IL TEMPO NEL CONTESTO PAGANO EUROPEO... DA TEMPO CICLICO A TEMPO ESCATOLOGICO
La festa di Halloween si colloca in pieno autunno, nel declinare del tempo verso il proprio esaurimento, nel buio e nel freddo; il Natale coincide col solstizio d'inverno, nel momento in cui i giorni finiscono di accorciarsi e le giornate si allungano: si assiste al manifestarsi che porta alla luce.
Misurare il tempo (e lo spazio) è stata da sempre una delle necessità basilari delle società.
Per elaborare i calendari sono confluiti bisogni economici\produttivi, ma anche religiosi, con la divisione fra tempo profano e tempo sacro, quello della festa, e tra momenti propizi e momenti infausti.
"Il calendario cristiano e occidentale, quello oggi principalmente conosciuto e utilizzato, è il frutto di stratificazioni, assemblaggi, mutamenti e correzioni che si sono succeduti nei millenni e che sono scaturiti da contatti tra diversi popoli e culture, da trasformazioni di ordine religioso e socio-economico, da
progressi matematici e astronomici nelle misurazioni".
Le società antiche avevano negli eventi della natura il punto di riferimento principale per la misurazione del tempo: il ciclo del Sole (giornaliero e annuale), quello delle lunazioni e quello delle stagioni ne costituivano gli elementi fondamentali.
"Le fasi della Luna", scrive Mircea Eliade, "hanno rivelato all'uomo il tempo concreto, distinto dal tempo astronomico, che senza dubbio venne scoperto più tardi".
"Per altri popoli fu l'inizio della buona stagione, dopo la fine dell'inverno, a fungere da perno della misurazione temporale annuale. Certo è che nei momenti di "passaggio" nei cicli venivano celebrati e scanditi da periodi di festa e dallo svolgersi dei riti."
Nota di Lunaria: infatti tutto il Paganesimo è una celebrazione continua di feste stagionali, perché è dai mutamenti stagionali che dipende la sopravvivenza (o la carestia).
Nei giorni della festa (che costituivano un ciclo), si riattualizzavano il tempo\avvenimento mitico che costituiva il fondamento della festa stessa.
"I riti primaverili in cui si "uccideva" in modo figurato un fantoccio o si sacrificava un animale, non avevano solo intenti di offerta o purificazione, ma volevano celebrare un mito di morte-rinascita, di fine-ricominciamento. Nei grandi riti di passaggio annuale veniva evocato (anche) il ritorno a una mitica età primordiale, per ottenere, riattualizzandolo, il caos originale, l'annullamento e il conseguente rinnovamento del tempo."
(vedi, per esempio, la Croazia o la Slovenia, che hanno mantenuto alcune feste stagionali relative a "fantocci vegetali" nota di Lunaria https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/zeleni-jurij-luomo-verde-nel-folklore.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/croazia-il-poklad-thana-poesia-e-tanto.html)
"Le feste avvengono in un tempo sacro, cioè nell'eternità" (Mircea Eliade)
"Ma il tempo della festa e soprattutto della Grande Festa, quella del passaggio dell'anno, quella della crisi solstiziale, è anche un tempus terribile: l'uomo è rassicurato dal rito, giacché questo lo guida e lo protegge mentre attraversa ore e giorni particolari, e perfino pericolosi, ambigui, insidiosi; ore e giorni che, sfuggendo al quotidiano, vedono aprirsi porte che lasciano irrompere, nella dimensione umana e terrena, forze che richiedono di essere "gestite" con enorme attenzione."
L'avvicendarsi delle stagioni, dei cicli solari, delle fasi lunari, la periodica ripetitività dei fatti della natura suggeriscono una dinamica circolare del tempo; queste società erano legate ad una vita fortemente condizionata dai ritmi naturali. La fine dell'anno veniva considerata e celebrata come chiusura di un ciclo, annullamento del passato e inizio di un nuovo arco di tempo che andava affrontato dopo riti di rinnovamento e di purificazione che liberassero dai mali, dai peccati e dai gravami del passato stesso.
