Trama:
Frutto mirabile della fusione tra storia, mito e fantasia dell'autrice, "La Torcia" è il romanzo della leggendaria guerra di Troia narrato da una protagonista d'eccezione: Cassandra, la sciagurata figlia del re Priamo e di sua moglie Ecuba. Esperta in arti magiche, sacerdotessa del Dio Apollo, profetessa condannata a non essere mai creduta, Cassandra, ormai carica di anni, rievoca qui la "vera" storia di Troia: una versione diversa da quella che è stata tramandata da Omero nell'Iliade, ma altrettanto ricca di fascino. "Partorirai una torcia che incendierà e distruggerà le mura della vostra città": queste parole, udite in sogno dalla regina Ecuba incinta di Cassandra e del gemello Paride, sono l'inizio di una vicenda densa di dolore e di mistero in cui si intrecciano le gesta di uomini e di Dei, si scontrano passioni, destini, avventura... La giovinezza singolare di Cassandra, votata al Dio Apollo e allevata dalle amazzoni, si svolge separata da quella del gemello Paride ripudiato dal padre perché segnato da un destino di sventura. Ma il Fato ha disposto che Paride ritorni a Troia perché il destino suo e della sua città si compia comunque, al di là del volere degli uomini...
Commento di Lunaria: il romanzo è davvero poderoso: ben 572 pagine. La mole eccessiva, effettivamente, potrebbe tenere lontano chi non ama "i mattoni", ma c'è da dire che i singoli capitoli sono spesso molto brevi (4-7 pagine) e che le descrizioni e i dialoghi si susseguono lineari e diretti. Rispetto alle fonti classiche, come c'era da aspettarsi, l'Autrice ha dato voce soprattutto ai personaggi femminili (Cassandra, Elena, Ecuba, Andromaca, la prima moglie di Paride "buttata via" per far posto ad Elena, Pentesilea...) mentre i personaggi maschili sono abbastanza interscambiabili e omologati, tutti fissati sull'idea di guerra, di onore, di combattimento, di morte eroica, ad eccezione forse di Enea, che nelle pagine dove dichiara il suo amore a Cassandra, acquista un lato romantico e dolce (anche se stranamente l'Autrice non ha minimamente descritto le scene di amore sessuale tra i due...!). Poche le descrizioni dei passaggi (a parte la giovinezza di Cassandra, passata insieme alle amazzoni, come nomade a cavallo, qualche fugace allusione al Monte Ida e la citazione finale dell'Egitto, tutta l'azione si svolge nei meandri di Troia, sia nelle sale del palazzo reale che sui bastioni); le mie pagine preferite sono state quelle dove l'Autrice anteponeva gli Dei maschili (Apollo, Poseidone, Zeus...) alle divinità femminili (a cominciare dalla Grande Madre Serpente), via via sempre più cacciate nell'oblio. Io personalmente avrei sviluppato molto di più questa traccia, introducendo qualche allusione al movimento teologico femminista\wiccan, piuttosto che dedicare moltissimi capitoli, nella terza parte del libro, a scene di lotta e combattimento. La parte più tragica e che si legge effettivamente con un groppo alla gola, è lo stupro che subisce Cassandra e la bambina trovatella da lei accolta come figlia: qui l'Autrice ha descritto la scena con vivida chiarezza brutale. Assenti le magie e gli incantesimi; le uniche tracce di soprannaturale sono nelle breve descrizioni delle visioni di Cassandra e in qualche apparizione (molto rara) di Apollo o degli Dei che "bisticciano" tra loro (effettivamente l'Autrice si diverte spesso a rendere questi Dei delle vere macchiette tanto da far trapelare il dubbio, a Cassandra, che non serva a niente adorarli... e quindi paradossalmente più che essere un libro sugli Dei è piuttosto un libro che si diverte a dipingere gli Dei come bambini capricciosi e a gettare qui e lì qualche traccia di ateismo...) In conclusione, "La Torcia" è un libro ascrivibile al genere eroic fantasy, in un'ambientazione (la Grecia classica) non così sfruttata (anzi, che io sappia, non mi vengono in mente altri fantasy basati sulla Grecia...); ci sono sicuramente tracce di originalità, dato l'argomento non così abusato dagli scrittori fantasy, ma se vi aspettate un libro pieno di magie e di incanti, resterete delusi. Penso che vada letto come un singolare e innovativo remake dell'Iliade, con più prospettive femminili che non maschili, che spesso "dicono la loro" (anche se solo sottovoce) sulla storia ufficiale, fatta dai maschi (gli Achille, i Paride, i Menelao, gli Agamennone...) che possono essere vinti o vincitori, ma che inevitabilmente trattano come pedine le donne (Elena, considerata come un premio e passata da un uomo all'altro...), che risultano le vere perdenti e vittime di questo sistema androcentrico. In questo affresco sulle miserie umane del possesso e del dominio, della razzia e dell'egoismo, le osservazioni di Cassandra o di Pentesilea possono essere considerate dei tentativi di rivolta al femminile, con tutti i limiti storico-concettuali del tempo da loro vissuto. Infine, una breve nota anche sulle copertine: sono soprattutto le versioni inglesi/americane del romanzo
ad aver reso nel dettaglio il concept del romanzo (con la figura, per quanto sfuggente, della Madre Serpente e delle sacerdotesse che maneggiano serpenti), rispetto a quelle dell'edizione italiana.
Qualche estratto, per far capire lo stile del libro:
Un primo estratto da "La torcia"... è particolarmente interessante perché cita Pitone, il gigantesco serpente ucciso da Apollo... come ben sappiamo, spesso "i cambi di potere" passavano da matriarcale a patriarcale, con relativi miti riscritti... l'Autrice qui sembra ipotizzare che l'uccisione di Pitone (che sarebbe più sensato considerare una sorta di serpentessa gigante, anche se il nome ormai è virato al maschile) sia allegorica, segnando il passaggio da matriarcato a patriarcato.
Pentesilea tacque a lungo prima di rispondere; e Cassandra si chiese se stava per ripetersi il silenzio dei suoi genitori. Poi la regina delle amazzoni disse: «Capisco perché tua madre e, soprattutto, tuo padre non amino parlarne. Ma non vedo perché non dovresti sapere ciò che è a conoscenza di metà dei troiani. È il tuo gemello, Cassandra. Quando nasceste, la Madre Terra, che è anche la Madre Serpente, mandò a mia sorella Ecuba un presagio di sventura: due gemelli. Avreste dovuto venire uccisi entrambi», continuò con voce aspra. Quando Cassandra si scostò con le labbra tremanti, Pentesilea le accarezzò i capelli. «Sono lieta che questo non sia accaduto. Senza dubbio un Dio ha steso la mano su di voi. «Tuo padre pensò, forse, di potersi sottrarre al destino esponendo il figlio. Ma poiché onora il principio della paternità, che in realtà è un culto del potere maschile e della capacità di generare figli maschi, non osò rinunciare a un figlio: e il bambino fu dato in affidamento perché crescesse lontano dalla reggia. Tuo padre non vuole sapere nulla di lui, a causa del presagio funesto della sua nascita: per questo si è infuriato quando gliene hai parlato.» Cassandra provò un immenso sollievo. Per tutta la vita aveva avuto l'impressione di essere sola quando avrebbe dovuto esserci un altro al suo fianco, molto simile a lei e tuttavia diverso. «E non è un male desiderare di vederlo nel bacile dei veggenti?» «Non hai bisogno del bacile», disse Pentesilea. «Se la Dea ti ha concesso la Vista, è sufficiente che guardi nel tuo cuore per trovarlo. Non mi sorprende che tu abbia il dono: tua madre lo possedeva, in gioventù, e lo perse quando sposò un uomo delle città.»
