritta da Dante sfiori appena il terreno e che da lei emani una luce che si riverbera su chi la contempla smarrito.


LA POESIA FRA DUECENTO E TRECENTO IN SINTESI

La letteratura in lingua volgare, cioè nella lingua parlata dal popolo (vulgus) nasce in Italia con un certo ritardo rispetto ad altri paesi dell'Europa formatisi in seguito alla disgregazione dell'Impero Romano d'Occidente. Mentre in Francia, già a partire dal XI sec. si era affermata una produzione in versi nelle nuove lingue volgari (lingua d'oil o d'oc, così chiamate dalla particella affermativa corrispondente al nostro sì), in Italia, fino al XIII si usava ancora il latino. Con il passare del tempo, però, sempre minore era il numero delle persone in grado di parlare e comprendere questa lingua, accessibile ormai soltanto ai dotti. Il popolo usava infatti una pluralità di dialetti nati dalla fusione tra il latino parlato e le nuove lingue portate dalle popolazioni che avevano invaso l'Italia (longobardi, franchi, arabi, normanni, svevi ecc.). Questi dialetti, attraverso i quali la gente comunicava oralmente, a poco a poco cominciarono ad essere adoperati anche per la comunicazione scritta (lettere, documenti), poi con intenzioni letterarie. Nacque così una letteratura in lingua volgare che si differenziava a seconda delle regioni in cui sorgeva.

⦁ In Sicilia intorno alla prima metà del Duecento si sviluppò alla corte dell'imperatore Federico II di Svevia la poesia siciliana: si trattava di liriche d'amore nelle quali la donna era celebrata come una creatura nobile e altera, indifferente alle pene del poeta innamorato che stava di fronte a lei in atteggiamento di devota sottomissione.
⦁ In Umbria fiorì un filone di poesia religiosa, con San Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi.
⦁ A Bologna e a Firenze alla fine del Duecento si affermò la scuola del Dolce Stil Novo che arricchiva la poesia d'amore con una componente religiosa.
⦁ A Siena si diffuse invece una poesia più popolare, che capovolgeva i temi e il linguaggio dello Stilnovo.
⦁ Nell'Italia settentrionale (Lombardia e Veneto) si sviluppò una poesia a carattere moraleggiante ed educativo.
Fanno da sfondo a queste esperienze letterarie così diversificate, situazioni politiche, sociali ed economiche altrettanto differenti: se la Sicilia e l'Italia meridionale sono sotto il dominio della monarchia sveva, l'Italia centro-settentrionale vive l'esperienza dei Comuni, città che pur appartenendo ai domini dell'Impero e della Chiesa, si autogovernavano, caratterizzate da uno sviluppo economico in campo commerciale, artigianale e finanziario, grazie all'affermarsi di una nuova classe: la borghesia. I centri economicamente più fiorenti si trovavano in Toscana ed è per questo che a partire dal Trecento la lingua toscana/fiorentina acquista una supremazia rispetto agli altri dialetti. Essa è inoltre nobilitata dall'uso che ne fanno autori come Dante, Petrarca, Boccaccio nella poesia e nella prosa, e che le conferiscono eleganza sintattica, ricchezza lessicale e la capacità di esprimere i più diversi aspetti della realtà e le più sottili sfumature del pensiero e del sentimento.
Il Trecento è dominato nel campo della lirica dalla figura di Francesco Petrarca, un intellettuale che apre le porte alla successiva cultura quattrocentesca. Con Petrarca nasce un modello di poesia d'amore che resterà valido per molti secoli.
Il "Cantico delle creature" di San Francesco d'Assisi, scritto nel 1224, viene considerato il più antico componimento letterario in lingua italiana.


Qui di seguito riporto qualche poesia del Duecento e del Trecento

All'inizio della nostra letteratura assistiamo quasi contemporaneamente all'affermarsi di due importanti correnti poetiche, l'una in Sicilia, l'altra in Umbria e Toscana, e dal carattere essenzialmente religioso come il "Cantico di frate Sole" chiamato anche Laudes creaturarum (1225). San Francesco è perciò l'iniziatore della poesia italiana. Amore per il Creatore, quindi, e amore per la donna, ecco le due linee essenziali da cui parte la poesia alla metà del Duecento.
La scuola siciliana nasce e fiorisce in dipendenza della poesia provenzale. Furono i trovatori (da "trobar", poetare) a costituire il modello anche per altre lingue occidentali. Dai provenzali il sentimento amoroso era inteso come venerazione devota alla dama, secondo gli ideali e la pratica del vassallaggio: l'amore, e ogni moto dell'anima ad esso legato, viene seguito ed analizzato secondo un rituale feudale.


Giacomo da Lentini: Dante lo ricorda nel "Purgatorio" (XXIV, 55-60) indicandolo come capo della scuola siciliana. A lui si attribuisce la creazione originaria del metro del sonetto.

Meravigliosamente (1)
un amor mi distringe (2)
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo (3) pinge
la simile pintura,
così, bella, facc'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.

In cor par ch'eo vi porti,
pinta come parete (4)
e non pare di fore.
O Deo, co' mi par forte. (5)
Non so se lo sapete,
con' v'amo di bon core. (6)
ch'eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso (7)
e non vi mostro amore.

[...]

Assai v'aggio laudato,
madonna, in tutte le parti (8)
di bellezza ch'avete.
Non so se v'è contato
ch'eo lo faccia per arti,
che voi pur v'ascondete (9)
Sacciatelo per singa (10)
zo ch'eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.

Canzonetta novella,
va' canta nova cosa;
lèvati da maitino (11)
davanti a la più bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda più c'auro fino:
"Lo vostro amor, ch'è caro (12),
donatelo al Notaro
ch'è nato da Lentino"


(1) In modo straordinario
(2) Avvince
(3) Modello
(4) Apparite
(5) Come mi sembra doloroso
(6) Con devozione ineccepibile
(7) Vi guardo soltanto di nascosto
(8) Dappertutto
(9) Ancora, sempre, vi nascondete
(10) Sappiatelo attraverso segni
(11) Di buon mattino
(12) Prezioso


Amor è uno desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l'amore
e lo core li dà nutricamento (1)

[...]
ché li occhi rapresentan a lo core
d'onni cosa che veden bono e rio (2),
com'è formata naturalmente;

e lo cor di zò è concepitore (3),
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.


(1) Nutrimento
(2) Bene e male
(3) Che da ciò viene convinto


Guido delle Colonne: attivo fra il 1242 e il 1280. Del suo Canzoniere si sono conservate 5 canzoni: due di esse furono citate da Dante come "illustri"


Amor, che lungiamente (1) m'hai menato (2)
a freno stretto senza riposanza (3)
alarga le toi retene in pietanza (4)
ché soperchianza (5) m'ha vinto e stancato:
c'ho più durato - ch'eo non ho possanza (6),
per voi, madonna, a cui porto lianza (7)
più che no fa assessino asorcotato (8),
che si lassa morir per sua credanza. (9)
Ben este afanno dilittoso amare (10),
e dolze pena ben si pò chiamare:
ma voi, madonna, de la mia travaglia (11)
così mi squaglia (12) - prèndavo merzede (13)
ché bene è dolze mal, se no m'auzide (14).

[...]
Dunque, madonna, gli occhi e lo meo core
avete in vostra mano, entro e di fore,
c'Amor mi sbatte e smena (15), che no abento (16),
cì come vento - smena nave in onda:
voi siete meo pennel (17) che non affonda.
  