Il movimento del tempo veniva raffigurato e misurato in modo come se fosse rinchiuso in un cerchio; il cerchio finisce e ricomincia in una dinamica perpetua, in un mordersi la coda; e proprio il serpente che si morde la coda rappresentava, a livello iconografico, il tempo periodico e l'anno.
Popolazioni dedite ai culti solari individuavano il Capodanno nella data del Solstizio invernale; altri lo ponevano all'arrivo della primavera.
"La circolarità biologica, meteorologica, stagionale e religiosa sono il bozzolo all'interno del quale la società contadina e il mondo popolare hanno affrontato i problemi vitali per secoli, malgrado e in parallelo con la concezione lineare egemonica del tempo vigente nell'Occidente cristiano." (Prandi)
"Le date importanti del calendario cristiano, quelle dedicate alla celebrazione della nascita di Cristo o ai principali santi, la chiesa scelse, per facilitare il passaggio dalle vecchie alla nuova religione, di porle in giorni dedicati a feste e celebrazioni nei calendari pre-cristiani, conservando parte degli antichi contenuti e significati religiosi. Così, il natale, ricorrenza della nascita di Cristo, fu posto nel giorno in cui nella Roma imperiale si celebravano due ricorrenze di derivazione orientale: la nascita di Mithra e il Natale del Sole Invitto (Dies Natalis Solis Invicti)"
Nota di Lunaria: una sintesi del pensiero di Agostino sul tempo:
Agostino connette quindi la nozione di "anima" alla nozione di "tempo" e traduce il tempo in "storia": l'Anima è l'autentica dimora del Tempo, perché il Tempo non esisterebbe senza anima, dove il passato vive come memoria, il futuro come attesa e il presente come attenzione per le cose che ci sono dinanzi. In questo modo il tempo diventa "interiorità" e saldandosi con "verità" e "salvezza", chiude il senso del tempo nei percorsi dell'anima. Il tempo greco non aveva alcun legame con l'interiorità dell'uomo perché era scandito dai ritmi della Natura che stagione dopo stagione, ripete se stessa nel compimento del suo ciclo dove, scrive Empedocle: "Gli elementi predominano a vicenda mentre il ciclo si svolge, e gli uni negli altri crescono e periscono nella vicenda del loro destino"
A questo, Agostino sostituisce "il tempo della salvezza", che non è più scandito dai tempi della Natura, ma dalla promessa di Dio. Nasce il tempo escatologico che soppianta il tempo ciclico, perché il divenire degli eventi non è affidato alla loro semplice ripetizione, ma è inscritto tra la creazione del mondo e la sua redenzione. Con Agostino il tempo è gravido di senso, perché inscritto in un disegno. è costruzione dell'evento salvifico. Questa concezione agostiniana del tempo, non più ciclica ma escatologica, sarà la cifra decisiva dell'Occidente, che anche quando abbandona la matrice cristiana, continuerà a pensare in modo cristiano, sia che faccia scienza in vista del progresso, sia che costruisca utopie in vista di un mondo migliore, sia che scateni rivoluzioni per un rinnovamento del mondo
...E IL TEMPO NEL CONTESTO ORIENTALE
La Ruota del Tempo è il modo tibetano di ancorare l'essere umano alle dimensioni materiale, spirituale ed universale. Essa viene eseguita con sabbie colorate in occasione di iniziazioni o rappresentata su rotoli di tessuto ricamato o dipinto. La Ruota del Tempo o iniziazione del Kalachakra è contemporaneamente l'inaugurazione di un cammino verso la conoscenza e il sentiero che conduce all'armonia. Questa armonia deriva da una sottile risonanza tra il corpo e lo spirito umani verso l'universo esterno che serve loro da scrigno nelle sue dimensioni astrologica e cosmica.