«Io credevo che... la Vista... fosse il dono del Dio del Sole», disse Cassandra. «Per la prima volta l'ho avuta nel suo Tempio.» «Può darsi», confermò Pentesilea. «Ma ricorda, figliola: prima che Apollo venisse a regnare su queste terre, c'era già la nostra Madre dei Cavalli, la Grande Giumenta, la Madre Terra dalla quale tutti siamo nati.» Si voltò e posò con riverenza le mani sulla terra scura; e Cassandra imitò il gesto, sebbene lo comprendesse solo in parte. Le parve di sentire una forza oscura che saliva dalla terra e fluiva in lei; era la stessa energia benedetta che aveva provato nel tenere tra le mani i due serpenti di Apollo. Si chiese se era una slealtà nei confronti del Dio che l'aveva chiamata. «Nel Tempio mi hanno detto che Apollo, il Dio del Sole, uccise Pitone, la grande Dea degli Inferi. È la Madre Serpente di cui stavi parlando?»
«La Grande Dea non può essere uccisa, perché è immortale: può darsi che abbia deciso di ritirarsi dal mondo per qualche tempo, ma è e rimarrà per sempre», disse la regina delle amazzoni. E Cassandra, che sentiva sotto le mani la forza della terra, comprese che era una verità assoluta. «Allora la Madre Serpente è anche la madre del Signore del Sole?» chiese; e Pentesilea, con un sospiro riverente, disse: «È la madre degli Dei e degli uomini e di tutte le cose: perciò Apollo è suo figlio, come siamo sue figlie io e te». Allora... se Apollo, il Dio del Sole, ha cercato di ucciderla, voleva uccidere sua madre? Cassandra si sentì mancare il fiato a quel pensiero terribile. Ma un Dio poteva commettere azioni malvagie? E se una certa azione era malvagia per gli uomini, lo era anche per un Dio? Se una Dea era immortale, come poteva essere uccisa? Erano Misteri; e Cassandra decise che in futuro li avrebbe compresi. Apollo l'aveva chiamata; le aveva dato i suoi serpenti e un giorno l'avrebbe guidata anche alla conoscenza dei misteri della Madre Serpente.
Pentesilea tacque a lungo prima di rispondere; e Cassandra si chiese se stava per ripetersi il silenzio dei suoi genitori. Poi la regina delle amazzoni disse: «Capisco perché tua madre e, soprattutto, tuo padre non amino parlarne. Ma non vedo perché non dovresti sapere ciò che è a conoscenza di metà dei troiani. È il tuo gemello, Cassandra. Quando nasceste, la Madre Terra, che è anche la Madre Serpente, mandò a mia sorella Ecuba un presagio di sventura: due gemelli. Avreste dovuto venire uccisi entrambi», continuò con voce aspra. Quando Cassandra si scostò con le labbra tremanti, Pentesilea le accarezzò i capelli. «Sono lieta che questo non sia accaduto. Senza dubbio un Dio ha steso la mano su di voi. «Tuo padre pensò, forse, di potersi sottrarre al destino esponendo il figlio. Ma poiché onora il principio della paternità, che in realtà è un culto del potere maschile e della capacità di generare figli maschi, non osò rinunciare a un figlio: e il bambino fu dato in affidamento perché crescesse lontano dalla reggia. Tuo padre non vuole sapere nulla di lui, a causa del presagio funesto della sua nascita: per questo si è infuriato quando gliene hai parlato.» Cassandra provò un immenso sollievo. Per tutta la vita aveva avuto l'impressione di essere sola quando avrebbe dovuto esserci un altro al suo fianco, molto simile a lei e tuttavia diverso. «E non è un male desiderare di vederlo nel bacile dei veggenti?» «Non hai bisogno del bacile», disse Pentesilea. «Se la Dea ti ha concesso la Vista, è sufficiente che guardi nel tuo cuore per trovarlo. Non mi sorprende che tu abbia il dono: tua madre lo possedeva, in gioventù, e lo perse quando sposò un uomo delle città.»
«Io credevo che... la Vista... fosse il dono del Dio del Sole», disse Cassandra. «Per la prima volta l'ho avuta nel suo Tempio.» «Può darsi», confermò Pentesilea. «Ma ricorda, figliola: prima che Apollo venisse a regnare su queste terre, c'era già la nostra Madre dei Cavalli, la Grande Giumenta, la Madre Terra dalla quale tutti siamo nati.» Si voltò e posò con riverenza le mani sulla terra scura; e Cassandra imitò il gesto, sebbene lo comprendesse solo in parte. Le parve di sentire una forza oscura che saliva dalla terra e fluiva in lei; era la stessa energia benedetta che aveva provato nel tenere tra le mani i due serpenti di Apollo. Si chiese se era una slealtà nei confronti del Dio che l'aveva chiamata. «Nel Tempio mi hanno detto che Apollo, il Dio del Sole, uccise Pitone, la grande Dea degli Inferi. È la Madre Serpente di cui stavi parlando?» «La Grande Dea non può essere uccisa, perché è immortale: può darsi che abbia deciso di ritirarsi dal mondo per qualche tempo, ma è e rimarrà per sempre», disse la regina delle amazzoni. E Cassandra, che sentiva sotto le mani la forza della terra, comprese che era una verità assoluta. «Allora la Madre Serpente è anche la madre del Signore del Sole?» chiese; e Pentesilea, con un sospiro riverente, disse: «È la madre degli Dei e degli uomini e di tutte le cose: perciò Apollo è suo figlio, come siamo sue figlie io e te». Allora... se Apollo, il Dio del Sole, ha cercato di ucciderla, voleva uccidere sua madre? Cassandra si sentì mancare il fiato a quel pensiero terribile. Ma un Dio poteva commettere azioni malvagie? E se una certa azione era malvagia per gli uomini, lo era anche per un Dio? Se una Dea era immortale, come poteva essere uccisa? Erano Misteri; e Cassandra decise che in futuro li avrebbe compresi. Apollo l'aveva chiamata; le aveva dato i suoi serpenti e un giorno l'avrebbe guidata anche alla conoscenza dei misteri della Madre Serpente.