(1) Lungamente
(2) Condotto
(3) Senza mai far sosta
(4) Allenta le tue redini per pietà
(5) Un accesso di amore
(6) Sono andato avanti più di quanto potevo
(7) Lealtà
(8) è un'allusione alla setta degli Assassini, i fumatori di Hashish
(9) Fede
(10) Amare sinceramente è dilettoso affanno
(11) Afflizione
(12) Mi strugge
(13) Abbiate pietà
(14) Se non mi uccide
(15) Agita
(16) Non ho quiete
(17) Banderuola per indicare la direzione e la forza del vento


Rinaldo d'Aquino: dei suoi componimenti ci sono rimaste nove canzoni e due sonetti. Celebre è rimasto il suo "lamento" per la partenza del crociato.


Già ma' i' non mi conforto,
né mi voglio rallegrare:
le navi soì giute (1) al porto
e vogliono a collare (2).
Vassene lo più gente (3)
in terra d'Oltremare:
oi me lassa dolente
come degio fare?

[...]
Però ti priego, Dolcetto (4)
tu che sai la pena mia;
che me ne faci un sonetto (5)
e mandilo in Soria (6)
ch'io non posso abentare (7)
la notte né la dia:
in terra d'Oltremare
sta la vita mia.
 
(1) Giunte
(2) Stanno per alzare le vele
(3) Se ne va in oltremare la gente nobile.
(4) Nomignolo giullaresco
(5) Componimento melodico
(6) Siria, meta dei crociati
(7) Aver pace


Pier della Vigna: compose "Epistolae latinae" e un "Ritmo", pure in latino, contro i prelati e gli ordini mendicanti.


Amore, in cui disio ed ho speranza
di voi, bella, m'ha dato guiderdone,
e guardomi (1) infinché venga allegranza
pur (2) aspettando bon tempo e stagione.
Com'om ch'è in mare ed ha spene di gire (3)
e quando vede il tempo, ed ello spanna (4)
e già mai la speranza no lo 'nganna,
così facc'io, madonna, in voi venire (5)

[...]

(1) Resto in attesa
(2) Sempre
(3) Speranza di salpare
(4) Rimette in movimento la nave
(5) Nel venire da voi


Stefano Protonotaro: ci sono rimaste di lui tre canzoni.


[...] Amor sempre mi vede
ed hami 'n suo podire (1)
m'eo non posso vedire
sua propia (2) figura:
ma so' ben di tal fede (3)
poi c'Amor pò ferire,
ch'elli possa guarire
secondo sua natura.


(1) Potere
(2) Fisica
(3) Ciononostante sono convinto


Giacomino Pugliese: ha lasciato 8 componimenti lirici.


La dolce cera piagente (1)
e gli amorosi sembianti
lo cor m'alegra e la mente,
quanto mi pare (2) davanti.
Si volontieri la vio (3)
la boca ch'io basciai;
quella cui io amai
ancor l'aspetto e disio.

L'aulente bocca e le menne (4)
e lo petto le cercai,
fra le mia braza la tenne (5);
basciando mi dimandai (6):
"Messer, se venite a gire (7)
nom facciate adimoranza (8)
ché nonn esti (9) bona usanza
lasciar l'amore e partire"

Allotta ch'eo mi partivi (10):
"Madonna, a Dio v'acomando"
La bella guardò ver mivi (11)
sospirava lagrimando.
Tant'erano li sospire,
c'a pena mi rispondia;
e la dolze donna mia
non mi lassava partire.

Io non fuivi sì lontano,
che lo mio amor v'ubriasse (12),
e non credo che Tristano
Isaotta tanto amasse.
Quando vegio l'avenente,
infra le donne aparire,
lo cor mi trae di martire
e ralegrami la mente


(1) Il dolce viso
(2) Mi appare
(3) La vedo
(4) Il seno
(5) Tenni
(6) Mi chiese
(7) Se dovete andare
(8) Non siate lontano a lungo
(9) Che non è
(10) Allora che io partivo
(11) Verso di me
(12) Obliasse


Mazzeo di Ricco: nacque a Messina nella seconda metà del XIII secolo. Ha lasciato sei canzoni nelle quali è evidente l'influsso trobadorico.


Sei anni ho travagliato (1)
in voi, madonna, amare,
e fede v'ho portato
più assai che divisare (2)
né dire vi poria (3).
Ben ho caro acat[t]ato (4)
la vostra inamorare,
che m'ha così inganato
con suo dolze parlare
ch'i' già no 'l mi credia (5).

[...]

(1) Sofferto
(2) Enunciare
(3) Potrei
(4) Accolto
(5) Non avrei creduto


Percivalle Doria: scrisse in lingua d'oc in onore a Manfredi; probabilmente morì annegato nel fiume Nera nel 1264.


Come lo giorno quand'è dal maitino (1)
claro e sereno - e bell'è da vedere,
per che gli augelli fanno lor latino (2),
cantare fino - e pare dolze (3) audire;
e poi ver' mezzo giorno cangia e muta,
e torna (4) in poggia la dolze veduta
che mostrava;
lo pellegrino ch'a securo (5) andava
per l'alegrezza de lo giorno bello,
diventa fello (6) - pieno di pesanza (7)
così m'ha fatto Amore a sua possanza.

[...]
Per voi, madonna, con tante bellezze,
sanza ferezze (8) lo mio cor sotrasse
e sì m'ha preso e tene l'adornezze,
vostra bellezze - che 'l mio core atrasse.
Perché mi siete fatta (9) sì orgogliosa,
oi gentil donna bene aventurosa?
Se pensate
come s'avene (10) a donna in veritate
mostrare amore e met[t]ere in er[r]ore (11)
suo servidore - e sì fedele amante,
tu doni e tolli come fa lo fante (12)


(1) Mattino
(2) Lingua
(3) Squisito
(4) Finisce
(5) Tranquillo
(6) Triste
(7) Di malumore
(8) Senza violenza
(9) Siete diventata
(10) Si addice
(11) In stato di angoscia
(12) Il bambino


Compagnetto da Prato: non c'è giunta alcuna notizia biografica di Compagnetto. Ci sono pervenuti due canzonette a dialogo.


Per (1) lo marito c'ho rio (2),
l'amore m'è 'ntrato in coraggio (3);
sollazzo e gran bene agg'io,
per lo mal che co llui aggio:
ea per lo suo lacerare (4)
tal pensiero eo no l'avea,
che sono presa d'amare (5)
fin'amante aggio in balia (6),
che 'n gran gioia mi fa stare.

[...]

(1) Perché ho
(2) un cattivo marito
(3) Cuore
(4) Strapazzare
(5) Sono innamorata
(6) Ho in mio potere


Cielo d'Alcamo: non abbiamo notizie sulla sua vita. Nacque alla storia letteraria nel XVI secolo, quando Angelo Colocci gli attribuì il celebre contrasto "Rosa fresca aulentissima". Esso rappresenta una schermaglia fra un uomo (forse un giullare) e una giovane donna, che alla fine cede alle profferte amorose. Il componimento presenta vistose mescolanze fra lingua aulica e dialetto. La sua composizione può essere compresa fra il 1231 e 1250.


Rosa fresca aulentis[s]ima (1), ch'apari inver' la state (2),
le donne ti disiano (3), pulzell' e maritate:
tràgemi d'este focora, se t'este a bolontate (4);
per te non ajo abento (5) notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia.

[...]

(1) Molto odorosa
(2) Verso l'estate
(3) Desiderano
(4) Fuoco, se lo vuoi
(5) Riposo


Guittone d'Arezzo: nacque verso il 1230 e morì a Firenze forse nel 1294.


Omo fallito, plen de van pensieri,
come ti pò lo mal tanto abellire (1)?
Dignitate, ricchezza e pompa cheri (2)?
soperbia e delettanza voi seguire?
No ti rimembra che come coreri (3)
se' in questo mondo pleno di fallire?
morendo veggio (4) par che nascessi ieri:
nulla ne porti e no sai ove gire.
Or donqua che no pensi en te stessi
che badi aver un giorno benenanza
per esser mille (5) tristo e tormentoso?
Come terresti (6) folle che prendessi
aver un punto ben ed allegranza,
per aver planto eterno e doloroso!


