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"Questa torre è una fortezza per difendere e mantenere l'ordine nella città; un posto reale per assemblee e trattati. Una prigione di stato per i prigionieri più pericolosi; l'unico posto in quest'epoca dove si possa battere moneta; è l'armeria per ogni tipo di esercito; il Tesoro delle ricchezze e degli ornamenti della Corona; il luogo di conservazione di quanto registato dall'alta corte di giustizia di Westminster"
Così recita una descrizione, di epoca elisabettiana, della Torre di Londra, chiamata dagli Inglesi semplicemente "The Tower".
Guglielmo il Conquistatore, tra il 1078 e 1097 fece erigere il maschio centrale che in un primo tempo fu chiamato "La Tour Blanche" (i re Normanni prediligevano il francese), poi The White Tower.
La residenza reale fu costruita poco dopo, fra la Torre e il Tamigi.
Nel XIII secolo, con Enrico III, venne costruito il muro interno con tredici torri; Edoardo I eresse il muro esterno, Enrico VIII aggiunse i bastioni circolari a settentrione.
Molti delitti avvennero proprio tra queste mura, durante il Quattrocento e Cinquecento.
Ricordiamo la Guerra delle Due Rose (una diatriba fra due rami della famiglia reale, Lancaster e York).
Enrico VI fu ucciso nel 1471, proprio nella Torre; il duca di Clarence (fratello di Edoardo IV), i figli del conte (Edoardo e Riccardo, ancora bambini) vennero uccisi per ordine di Riccardo III, lo zio dei "piccoli principi della Torre".
Riccardo III passò alla storia perché dichiarò che avrebbe preferito dare il suo regno per un cavallo.
Anche Anna Bolena morì, decapitata, nella Torre, nel 1536; era la seconda moglie di Enrico VIII, che sei anni più tardi fece uccidere anche Caterina Howard, la sua quinta moglie.
I cattolici Fisher (vescovo) e Thomas More vennero martirizzati; Elisabetta I (che pure era stata imprigionata) vi fece uccidere il duca di Norfolk nel 1572 e il conte di Essex nel 1601. Il famoso navigatore sir Walter Raleigh venne giustiziato nel 1618.
Un'altra vittima decapitata fu Thomas IV di Norfolk, processato e condannato per la cospirazione contro la regina.
Anche il favorito di Elisabetta, Robert Devereux venne decapitato quando il suo comportamento frivolo e vanesio (oltre che essersi sposato di nascosto!) gli inimicarono la regina.
Walter Raleigh (che chiamò "Virginia" la nuova terra americana da lui esplorata, in onore della Regina Vergine) venne decapitato da Giacomo I Stuart, nel 1618, a seguito del fallimento della spedizione alla Guiana.
Nota di Lunaria: mi è capitato di leggere anche qualche romanzo rosa ambientato durante la Guerra delle Due Rose, come questo
Riporto qui la mia recensione.
Trama: Inghilterra 1471. La notizia che l'esercito dei Lancaster è stato sconfitto nella battaglia di Tewkesbury e che molti nobili fedeli alla Rosa Rossa sono caduti nelle mani dei nemici sconvolge la vita di Rosamund. Suo padre, Lord Kinnersley, combatte al fianco dei sostenitori di Enrico VI e Margherità d'Angiò, e Arthur, il fratellino di 12 anni, è fuggito di casa per andare a cercarlo. Decisa a rintracciarlo prima che si cacci nei guai, Rosamund lo insegue ma, mentre si è fermata a soccorrere un moribondo, viene catturata, con l'accusa di essere una saccheggiatrice di cadaveri, da un gruppo di soldati agli ordini di Simon Cauldwell, un affascinante cavaliere che fin dal primo istante suscita in lei il desiderio di abbandonarsi alla passione. Ma quell'uomo è pur sempre un nemico…
Commento critico di Lunaria: Joanna Makepeace, studiosa di storia e letteratura inglese, ha al suo attivo oltre cinquanta romanzi, quasi tutti storici. Ed effettivamente questo "La rosa del cavaliere", introdotto da una sublime copertina di sfolgorante bellezza,
è principalmente un romanzo storico ricostruito con grande abilità: dai particolari degli abiti alle usanze sociale del tempo, tutto è stato descritto con precisione certosina. Non manca, certamente, l'intrigo amoroso (oltre alle schermaglie politiche per la lotta al trono, che hanno portato alla guerra, e i complotti all'interno della stessa famiglia dei Kinnersley) ma risulta appena appena accennato e quasi sommerso dalle vicende storiche che si susseguono pagina dopo pagina. Per cui se siete alla ricerca di roventi pagine d'amore e eros resterete deluse e annoiate: nel romanzo l'Autrice introduce brevemente (e con poche parole) l'attrazione tra Rosamund e Simon, vissuta quasi pudicamente (forse anche per il contesto cristiano dell'epoca?) e soprattutto, diluita qui e lì, senza continuità: ci tocca aspettare per 100 e spesso più pagine, per assistere a Simon che baci Rosamund e siamo praticamente alla breve descrizione di fugaci e casti baci sulla guancia, mentre il rapporto carnale si consuma, celermente, solo verso il finale, ovviamente dopo il matrimonio. Viene dato soprattutto spazio e risalto alle diatribe della Casa di York, all'andamento del castello, alle usanze del tempo (a cominciare dal linguaggio e dai banchetti o dai rapporti tra castellana e servitù) ma molto poco spazio all'eros vero e proprio, tanto che il romanzo, seppur fitto di descrizioni particolareggiate degli stati d'animo dei personaggi, risulta molto freddo sotto l'aspetto dell'amore carnale e quasi da educanda. Assente, incredibilmente, qualsiasi accenno alla caccia alle streghe e alla misoginia religiosa, che nella realtà storica vera e propria, sconvolgeva proprio quegli anni storici.