«Ti consiglio di raccontarglielo, Cassandra», disse l'amazzone. «È sacerdotessa della Madre Terra, e forse potrà spiegarti che relazione ha con il tuo fato.» Incoraggiata, Cassandra riferì ogni momento della sua visione, e concluse spiegando che si era sentita confusa perché tra le Dee non erano apparse la Vergine, la Madre Terra e la Madre Serpente. Imandra ascoltò con attenzione anche quando Cassandra, sopraffatta dal ricordo, abbassò la voce in un sussurro. Quando ebbe finito, la regina di Colchide chiese con calma: «È stato il tuo primo incontro con qualcuno degli Immortali?» «No, signora. Ho visto la Dea Madre di Troia parlare per bocca di mia madre, anche se a quel tempo ero molto piccola. E una volta...» Cassandra deglutì, abbassò la testa e cercò di rendere più salda la sua voce. Sapeva che altrimenti sarebbe scoppiata in un pianto dirotto, senza motivo. «Una volta... nel suo Tempio... Apollo, il Signore del Sole, mi ha parlato molto chiaramente.» Sentì sui capelli il tocco gentile delle dita di Imandra. «È quanto ho pensato la prima volta che ti ho vista: sei stata chiamata come sacerdotessa. Sai che cosa significa?» Cassandra scosse la testa. «Che dovrò vivere nel Tempio e occuparmi degli oracoli e dei riti?» «No, non è tanto semplice, piccola», disse Imandra. «Significa che da oggi dovrai stare tra gli uomini e gli Immortali, per spiegare agli uni il comportamento degli altri... Non è il genere di vita che augurerei a mia figlia.» «Ma perché sono stata prescelta?» «Soltanto Coloro che ti hanno chiamata conoscono la risposta a questo interrogativo, piccola», rispose Imandra in tono gentile. «Tendono la mano sopra alcuni di noi in modo inconfondibile, e non ci spiegano perché lo fanno. Ma se cerchiamo di sfuggire alla loro volontà, ci costringono a servirli, non dimenticarlo... Nessuno aspira a essere prescelto: sono gli Dei che ci scelgono, non siamo noi che vogliamo entrare al loro servizio.» Eppure, pensò Cassandra, credo di aver cercato questa vocazione. Almeno, non sono restia. Il serpente sembrava addormentato sul suo braccio. Imandra si tese e lo afferrò, lo rimise nello scollo della veste. «Quando risplenderà il prossimo plenilunio, tu La cercherai», disse, e Cassandra sentì il presagio nella sua voce.
L'alba stava appena facendo impallidire il cielo quando una donna entrò nella stanza senza farsi annunciare e spalancò le tende. Andromaca affondò la testa nelle coperte per sfuggire alla luce, ma Cassandra si sollevò a sedere sul letto. Era una donna di Colchide, bruna e solida, e aveva il portamento sicuro di una delie guerriere di Pentesilea. Indossava una lunga veste di lino sbiancato, priva di ornamenti. Un piccolo serpente verde le stava avvolto intorno al polso, e Cassandra comprese che era una sacerdotessa. «Chi sei?» le chiese. «Mi chiamo Evadne, e sono una sacerdotessa mandata a prepararti», rispose la donna. «Sei tu oppure la tua compagna, quella che deve presentarsi oggi alla Dea? O forse dovete farlo entrambe?» Andromaca si scoprì un occhio e disse: «Sono stata iniziata l'anno scorso. Ora tocca a mia cugina». Richiuse gli occhi come se dormisse. Evadne rivolse a Cassandra un sorriso malizioso, poi ridivenne seria. «Dimmi: tutte le donne e tutti gli uomini devono servire gli Immortali. Intendi servirli quando loro te lo chiederanno, oppure dedicherai la vita ai loro comandi?» «Sono pronta a dedicare la mia vita al loro servizio», rispose Cassandra. «Ma non so che cosa vogliano da me.» Evadne le porse la veste che Andromaca aveva disteso su una panca. «Andiamo nell'altra stanza, così non disturberemo la principessa», disse. Quando furono nell'anticamera, continuò: «Ora dimmi: perché vuoi diventare sacerdotessa?» Cassandra ripeté ciò che le era accaduto nella casa del Dio del Sole; per la prima volta parlò senza un attimo d'esitazione. Quella donna conosceva gli Immortali e, se c'era al mondo qualcuno in grado di comprendere, doveva essere lei. Evadne ascoltò senza interromperla, e alla fine accennò un sorriso. «Il Dio del Sole è un padrone geloso», commentò poi. «E credo che ti abbia chiamata. Ma la Madre è padrona di ogni donna, e non posso negarti il diritto di presentarti a lei.» Cassandra continuò: «Mia madre mi ha detto che la Madre Serpente e il Signore del Sole sono antichi nemici. Ascoltami, signora...» Il termine rispettoso le salì spontaneamente alle labbra. «Mi ha detto che Apollo combatté contro la Madre Serpente e la uccise. È vero? Sono infedele al Dio del Sole, se servo la Madre?» «Colei che è Madre di Tutto non è mai nata, e non può essere uccisa», disse Evadne con un gesto riverente. «In quanto al Dio del Sole, gli Immortali si capiscono tra loro, e non vedono queste cose come le vediamo noi. La Madre Terra - dicono - aveva il santuario dove Apollo istituì il suo Oracolo; e si narra che, mentre il santuario era in corso di costruzione, un grande serpente o drago uscì dall'ombelico della terra, e il Dio del Sole, o forse il suo sacerdote, l'uccise con le frecce. Perciò, credo, qualche ignorante diffuse la leggenda di un suo scontro con la Madre Serpente: tuttavia il Signore del Sole, come tutti gli altri esseri creati, è suo figlio.» «Quindi, anche se è stato il Signore del Sole a chiamarmi, posso rispondere alla chiamata della Madre?» «Tutti gli esseri creati devono servirla», rispose la sacerdotessa, ripetendo il gesto riverente. «Non posso dire di più a chi non è iniziato. Ora, penso, dovresti lavarti e accingerti a raggiungere le altre che compiranno il viaggio con te. Più tardi, se vuoi, potrò parlarti della Dea, nella forma in cui è venerata qui.» Cassandra si affrettò a obbedire, assestandosi la veste che aveva indossato in fretta. Era troppo lunga per lei e le pendeva intorno alle caviglie; la rimboccò nella cintura per camminare più facilmente. Si pettinò i capelli scuri e li lasciò sciolti, perché aveva sentito dire che così li portavano le vergini della città, anche se era fastidioso sentirli agitati dal vento anziché ordinatamente intrecciati. Udiva, per la strada, i suoni della festività; le donne uscivano dalle case portando rami verdi e mazzi di fiori. Evadne la condusse nella sala del trono, dov'erano già radunate molte ragazze della sua età. Quel giorno il trono era vuoto: su un drappo di stoffa d'oro stava acciambellato il grande serpente di Imandra. «Guardate», mormorò una ragazza. «Dicono che anche la regina è una sacerdotessa e sa mutarsi in serpente.» «Che assurdità», disse Cassandra. «La regina è altrove e ha lasciato il serpente sul trono