La simbologia della Ruota del Tempo è strettamente legata al nostro mondo e alla nostra epoca: "Noi crediamo nel suo potere di ridurre le tensioni, noi la riteniamo atta a creare la pace, la pace dello spirito, e di conseguenza a favorire la pace nel mondo. Un giorno, nei secoli a venire, il regno di Shambala potrà chiaramente riapparire nella realtà che sembra essere la nostra, e contribuire all'opera d'insieme che ancora dobbiamo compiere in questo mondo."
Calendario Astrologico: Yama, signore della morte, regge un disco nel quale si collocano i tre veleni, gli otto segni di buon augurio e i dodici segni dello zodiaco.
La Ruota della Vita trascrive visivamente le diverse tappe delle esistenze. La troviamo dipinta sui muri, su carta o tessuti. Essa ricorda a tutti gli esseri sensibili che il fine supremo è nel Risveglio. Riprodotta e raffigurata senza sosta, essa ha accompagnato generazioni di rudi nomadi o di fini letterati sulle molteplici strade della ricerca o della devozione, rammentando a ognuno il tempo che passa e le Quattro Nobili Verità: l'esistenza del dolore, la sua origine e le sue cause, la sua cessazione e la via che vi conduce.
Tradizionalmente, il Signore della Morte dallo sguardo adirato, con i denti sporgenti e la fronte cinta da una macabra corona, tiene stretto tra le vigorose braccia un grande disco dove sono inscritti quattro cerchi concentrici.
Munito di artigli, con una pelle di tigre di cui intravediamo la coda e le zampe posteriori, questo personaggio terrificante porta dei gioielli a serpentina.
Si ritiene che raffiguri il destino (karma) e che simbolizzi il carattere transitorio di tutti i fenomeni.
Il percorso da seguire per interpratare questo breviario esistenziale inizia al centro. Il primo cerchio contiene i tre veleni spirituali responsabili dei mali a venire: un maiale nero per l'ignoranza, un serpente verde per l'odio e l'invidia, un gallo rosso per il desiderio e la cupidigia. Un secondo cerchio lo circonda, per metà bianco e per metà nero. Chiunque si lasci intrappolare dai cattivi impulsi imbocca il cammino dell'ombra (ngändro lam) che conduce alle Rinascite infelici e agli inferi. Gli altri imboccano il sentiero della luce (dedrö lam) che conduce alle migliori Rinascite e alle terre della liberazione.
Una dozzina di piccoli riquadri costituiscono il cerchio esterno del grande disco: sviluppano le tappe dell'esistenza umana, con simboli di facile comprensione. Cominciando in basso a sinistra, un vecchio cerca il proprio cammino sotto l'influenza dell'ignoranza, che è un accecamento spirituale.
Poi, il vasaio che ruota un vaso modella il proprio destino con le sue azioni. La scimmia che salta di ramo in ramo rinvia alla coscienza incontrollata degli ignoranti che occorre disciplinare per conseguirne la padronanza. La barca e i suoi due passeggeri rappresentano il nome e la forma, o le energie - fisica e spirituale - inseparabili nel corso della vita. La casa con cinque finestre della quinta vignetta evoca i cinque sensi e la facoltà del pensiero, senza la quale non è data nessuna percezione del mondo esteriore. L'uomo e la donna abbracciati rappresentano il contatto, conseguente delle percezioni.
Le emozioni vengono dopo: così, la donna che offre da bere all'uomo risveglia il desiderio, simbolo della sete di vivere suscitata dalle percezioni. Da ciò risulta l'attaccamento sensuale, la tendenza ad attaccarsi all'oggetto del desiderio: ed ecco un uomo che coglie i frutti dell'albero.
Nella casella successiva, la graziosa ragazza suggerisce la procreazione, una nuova vita che sta germinando. Poi c'è il parto, una nuova vita. L'ultima tappa terrestre è sanzionata dalla morte, e la preparazione a una prossima nascita in uno dei sei segni che costituiscono il nostro universo.