In conclusione, "La rosa del cavaliere" è un bel romanzo storico, che descrive minuziosamente come doveva essere la realtà di quegli anni, almeno nella vita nobiliare; ma se cercate un romanzo d'amore con scene erotiche bollenti, resterete deluse, perché l'Autrice predilige la narrazione da romanzo storico, e non tanto quella da romanzo rosa.
Gli stralci più belli:
"Per il momento nessuno cercava di catturarla. Con un altro singulto strozzato, Rosamund si rese conto che non poteva aiutare Tom. Magari il vecchio servitore era già morto. Doveva scappare. Inutile cercare rifugio nella locanda. Quegli ubriaconi dovevano aver già usato violenza a tutte le fanciulle presenti e forse avevano anche ferito o ucciso il proprietario per rubargli la birra. Rosamund strappò un lembo dell'orlo della gonna per essere più libera nei movimenti e si allontanò. Nella siepe di biancospino che fiancheggiava il sentiero si apriva un piccolo varco attraverso il quale passò, incurante di scorticarsi il viso e le mani fra i rovi (...) Con gli occhi accecati da lacrime di disperazione e di stanchezza, Rosamund avanzava a fatica sul terreno accidentato del pascolo, sperando di andare nella direzione giusta (...) Non sapeva che ore fossero, ma il sole si stava abbassando sull'orizzonte e presto avrebbe dovuto affidarsi solo al chiarore delle stelle per andare avanti."
"Rosamund aveva sempre pensato che se un uomo che non fosse suo marito avesse cercato di avvicinarsi a lei in quel modo, si sarebbe difesa fino alla morte o allo svenimento, invece trovò meravigliosa quella travolgente eccitazione e un gran calore le pervase il corpo, anche in parti che la facevano arrossire al solo pensarci"
"Rosamund annuì e abbozzò un sorriso, serrando le labbra quando lo vide uscire dalla locanda. Nelle ultime ore si era abituata a contare su quell'uomo, ad affidarsi alla sua forza e alla sua autorevolezza. Si sentiva confusa. All'inizio aveva paura di lui, ma adesso gli era grata per la considerazione che le aveva dimostrato. Dopotutto per il bel cavaliere era una sconosciuta, una persona di scarsa importanza. Però non doveva dimenticarsi che Sir Simon era un nemico di suo padre e che non doveva fidarsi completamente di lui, si ammonì prontamente."
"Come aveva confidato a Martha, la vicinanza di quell'uomo la turbava e la reazione che aveva avuto quando lui l'aveva stretta tra le braccia la spaventava ancora (...) Aveva paura di lui... o di se stessa?"
"Come faceva sempre quando era confusa o turbata, Rosamund andò a rifugiarsi nel giardino di sua madre, dove si sentiva vicina alla meravigliosa donna che aveva amato con tutto il cuore e della quale sentiva ancora la mancanza. Si sedette sulla panca e appoggiò il mento sulle mani, fissando i cespugli di rose al di là del prato. Fra poco sarebbero stati in fiore. Il profumo delle erbe aromatiche impregnava già l'aria. Chissà se lei e Arthur sarebbero stati ancora lì per la raccolta e l'essicazione delle erbe?"
"Sir Simon le prese le mani fra le sue. "L'ultima cosa che avrei voluto fare era causarvi sofferenza", le disse fissandola con gli incredibili occhi azzurri. Rosamund rimase paralizzata come un coniglietto spaurito. Eppure non aveva paura di lui. Quando Simon l'attirò contro di sé, le prese il mento fra due dita e si chinò a baciarla, non si ritrasse, ma assaporò con gioia la dolcezza di quel contatto, rispondendo al bacio dapprima timidamente, poi con maggior abbandono."
"Com'era bella!, pensò lui. Avvolta nella veste da camera di broccato verde chiaro e argento, con la massa di capelli castani che le scendevano fino alla vita in morbide onde e i luminosi occhi dorati colmi di tristezza, Rosamund era una visione da fiaba. Simon sarebbe voluto andare vicino per prenderla fra le braccia e baciarla così da farle dimenticare ansia e preoccupazione. Avrebbe voluto stringerla forte contro di sé per farle dimenticare tutto, per farle sentire solo la forza delle sue braccia e il calore delle sue labbra sulla bocca."