a simboleggiare il suo potere.» Pentesilea era tra le donne che aspettavano; Cassandra la raggiunse e la regina delle amazzoni le prese la mano e la tenne stretta. E, sebbene Cassandra non fosse veramente spaventata, quel contatto la rassicurò. C'era anche Imandra, ma in un primo momento non la riconobbe, perché la regina di Colchide portava la semplice veste delle sacerdotesse. A Cassandra sembrava ragionevole: anche a Troia la regina era considerata la rappresentante mortale della Grande Dea. Si stupì di non vedere tra le altre anche Andromaca. Se sua cugina era stata iniziata l'anno prima, perché non si era unita alle sacerdotesse? Tuttavia le sembrava che Andromaca non avesse un interesse particolare per la religione: forse era anche per questo che Imandra esitava a sceglierla perché le succedesse sul trono? Fino a quel momento non aveva ravvisato i sentimenti di Imandra: ma ora si stava abituando a conoscere e a udire ciò che non veniva detto e a vedere l'invisibile. Con un gesto, Imandra zittì le ragazze che chiacchieravano. Le sacerdotesse si radunarono intorno a lei. Cassandra si accorse d'essere la più anziana tra le candidate: in quella città, probabilmente, c'era l'usanza di iniziare ragazze più giovani. Si chiese se tutte le altre erano venute per dedicare la vita alla Dea, o soltanto «per offrire il loro servizio quando veniva richiesto», secondo quanto aveva suggerito Evadne. In ogni caso era un'iniziazione preliminare e a quanto pareva era considerata il primo passo al servizio degli Immortali. Le donne più anziane radunarono le ragazze non iniziate in un cerchio, con Imandra al centro. Dietro di loro Cassandra udì giungere il rullo d'un tamburo, un suono sordo e incessante come il battito di un cuore. «In questo periodo dell'anno», intonò Imandra, «noi celebriamo il ritorno della Figlia della Terra dagli Inferi dov'è rimasta imprigionata durante la fredda stagione invernale. Noi la vediamo giungere quando il verde della primavera si spande sulle lande brulle, e ammanta i prati e i boschi con lo splendore delle foglie e dei fiori.» Vi fu un silenzio interrotto solo dal rullo incessante dei tamburi suonati dalle donne dietro di loro. «Noi attendiamo nell'oscurità il ritorno della Luce; e ognuna di noi scenderà in cerca della Figlia della Terra nel regno della tenebra. Ognuna di noi sarà purificata e imparerà le vie della Verità.» Imandra continuò con voce monotona a narrare la leggenda della Figlia della Terra che era stata attirata negli Inferi, e confortata dai serpenti i quali avevano giurato di non farle mai alcun male. Cassandra aveva udito soltanto qualche brano della storia: doveva essere ignota ai non iniziati, oppure si pensava che gli estranei non dovessero conoscerla. Ascoltò con attenzione, affascinata. La testa le doleva per il suono dei tamburi che continuava senza interrompersi mai. Incominciò a sembrarle di essere preda di un sogno che si protraeva da molti giorni; ma sapeva di essere sveglia, senza mai esserne completamente consapevole. Qualche tempo dopo si accorse, senza sapere come e dove fosse accaduto, che non erano più nella sala del trono, bensì in una grande caverna buia, dove l'acqua sgocciolava dalle pareti umide che s'innalzavano in grandi spazi echeggianti mentre le voci risuonavano cupe e sommergevano il rullo dei tamburi. Chissà dove un flauto di canne sussurrava una musica esile e la chiamava con una voce che quasi conosceva. Poi sentì, nell'oscurità che non le permetteva di vedere nulla, una ciotola di ceramica a fregi rilevati che veniva passata di mano in mano: ogni ragazza se la portava alle labbra, beveva e la porgeva a un'altra. Cassandra non avrebbe mai ricordato ciò che avevano detto quando le avevano comandato di bere. Fino al momento in cui accostò le labbra alla bevanda, credette che fosse vino. Aveva uno strano sapore, viscido e amaro, che le ricordava la segale malata mostratale da Pentesilea; e mentre beveva pensò che il suo stomaco si sarebbe ribellato. Tuttavia, con un grande sforzo dominò la nausea e concentrò di nuovo l'attenzione sui tamburi. La leggenda era terminata; ma non ricordava come si fosse conclusa, e quale fosse stato il fato della Figlia della Terra. Dopo un po' il suo disorientamento divenne tanto grande che le parve di non essere più entro il cerchio delle donne, nella grotta. Non sapeva dov'era, ma non se ne curava. Pensò che forse la bevanda conteneva una droga, ma non si curava neppure di questo. Toccò il suolo freddo e umido e si stupì nello scoprire che era una normale lastra di pietra. Si era mossa veramente? Strani colori le oscillavano davanti agli occhi; per un momento ebbe la sensazione di percorrere una grande galleria buia. Condividi con la Figlia della Terra la discesa nella tenebra... Una voce la guidava da lontano: e non sapeva se fosse reale o no. A una a una devi abbandonare tutte le cose di questa terra che ti sono care, perché non ti apparterranno più. Cassandra scoprì che adesso portava le proprie armi, anche se sarebbe stata pronta a giurare di averle lasciate nella stanza di Andromaca, quella mattina. Tra i rulli dei tamburi la voce ritornò. Questa è la prima delle porte degli Inferi; qui devi rinunciare a ciò che ti lega alla Terra e ai regni della Luce. Cassandra slacciò la cintura ingemmata che reggeva la spada e la corta lancia. Ricordò che Ecuba l'aveva ammonita di portare sempre con onore quelle armi... ma era avvenuto in un luogo molto lontano dalla grotta buia. Anche Pentesilea s'era presentata a quella soglia tenebrosa e aveva rinunciato alle sue armi? Sentì la spada e la lancia scivolare sul pavimento e cadere con un suono metallico, tra il rullo dei tamburi. Perché le sue mani si muovevano tanto lentamente... se pure si erano mosse? Era tutta un'illusione, oppure era ancora accosciata immobile nel cerchio oscuro mentre avanzava audacemente nella galleria, avvolta nella lunga veste sciolta di Andromaca che, per quanto fosse inspiegabile, non la faceva inciampare? Chissà dove, c'era un occhio di fuoco. Fiamme sotto di lei? Oppure guardava la fessura dell'occhio del serpente? Questa è la seconda porta degli Inferi, dove dovrai abbandonare le tue paure e tutto ciò che ti impedisce di addentrarti in questo regno come una di coloro i cui piedi conoscono e percorrono la Via, seguendo le mie orme. Ora l'occhio del serpente era vicino. Si muoveva, l'accarezzava... E in un palpito della memoria ricordò quando... forse secoli prima, forse in un'altra vita, aveva accarezzato i serpenti nella casa del