(1) Rendere migliori e quindi piacere
(2) Chiedi
(3) Corriere
(4) Vecchio
(5) è sottointeso "giorni"
(6) Riterresti


Bonagiunta Orbicciani: di lui si hanno testimonianze tra il 1242 e 1257. Dante lo giudica severamente, inserendolo tra i golosi nel Purgatorio e facendogli pronunciare l'espressione "dolce stil novo" in risposta alla definizione che lo stesso Dante dà della nuova maniera di poetare.


Tutto lo mondo si mantien (1) per fiore:
se fior non fosse, frutto non seria (2)
[e] per lo fiore si mantene amore,
gioia e allegrezze, ch'è gran signoria.
E de la fior sono fatto servidore
sì di bon core che più non poria (3):
in fiore ho messo tutto 'l meo valore (4),
si fiore mi fallisse (5), ben moria.
Eo son fiorito e vado più fiorendo;
in fiore ho posto tutto il mi' diporto;
per fiore ag[g]io la vita certamente.
Com' più fiorisco, più in fior m'intendo;
se fior mi falla, ben serìa (6) morto,
vostra mercé, madonna, fior aulente (7)


(1) Conserva
(2) Sarebbe: se non ci fossero fiori, non ci sarebbero neppure frutti.
(3) Potrei
(4) Tutte le mie virtù
(5) Venisse meno
(6) Sarei
(7) Odoroso

 

Chiaro Davanzati: nato a Firenze e attivo nella seconda metà del XIII secolo.

Sì come il cervio (1) che torna a morire
là ov'è feruto (2) sì coralemente (3),
e 'l cecero (4) comincia a rispaldire (5),
quando la morte venire si (6) sente:
così facc'io, che ritorno a servire
a voi, madonna, se mi val neiente (7);
e dicovi: "Servendo vo' morire,
pur che mi diate la morte sovente"
E s'io non ll'ho, fo com'omo salvag[g]io,
ca nel cantare tanto si rimbaglia (8)
quand'ha rio tempo, c'atende lo bono;
a voi, mia donna, lo mio core ingag[g]io (9):
che lo tegnate no date travaglia (10),
ché da voi tegno l'altra (11) vita in dono.


(1) Questo sonetto appartiene a un nutrito gruppo di poesie in cui Chiaro Davanzati svolge, sulla linea iniziata dai poeti provenzali temi di bestiario. I bestiari erano opere didattiche medioevali, nelle quali alla descrizione degli animali seguiva un commento moralizzante.
(2) Ferito
(3) Mortalmente
(4) Cigno
(5) Rallegrarsi
(6) A sé
(7) Per niente
(8) Si dà buon tempo
(9) Do in pegno
(10) Non tormentatemi trattenendolo
(11) Tutta


Rustico di Filippo: fiorentino, vissuto fra il 1240/40 e il 1291/1300, ha lasciato una trentina di sonetti di contenuto amoroso.


Da che guerra m'avete incominciata,
paleserò del vostro puttineccio (1),
de la foia, che tanto v'è montata,
che non s'attuteria per pal di leccio (2).

[...]
Ché foste putta (3) il die che voi nasceste:
ed io ne levai saggio (4) ne la stalla,
che'l culo in terra tosto percoteste

e sed io fosse stato una farfalla (5)
maraviglia saria, sì mi scoteste:
voi spingate (6) col cul, quando altri balla (7)


(1) Informerò della vostra maniera puttanesca
(2) Che non si calmerebbe neppure con un bastone di leccio
(3) P*ttana
(4) Ne ebbi una prova
(5) Se pure avessi avuto la leggerezza di una farfalla
(6) Spingete
(7) Fa all'amore come tutti

 

Compiuta Donzella: con questo nome si indica una rimatrice fiorentina del Duecento di cui si è messa in dubbio l'esistenza storica. I sonetti da lei scritti sono tre, conservati nei codici.
Qui trovate maggiori approfondimenti: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/letteratura-medioevale-maschile-e-anche.html

A la stagion che 'l mondo foglia e fiora
acrese (1) gioia a tutti fin'amanti:
vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;

la franca (2) gente tutta s'inamora,
e di servir ciascun tragges'inanti (3);
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n'abondan marrimenti (4) e pianti.

Ca lo mio padre m'ha messa 'n errore (5),
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza (6) segnore,

ed io di ciò non ho disio né voglia,
e 'n gran tormento vivo a tutte l'ore;
però non mi ralegra fior né foglia.


(1) Accresce
(2) La gente di cuor gentile e semplice
(3) E ciascuno si fa avanti, spinto dall'amore
(4) Smarrimenti
(5) In condizione di turbamento
(6) Contro il mio volere


Monte Andrea da Firenze: nacque a Firenze e dimorò a Bologna fra il 1267 e 1274. Altre notizie non si hanno

Sì come i marinar' guida la stella (1)
che per lei ciascun prende suo viag[g]io,
e chi per sua follia (2) si parte d'ella
raddoppia tostamente suo danag[g]io (3):
la mia dritta lumera (4) qual è, quella
che guida in terra me e 'l mi' corag[g]io?
Voi, gentile ed amorosa pulzella,
di cui m'ha mess' Amore in segnorag[g]io (5)
ché troppo è scura la mia via e fella (6)
a gir, se vostra lumera non ag[g]io (7).

La qual fa disparere ogn'altra luce,
ché, laove apar vostro angelico viso,
altro sprendor giamai non vi riluce.
Pulzella, poi (8) m'avete sì conquiso (9)
che sol per voi mia vita si conduce,
merzé, dal vostro amor non sia diviso.


(1) è a Stella Polare, che guida i marinai
(2) Stoltezza
(3) Danno
(4) Luce
(5) Signoria
(6) Non agevole
(7) Se non ho la guida della vostra luce
(8) Poiché
(9) Conquistato

 

Dante da Maiano: mancano notizie certe sulla sua vita. Ci sono rimasti due sonetti in provenzale.

Cera amorosa di nobilitate
voi m'assembrate (1) - de le donne el flore;
spera clarita (2) che 'l mondo 'luminate (3)
quando celate, - turba lo clarore.
Bandera de le donne innamorate,
voi avanzate - sovra ogn'altra, amore;
regina sovra l'altre incoronate,
par non trovate - quanto 'l sol dà albore.
Ond'io lo cor - per voi porto gaudente (4)
quando aggio a mente, - nobile pantera (5)
vostra lumera, - che m'ha sì innalzato,
che son montat - in aria veramente;
e ['n]de la mente - porto luce e spera,
ed ho manera (6) - d'ogne innamorato.


(1) Mi dimostrate di essere
(2) Sfera chiara
(3) Illuminate
(4) Sono lieto
(5) "Si rammenti che col suo fiato, che passava per aulente, questa belva attirava tutte le altre fiere" (G. Contini). Sono frequenti in Dante da Maiano, come in altri poeti, i riferimenti alle belve
(6) Mi comporto


Jacopone da Todi: nato intorno al 1236, Jacopone studiò diritto a Bologna. Come per san Francesco, la sua conversione fu rapida e sconvolgente: durante una festa, in seguito al crollo del pavimento, Jacopone scopre che la moglie, sotto le vesti eleganti, portava il cilicio. Dopo dieci anni di pubblica penitenza, fu ammesso tra i francescani. Fu condannato e scomunicato da Bonifacio VIII. 


O iubelo (1) del core - che fai cantar d'amore!
Quanno iubel se scalda, - sì fa l'omo cantare (2)
e la lengua barbaglia (3) - e non sa che parlare:
dentro non pò celare - tanto è granne el dolzore (4)!

[...]