"Ros, dimmi che non sposerai quell'uomo", insistette Arthur. Il suo viso dai lineamenti infantili era diventato una maschera di sofferenza.
"In questo momento non saprei come evitare questo destino, Arthur", rispose Rosamund debolmente. Era come inebetita, svuotata di ogni capacità di provare emozioni: si muoveva, respirava e parlava senza provare niente."
"Se Simon l'amava davvero sarebbe venuto. Ma... l'amava davvero? Adesso che aveva deciso di non sposarlo, perché Simon avrebbe dovuto rischiare la propria vita per venire a salvarla? Rosamund ardeva dal desiderio di rivederlo, anche se fosse stato per l'ultima volta. Il ricordo dei pochi momenti di passione che avevano condiviso le procurò un lungo fremito in tutto il corpo. La sensazione che aveva provato quando lui l'aveva stretta contro il suo corpo forte e muscoloso, il calore del suo respiro contro la guancia, il suono autoritario eppure tenero della sua voce le fecero accellerare i battiti del cuore."
APPROFONDIMENTO: VITTORIO ALFIERI
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Nell'agosto del 1778, il poeta, su invito e su "soddisfazione dell'amata" Luisa Stolberg, contessa d'Albany, ideò la "Maria Stuarda", la cui stesura è dell'anno seguente e la versificazione definitiva del 1780. Il nodo centrale è l'uccisione di Arrigo Stuart, conte di Darnley, secondo marito di Maria. La regina scozzese, ispirata dal confidente e futuro terzo marito Giacomo Hepburn conte di Bothwell (Botuello), è trascinata all'assassinio più per debolezza e inettitudine che per deliberato volere. Anche in questa tragedia l'Alfieri trasfigura a suo piacimento i personaggi tradendo non poco la realtà; soprattutto nel disegnare la figura della Stuarda, vittima, secondo il poeta, dei consiglieri che la circondano e quasi per nulla artefice diretta delle sue sventure. è molto probabile che lo scrittore piemontese sia stato inconsapevolmente attratto dalla leggenda che, intorno al dramma di Maria, si era venuta sviluppando nell'Europa cattolica, subito dopo la sua morte.
"La Reina di Scotia" del 1602 di Carlo Ruggeri e la versione di Federico della Valle (1628) potrebbero aver dato lo spunto all'Alfieri per l'ideazione di "Maria Stuarda".
Nota di Lunaria: prima di riportare le mie pagine preferite, trascrivo un ulteriore approfondimento
Vittorio Alfieri, parlando della "Stuarda", in un suo "Parere" sulla tragedia dedicata alla regina scozzese, la definiva "l'infelice Maria".
In realtà il suo personaggio non ha dolcezze particolari, né il femminile, aggraziato dolore di figure quali Virginia, Antigone, Elettra, Ottavia; abbandonato com'è al gioco di intrighi della corrotta corte scozzese, vive solo per testimoniare la sua assoluta impotenza: "Precipitar di una in un'altra angoscia ognor dovrò? Fatal destino!... Eppure, che far poss'io?".
Probabilmente l'Alfieri è molto più attratto dalla tela d'inganni che avvolge la regina e molto meno attratto dalle intime sofferenze di Maria: "d'ogni parte io scorgo timore, e dubbi, e perigli, ed errori!"
è vero, il personaggio di Maria è piuttosto freddo; ma forse, in questa occasione, Alfieri ha voluto muoverci a compassione puntando il dito sulla piaga della perversa passionalità che nutre l'animo dei cortigiani e che, inesorabilmente, coinvolge i più deboli, i puri di cuore, anche se il destino li ha dotati di un trono.
Comunque, la realtà storica di Maria Stuarda era ben diversa da quella che l'Alfieri e i suoi contemporanei veneravano.
La fortuna di questo personaggio, evocato da ballate popolari e celebrato dall'esaltazione dei Romantici, è stata costruita ad arte, nel tempo, confondendo la storia con la leggenda.
Maria era nata nel castello scozzese di Linlithgow, ridotto oggi ad un involucro spettrale e vuoto; era nata tra il 7 e l'8 dicembre del 1542. Non molto lontano, nel castello di Falkland, agonizzava suo padre Giacomo V. Rimase orfana presto e la madre la fidanzò con uno dei migliori partiti europei: Francesco di Valois, primogenito di re Enrico II di Francia e di Caterina de' Medici. Maria aveva soltanto 6 anni. Dopo questa decisione che le assicurava la corona francese sì trasferì nella corte del promesso sposo, in attesa del matrimonio. Nel 1558 si celebrarono le nozze. Soddisfatti di questa unione furono praticamente tutti i cattolici, impegnati a riconquistare l'Europa che era passata ai principi protestanti. Morto tragicamente durante un torneo il re Enrico II, e succedutogli il figlio Francesco, Maria sale al trono di Francia. Passano diciotto mesi, e anche Francesco muore "per uno strano mal d'orecchi". Maria torna in Scozia. Elisabetta Tudor teme questo ritorno e le vieta di attraversare l'Inghilterra.