Tra il cerchio esteriore delle stagioni umane e la doppia via bianca o nera si estendono i sei regni dove l'essere deve rinascere in funzione dei propri atti corporali, della parola e del pensiero. Vediamo il paradiso temporaneo degli Dei, poiché anche gli Dei muoiono, là dove non è rispettato il richiamo del buddha contro la vanità dei piaceri. Nella metà inferiore vi sono tre spazi che è bene evitare: sono luoghi lugubri in cui i cattivi spiriti si accaniscono a moltiplicare i tormenti. A destra vediamo mostri avidi torturati dalla fame e dalla sete che non possono placare i loro desideri. Il loro cielo è tuttavia rischiarato da un buddha che reca uno scrigno colmo di gioielli dello spirito. Un po' più in basso stanno i luoghi infernali, dove regnano fuoco e ghiaccio per punire i colpevoli di cattive azioni perpetrate sono l'influsso dell'odio e della collera.
L'ultima sezione inferiore a sinistra è popolata da animali, schiavi del buon volere di altri essere, e il buddha vi testimonia la sua presenza con il libro. Tra questo regno animale e la sede degli Dei sta lo spazio degli uomini con tutte le loro diversità. è all'essere umano che tocca in definitiva il maggior privilegio, perché in tale caleidoscopio screziato all'infinito egli è il solo a poter compiere scelte, a prestare coscientemente orecchio all'insegnamento del monaco mendicante che gli indica la via che conduce alla cessazione del dolore.
APPROFONDIMENTO: IL TEMPO IN EMIL CIORAN
In se stessa ogni idea è neutra, o dovrebbe esserlo; ma l'uomo la anima, vi proietta i propri ardori e le proprie follie; impura, trasformata in convinzione, essa si inserisce nel tempo, assume forma di evento: il passaggio dalla logica all'epilessia è compiuto... Nascono così le ideologie, le dottrine e le farse cruente. Idolatri per istinto, noi convertiamo in Incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi Assoluti, una successione d templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all'Improbabile. Anche quando si allontana dalla religione, l'uomo vi rimane assoggettato; si affanna a creare simulacri di dèi, e si precipita poi ad adottarli: il suo bisogno di finzione, di mitologia, trionfa sull'evidenza e sul ridicolo.
L'abbondanza delle soluzioni agli aspetti dell'esistenza è pari solo alla loro futilità. La Storia: fabbrica di ideali, mitologia lunatica, frenesia delle orde e dei solitari, rifiuto di considerare la realtà quale è, sete mortale di finzioni...
L'origine dei nostri atti sta nella propensione inconscia a ritenerci il centro, la ragione e l'esito del tempo. I nostri riflessi e il nostro orgoglio trasformano in pianeta la briciola di carne e di coscienza che noi siamo. Se avessimo il giusto senso della nostra posizione nel mondo, se confrontare fosse inseparabile dal vivere, la rivelazione della nostra infima presenza ci schiaccerebbe. Ma vivere significa ingannarsi sulle proprie dimensioni...
Giacchè se tutti i nostri atti - dal respiro sino alla fondazione degli imperi o dei sistemi metafisici - derivano dalle illusioni che ci facciamo sulla nostra importanza, a maggior ragione l'istinto profetico. Chi mai, avendo l'esatta visione della propria nullità, tenterebbe di agire sulla realtà e di erigersi a salvatore?
L'amore - un incontro di due salive... Tutti i sentimenti attingono il loro assoluto dalla miseria delle ghiandole. Non vi è nobiltà se non nella negazione dell'esistenza, in un sorriso che sovrasta paesaggi annientati".
(Un tempo avevo un "io"; ormai sono soltanto un oggetto...Mi imbottisco di tutte le droghe della solitudine; quelle del mondo erano troppo leggere per farmelo dimenticare. Dopo aver ucciso in me il profeta, come potrei avere ancora un posto tra gli uomini?)