(1) Giubilo
(2) Quando nel cuore si accende l'ebbrezza mistica, l'uomo canta
(3) Balbetta
(4) La dolcezza


Bonvesin da la Riva: nato presumibilmente a Milano intorno al 1240, e ivi morto fra il 1313 e il 1315; è il più fecondo scrittore settentrionale in volgare.  
"De pirrata" (1)
Nu lezem (2) d'un pirrata, d'un barruer (3) de mare,
lo qual robava (4) le nave e feva omiunca mal (5),
e tuto zo (6) k'el errasse entro peccao mortal,
grand ben voleva a la matre del Rex celestial.

[...]

(1) Pirata: la doppia "r" si spiega con una falsa etimologia da Pirro.
(2) Leggiamo
(3) Bandito
(4) Depredava
(5) E faceva ogni sorta di male
(6) Sebbene


Guido Guinizzelli: si sa poco della sua vita. Nato fra il 1230 e il 1240 a Bologna, fu giudice. Dante lo considera l'iniziatore del "Dolce stil novo" e la canzone "Al cor gentile rempaira sempre amore" viene indicato come il manifesto della scuola.


Al cor gentil rempaira (1) sempre amore,
come l'ausello (2) in selva a la verdura,
né fe' amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch'amor, natura (3):
ch'adesso con' (4) fu 'l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti (5) 'l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propiamente (6)
come calore in clarità di foco.

Foco d'amore in gentil cor s'aprende (7)
come vertute in petra preziosa,
che da la stella valor no i discende
[...]
così lo cor ch'è fatto da natura
asletto (8), pur, gentile
donna a giusa di stella lo 'nnamora. (9)

[...]

(1) Ritorna regolarmente
(2) Uccello
(3) "Si noti la violenta posposizione del soggetto natura, come già, meno forte di amore" (G. Contini)
(4) Appena
(5) Prima
(6) In modo così esatto
(7) S'accende
(8) Eletto
(9) Lo rende innamorato


Vedut'ho la lucente stella diana (1)
ch'apare anzi che 'l giorno (2) rend'albore,
c'ha preso forma di figura umana;
sovr'ogn'altra me par che dea splendore (3):
viso de neve colorato in grana (4),
occhi lucenti, gai e pien' d'amore;
non credo che nel mondo sia cristiana (5)
sì piena di biltate (6) e di valore (7).
Ed io dal suo valor son assalito
con sì fera battaglia di sospiri
ch'avanti a lei de dir non seri' ardito (8).
Così (9) conoscess' ella i miei disiri!
ché, senza dir, de lei seria servito (10)
per la pietà ch'avrebbe de' martiri (11)


(1) Venere, stella del mattino
(2) Prima dell'alba
(3) Più di ogni altra a me pare che dia splendore
(4) Di carminio
(5) Nel senso di "donna"
(6) Bellezza
(7) Virtù, potenza
(8) Che al suo cospetto non ardirei di parlare
(9) Almeno
(10) Ricompensato
(11) Dei miei patimenti


 Guido Cavalcanti: nato da nobile e potente famiglia fiorentina fra il 1255 e 1259, Guido Cavalcanti come "guelfo bianco" prese parte alle appassionate vicende della politica cittadina, alle risse, ai tumulti e agli agguati dei "neri" capitanati da Corso Donati. Di lui ci restano 34 sonetti.


Biltà di donna e di saccente core (1)
e cavalieri armati che sien genti (2);
cantar d'augelli e ragionar d'amore;
adorni legni (3) 'n mar forte correnti (4);
aria serena quand'apar l'albore (5)
e bianca neve scendere senza venti;
rivera (6) l'acqua e prato d'ogni fiore;
oro, argento, azzurro 'n ornamenti (7):
ciò passa la beltate e la valenza
de la mia donna e'l su' gentil coraggio (8),
sì che rasembra vile a chi ciò guarda (9);
e tanto più d'ogn' altr' ha canoscenza,
quanto lo ciel de la terra è maggio (10).
A simil di natura ben non tarda (11)


(1) Mente di savio
(2) Nobili
(3) Navi
(4) Che corrono velocemente sul mare
(5) L'alba
(6) Fiume
(7) Disposti con arte
(8) Cuore
(9) Di poco pregio paiono, paragonate alle altre.
(10) Maggiore della terra
(11) Il bene non può mancar di venire in cosa simile di natura (cioè fondamentalmente buona)


Chi è questa che vèn (1), ch'ogn'om la mira,
che fa tremar di chiaritate l'are (2)
e mena seco Amor, sì che parlare
null'omo pote, ma ciascuna sospira?
O Deo, che sembra quando li occhi gira,
dical (4) Amor, ch'i' nol savria contare (5):
cotanto d'umiltà (6) donna mi pare,
ch'ogn'altra ver' di lei (7) i'la chiam'ira (8).
Non si poria contar la sua piagenza (9),
ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.
Non fu sì alta già la mente nostra
e non si pose 'n noi tanta salute,
che propriamente (10) n'aviàn (11) canoscenza.


(1) è una ripresa del cantico dei cantici: "quae est ista quae progreditur?", chi è questa che avanza?
(2) L'aria
(3) Secondo il Contini, "l'immagine significa che di lei si innamora necessariamente ogni contemplante"
(4) Lo dica
(5) Dire
(6) Si intende "piena di umiltà"
(7) A paragone di lei
(8) Fastidio o anche afflizione.
(9) Il piacere che ella ispira
(10) Pienamente
(11) Abbiamo


Cecco Angiolieri: scarse le informazioni sulla sua vita. Si pensa sia nato a Siena poco dopo il 1260 e morto fra il 1311 e 1313.
Secondo Gianfranco Contini, gli furono comminate varie multe per diserzione, rissa, vagabondaggio notturno. 


S'i' fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei; (1)
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil' en profondo; (2)
s'i' fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti i cristiani imbrigarei; (3)
s'i' fosse 'mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei il capo a tondo. (4)
S'i' fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i' fosse vita, non starei con lui:
similemente faria da mi' madre.
S'i fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei (5) le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.  


(1) Lo sconvolgerei
(2) Lo sprofonderei
(3) Mettere nei guai
(4) In tronco
(5) Sceglierei


Francesco da Barberino: nato nel 1264 a Barberino d'Elsa (Firenze), morì a Firenze, vittima della peste nel 1348.


[...] Se fossi accattatrice (1),
non gir su per le scale
a posta d'altra gente (2)
a fare all'altrui donne la 'mbasciata.
Non vendere lo pan rotto (3).
Se se' d'altrui (4) mandata,
non imboscar (5) li danar che ricevi. [...]


(1) Accattona
(2) Per conto di altri
(3) Sminuzzato
(4) Da altri
(5) Non appropriarti


Dante Alighieri: nacque a Firenze nel maggio del 1265, da nobile famiglia guelfa. Era ancora fanciullo quando gli morì la madre, Bella, e non aveva ancora vent'anni quando perdette il padre. A 9 anni, (e qui inizia il suo racconto allegorico) incontrò una bambina di nome Beatrice, morta poi giovanissima nel 1290: essa fu l'ispiratrice di gran parte della sua poesie.
Fu esiliato nel 1302, a seguito delle contese tra guelfi e ghibellini e poi tra "Bianchi" e "Neri". Gli ultimi anni li trascorse a Ravenna. Si spense il 14 settembre 1321.


Tanto gentile e tanto onesta pare (1)
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscono di guardare.
Ella si va (2), sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta (3),
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi (4) una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:
e par che da la sua labbia (5) si mova
uno spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.


(1) Appare
(2) Continua il suo cammino
(3) Vestita, ammantata
(4) Attraverso gli occhi
(5) Dalle sue labbra


Da "Donna pietosa e di novella etate"

[...] Mentr'io pensava la mia frale (1) vita,
e vedea 'l suo durar com'è leggiero (2),
piansemi Amor nel core, ove dimora;
[...] Poi vidi cose dubitose molte,
nel vano immaginare ov'io entrai;
ed esser mi parea non so in qual loco,
e veder donne andar per via disciolte (3)
qual lagrimando, e qual traendo guai (4),
che di tristizia saettavan foco (5).
[...]