La maggioranza dei sudditi inglesi, essendo cattolici, avrebbe preferito la regina di Scozia, piuttosto che lo scismatico Enrico VIII. Nell'estate del 1565, sfidando i nobili, il parlamento e i sudditi, che in Scozia erano protestanti, Maria sposava Enrico Darnley, nobile cattolico inglese, imparentato con la casa degli Stuart. Presuntuoso, dedito al vino e alle gozzoviglie, il nuovo marito deluse la regina, che per sposarlo e farlo incoronare aveva combattuto e cacciato oltre i confini il fratellastro lord Moray e altri nobili oppositori. Invaghitosi del suo segretario italiano, Davide Rizzio, abile cantante e suonatore d'arpa, provocò la gelosia del consorte. Il Rizzio, sorpreso nel castello di Holyrood a cena con Maria, fu massacrato a pugnalate. Si ripeteva così la sorte avvenuta tre anni prima al poeta Chastelard, che aveva osato penetrare nella stanza da letto della regina. Lo scandalo fu enorme, l'opposizione si consolidò. Intanto il 19 giugno 1566 nasceva Giacomo Stuart, figlio di Maria e probabilmente di Rizzio. Intanto, il disaccordo tra i due sposi era ormai al culmine. Nella notte del 10 febbraio 1567, alle due del mattino, una violenta esplosione provoca il crollo della casa di Kirk of Field, dove da una decina di giorni il sovrano trascorreva la convalescenza in seguito ad un attacco di vaiolo. La regina era partita la sera prima. L'Inghilterra era in fermento. La madre di Enrico implorava giustizia da Elisabetta. Questa scrive alla cugina, esortandola a far luce sull'assassinio.
Il 12 aprile si apre il processo contro Bothwell, che si diceva fosse il mandante dell'assassinio, e tutti sapevano che Maria era legata a Bothwell. Soltanto a sei persone fu concesso di testimoniare per l'accusa; quattromila furono invece le persone che testimoniarono in favore dell'accusato. Circa un mese dopo l'assoluzione, Bothwell diventava il terzo marito di Maria Stuarda. Un mese dopo, tutta la Scozia si solleva contro la regina. La farsa del processo, il precedente assassinio "era più di quanto l'opinione pubblica potesse sopportare anche nel XVI secolo". Dispersi i suoi fedeli, la regina venne ricondotta nella capitale, mentre la moltitudine gridava "al rogo la sgualdrina!"
Rinchiusa nel castello di Loch Leven, abdica in favore del figlio.
Sedotto un giovane servitore, con il suo aiuto elude la sorveglianza dei carcerieri. Raccoglie un esercito, ma viene sconfitta a Langside e si rifugia in Inghilterra. Vagherà per vent'anni, sorvegliata a distanza dagli uomini di Elisabetta, da un castello all'altro.
Il suo invincibile odio per la cugina e la sete di potere la portarono a farsi protagonista di numerosi complotti. Fu accusata di complotto contro la sicurezza del regno e condannata a morte. Maria scrisse lettere di addio al papa e al re di Francia Enrico III, ricordando che moriva in difesa della religione cattolica. Il 7 febbraio 1587, giorno dell'esecuzione, si preparò con molta cura per tre lunghe ore. Salì finalmente sul palco, dove il carnefice l'attendeva, vestendo di nero, il capo avvolto da un velo bianco, il crocifisso tra le mani e il rosario alla cintura.
Quando il decano di Peterborough iniziò le preghiere del rito riformato in inglese, Maria, alzando la voce, recitò in latino, secondo il rito romano. Tolta la veste nera e rimasta in un abito di raso rosso con lunghi guanti rossi alle mani, si inginocchiò davanti al ceppo. Tre colpi di scure, la voce del carnefice che intonava "Dio salvi la regina": Maria Stuarda aveva pagato.
L'Europa Cattolica, in vena di rivincite politiche contro i protestanti, aveva trovato la sua bandiera.
Qui, le pagine più emozionanti
Atto Quinto, Scena Prima
Lamorre: [...] Oh lampo!
Qual raggio eterno agli occhi miei traluce?
Mortal son io? Le dense orride nubi,
ch'entro nera caligine profonda
tengon sepolto l'avvenire, in fumo,
ecco si sciolgon rapide... che veggo?
Io veggio, ahi! sì, quel traditor, che tutto
gronda di sangue ancora. Empio! Fumante
di sangue sacro e tremendo, tu giaci
entro il vedovo ancor tiepido letto?
Ahi donna iniqua! E il soffri tu?
Maria: Qual voce?
Quali accenti sono questi? Oh ciel! che parli?...
Presagi orrendi... Ei non mi ascolta; in volto
gli arde una fiamma inusitata…
Lamorre: Oh nuova figlia d'Acàb!
Già l'urla orride sento,
già di rabidi cani ecco ampie canne,
cui tuoi visceri impuri esser den pasto
[...]