...Ed ecco perchè, ritrovandoci dopo ogni notte di fronte a un nuovo giorno, l'irrealizzabile necessità di riempirlo ci colma di spavento; e, spaesati nella luce, come se il mondo si fosse appena messo in moto, avesse appena inventato il suo Astro, noi fuggiamo le lacrime - poichè ne basterebbe una sola per estrometterci dal tempo.
Gli istanti si susseguono gli uni agli altri: nulla conferisce loro l'illusione di un contenuto o la parvenza di un significato; si svolgono; il loro corso non è il nostro; prigionieri di una percezione inebetita, li guardiamo passare; il vuoto del cuore dinanzi al vuoto del tempo: due specchi, uno di fronte all'altro, che riflettono la loro assenza, una stessa immagine di nullità... Come sotto l'effetto di un'idiozia sognante, ogni cosa si livella: niente più cime, niente più abissi...Dove scoprire la poesia delle menzogne, il pungolo di un enigma?
Chi non conosce la noia si trova ancora nell'infanzia del mondo, quando le epoche erano di là da venire; rimane chiuso a questo tempo stanco che si sopravvive, che ride delle sue dimensioni, e soccombe sulla soglia del suo stesso...avvenire, trascinando con sé la materia, elevata improvvisamente a un lirismo di negazione. La noia è l'eco in noi del tempo che si lacera... la rivelazione del vuoto, l'esaurirsi di quel delirio che sostiene - o inventa - la vita...
Creatore di valori, l'uomo è l'essere delirante per eccellenza, vittima della convinzione che qualche cosa esista, mentre gli basta trattenere il respiro e tutto si ferma, sospendere le sue emozioni e niente freme più, sopprimere i suoi capricci e tutto diventa scialbo.
La realtà è una creazione dei nostri eccessi, delle nostre dismisure e delle nostre sregolatezze. Un freno alle nostre palpitazioni: il corso del mondo rallenta; senza i nostri ardori, lo spazio è di ghiaccio. Il tempo stesso non scorre se non perchè i nostri desideri creano questo universo decorativo che un minimo di lucidità metterebbe a nudo. Un briciolo di chiaroveggenza ci riconduce alla nostra condizione primordiale: la nudità; un pizzico; di ironia ci spoglia di quel paludamento di speranze che ci permette di ingannarci e di immaginare l'illusione: ogni via opposta conduce fuori dalla vita. La noia non è che l'inizio di questo itinerario...Essa ci fa sentire il tempo troppo lungo, inadatto a svelarci una fine. Distaccati da ogni oggetto, senza poter assimilare nulla dall'esterno, ci distruggiamo al rallentatore, poichè il futuro ha cessato di offrirci una ragion d'essere.
La noia ci rivela un'eternità che non è il superamento del tempo bensì la sua rovina; è l'infinito delle anime marcite per mancanza di superstizioni: un assoluto piatto in cui nulla impedisce più alle cose di girare in tondo alla ricerca della propria caduta.
La vita si crea nel delirio e si disfa nella noia.
(Chi soffre di uno specifico male non ha il diritto di lamentarsene: ha un'occupazione. I grandi sofferenti non si annoiano mai: la malattia li riempie, così come il rimorso nutre i grandi colpevoli. Ogni sofferenza intensa suscita un simulacro di pienezza e propone alla coscienza una realtà terribile, che essa non riesce a eludere; mentre la sofferenza senza materia, in quel lutto temporale che è la noia, non oppone alla coscienza niente che la obblighi a un passo fruttuoso. Come guarire da un male non localizzato e sommamente impreciso, che colpisce il corpo senza lasciarvi traccia, che si insinua nell'anima senza imprimervi un segno? Assomiglia a una malattia cui si sia sopravvissuti ma che abbia assorbito le nostre possibilità, le nostre riserve di attenzione e ci abbia lasciati incapaci di colmare il vuoto conseguente alla scomparsa delle nostre angosce e allo svanire dei nostri tormenti. L'inferno è un rifugio in confronto a questo spaesamento nel tempo, a questo languore vuoto e prostrato in cui nulla ci trattiene se non lo spettacolo dell'universo che si deteriora sotto i nostri occhi. Quale terapia usare contro una malattia di cui non ci ricordiamo più, e i cui postumi si ripercuotono sui nostri giorni? Come inventare una medicina per l'esistenza, come concludere questa guarigione senza fine? E come rimettersi dalla propria nascita? La noia, questa convalescenza incurabile...)