Signore del Sole, li aveva abbracciati senza paura. Era come se li abbracciasse di nuovo... e l'occhio si faceva vicino, sempre più vicino. Il mondo si restrinse fino a che non rimase più nulla con lei nel buio, se non l'abbraccio del serpente. Un dolore la trafisse, le diede la sensazione di stare morendo... E lei si abbandonò alla morte quasi con sollievo. Ma non era morta; procedeva sola nella tenebra ardente. C'era una voce che risuonava più forte del rullo dei tamburi e le echeggiava nella mente. Ora sei nel mio regno, e questa è la terza e ultima porta degli Inferi. Non ti è rimasto altro che la tua vita. Rinuncerai anche a quella, per servirmi? Cassandra pensò, disperatamente: Non so a che potrebbe servirle la mia vita, ma sono giunta fin qui, e ormai non tornerò indietro. Aveva l'impressione di parlare a voce alta, ma una parte della sua mente insisteva a dirle che non emetteva il minimo suono, che la favella era un'illusione come tutto ciò che le accadeva in quel viaggio... se pure era un viaggio e non un sogno bizzarro. Non tornerò indietro ora, anche se ne va della mia vita. Ho rinunciato a tutto il resto. Prendi anche quella, Signora delle Tenebre. Rimase librata nel buio, trafitta dal fuoco, circondata dal fremito di ali precipitose. Dea, se devo morire per te, lascia che veda il tuo Viso almeno una volta! L'oscurità si rischiarò lievemente; davanti agli occhi scorse un pallore turbinante dal quale emersero a poco a poco un paio di occhi scuri, un volto esangue. Aveva già visto quel volto, riflesso in un ruscello... era il suo. Una voce vicinissima sussurrò tra il rullo dei tamburi e il gemito dei flauti: Non sai ancora che tu sei me, e io sono te? Poi le ali la travolsero e cancellarono ogni cosa. Le ali e i venti d'uragano la sollevavano, la sollevavano verso la luce mentre lei protestava: Ci sono tante altre cose da conoscere... I venti la dilaniavano; un lampo rivelò occhi e rostri crudeli che laceravano... era come se qualcosa di alieno scorresse in lei, la saturasse come un'acqua scura e profonda e scacciasse la coscienza e il pensiero. Da un'altezza immane vedeva qualcuna che era lei e nello stesso tempo non lo era: e sapeva di scorgere il viso della Dea. Poi la fragile presa sulla coscienza si spezzò: e, mentre ancora protestava, precipitò in un infinito abisso silenzioso di luce abbacinante. Qualcuno le toccava delicatamente il viso. «Apri gli occhi, figlia mia.» Cassandra si sentiva nauseata e debole; ma aprì gli occhi nel silenzio e nell'aria fresca e umida. Era ritornata nella grotta... l'aveva mai lasciata? Teneva la testa sul grembo di Pentesilea, e il volto della regina delle amazzoni era circondato da un alone di luce così intenso che Cassandra si schermò gli occhi con le mani ed esclamò: «Ma tu... tu sei la Dea...» Poi ammutolì, sopraffatta.
Gli occhi le dolevano, e li chiuse. «Naturalmente», sussurrò Pentesilea. «E lo sei anche tu, figlia mia. Non dimenticarlo mai...» «Ma cos'è accaduto? Dove sono? Ero...» Prontamente, Pentesilea le coprì le labbra con la mano. «Taci. È proibito parlare del Mistero», disse. «Ma tu sei giunta molto lontano. Quasi tutte le candidate non vanno oltre la prima porta. Vieni»,mormorò Pentesilea. «Vieni.» Cassandra si alzò vacillando e la regina delle amazzoni la sostenne. I tamburi tacevano. C'erano soltanto il fuoco e un gemito esile. Ora Cassandra poteva vedere la flautista, una donna magra e curva al di là delle fiamme. Aveva gli occhi vacui e ondeggiava lievemente come se fosse in estasi: ma almeno il fuoco e il flauto erano reali. In cerchio, intorno a lei, circa metà delle fanciulle giacevano in trance, e ognuna di loro era vegliata da una sacerdotessa. Nel cerchio c'erano spazi vuoti. Pentesilea la esortò a procedere con prudenza, senza toccare nessuna, verso l'uscita della caverna. Fuori pioveva: ma dalla luce fioca comprese che il giorno era quasi concluso. Le gocce di pioggia erano gelide e pure il suo viso. Si sentiva nauseata e tormentata dalla sete; cercò di raccogliere la pioggia nelle mani e di berla, ma Pentesilea la condusse oltre una porta che lei ricordava vagamente d'aver visto: si trovò nella sala del trono di Imandra, nella luce delle lampade... là era incominciato il viaggio magico. Camminava ancora cautamente, come fosse una fragile anfora colma fino all'orlo di un vino che sarebbe traboccato a un movimento imprudente. La regina Imandra apparve all'improvviso e l'abbracciò, stringendola con forza. «Bentornata, piccola sorella, dai regni dove la Signora delle Tenebre ha camminato con te. Il tuo viaggio è stato lungo, ma mi compiaccio per il tuo felice ritorno», disse la regina. «Ora sei una di noi, che apparteniamo a Lei.» Pentesilea disse: «Ha varcato le tre porte». «Lo so», rispose Imandra. «Ma l'iniziazione è giunta tardi. È nata sacerdotessa, ed è tardi per lei.» Si scostò, prese Cassandra per le spalle, come avrebbe fatto sua madre. «Sei pallida, figliola. Come ti senti?» «Per favore», disse Cassandra. «Ho tanta sete.» Ma quando Pentesilea le versò un po' di vino, l'odore la nauseò e chiese acqua. Era limpida e fredda e alleviò la sete: ma, come tutto ciò che avrebbe mangiato o bevuto per molti giorni, aveva un sapore viscido, di pesce. Imandra disse: «Non dimenticare ciò che sognerai questa notte: sarà un messaggio speciale inviato dalla Figlia della Terra». Poi chiese a Pentesilea: «Ritornerai presto al sud, ora che hai conosciuto la parola della Dea?» «Non appena Cassandra potrà cavalcare e Andromaca sarà pronta per recarsi con lei a Troia», rispose la regina delle amazzoni. «Così sia», disse Imandra. «Ho preparato la dote di Andromaca, e ho dato disposizioni per la scorta. In quanto alla nostra giovane parente, la sacerdotessa, ho un dono da farle.» Il dono era un serpente: piccolo e verde come quello della regina di Colchide, ma non più lungo del suo avambraccio e sottile come il suo pollice. Cassandra la ringraziò, impacciata. Imandra disse a voce bassa: «Un dono da sacerdotessa a sacerdotessa, figliola. È nato dall'uovo d'uno dei miei serpenti. E che altro potrei farne? Donarlo ad Andromaca, che ne avrebbe orrore? Credo che sarà felice di venire a sud con te in quel bel vaso, e di servirti nel santuario di Troia». Quella notte Cassandra rimase sveglia a lungo, turbata al pensiero di ciò che avrebbe potuto sognare; ma quando si addormentò vide soltanto le pendici del monte Ida sotto la pioggia, e le tre Dee straniere; le parve che lottassero tra loro non per il favore di Paride, bensì per il suo... e per Troia.