Ma no, non vivi: ecco la orribil falce,
che l'empia messe abbatte. Morte, morte...
Sue strida io sento, e già venir meno la miro.
Oh vendetta di Dio, deh, come sconti
ogni delitto!... Il ciel trionfa: è tolta,
ecco, è strappata la perfida donna
dalle braccia d'adultero marito...
[...]
Ma qual vista novella?... Oh tetra scena!
Negri addobbi sanguigni intorno intorno
a fero palco?... E chi sovr'esso ascende?
Oh! Sei tu dessa? O già superba tanto,
or pure inchini la cervice altera
alla tagliente scure? Altra scettrata
donna il gran colpo vibra (*)
Ecco l'infido
sangue in alto zampilla; e un'ombra accorre
sitibonda, che tutto lo tracanna.
Deh, pago in ciò fosse il celeste sdegno!
Ma lunga striscia la trista cometa
dietro a sè trae. Del fianco alla morente
donna, ecco uscir molti superbi e inetti
miseri re. Già in un col sangue in loro
del re dei re la giusta orribil ira
scorre trasfusa...
[...]
Già già tornar nell'aere cieco in folla
veggio gli spettri - Oh! chi se' tu, che quasi
desti pietade?... Ah! sovra te la cruda
bipenne piomba!... Io miro entro a vil polve
rotolar tronco il coronato capo!...
[...] Spaventare... tremar;... quante a vicenda
regali scorgo ombre minori! Oh schiatta
funesta altrui, come a te stessa! I fiumi
fansi per te di sangue... E il merti?
[...]
Secura statti. D'Arrigo è la magion disvelta
fin da radice, dalla incesa polve:
ei fra l'alte rovine ha orribil tomba.
(*) Nota di Lunaria: passaggio che ci fa venire in mente questo sonetto del 1778:
Bieca, O Morte, minacci? e in atto orrenda, (1)
l'adunca falce a me brandisci innante?
Vibrala, su: me non vedrai tremante
pregarti mai, che il gran colpo sospenda.
Nascer, sì, nascer chiamo aspra vicenda, (2)
non già il morire, ond'io d'angosce tante (3)
scevro rimango; (4) e un solo breve istante
de' miei servi natali (5) il fallo ammenda.
Morte, a troncar l'obbrobriosa vita,
che in ceppi io traggo, io di servir non degno,
che indugi ormai, se il tuo indugiar m'irrita?
Sottrammi ai re, cui solo dà orgoglio e regno
viltà dei più, ch'a inferocir gli'invita,
e a prevenir dei pochi il tardo sdegno. (6)
1) In atto orrenda = con aspetto terribile
2) Chiamo aspra vicenda = considero la vita come una fatica sfiancante, dura, insopportabile
3) Angosce tante = tutte le angosce e le fobie che provoca l'idea della morte
4) Scevro rimango = resto immune, privo
5) Servi natali = corregge l'errore di essere nato in tempi servili
6) A prevenir = a impedire che si manifesti, incarcerandoli o uccidendoli.
APPROFONDIMENTO SU FEDERICO DELLA VALLE: Amore e Morte nella Tragedia Italiana del Seicento e "Iudit" e la "Reina di Scotia" a confronto
Alla letteratura tragica italiana manca l'esplosione del grande tema manieristico della pazzia (*) e manca anche il grande personaggio, l'eroe narcisista; unica eccezione, l'"Aristodemo" di Carlo de' Dottori, che rappresenta la sola figura tragica, con la sua vittima Merope, del teatro secentesco italiano, la sola che sopporti di essere analizzata come "personaggio", cioè come sintesi individualizzata dei temi contenuti nella tragedia.
Non manca ad Aristodemo il carattere narcisista, nell'egocentrismo della sua progettazione e della sua sfida al destino, nel dispotismo solitario delle sue decisioni, fino all'omicidio, in uno stato di esaltazione che rasenta la follia, e infine il suicidio.
Nel Della Valle non è l'eroe ad essere alienato da se stesso, ma sono tutti i personaggi della stessa tragedia ad essere isolati dal mondo, cosicché i loro gesti appaiono emblematici e assoluti. Da ciò la costante rappresentazione in luoghi chiusi e recintati: una prigione ("La Reina di Scotia"), un accampamento ("Iudit"), una reggia ("Ester"), un'isola ("Adelonda di Frigia"); come il luogo è unico, chiuso, recintato, così il tempo è breve, compreso tra alba e tramonto, simbolicamente sospeso tra la vita e la morte. "Il dramma stesso, come assoluto, garantisce e crea da sé il proprio tempo", per usare la definizione di Szondi.
Talvolta la vittima diviene, nella catarsi, il vendicatore di se stesso e quindi, come rimorso, il carnefice del suo assassino; nella "Reina di Scotia" del Della Valle viene assunta la sola prospettiva della prigioniera vittima; nella "Iudit" quella invece del carnefice, perché la protagonista vendica e libera il suo popolo ricorrendo al tradimento e all'omicidio; nell'"Ester" il persecutore degli ebrei Aman diviene vittima delle sue stesse macchinazioni. Nell'"Adelonda di Frigia" la protagonista, vittima della propria prigionia nell'isola delle Amazzoni, diviene carnefice, conoscendo però l'uomo che ama, e libererà se stessa e le altre, riconducendole all'istituzionale e passivo "ruolo di donne".