Se i pomeriggi domenicali si protraessero per mesi, dove andrebbe a finire l'umanità, emancipata dal sudore, libera dal peso della prima maledizione? L'esperimento varrebbe la pena d'esser fatto. Con ogni probabilità il crimine diverrebbe l'unico svago, la dissolutezza parrebbe candore, l'urlo melodia e il sogghigno tenerezza. La sensazione dell'immensità del tempo farebbe di ogni secondo un supplizio intollerabile, una cornice da esecuzione capitale. Nei cuori pervasi di poesia si insedierebbero un cannibalismo annoiato e una tristezza da iena; i macellai e i carnefici morirebbero di languore, le chiese e i bordelli risuonerebbero di sospiri. L'universo trasformato in pomeriggio domenicale: è la definizione della noia - e la fine dell'universo...
(L'unica funzione dell'amore è quella di aiutarci a sopportare i pomeriggi domenicali, crudeli e incommensurabili, che ci feriscono per il resto della settimana - e per l'eternità.
Senza l'impulso dello spasmo ancestrale, ci occorrerebbero mille occhi per lacrime nascoste, oppure unghie da rosicchiare, unghie chilometriche...Come ammazzare altrimenti un tempo che non scorre più? In queste domeniche interminabili il male d'essere si manifesta pienamente. A volte riusciamo a dimenticare noi stessi in qualche cosa; ma come fare a dimenticare noi stessi proprio nel mondo? Tale impossibilità è la definizione di quel male. Chi ne è colpito non guarirà mai, nemmeno se l'universo cambiasse completamente. Solo il suo cuore dovrebbe cambiare, ma esso è immutabile; sicchè, per lui, esistere ha un unico senso: immergersi nella sofferenza - fino a che l'esercizio di una quotidiana nirvanizzazione non lo innalzi alla percezione dell'irrealtà...)
Ognuno subisce di persona quella unità di disastro che è il fenomeno uomo. E l'unico senso del tempo è di moltiplicare queste unità, di accrescere indefinitamente queste sofferenze verticali che si reggono su un briciola di materia, sull'orgoglio di un nome e su una solitudine senza appello.
Qualsiasi cosa, elementi e atti, concorre a ferirti, corazzarti di sdegni, isolarti in una fortezza di disgusto, sognare indifferenze sovrumane? Gli echi del tempo ti perseguiterebbero nelle tue estreme assenze... Quando nulla può impedirti di sanguinare, le idee stesse si tingono di rosso o sconfinano come tumori le une sulle altre. Nella farmacie non vi è alcun rimedio contro l'esistenza - solo palliativi per i fanfaroni. Ma dov'è l'antidoto alla disperazione chiara, infinitamente articolata, fiera e sicura? Tutti gli esseri sono infelici; ma quanti lo sanno? La coscienza dell'infelicità è una malattia troppo grave per figurare in un'aritmetica delle agonie o nei registri dell'Incurabile. Essa sminuisce il prestigio dell'inferno e trasforma i mattatoi dei tempi in idilli. Quale peccato hai commesso per nascere, quale colpa per esistere? Il tuo dolore, al pari del tuo destino, è senza motivo. Soffrire davvero significa accettare l'invasione dei mali senza la scusa della causalità, come un favore della natura demente, come un miracolo negativo...
Nella frase del Tempo gli uomini si inseriscono come le virgole, mentre tu, per arrestarlo, ti sei immobilizzato in punto.