(1) Fragile
(2) Effimero
(3) Scapigliate
(4) Lamenti
(5) Emanavano come fiammelle di fuoco


Deh, Violetta, che in ombra d'Amore (1)

negli occhi miei sì subito apparisti,
aggi pietà del cor che tu feristi,
che spera in te e disiando more.

Tu, Violetta, in forma più che umana,
foco mettesti dentro in la mia mente
col tuo piacer (2) ch'io vidi;
poi con atto di spirito cocente
creasti speme, che in parte mi sana (3)
là dove tu mi ridi (4).

Deh, non guardare perché a lei mi fidi (5),
ma drizza li occhi al gran disio che m'arde,
ché mille donne già per esser tarde (6)
sentiron pena de l'altrui dolore.


(1) Con amorosa sembianza
(2) Con la tua bellezza
(3) Poi, con pietà amorosa facesti nascere in me una speranza, che in parte mi risana la ferita amorosa
(4) Quando tu mi sorridi
(5) Non badare troppo ai motivi per i quali io alla speranza mi sostengo
(6) Per aver corrisposto tardi


Cecco d'Ascoli: è lo pseudonimo del medico, astrologo e poeta Francesco Stabili, nato presso Ascoli intorno al 1269, arso vivo a Firenze, dopo un processo per eresia, nel 1327. Autore di trattati astrologici e astronomici, lo si ricorda oggi, oltre che per la tragica sorte e la fama di mago, per "L'Acerba", poema allegorico in terzine e compendio di filosofia naturale. Avverso a Dante e al suo poema, coglieva spesso occasione di polemizzare sprezzantemente contro la Divina Commedia.

Qui non se canta al modo de le rane,
qui non  se canta al modo del poeta
che finge imaginando cose vane:

ma qui resplende e luce onne natura,
che a chi intende fa la mente leta;
qui non se gira per la selva obscura. 

[...]


Cino da Pistoia: nato a Pistoia nel 1270, è autore di un famoso commento al codice di Giustiniano. Morì nel 1336.


Deh, non mi domandar perché sospiri,
ch'io ho testé una parola (1) udita,
che l'anima nel corpo è tramortita
e svariati (2) tutti miei disiri.
Parmi sentir ch'oma' (3) la morte tiri (4)
a fine, lasso, la mia greve vita:
fuor de la terra la mia donna è gita (5)
ed ha lasciato a me pene e martiri.
Seco ha 'l meo core, e' miei occhi smagati (6)
rimasi son de la lor luce scuri (7),
sì ch'altra donna non posson guardare;
ma credendoli un poco rappagare (8)
veder fo loro spesso li usci e' muri
de la contrata (9) u' (10) sono 'nnamorati.


(1) Una tale parola
(2) Alterati
(3) Ormai
(4) Porti con sé
(5) Andata; secondo il Contini, non si deve intendere che l'amata sia morta.
(6) Avviliti
(7) Privi della loro luce
(8) Tranquillizzare
(9) Quartiere, contrada o strada
(10) Dove


Dante, i' ho preso l'abito di doglia (1)
e 'nnanzi altrui di lagrimar non curo
[...]
Dolente vo, pascendomi di sospiri,
quanto posso 'nforzando (2) 'l mi' lamento
per quella che si duol ne' miei disiri.
E però, se tu sai novo tormento,
mandalo al disioso dei martiri,
ché fie albergato di coral talento (3)


(1) Dolore
(2) Aumentando
(3) Sarà accolto con molta cortesia


Sennuccio del Bene: nato a Firenze qualche anno prima del 1275, fu guelfo bianco e perciò vicino alle idee politiche di Dante. 


Era ne l'ora che la dolce stella (1)
mostra 'l segno del giorno a' viandanti,
quando m'apparve con umil sembianti (2)
in visione una gentil donzella.

Parea dicesse in sua dolce favella:
"Alza la testa a chi ti vien davanti
moss' a pietà de' tuoi pietosi pianti,
piena d'amor e, come vedi, bella,

a rimettermi tutta in la tua mano (3)
Tienmi per donna e lascia la tu' antica (4),
prima che morte t'uccida, lontano" (5)

Io vergognando non so che mi dica:
ma per donzella e per paese strano
non cangio amor, né per mortal fatica.

Ond'ella vergognando (6) volse i passi
e piangendo lasciò gli occhi miei bassi.


(1) Lucifero, stella del mattino
(2) Con umile espressione
(3) Ad abbandonarmi interamente nelle tue mani
(4) In tua signoria, abbandonando quella di un tempo
(5) Va collegato al "lascia" dei versi precedenti
(6) Piena di vergogna


Folgore da San Gimignano: non sappiamo quasi nulla della sua vita. Si presume sia nato verso il 1280 e morto prima del 1332. "Folgore" è un soprannome: si intende fulgore, splendore.
Il poeta figura come cavaliere: ha lasciato due "corone" di sonetti sui mesi e sui giorni della settimana e pochi altri sonetti sparsi, tra cui cinque sulle virtù del cavaliere.


E di dicembre una città in piano: (1)
sale terren' e grandissimi fuochi,
tappeti tesi, tavolieri (2) e giuochi,
tortizzi (3) accesi e star co' dadi in mano;
e l'oste inebriato e catelano (4),
e porci morti e finissimi cuochi;
morselli (5) ciascun bea e manuchi; (6)
le botti sien maggior' che San Galgano (7).
E siate ben vestiti e foderati
di guarnacch' (8) e tabarri e di mantelli
e di cappucci fini e smisurati;
e beffe far de' tristi cattivelli,
de' miseri dolenti e sciagurati
avari: non vogliate usar con elli (9)


(1) In pianura
(2) Tavoli da gioco
(3) Ceri
(4) Un poco ebbro e buongustaio
(5) Bocconi
(6) Mangi
(7) Di quelle della badia di San Galgano (Siena)
(8) Mantelli corti
(9) "Guardatevi dal frequentarli" oppure "dal comportarvi come loro


Antonio Pucci: nato a Firenze intorno al 1310 vi morì nel 1388. 


Deh fammi una canzon, fammi un sonetto -
mi dice alcun c'ha la memoria scema (1)
e parli (2) pur che, datomi la tema (3)
i' ne debba cavare un gran diletto.

Ma e' non sa ben bene il mio difetto
né quanto il mio dormir per lui si scema,
ché prima che le rime del cor prema
do cento e cento volte per lo letto; (4)

poi lo scrivo tre volte alle mie spese (5);
però che prima corregger lo voglio
che 'l mandi fuora tra gente palese (6)

Ma d'una cosa tra l'altre mi doglio:
ch'i' non trovai ancora un sì cortese
che mi dicesse "Te il denai' del foglio" (7).

Alcuna volta soglio
essere a bere un quartuccio (8) menato,
e pare ancora a lor soprappagato (9)


1) Priva di contenuti e perciò insulsa.
2) Gli pare
3) Il tema
4) Mi rivolto a lungo nel mio letto
5) Con mia fatica
6) Prima che sia pubblicato o reso noto
7) Il costo della carta
8) Quartino
9) Pagato più del dovuto


Franco Sacchetti: nato nel 1330. A Firenze, nella seconda metà del Trecento lo troviamo impegnato nella vita politica cittadina e nella mercatura. Il primo fra gli scritti del Sacchetti è "Battaglia delle belle donne" o "Battaglia di vecchie e di giovani", poemetto in ottave in chiave boccacciana, in cui si narra la vittoria delle belle donne fiorentine sulle donne vecchie e brutte. La sua opera maggiore è il "Trecentonovelle", anche se le novelle ci sono giunte in numero parziale.