In queste tragedie barocche sono riconoscibili l'esaltazione della regalità terrena ma anche la sua dipendenza dallo Stato ("Reina di Scotia"), l'omicidio "giusto" e voluto da Dio ("Iudit"), il rapporto tra i sessi come competizione mortale ("Adelonda"); si potrebbe persino far notare che i personaggi protagonisti di Della Valle sono femminili e che nell'"Adelonda" la donna guerriera prefigura l'eroica favola di Iudit, donna che, al contrario, viene trasformata in guerriera ed omicida. In questa coppia centrale di figure contrarie si sistemano altre e minori opposizioni. L'ossessione della decapitazione, in Della Valle, contiene sempre due significati opposti: la candida gola adorna di perle di Maria Stuarda [ripresa anche da Alfieri. Nota di Lunaria], la superba e gemmata testa di Oloferne, simboli della regalità, cadono sotto la mannaia del carnefice e ammoniscono sulla vanità del potere terreno; il letto d'amore in cui Oloferne aspetta Iudit sarà il suo letto di morte; nell'atto di dare la morte, Adelonda riconosce l'amore.
[si noti che Della Valle in "Iudit", "Ester" e "Adelonda" pare quasi divertirsi ad "invertire i ruoli": la donna diventa sacerdotessa o guerriera, l'uomo viene escluso dalla dimensione sacerdotale o diviene vittima sacrificale; alla fine i ruoli vengono ristabiliti "come natura insegna"; basterebbe citare queste definizioni per Adelonda "la bella sacerdote/di reina carnefice fu fatta"; le amazzoni che la accettano come loro sacerdotessa per i riti sacrificali degli uomini forestieri che capitano sulla loro isola sono descritte come "donne son ne le membra, ma gli spirti e l'alma han di crudo guerrier"]
Ogni tragedia di Della Valle propone e accumula tutti i temi: la vita è prigionia e la morte è libertà, l'amore è vita e morte, il fasto polvere, il potere impotente di fronte alla morte, la donna dà la vita e la morte, uccide per liberare, assume il ruolo dell'uomo. L'azione tragica, infine, precipitata e rappresa tra le pallide luci dell'alba e il chiaroscuro del tramonto.
(*) Tema, invece, rappresentato da Shakespeare
dove esplode il grande tema tragico della pazzia nelle sue molteplici variazioni: dalla buffoneria clownesca di origine medioevale, del fool, alla malinconia dell'intellettuale, alla pazzia derivante dalla grandezza, la solitudine dell'individuo tragico, quindi del suo carattere narcisistico. Potremmo citare, oltre agli eroi shakespeariani, il Don Chisciotte, il Faust di Marlowe, il Don Giovanni di Tirso de Molina. Per un commento al Macbeth, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/il-simbolismo-esoterico-del-macbeth.html
Due tra le opere più famose di della Valle sono "La Reina di Scotia" e "Iudit": la prima efficacemente positiva soprattutto per la contenuta e profonda poesia che informa la figura della protagonista stessa, la seconda per la drammaticità dell'azione che occupa il testo.
Umanità viva ed intensa raccolta nell'anima di Maria Stuarda: e dall'anima essa si sprigiona a chi è intorno, ne satura l'ambiente; mobilità continuamente presente e grave nella pagine della "Iudit".
Maria di Scozia è peraltro la regina ingiustamente condannata a morte e che affronta con regale dignità la morte; Iudit, tratta dalla storia biblica, ha i caratteri dell'eroina liberatrice: dalle mura di Betulia, illuminate sinistramente per la luce delle armi, risuona la sua voce di vittoria che annuncia la sconfitta del tiranno Oloferne. è proprio in questa tragedia e nella figura di Oloferne, che Federico della Valle concludeva non solo il tema del tiranno barbaro, appreso dal teatro del Rinascimento e dalla meditazione politica del Cinquecento, ma più intimamente l'esplorazione condotta nella cerchia del suo capolavoro "Maria la Reina di Scozia": la regalità che non si consacra e non si redime in un atto sacrificale precipita nella grottesca inumanità.
Nota di Lunaria: qui riporto i passi più celebri di "Iudit": vittoriosa su Oloferne, Iudit parla al popolo dall'alto delle mura di Betulia; figura ardente di vigore, infiammata dal trionfo, carica di fierezza, ella riempie le pagine della tragedia della propria dinamicità incontenibile. La sua personalità irrompente concentra su di sé l'attenzione del popolo e crea nella storia evolutiva del dramma momenti di sospesa tensione, sullo sfondo di un paesaggio che si delinea esso pure fortemente inquieto come l'animo della protagonista.