La vita non acquista contenuto se non nella violazione del tempo.
Come potrebbe trovar pace? Da un lato, la volontà di essere immersi nella comunione del cuore e del suolo; dall'altro, quella di assorbire continuamente lo spazio in un desiderio inappagato. E poiché lo spazio non ha limiti, e con esso aumenta la propensione per i vagabondaggi, lo scopo arretra via via che si avanza. Da qui il gusto esotico, la passione per i viaggi, il piacere del paesaggio in quanto tale, la mancanza di forma interiore, la profondità tortuosa, seducente e ripugnante nello stesso tempo.
Non si insisterà mai abbastanza sulle conseguenze storiche di certe approssimazioni interiori. Una di queste è appunto la nostalgia: essa ci impedisce di riposare nell'esistenza o nell'assoluto, ci obbliga a fluttuare nell'indistinto, a perdere le nostre basi, a vivere alla scoperto nel tempo.
Non è facile formulare un giudizio sulla ribellione del meno filosofo degli angeli, senza mischiarvi simpatia, stupore e riprovazione. L'ingiustizia governa l'universo. Tutto ciò che vi si costituisce, tutto ciò che vi si disfa porta l'impronta di una fragilità immonda, come se la materia fosse frutto di uno scandalo in seno al nulla. Ciascun essere si nutre dell'agonia di un altro essere; gli istanti si precipitano come vampiri sull'anemia del tempo - il mondo è un ricettacolo di singhiozzi...
Per quali misteri certe mattine ci svegliamo con la smania di demolire ogni cosa, viva o inerte che sia? Quando il diavolo annega nelle nostre vene, quando le nostre idee sono convulse e i nostri desideri fendono la luce, gli elementi si incendiano e bruciano, mentre la loro cenere ci scorre fra le dita. Quali incubi abbiamo alimentato durante la notte, per alzarci nemici del sole? Dobbiamo liquidarci da soli per farla finita con tutto? Quale complicità, quali legami protraggono la nostra intimità con il tempo? La vita sarebbe intollerabile senza le forze che la negano.
Tutto ciò che attiene all'eternità cade inevitabilmente nel luogo comune. Il mondo finisce con l'accettare qualsiasi rivelazione e si rassegna a qualsiasi brivido, purchè se ne sia trovata la formula. L'idea della futilità universale - più dannosa di tutti i flagelli - si è degradata al rango di evidenza: tutti la ammettono e nessuno vi si conforma. Lo spavento di una verità definitiva è stato domato; una volta divenuto ritornello, gli uomini non ci pensano più, perchè hanno imparato a memoria una cosa che, anche solo intravista, dovrebbe trascinarli o verso l'abisso o verso la salvezza. La visione della nullità del Tempo ha fatto nascere i santi e i poeti, e la disperazione di qualche isolato, invaghito di anatemi...
Ieri, oggi, domani, sono categorie a uso dei servi. Per l'ozioso insediati sontuosamente nella Sconsolatezza e afflitto da ogni istante che scorre, passato, presente, futuro non sono altro che parvenze variabili di uno stesso male, identico nella sostanza, inesorabile nel suo insinuarsi e monotono nel suo persistere. E questo male è coestensivo all'essere, è l'essere stesso.
Fui, sono, sarò sono una questione di grammatica e non di esistenza. Il destino - in quanto carnevale temporale - si presta alla coniugazione ma, una volta che sia stato privato delle sue maschere, si rivela immobile e nudo quanto un epitaffio. Com'è possibile attribuire più importanza al tempo presente che a quello passato o futuro? L'equivoco in cui vivono i servi - e qualsiasi uomo aderisca al tempo è un servo - rappresenta un vero stato di grazia, un oscuramento incantato; e questo equivoco - come un velo soprannaturale - occulta la perdizione alla quale è esposto ogni atto generato dal desiderio. Ma per l'ozioso disingannato, il semplice fatto di vivere, il vivere esente da ogni fare, è una fatica così estenuante che sopportare l'esistenza qual è gli sembra un mestiere ingrato, una carriere sfibrante - e ogni gesto supplementare impraticabile e irrilevante.