Dunque Paride era riuscito a far restituire Esione a Troia? Cassandra affrettò il passo e uscì dalle porte della città nell'istante in cui Paride si fermava. Nello stesso tempo Priamo ed Ecuba, a bordo del più splendido carro cerimoniale di Priamo, si arrestarono di fronte a lui. Ettore era un passo più indietro del padre, e aveva un'espressione tutt'altro che soddisfatta. Cassandra si guardò intorno, cercando Andromaca con gli occhi. Senza dubbio la sua amica non si sarebbe voluta perdere la scena. Alzò lo sguardo verso la finestra della stanza di Andromaca, e la vide con Enone al fianco. Tutte e due avevano i figlioletti in braccio. Anche a quella distanza, si vedeva che Enone stringeva convulsamente una mano sul davanzale. Paride smontò dal carro, si voltò per far scendere la donna velata: quindi s'inchinò profondamente davanti a Priamo, che lo rialzò e lo abbracciò. «Bentornato, figlio mio.» Il re tese la mano in segno di benvenuto verso la donna, che era rimasta immobile accanto al carro. «Sei riuscito nella tua missione, figliolo mio?» «Al di là delle più grandi speranze.» Ettore si sforzò di mostrarsi compiaciuto. «Allora ci hai riportato Esione, fratello mio?» «No», rispose Paride. «Mio re e padre, ho portato un trofeo assai più prezioso di quello che mi avevi mandato a prendere.» Condusse avanti la sconosciuta e le tolse il velo. Cassandra e tutti gli altri che si trovavano nel cortile soffocarono esclamazioni di stupore. La donna era di una bellezza che andava al di là di ogni immaginazione. Era alta e squisitamente modellata, con i capelli fini e biondi come l'oro più pregiato; il viso era marmo cesellato, gli occhi avevano l'azzurro intenso d'un cielo tempestoso. «Ti presento Elena di Sparta, che ha consentito a diventare mia moglie.» Cassandra levò lo sguardo verso la finestra e vide Enone premersi contro la bocca la mano tremante, poi voltarsi di scatto e sparire, lasciando Andromaca che sgranava gli occhi sgomenta. Paride alzò la testa; e Cassandra non riuscì a capire se aveva visto la fuga precipitosa di Enone. Subito dopo il giovane si rivolse a Elena, che gli sussurrò qualcosa; poi parlò di nuovo a Priamo.«Vuoi porgere alla mia donna il benvenuto a Troia, padre?» Priamo fece per aprir bocca, ma Ecuba lo precedette. «Se è qui di sua spontanea volontà, è la benvenuta», rispose la vecchia regina. «Troia non approva il ratto e la violenza contro le donne; altrimenti non saremmo migliori dei malvagi che ci hanno tolto Esione. A proposito di Esione, dov'è? La tua missione, figlio mio, era riportarla: e sembra che in questo tu abbia fallito. Nobile Elena, sei venuta qui di tua volontà?» Elena di Sparta sorrise e si toccò i capelli splendidi, lunghi e sciolti come a Troia li portavano soltanto le giovani vergini, e simili a un velo fulgido appena poco più chiaro del cerchietto d'oro che li tratteneva. Portava una tunica del lino più fine venuto dalla terra dei faraoni, e la vita sottile era fasciata da una cintura di dischi d'oro battuto e intarsiati di lapislazzuli che richiamavano il colore degli occhi. La figura era tornita, con il seno prosperoso, le gambe lunghe dalle linee che si scorgevano appena sotto le ampie pieghe della veste. Parlò con voce profonda e dolce. «Ti prego, regina di Troia, di offrirmi il benvenuto e di accogliermi. La Dea mi ha dato a tuo figlio, e lei stessa non potrebbe provare amore più grande di quello che sento per lui.» «Ma tu hai già un marito», disse esitando Priamo. «Oppure è falsa, la notizia che avevi sposato Menelao di Sparta?» Fu Paride a rispondere: «Gli fu data illegalmente. Menelao è un usurpatore che ha preso la principessa per le sue terre. Sparta è la città di Elena per diritto materno; sua madre Leda vi regnava, e l'aveva ereditata da sua madre e da sua nonna. Il padre...» «Non è mio padre», l'interruppe Elena. «Mio padre è Zeus il Tonante, e non l'usurpatore che prese la città di mia madre con la forza delle armi e sposò la regina contro il suo volere.» Priamo era ancora sospettoso. «So ben poco del Tonante», disse. «Non è venerato qui a Troia. E noi non siamo rapitori di donne...» «Mio signore», l'interruppe Elena. Si avvicinò a Priamo e gli prese la mano con un gesto che a Cassandra parve audace. «Ti prego, in nome della Dea, di accordarmi la protezione e l'ospitalità di Troia. Per amore di tuo figlio, sono stata proscritta dagli achei che hanno conquistato la mia patria. Vorresti rimandarmi tra loro perché diventassi una reietta?» Priamo guardò gli occhi bellissimi, e per la prima volta Cassandra notò l'effetto che Elena aveva su tutti. Priamo cambiò espressione, deglutì e la fissò di nuovo. «Mi sembra ragionevole», disse. Ma, nonostante la frase fosse breve, dovette tirare il fiato due volte. «Nessuno si è mai appellato invano all'ospitalità di Troia. Senza dubbio non possiamo rimandarla a un marito che l'ha presa con la forza...» Cassandra non riuscì più a tacere. «In questo mente!» esclamò. «Ricordi? Odisseo ci disse che fu lei stessa a scegliere Menelao tra più di due dozzine di pretendenti, e fece giurare agli altri di difendere il marito contro chiunque avesse rifiutato di accettare la sua scelta! «Padre, io non voglio aver nulla a che fare con questa donna! È lei che porterà rovine e disastri alla nostra città e al nostro mondo! Che cosa è venuta realmente a fare?» Elena aprì la bocca per lo stupore e proruppe in un grido... come un animale ferito, pensò Cassandra, che s'impose di non provare pietà per la regina di Sparta. Paride fissò la sorella con aria di collera e di disgusto. «Ho