Più mossa dal punto di vista dell'azione, della "Reina...", questa tragedia di della Valle vive proprio soprattutto per l'intensa forza segreta che anima e dirige i movimenti di Iudit.
Iudit: Lodate, o di Giacob stirpe fedele,
santa gente, lodate il nostro Dio,
che le speranze nostre in lui fermate
non have abbandonate!
Ed adempiendo quel ch'egli promise
di bene e di salute ad Israelle,
con questo braccio mio,
feminil braccio imbelle,
ha ferito, ha percosso
il fier nemico dal Levanto mosso
ad incendio, a ruina
de la santa Città (1), del sacro Altare (2),
ove benigna spaventando appare
la Somma (3) de le glorie eterne.
Vinto è Oloferne, è vinto!
Ed eccone la testa alta e superba!
Questa ha tronco il gran Dio da l'empio busto
per la man mia, con la spietata spada
che balenava già focosa e fiera
sovra noi tutti, sovra torri e mura
de la nostra Betulia, pria vicina
ad esser piaggia di virgulti e d'erba.
[...]
Ozia: O donna eccelsa oltre ogni eccelsa, e chiara
figlia già di Merari, or più al gran Dio
figlia diletta e cara:
benedetta sei tu più ch'altra mai,
e ne l'eterno giro anco degli anni
benedetta sarai!
Tu, gloriosa aita ai nostri danni,
da la divina mano
animata, condotta,
hai percosso, hai ferito
il rubello di Dio, crudo, feroce,
ch'osò con empia voce
negar l'eccelsa maestà regnante
e tentar arrogante
seggio egual, culto eguale
al Santo, a l'Immortale.
[...]
E 'n questo giorno
il tuo bel nome ha adorno
di corone di glorie alte, lucenti,
sì che l'ammirin poi
nei secoli a venir gli anni e le genti,
dicendo: "Iudit bella, Iudit forte,
il bianco sen di tenerezza armato
oppose, offerse, porse
a mille orride schiere
di genti inique e fiere
al coltel de la morte,
ed animosa aspro nemico vinse,
che la sua patria cinta
tenea di mortal rischio
e l'avea quasi estinta:
tanto in molle bellezza
ebbe ardir e fortezza!"
Iudit: Or udite, fratel, quel che ci resta
di tanta impresa ancor [...]
questa testa sanguigna si sospenda,
e da le mura penda [...]e entrando
nel padiglion sua stanza,
il miserabil tronco ritrovando
giacer in sangue involto,
perduta ogni speranza,
sorgerà tema e orrore, e cieca fuga
si farà in lor furore.
1) Gerusalemme
2) l'Arca dell'Alleanza dove erano le tavole date a Mosè.
3) Si riferisce alla potenza di Jahvè, terribile, buono e temuto, come la concezione biblica lo presenta
Da "La Reina di Scotia"
"Morte è ne l'aria e il sostengan nembi, al cui penoso pié s'aggiran spirti; spirti, che stolti e lenti errando già fra voi, foglie cadenti, trassero i falli lor dal giorno e l'anno senza sentirne affanno. Alfin con un sospiro di consigliato senno falli e vita finirono: or piangono l'error e la tardanza in disperato duol, ma con speranza. Ma che giovò? Cesser tributi e scettri a poca terra oscura, chiamata sepoltura, orrida stanza, purtanto ha di degno, che'n lei riposan cheti mendicitate e regno, aspri contrari ai riposi mortali."
I dialoghi tra la Regina e la sua Cameriera:
Reina: "Mia vittoria sarà la sepoltura!
Ivi alzerò il trofeo de l'altrui crudeltade e del mio danno con poca terra oscura."
Cameriera: "Splenda ancora una volta, un giorno il sole al fortunato ben ch'or fingo e formo, e chiuda Morte poi rapida o lenta i languidi occhi in sempiterna Notte ché soave fiè 'l Sonno e caro letto il feretro e 'l sepolcro."
Reina: "O se fia mai ch'io giunga a riveder i campi de la mia patria amata del regno, ove già lungo antico rivo del sangue mio ben glorioso corse fra scettri e fra corone, ove'l cenere giace di tant'ossa onorate ond'ebber carne queste carni stanche, che dirò? Che farò? Qual sarà il core? Qual saranno i pensieri?"
Cameriera: "Or t'ha tronco aspro ferro ( = spada), e tetro sangue t'è orrido monile!"
Qui viene descritta la morte della Regina di Scozia, decapitata :
Maggiordomo: "Indi con sol duo passi s'è accostata a la terribil falce che 'n mirarla spirava orror, sì ampia e sì radente e ginocchion s'è posta."