"Ho sognato primavere lontane, un sole che non illuminasse altro che la schiuma dei flutti e l'oblio della mia nascita, un sole nemico della terra e di quel mare di trovare ovunque soltanto il desiderio di essere altrove. La sorte terrena, chi mai ce l'ha inflitta, incatenandoci a questa materia tetra, lacrima pietrificata contro la quale i nostri pianti - nati dal tempo - si infrangono, mentre essa, immemoriale, è caduta dal primo fremito di Dio?
Restiamo per ore ad attendere altre ore, ad attendere istanti che non fuggano più il tempo, istanti fedeli che ci ristabiliscano nella mediocrità della salute... e nell'oblio dei suoi scogli.
Prima della vecchiaia, verrà un tempo in cui, ritrattando i nostri ardori e curvi sotto le palinodie della carne, cammineremo per metà carogne e per metà spettri... Avremo represso - nel timore di complicità con l'illusione - ogni palpito in noi. Per non essere riusciti a disincarnare la nostra vita in un sonetto, ci trascineremo dietro la nostra putredine in brandelli e, per essere andati più lontano della musica o della morte, avanzeremo incespicando, ciechi, verso una funebre immortalità...
Inchiodati a noi stessi, non abbiamo più la facoltà di deviare dal cammino iscritto nell'innatismo della nostra disperazione. Farci esentare dalla vita perchè essa non è il nostro elemento? Nessuno rilascia certificati di inesistenza. Dobbiamo perseverare nel respiro, sentire l'aria bruciarci le labbra, accumulare rimpianti dentro una realtà che non abbiamo desiderato, e rinunciare a dare una spiegazione al Male che alimenta la nostra rovina. Quando ogni momento del tempo si avventa su di noi come un pugnale, e la nostra carne, sollecita dai desideri, rifiuta di pietrificarsi - come sopportare che un solo istante si aggiunga alla nostra sorte?
Ho visto ciascun uomo procedere nel tempo per isolarsi in un rimuginio angoscioso e ricadere in se stesso, con la smorfia inattesa delle proprie speranze quale unico segno di rinnovamento.
Irresponsabile per tristezza, la tua vita ha deriso i suoi istanti; ma la vita è pietà della durata, sentimento di un'eternità danzante, tempo che supera se stesso e rivaleggia con il sole...
è passato il tempo in cui l'uomo pensava a se stesso in termini di aurora; giacendo su una materia divenuta anemica, ora è disposto a compiere il suo vero dovere, quello di studiare la propria perdita e di correrle incontro; eccolo sulle soglie di una nuova èra: quella della Pietà di sé. E questa Pietà è la sua seconda caduta, più netta e più umiliante della prima: è una caduta senza riscatto. Invano egli scruta gli orizzonti: migliaia e migliaia di salvatori vi si profilano, salvatori da farsa, anche loro sconsolati. Egli se ne allontana per prepararsi, nella sua anima sfatta, alla dolcezza di marcire...Giunto nel più profondo del suo autunno, egli oscilla tra l'Apparenza e il Nulla, tra la forma ingannevole dell'essere e la sua assenza: vibrazione tra due irrealtà...
Il tempo corrompe tutto ciò che si manifesta e agisce: un'idea o un avvenimento, attuandosi, prendono forma e si degradano. Così, quando la moltitudine degli umani si mise in moto, ne derivò la Storia e, con essa, l'unico desiderio puro che abbia ispirato: che si concluda in un modo o nell'altro.
P.s Ovviamente io sono cioraniana dal 2004:
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/cioran-i-miei-stralci-preferiti.html
e lo resterò per il resto della vita...
Qui trovate un altro post su questo argomento: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/05/il-tempo-per-newton-nella-fisica.html