Passando con pensier (1) per un boschetto,
donne per quello vigan (2), fior cogliendo,
To' (3) quel, to' quel, dicendo.
Eccolo, eccolo!
Che è, che è?
E fior alliso (4)
Va' là per le viole.
Omè, che 'l prun mi punge!
Quell'altra me' v'agiunge (5).
Uh, uh! o che è quel che salta?
è un grillo.
Venite qua, correte:
raperonzoli cogliete.
E' non son essi.
Sì, sono.
Colei,
o colei,
vie' qua,
vie' qua,
pe' funghi.
Costà,
costà,
pel sermolino (6)
No' staren troppo,
che 'l tempo si turba! (7)
E' balena!
E' truona!
E vespero già suona.
Non è egli ancor nona! (8)
Odi, odi,
è l'usignol che canta:
più bel v'è,
più bel v'è (9)
I' sento... e non so che.
Ove?
Dove?
In quel cespuglio.
Tocca, picchia, ritocca,
mentre che 'l busso (10) cresce,
ed una serpe n'esce.
Omè trista! Omè lassa!
Omè!
Fugendo tutte di paura piena,
una gran piova viene,
Qual sdrucciola,
qual cade,
qual si punge lo pede.
A terra van ghirlande;
tal ciò ch'ha colto lascia, e tal percuote (11):
tiensi beata chi più correr puote.
Sì fiso (12) stetti il dì che lor mirai,
ch'io non m'avidi e tutto mi bagnai.


(1) Mentre passavo pensieroso
(2) Andavano
(3) Prendi
(4) Fiordaliso
(5) Vi giunge meglio, a cogliere certi fiori cui è difficile arrivare.
(6) Semolino: si tratta di un'erba odorosa
(7) Mi guasta
(8) Corrisponde alle 3 del pomeriggio
(9) La donna rifà il verso dell'usignolo
(10) Il frastuono
(11) Inciampa in ciò che ha lasciato cadere
(12) Intento


Francesco Petrarca:  nato ad Arezzo nel 1304, seguì la famiglia ad Avignone. Frequentò la facoltà giuridica, ma abbandonò presto gli studi per dedicarsi interamente alla letteratura. Una data importante è l'incontro con una donna, che è stata identificata in Laura de Noves,

nella chiesa di Santa Chiara in Avignone: essa fu cantata e trasfigurata dal poeta nel suo capolavoro, il Canzoniere.
Il Petrarca compì molti viaggi: Lombez, in Francia, in Fiandra, in Germania, alla ricerca di manoscritti dei classici latini. Nel 1341 fu incoronato poeta in Campidoglio a Roma. Ad Arquà, presso Padova, si spense nel 1374.
  
Nota di Lunaria: qui riporto una selezione dei suoi versi più belli, scelti tra quelli riportati sull'antologia.

Dal Canzoniere 

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in su 'l mio primo giovenile errore. (1)
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i sono,
del vario stile, in ch'io (2) piango e ragiono
fra le vane speranze e'l van dolore,
ove sia chi per prova (3) intenda amore,
spero trovar pietà non che perdono (4).
Ma ben veggio or sì come al popol tutto (5)
favola fui (6) gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e de mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.


(1) Sviamento
(2) Secondo cui io
(3) Nel caso vi sia chi avendone avuto esperienza
(4) Non solo perdono
(5) A tutti i mortali
(6) Fui materia di discorsi e di riso


Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire (1), et dagli affanni,
ch'i veggia per vertù degli ultimi anni, (2)
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento (3),
e i cape' d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a 'llamentar mi fa pauroso et lento (4);
pur (5) mi darà tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovrirò (6) de' miei martiri
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;
et se 'l tempo (7) è contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga (8) al mio dolore
alcun soccorso d tardi sospiri.


(1) Difendere
(2) Per gli effetti della vecchiaia
(3) Offuscato lo splendore
(4) Timoroso ed incerto
(5) Allora, infine
(6) Rivelerò
(7) Allude al tempo e alla vecchiaia
(8) Almeno non giungerà


Solo e pensoso i più deserti (1) campi
vo mesurando (2) a passi tardi e lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti (3)
ove vestigio human l'arena stampi (4).
Altro schermo (5) non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti (6);
perché ne gli atti d'alegrezza spenti (7)
di fuor si legge com'io dentro avampi (8):
sì ch'io mi credo omai che monti e piagge (9)
e fiumi e selve sappian di che tempre (10)
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur (11) sì apre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io con lui.


(1) Evitati da tutti
(2) Misurando
(3) Attenti ad evitare
(4) Dove si mostri traccia di piede umano
(5) Riparo
(6) All'attenzione della gente
(7) Privi di ogni gioia
(8) Di amore
(9) Colline e spiagge
(10) Qualità
(11) Eppure


Nota di Lunaria: Vittorio Alfieri nel 1786 scriverà un componimento che a me sembra riecheggiare l'espressività del Petrarca di "Solo e pensoso i più deserti campi":


Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al pari di me non si ricrea
tra' figli suoi nessuna orrida belva.
E quanto addentro più il mio piè s'inselva,
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando com'io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva.
Non ch'io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
né ch'io mi creda al buon sentiero più appresso:
ma, non mi piacque il vil secolo mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
solo nei deserti tacciono i miei guai.


Erano i capei d'oro a l'aura (1) sparsi,
che (2) 'n mille dolci nodi gli avolgea;
e 'l vago lume oltre misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi (3);
e 'l viso di pietosi color farsi (4),
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi? (5)
Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma (6); et le parole
sonavan altro che pur (7) voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel che'i' vidi; e se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco non sana. (8)


(1) All'aria, alludendo a nome Laura
(2) La quale aura
(3) Che ora sono così scarsi di quell'antico splendore
(4) Colorarsi di pietà
(5) è sottointeso l'amore
(6) Il suo incedere non era di persona ma di angelo
(7) Semplicemente
(8) La ferita prodotta dall'arco non si rimargina per quanto la sua corda sia allentata


Chiare, fresche et dolci acque (1),
ove le belle membra
pose (2) colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque
(con sospir mi rimembra) (3)
a lei di fare al bel fiancho colonna (4);
herba et fior che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno (5),
aere sacro sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse (6);
date udienza (7) insieme
a le dolenti mie parole extreme.

[...]

(1) Del fiume Sorga
(2) Immerse
(3) Mi ricordo sospirando
(4) Appoggiare il bel fianco
(5) Che la donna, con l'angelico seno, ricoperse
(6) Dove Amore con la vista degli occhi di lei mi aprì il cuore
(7) Porgete ascolto


Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo. (8)
Qual fior cadea su'l lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito et perle
erano quel dì a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l'onde,
qual con un vago errore (9)
girando parea dir: qui regna Amore.


(8) Dalla nuvola dei fiori
(9) Errando per l'aria leggiadramente


Pace non trovo, et non ò da far guerra; (10)
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
[...]
Pascomi (11) di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.


(10) Non ho la possibilità di combattere
(11) Mi nutro


La vita fugge, e non s'arresta un'ora,
e la morte vien dentro a gran giornate (12)
e le cose presenti e le passate
mi danno guerra (13), e le future anchora

[...]

(12) A tappe veloci
(13) Mi tormentano


"Morte di Laura"


[...] Or qual fusse 'l dolor qui non si stima (1)
ch'a pena oso pernsarne, non ch'io sia (2)
ardito di parlarne in versi o 'n rima.
[...] Lo spirto, per partir di quel bel seno
con tutte sue virtuti in sé romito (3)
fatto avea in quella parte il ciel sereno.
[...] Pallida no mai più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi,
sendo (4) lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
morte bella parea nel suo bel viso.