sempre saputo che sei pazza», disse. «Mia signora, ti prego di non badare a lei. È la mia gemella; gli Dei l'hanno colpita con la follia, e si crede una profetessa. Non parla d'altro che di morte e di rovina per Troia, e ora ha deciso che tu ne sarai la causa.» Elena posò lo sguardo su Cassandra. «È molto triste che una donna tanto bella sia pazza.» «La commisero», disse Paride. «Ma non siamo tenuti ad ascoltare i suoi vaneggiamenti. Non sai cantare un'altra canzone, Cassandra? Questa l'abbiamo già ascoltata tutti, e ne siamo stanchi.» Cassandra strinse i pugni, «Padre», invocò, «cerca di comprendere! Che io sia pazza o no, non c'entra con ciò che ha fatto Paride. Non può sposare questa donna: ha già un marito, e dozzine di testimoni l'hanno vista sposarlo di sua scelta. E Paride ha già una moglie. Oppure hai dimenticato Enone?» «Chi è Enone?» chiese Elena. «Non preoccuparti di lei, amore mio», disse Paride guardandola negli occhi. «È una sacerdotessa del Dio del fiume Scamandro; l'ho amata per qualche tempo, ma ho cessato per sempre di pensare a lei dal giorno in cui ti ho vista.» «È la madre del tuo primogenito, Paride», continuò Cassandra. «Oseresti negarlo?» «Lo nego», disse Paride. «Le sacerdotesse dello Scamandro si prendono tutti gli amanti che vogliono. Come posso sapere chi è il padre di suo figlio? Perché pensi che non l'abbia sposata?» «Un momento», intervenne Ecuba. «Noi abbiamo accettato Enone perché portava in grembo tuo figlio...» Enone andava bene per un pastore figlio di Agelao, ma non è di nascita abbastanza nobile per il figlio di Priamo, pensò Cassandra. A voce alta disse: «Se abbandoni Enone, sei uno sciocco e un disonesto. Ma qualunque cosa possa fare Paride, padre, ti supplico di tenere lontana questa donna di Sparta. Posso dirti che attirerà la guerra su questa città...» «Padre», la interruppe Paride, «preferisci dare ascolto a questa pazza oppure a tuo figlio? Perché ti assicuro: se rifiuti di accogliere la sposa che mi hanno dato gli Dei, me ne andrò da Troia e non vi ritornerò mai più.» «No!» gridò disperata Ecuba. «Non dire così, figlio mio! Ti avevo già perduto una volta...» Con aria turbata, Priamo disse: «Io non voglio scontrarmi con il fratello di Menelao. Ettore», chiese poi, «tu che ne dici?» Ettore si fece avanti e guardò Elena negli occhi; con un senso di sgomento Cassandra si accorse che anche lui cedeva di fronte alla sua bellezza. Com'era possibile che un uomo non potesse guardare Elena senza smarrire la ragione? «Ebbene, padre», disse Ettore, «a quanto sembra tu hai già un motivo di dissidio con Agamennone. Hai dimenticato che tiene ancora prigioniera Esione? Potremo sempre dire che terremo Elena in ostaggio finché Esione non ci sarà resa. Perché gli achei dovrebbero essere liberi di rubarci le donne e il bestiame? Ti porgo il benvenuto a Troia, nobile Elena... sorella», disse, tendendo il braccio e stringendo fra le dita la mano delicata della donna. «E ti giuro che un nemico di Elena di Sparta è un nemico di Ettore di Troia e di tutta la sua stirpe. Sei soddisfatto, fratello mio?» «Se l'accogli nella città, il pazzo sei tu, padre mio!» esclamò Cassandra. «Non vedi il fuoco e la morte che porta con sé? Darai alle fiamme Troia perché un uomo è infedele e desidera la moglie di un altro?» Aveva deciso di mostrarsi calma e ragionevole; ma, quando sentì le acque nere della profezia salire per soffocarla, urlò di sgomento. «No! No, ti supplico, padre...» Priamo risalì sul carro. «Ho cercato d'essere paziente con te, ragazza; ma adesso sono stanco. Torna alla Casa del Signore del Sole, protettore dei pazzi. E pregalo perché ti mandi visioni più fauste. In quanto a me, non sia mai detto che Priamo di Troia rifiuti ospitalità a una donna che si presenta come supplice.» «Oh, Dei!» esclamò Cassandra. «Non capite? Questa donna vi ha incantato tutti? Madre, non capisci che cosa ha fatto a mio padre e ai miei fratelli?» Ettore si avvicinò e trascinò Cassandra lontano dai carri. «Non star lì a ululare», disse bonariamente. «Calmati, Occhi Splendenti. Immagina che si arrivi a una guerra con gli achei. Credi che non sapremo rimandarli a quel pascolo per capre che è la loro terra natale? La guerra apporterebbe disastri, non a Troia, bensì ai nostri nemici.» La voce aveva un tono di compassione. Cassandra rovesciò la testa all'indietro e proruppe in un lungo gemito di sgomento e di disperazione. «Povera ragazza», disse Elena, accostandosi, «perché hai deciso di odiarmi? Sei la sorella dell'uomo che amo, e sono pronta a volerti bene.» Cassandra si ritrasse dalle mani protese di Elena. Sentiva che sarebbe stramazzata vomitando se l'avesse toccata. Levò verso Priamo gli occhi colmi d'angoscia. «Oh, perché non vuoi ascoltarmi? Non capisci che cosa significherà tutto questo? L'uomo non combatte da solo; anche gli Dei, qui, combattono... e nessun uomo può sopravvivere quando v'è guerra tra gli Immortali», gemette. «Eppure tu dici che sono io la pazza! La tua follia è ben più grave della mia, sappilo!» Si voltò di scatto e corse verso la reggia. Il cuore le batteva come se avesse fatto di corsa tutto il tragitto fin dalla casa del Dio del Sole; si sentiva nauseata e tremante, e le sembrava di procedere tra fiamme che s'innalzavano intorno a lei e avvolgevano l'intero palazzo nell'odore di bruciato e nel fumo... Quando due mani la toccarono, urlò di terrore e cercò di ritrarsi; ma le dita la trattennero, due braccia affettuose la strinsero. La tenebra si dileguò; l'incendio non c'era. Confusa, vide davanti a sé gli occhi scuri di Andromaca.