Infine,
"In Morte di Maria Stuarda", una mia poesia scritta a Novembre, 2017
Ci tengo a precisare che i riferimenti cattolici e anti-protestanti che ho usato per dare "il giusto colore" ad una poesia che va a trattare una figura di donna legata al suo tempo storico e quindi anche alle guerre di religione, non vanno ad intendersi come "una mia adesione o simpatia" al cristianesimo cattolico. Mi sono solo voluta cimentare in un argomento che prima di me è stato trattato - e con somma bravura - da della Valle e da Alfieri, e che per sua natura si presta molto allo sfoggio di linguaggio tragico. Non è un'apologia a Maria Stuarda in quanto personaggio storico; è stata piuttosto un'occasione per tratteggiare un personaggio femminile condannato a morte in un contesto religioso, vicenda che può essere adombrata con tutti gli stilemi di una morte estetizzante a fini letterari.
Rosso è il crine,
di perle intrecciate,
in negro ammanto, (1) il viso cavo, il passo lento
mesta ella va: l'attende il patibolo.
Di preci in elisabettiana favella (2)
nell'aria spande alto il decano
e lei, Reina, (3) non di riformata erronea forma asseconda (4)
ma di cattolico rito incorrotto, orgogliosa, risponde.
Reclina la cervice
serena, Reina da condanna capitale e morte baciata,
ed ecco, con bagliore funebre e ratto
la cruda falce il bianco collo tronca di netto (5)
e s'arrossa il velo bianco di Maria Reina,
pia figlia dell'Immacolata.
"Dio salvi la regina"
e di sangue stillante il mozzo regal capo
il boia al pubblico ludibrio festante mostra. (6)
Esulta l'iniqua stirpe di Lutero (7)
mesti intonano "Requiéscat in pace"
della Vergine Sine Macula i figli. (8)
Note:
(1) Maria Stuarda, il giorno dell'esecuzione, salì al patibolo vestita di nero, con il capo avvolto da un velo bianco, il crocifisso tra le mani e il rosario alla cintura. Più in generale, ho voluto anche citare il "Saul" dell'Alfieri: "Bell'alba è questa. In sanguinoso ammanto oggi non sorge il sole; un dì felice
prometter parmi"
(2) "Preghiere recitate in lingua inglese"; ho "giocato" con il doppio rimando sia ad Elisabetta Tudor, nemica di Maria Stuarda, sia col riferimento a Shakespeare, che viene definito "elisabettiano"; Shakespeare è considerato uno dei padri della lingua inglese, e prima dell'esecuzione di Maria Stuarda, il decano di Peterborough iniziò le preghiere del rito riformato in inglese, appunto, la lingua di Shakespeare.
(3) "Reina" significa "Regina". è un riferimento alla tragedia di Federico della Valle "La Reina di Scotia" (1628)
(4) Maria Stuarda non assecondò le preghiere del rito riformato, ma alzando la voce, recitò in latino secondo il rito romano. L'ultimo gesto di ribellione, insomma. Ho usato "erronea" perché qui assumo il punto di vista cattolico, che non può che ritenere sbagliati "i riti protestanti".
(5) Citazioni dei capolavori dell'Alfieri e di della Valle, che così descrivevano la morte di Maria:
"Negri addobbi sanguigni intorno intorno
a fero palco?... E chi sovr'esso ascende?
Oh! Sei tu dessa? O già superba tanto,
or pure inchini la cervice altera
alla tagliente scure? Altra scettrata
donna il gran colpo vibra
Ecco l'infido
sangue in alto zampilla; e un'ombra accorre
sitibonda, che tutto lo tracanna." (Vittorio Alfieri)
"Indi con sol duo passi s'è accostata a la terribil falce che 'n mirarla spirava orror, sì ampia e sì radente e ginocchion s'è posta." (Federico della Valle)
Quanto al "velo bianco che si arrossa", mi sono concessa questa citazione che fa molto Cradle of Filth,
band che mi ispira sempre sublimi visioni tragiche, cimiteriali ed estetiche...
Ho voluto anche definire Maria Stuarda "Pia figlia dell'Immacolata" perché la regina era cattolica; prima di morire scrisse al Papa che "moriva per la fede cattolica". Per chi non lo sapesse, i Protestanti sono contrari al culto mariano; definire Maria Stuarda "figlia dell'Immacolata" serve a rimarcare ancora di più che lei era cattolica e la sua condanna a morte fu motivata anche dall'odio religioso che serpeggiava tra Cattolici e Protestanti.
(6) Anche qui, mi sono abbandonata ad un estetismo horror molto alla Cradle of Filth…
(7) Allusione ai Protestanti; li ho definiti "iniqua stirpe" perché qui ho voluto assumere il punto di vista cattolico, che non può che disprezzarli per il loro odio contro l'autorità papale e i dogmi mariani.
(8) Allusione ai Cattolici, che si ritengono figli della "Vergine Maria sine macula", ovvero "senza peccato originale": dogma papale che riempie di orrore i Protestanti.
Precisazione: ho usato "Requiéscat in pace" invece che la formula al plurale "Requiéscant in pace", "riposino in pace", perché qui mi riferisco alla sola Maria: "Riposi [Requiéscat] lei, in pace".
Sulla letteratura inglese vedi:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/alle-origini-dei-cradle-of-filth-la.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/ann-radcliffe.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/storia-della-letteratura-inglese-1-con.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/storia-della-letteratura-inglese-2.html