(1) Non si può misurare
(2) E tanto meno sono
(3) Raccolto in sé con ogni sua vitù
(4) Essendo


Giovanni Boccaccio


Secondo alcuni, il Boccaccio nacque ne 1313 a Parigi, dove il padre Boccaccio de Chelino, mercante di origine certaldese avrebbe avuto una relazione con una "iuvencula parisina"; questa fonte non esclude la possibilità che Giovanni sia nato a Certaldo o a Firenze, sempre da una relazione illegittima.
Lo troviamo molto giovane a Napoli, a far pratica mercantile. Questo periodo napoletano, in cui amò Fiammetta, incise a fondo sulla sua formazione culturale. Intorno al 1340 tornò a Firenze. Nel 1350 incontra il Petrarca. Nel 1362 subì una crisi religiosa. Nel 1373 ricevette dalla Signoria di Firenze l'incarico di spiegare la Divina Commedia; ma dopo aver commentato 17 canti del poema dovette interrompersi per un malanno. La morte lo colse nel 1375.


Intorn' ad una fonte, in un pratello (1)
di verdi erbette pieno e di bei fiori
sedean tra angiolette (2), i loro amori
forse narrando, ed a ciascuna 'l bello

viso adombrava (3) un verde ramicello
ch'i capei d'or cingea, al qual di fuori
e dentro insieme i dua (4) vaghi colori
avvolgeva un suave venticello.

E dopo alquanto l'una alle due disse
(com'io udi'): - Deh, se per avventura
di ciascuna l'amante or qui venisse,

fuggiremo noi quinci (5) per paura? -
A cui le due risposer: - Chi fuggisse,
poco savia saria, con tal ventura! (6)


(1) In un piccolo prato
(2) Tre fanciulle, qui angelicate
(3) Ricopriva con la sua ombra
(4) Due
(5) Di qui
(6) Fortuna


Vetro (1) sono fatti i fiumi, e i ruscelli
gli serra (2) di fuor ora la freddura;
vestiti sono i monti e la pianura
di bianca neve e nudi gli arbuscelli,

l'erbette morte, e non cantan gli uccelli
per la stagion contraria a lor natura (3);
borea soffia, ed ogni creatura (4)
sta chiusa per lo freddo ne' sua ostelli. (5)

Ed io, dolente, solo ardo ed incendo
in tanto foco, che quel di Vulcano (6)
a rispetto (7) non è una favilla;

e giorno e notte chiero (8), a giunta mano,
alquanto d'acqua al mio signor (9), piangendo,
né ne posso impetrar (10) sol una stilla.


(1) Sta al posto di gelo, ghiaccio
(2) Li chiude
(3) La natura li porterebbe a non fermarsi, ma a proseguire il proprio corso
(4) Tanto uomini che animali
(5) Case
(6) Il dio del fuoco che veniva alimentato a Mongibello
(7) In confronto (sott.: "a questo che ho io")
(8) Chiedo
(9) Amore, a cui richiede una stilla d'acqua
(10) Ricevere


Dante, se tu nell'amorosa spera (1),
com'io credo, dimori riguardando
la bella Bice (2), la qual già cantando
altra volta ti trasse là dov'era (3)

se per cambiar fallace vita a vera
amor non se n'oblia (4), io ti domando
per lei, di grazia, ciò che, contemplando,
a far ti fia assai cosa leggiera. (5)

Io so che, infra l'altre anime liete
del terzo ciel, la mia Fiammetta vede
l'affanno mio dopo la sua partita. (6)

pregala, se 'l gustar dolce di Lete (7)
non la m'ha tolta (8) in luogo di merzede (9),
a sé m'impetri tosto la salita.


(1) Sfera del Paradiso (il cielo di Venere)
(2) Beatrice
(3) Allude alla guida in Paradiso
(4) Non si dimentica
(5) Ti sarà di minimo sforzo il compierla
(6) Cioè dopo la sua morte
(7) Il fiume dell'oblio che toglieva la memoria delle cose terrene e perciò anche dell'amore
(8) Sottratta
(9) Come ricompensa


Da "Ella lo vide"


Ella lo vide prima ch'egli lei,
per ch'a fuggir del campo ella prendea (1)

[...]
Dunque, perché vuo' tu, o dispietata,
esser della mia morte la cagione?
Perch'esser vuoi di tanto amor ingrata
verso di me, senz'averne ragione?
Vuo' tu ch'i' mora per averti amata,
e ch'io n'abbia di ciò tal guidardone (2)?
S'i' non t'amassi, dunque, che faresti?
So ben che peggio far non mi potresti.

[...]
E priego voi, iddii, che dimorate
per questi boschi e nelle valli ombrose,
che, se cortesi foste mai, or siate
verso le gambe candide e vezzose
di quella ninfa, e che voi convertiate
alberi e pruni e pietre ed altre cose,
che noia fanno a' piè morbidi e belli,
in erba minutella e'n praticelli.


(1) Vantaggio
(2) Ricompensa


APPROFONDIMENTO: LA LETTERATURA FRANCESE DEL DUECENTO E IL FEUDALESIMO

Dal latino, che veniva parlato per tutta l'estensione dell'impero romano, derivarono i linguaggi "rustici" o "volgari", parlati dal popolo, dialetti che spesso divennero gli unici idiomi che erano compresi al di fuori delle città. Fu solo verso il Duecento che questi idiomi vennero usati a fini letterari.
Nella Gallia meridionale (la Provenza) si era cominciato a parlare la lingua d'oc e la lingua d'oil (l'antenato del francese).
Questo tipo di letteratura lirica fu di argomento amoroso e diede avvio alla poesia trovadorica, da un termine provenzale che indicava l'improvvisazione e il ritmo musicale per la recitazione di canzoni, tenzoni, albe e altri componimenti che si diffusero presto nell'Europa occidentale. In Italia questa diffusione avviene in ritardo perché il latino predominava.
In Francia sono celebri i cicli di canzoni come le "Geste de Charle Magne" e la "Chanson de Roland", che esaltano le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini.
I poeti (e poetesse) restarono per lo più anonimi, e i temi trattati andavano dalle imprese di Carlo Magno ai suoi nobili cavalieri in missione in Spagna, Sassonia, Bretagna, Palestina, in difesa del cristianesimo, per combattere gli infedeli.
Roland, italianizzato in Orlando, venne celebrato anche da poeti epici italini: Boiardo e Ariosto.
Anche in Italia vennero usate le lingue provenzale e francese (d'oc e d'oil) per poesie d'amore, da autori come Sordello da Goito (menzionato da Dante).
Il francese viene usato per testi in prosa, come "Il Milione" di Marco Polo o il "Tesoretto" di Brunetto Latini.
Nel XIII, autori toscani e siciliani alla corte di Federico II di Sicilia e di Manfredi usano "linguaggi popolari, volgari" come il dialetto umbro (san Francesco d'Assisi) o siculo con costrutti latineggianti.
Altri nomi celebri: Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini, Percivalle Doria, Cielo d'Alcamo. 





IL FEUDALESIMO

Il feudalesimo si affermò in Europa nel VII secolo e servì a stabilizzare un periodo di disordini sociali, causati dalla caduta dell'impero romano. Per assicurare l'ordine i re iniziarono a dare in affitto una parte delle loro terre (feudi) a nobili (vassalli), che, in cambio, offrivano rispetto, ubbidienza e tributi, oltre ad offrirsi come guerrieri. I vassalli a loro volta suddividevano il feudo in altre parti che affidavano ai loro subordinati (valvassori).

Il re rimaneva sempre il sovrano assoluto delle terre e di tutti gli abitanti e i valvassori giuravano obbedienza sia ai vassalli sia al re. Al gradino più basso della scala sociale stavano i "servi della gleba", che lavoravano nei campi.