Sulla scalinata del palazzo apparve una donna alta e imperiosa, con i capelli acconciati in riccioletti che fiammeggiavano come oro nel sole mattutino. Era vestita riccamente, alla cretese, con un corpino allacciato e scollato, e una gonna a balze di molti colori, un colore per ogni balza. Cassandra notò subito la rassomiglianza con Elena: doveva essere la sorella, Clitennestra. La regina passò in mezzo alla scorta e s'inchinò profondamente ad Agamennone. Parlò con voce dolce e chiara. «Mio signore, è una grande gioia darti il bentornato su queste terre e nel palazzo dove un tempo regnavi al mio fianco», disse. «Abbiamo atteso a lungo questo giorno.» Gli porse entrambe le mani, e il re le prese e le baciò. «È una gioia ritornare a casa, signora.» «Abbiamo preparato festeggiamenti e un grande sacrificio degno dell'occasione», disse Clitennestra. « Sono ansiosa di ucciderti. » No, pensò sconvolta Cassandra: non può averlo detto. Eppure io l'ho udito. In realtà Clitennestra aveva detto: «Sono ansiosa di vederti prendere il posto che abbiamo preparato per te». «È tutto pronto per il bagno e il banchetto», continuò Clitennestra. «Tra poco ti vedremo morto tra le vittime sacrificali.» Ancora una volta Cassandra aveva udito ciò che Clitennestra stava pensando, non ciò che avevano detto le sue labbra. La Vista, indesiderata, era ritornata a lei. Clitennestra indicò ad Agamennone il palazzo. «È tutto pronto, mio signore. Entra a officiare il sacrificio.» Agamennone s'inchinò e incominciò a salire la scalinata. Clitennestra lo guardò con un sorriso che fece rabbrividire Cassandra. Possibile che il re non capisse? Ma il re si muoveva senza esitazioni. Quando raggiunse i grandi battenti di bronzo in cima alla gradinata, Egisto, armato della grande scure sacrificale, li spalancò e lo spinse dentro. La porta si richiuse dietro di lui. Clitennestra scese la scala e raggiunse il carro. «Sei tu la principessa troiana, la figlia di Priamo? Mia sorella mi ha fatto sapere che tu eri l'unica amica che aveva trovato a Troia.» Cassandra s'inchinò. Non era certa che la prossima mossa di Clitennestra non fosse piantarle un coltello nel cuore. «Sono Cassandra di Troia, e a Colchide sono diventata sacerdotessa della Madre Serpente.» Clitennestra guardò il piccino e chiese: «È il figlio di Agamennone?» «No», rispose Cassandra. Non sapeva dove avesse preso il coraggio di parlare con tanta audacia. «È mio figlio.» «Bene», disse Clitennestra. «Non voglio figli del re in questa terra. Allora può vivere.» In quel momento un urlo terribile si levò all'interno del portone di bronzo. Qualcuno lo spalancò e Agamennone apparve in fuga in cima alla gradinata, inseguito da Egisto che brandiva la grande bipenne sacrificale. La roteò nell'aria e l'avventò sul cranio del re. Agamennone barcollò e cadde, rotolando giù per gli scalini fino ai piedi di Clitennestra. La regina urlò: «Siate testimoni, o sudditi! Così la Signora vendica Ifigenia!» Vi furono acclamazioni e grida di trionfo. Egisto scese reggendo la scure insanguinata e gliela porse. I soldati di Agamennone gridarono indignati, ma le guardie di Egisto li zittirono prontamente. Clitennestra chiese a Cassandra: «Hai qualcosa da dire, principessa di Troia che forse speravi di diventare regina di questa città?» «Vorrei essere stata io a impugnare la scure», rispose Cassandra, raggiante. S'inchinò a Clitennestra e disse: «In nome della Dea, hai vendicato i torti fatti a lei. Quando si fa torto a una donna, si fa torto anche alla Dea». Clitennestra ricambiò l'inchino e le prese le mani. «Tu sei una sacerdotessa e sapevo che avresti compreso.» Guardò il bimbo addormentato. «Non ti serbo rancore», disse. «Qui reintrodurremo le vecchie usanze. Elena non ha lo spirito per farlo a Sparta, ma io lo possiedo. Vuoi restare qui ed essere la sacerdotessa della Signora? Se lo desideri, puoi entrare nel suo tempio.» Cassandra stava ancora ansimando e il cuore le martellava. Nel viso di Clitennestra vedeva ancora la brama di distruzione. Aveva vendicato il disonore causato alla Dea: ma Cassandra la temeva ancora. La Dea assumeva molte forme, ma in quella forma lei non l'amava. Non aveva mai incontrato una donna così forte, regina e sacerdotessa. Per una volta aveva incontrato una forza più potente della sua. Oppure vedeva in Clitennestra l'antico potere della Dea, così com'era stata prima che gli Dei e i re invadessero quella terra? Era una Dea che lei non poteva servire. «Non posso», rispose con calma. «Io... questa non è la mia terra, o regina.» «Allora tornerai alla tua patria?» «Non posso tornare a Troia», disse Cassandra. «Se mi dai licenza di partire, signora, andrò dalle mie parenti a Colchide.» «Un simile viaggio con un bambino al seno?» chiese sbalordita la regina. Poi uno strano cambiamento si operò nel volto di Clitennestra. Una pace ultraterrena addolcì i lineamenti decisi e parve illuminarli. Una voce che Cassandra conosceva bene disse: Sì, io ti chiamo a casa. Parti immediatamente, figlia mia. Cassandra s'inchinò fino a terra. L'ordine era giunto. Non sapeva ancora come avrebbe viaggiato, che cosa sarebbe stato di lei. Ma ancora una volta era sotto la protezione della voce che l'aveva chiamata quand'era poco più d'una bambina. La sacerdotessa di Colchide aveva detto la verità: Gli Immortali si comprendono tra loro. «Ti chiedo di partire immediatamente», disse. E Clitennestra rispose: «Non dobbiamo trattenere chi è stata chiamata da una divinità. Ma non vuoi riposare e cambiarti le vesti, e prendere cibo per te e il bambino?» Cassandra scosse il capo. «Non ho bisogno di nulla», rispose. Sapeva che con l'oro donatole da Agamennone non avrebbe sofferto privazioni. Non voleva accettare nulla da Clitennestra... o dalla Dea di quel luogo. Partì poco dopo. Con il piccino legato nello scialle, andò al porto, dove trovò una nave che l'avrebbe condotta nella prima tappa dell'arduo viaggio fino in capo al mondo, fino alla sua parente Imandra e alle porte ferree di Colchide. Non era più priva della Vista: era di nuovo se stessa, e dopo tutte le sofferenze sapeva che la Dea non l'aveva abbandonata. Sul molo fu avvicinata da una donna, abbigliata d'una lacera tunica color terra, con il volto coperto da uno scialle sciupato. «Sei tu la principessa troiana?» le chiese. «Sono diretta a Colchide, e ho saputo che stai andando là.» «Sì, ma perché...?» «Anch'io devo andare a Colchide», disse la donna. «Un Dio mi ha chiamato. Accetti la mia compagnia?» «Chi sei?» «Mi chiamano Zacinta», disse la donna. Cassandra la fissò e non vide nulla. Forse la donna era legata a lei dal fato; in ogni caso, nessun Dio lo vietava. E anche Clitennestra aveva dubitato che potesse compiere quel viaggio, sola con un bambino non svezzato. Con un sospiro di sollievo sciolse lo scialle in cui aveva legato il figlio, e lo porse alla sconosciuta. «Ecco», disse. «Puoi portarlo finché dovrò allattarlo di nuovo.»
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