ALTRO APPROFONDIMENTO: L'AMORE ROMANTICO NEL MEDIOEVO


Non sarebbe esatto dire che, prima del Medioevo, l'amore romantico era sconosciuto; ma soltanto nel Medioevo divenne una forma di passione generalmente accettata. L'amore romantico, nella sua essenza, considera molto difficile la conquista dell'oggetto amato, a cui attribuisce un immenso valore. Fa tuttavia sforzi grandissimi, di vario genere, per vincere il cuore dell'amata, con la poesia, il canto, i tornei o qualunque altro mezzo possa essere gradito alla donna.
La fede nell'immenso valore della donna è un effetto psicologico prodotto dalla difficoltà nel conquistarla: e credo possa ritenersi senz'altro che quando un uomo non trova difficoltà nella conquista di una donna, i suoi sentimenti verso di lei non prendono la forma dell'amore romantico.
L'amore romantico, come appare nel Medioevo, dapprima non fu rivolto verso le donne con le quali l'innamorato avrebbe potuto avere rapporti sessuali, legittimi o no: era rivolto a donne della più alta rispettabilità, separate dai loro romantici amanti dalle insuperabili barriere della moralità e della convenzione. Così la chiesa aveva assolto in pieno il suo compito di portare gli uomini a considerare il sesso essenzialmente impuro, tanto da rendere plausibili sentimenti poetici soltanto verso donne irraggiungibili. Quindi l'amore, per essere nobile, doveva essere platonico.
Per noi moderni è assai difficile comprendere la psicologia dei poeti-amanti del Medioevo. Essi professavano un'ardente devozione priva di desiderio, e ciò sembra a noi moderni così strano da farci considerare quell'amore non più di una pura convenzione letteraria. Senza dubbio qualche volta era così, e certamente la sua espressione letteraria era dominata da alcune convenzioni. Ma l'amore di Dante per Beatrice, così come è cantato nella "Vita Nova", non è soltanto convenzionale;
al contrario, lo direi pervaso da una commozione più appassionata di quella espressa in molta poesia moderna. I più nobili spiriti del Medioevo ritenevano la loro vita terrena un male: gli istinti umani erano per essi il risultato della corruzione e del peccato originale; odiavano il corpo e i sensi; unica gioia pura era per loro l'estatica contemplazione di un qualche cosa che sembrava libero da ogni impurità sessuale. Nella sfera amorosa, tale modo di pensare doveva produrre per forza l'atteggiamento mentale che troviamo in Dante.
Per un uomo che amava e rispettava profondamente una donna, sarebbe stato impossibile associarla a qualsiasi idea di rapporto sessuale, più o meno impuro nella sua essenza: il suo amore doveva prendere naturalmente forme poetiche e fantastiche ed essere pieno di simboli. L'effetto letterario di tutto questo insieme fu ammirevole, come appare chiaro nello sviluppo graduale della poesia amorosa, da quando nacque cioè alla corte dell'imperatore Federico II, sino alla fioritura in pieno Rinascimento. Una delle migliori descrizioni dell'amore del tardo Medioevo possiamo trovarla nel volume di Huizinga "Tramonto del Medioevo" (1924):
"Quando nel XII secolo il desiderio insoddisfatto fu posto dai troubadours provenzali al centro della concezione poetica dell'amore, si effettuò una importante svolta nella storia della civiltà. Anche il mondo antico aveva cantato le sofferenze amorose, ma le aveva sempre concepite come attesa di felicità o disperato disinganno. Il momento sentimentale più saliente di Piramo e Tisbe, o di Cefalo e Procride, è nella loro tragica fine; nella perdita straziante di una felicità già goduta. La poesia aulica, d'altra parte, fa del desiderio il motivo essenziale, e crea così un concetto seminegativo dell'amore. Senza rinunciare del tutto all'amore sensuale, il nuovo ideale poetico era tale da abbracciare ogni tipo di aspirazione morale.

L'amore divenne il campo dove fiorirono tutte le perfezioni morali e intellettuali. A causa del suo amore, l'amante aulico è puro e virtuoso. L'elemento spirituale si accentua sempre più, sino verso la fine del XII secolo; il dolce stil novo di Dante e dei suoi amici finisce con l'attribuire all'amore il dono di condurre gli umani a uno stato di santità e di quasi miracolosa intuizione. Qui una vetta era stata raggiunta. La poesia italiana tornò a poco a poco indietro, a un'espressione meno esaltata del sentimento erotico. Petrarca è combattuto tra un ideale di amore spirituale e il fascino più naturale esercitato su di lui dai modelli antichi. Presto l'artificioso sistema dell'amore aulico fu abbandonato, e le sue sottili distinzioni caddero in disuso, quando il napoletanismo del Rinascimento, già latente nella concezione aulica, diede impulso a nuove forme di poesia erotica a sfondo spirituale."

In Francia e in Borgogna lo svolgersi di tali idee fu diverso che non in Italia, giacché le idee aristocratiche francesi sull'amore erano dominate dal "Roman de la Rose" il quale somigliava molto all'amore cavalleresco, ma non insisteva troppo sulla necessità di lasciarlo insoddisfatto. In realtà, era una vera e propria ribellione contro gli insegnamenti della chiesa e una virtuale asserzione pagana del giusto posto a cui l'amore ha diritto nella vita.
"L'esistenza di una classe superiore le cui nozioni intellettuali e morali erano preziosamente conservate in una ars amandi, rimane un fatto quasi unico nella storia.  In nessun'altra epoca l'ideale della civiltà si amalgamò sino a questo punto con quello dell'amore. Proprio come la Scolastica rappresenta il grande sforzo dello spirito medioevale per riportare tutte le idee filosofiche a un unico centro, così la teoria dell'amore aulico, in una sfera meno elevata, tende ad abbracciare tutto ciò che di nobile vi è nella vita. Il "Roman de la Rose" non distrugge il sistema; soltanto ne modifica in parte le tendenze e ne arricchisce il contenuto." (Huizinga)
L'epoca era di una rudezza straordinaria, ma il tipo di amore sostenuto nel "Roman de la Rose", sebbene non virtuoso in senso clericale, è raffinato, galante e nobile.
 
Naturalmente tali idee erano buone soltanto per l'aristocrazia; esse presupponevano non soltanto tempo da perdere, ma anche una certa emancipazione dalla tirannia ecclesiastica. I tornei, nei quali l'amore aveva una parte principale, erano aborriti dalla Chiesa che non poteva però sopprimere il sistema dell'amore cavalleresco.
Nella nostra epoca democratica siamo pronti a dimenticare ciò che in epoche diverse il mondo dové all'aristocrazia. In questa faccenda del rinnovamento del modo d'intendere l'amore, il Rinascimento non avrebbe forse avuto un così completo successo se la via non fosse stata preparata dai romanzi cavallereschi.


Galleria di immagini:

























E visto le tante ore passate a trascrivere tutti questi autori medioevali, adesso MI autocelebro un po', riprendendo il celebre componimento di Petrarca, dedicato a quella 
Laura-bionda e riscrivendolo dedicandolo alla Lunaria corvina



Erano i capei corvini a l'aura, di Lunaria sparsi,
che 'n mille dolci nodi gli avolgea;
e 'l vago lume oltre misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;
e 'l viso di pietosi color farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel che'i' vidi; e se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco non sana.

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno,
corvini capelli,
aere sacro sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse;
date udienza insieme
a le dolenti mie parole extreme.
Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea su'l lembo,
qual su le treccie negre,
ch'oro forbito et perle
erano quel dì a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l'onde,
qual con un vago errore
girando parea dir: qui regna Amore.


Ps. Qui trovate la poesia del Rinascimento:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/gli-uomini-del-rinascimento.html
bellissime incisioni d'epoca: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/dipinti-e-incisioni-depoca-dedicate-ai.html
e qui la magia rinascimentale: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/07/alchimia-magia-e-astrologia-nel.html