Eternità del Mondo, Creazione Ex Nihilo, l'Uno di Plotino e la Teologia Cristiana

Della serie "un altro articolo Lunaria-style"


Per giunta, per comprare questo librettino cristiano, piccino piccino (sì, 'na sbrodolata di 399 pagine che dovrò sciropparmi TUTTE)


che era messo lì a 2 euro, tutto solo soletto gettato nello scatolone dei libri al mercatino dell'usato, ho dovuto pure rinunciare al prendermi un nuovo rossetto o smalto della Kiko



che suppergiù costava lo stesso...


E voi cristianelli invece di dirmi "W Lunaria, che compra i nostri libri e poi fa uscire tutti questi post dedicati alla nostra religione!"

siete ingrati e screanzati e mi dite che "non hai mai letto un libro di teologia! sono tutte cose che ti inventi tu! Non è vero niente!!!!"


è questo il ringraziamento? Mi sono privata di queste cosine



pensando ai cristianelli adorati, che non hanno mai letto questo librone sulla loro religione... e se non ero io a comprarlo, von Balthasar finiva al macero e il mondo sarebbe stato privato del Grande Capolavoro Cristiano...


LOL, deve essere Lunaria a leggerlo per loro



***


Per Parmenide l'essere non poteva avere altra causa che se stesso, e quel che sembrava essere causato - il moto, la generazione, le forme di vita - non poteva partecipare dell'essere; per Eraclito la tautologia "l'essere è" significava esattamente l'opposto: solo il moto è, il divenire è tutto. Non esiste stabilità e tutte le impressioni di identità sono illusorie. Per evitare queste due evidenti assurdità, sia Platone sia Aristotele furono costretti ad ammettere un livello intermedio dell'essere, in modo che il carattere reciprocamente esclusivo dell'essere e del non-essere non portasse a conclusioni impossibili. Da questa prima ammissione di (almeno) un livello intermedio dell'essere derivò la successiva dottrina neoplatonica della grande catena dell'essere, che si presenta a sua volta come una sintesi di elementi platonici e aristotelici. Fu Plotino (205-270 d.C) a raccogliere l'eredità platonica e aristotelica delle gradazioni dell'essere e a fondere questa idea con la nozione di un non geloso (e peraltro innominato) Uno; egli arrivò così a postulare una grande catena dell'essere che emana dall'Uno scendendo giù giù fino alle forme più basse dell'essere nella scala dell'universo: la materia atomica. 
Secondo Plotino dunque "Perfetto com'è, giacché nulla ricerca, nulla possiede, di nulla ha bisogno, l'Uno trabocca, per così dire, e la sua esuberanza dà origine a una realtà nuova. Ogni volta che qualcosa raggiunge la sua perfezione, vediamo che non può rimanere in se stesso, ma genera e produce qualcos'altro... Come dunque potrebbe l'Essere Perfettissimo e il Primo Bene rimanere chiuso in se stesso, come se fosse geloso o impotente - lui stesso la potenza di tutte le cose? Qualcosa perciò deve essere generato da lui"

L'affermazione secondo cui l'Uno "deve" creare il mondo sottolinea la grande differenza fra la dottrina cristiana dell'analogia e la visione cui erano giunti i greci: un punto che viene spesso trascurato da quelli che accusano i teologi analogici di importare nella rivelazione una falsa categoria ellenizzante. L'universo esiste, ma non trae la propria esistenza da quella di Dio sostanzialmente, quasi che l'esistenza dell'universo fosse una porzione dell'esistenza di Dio, "asportata" per così dire, perché noi potessimo essere. Questa è tutt'altra cosa rispetto alle assunzioni dell'esistenza eterna del mondo all'interno delle quali si muovevano i filosofi greci quando elaborarono il loro pensiero. Nella loro visione del mondo, l'universo partecipa dell'esistenza come un'emanazione via via sempre più debole dell'essere di Dio, che si irradia verso l'esterno nel mondo, finché alla fine - come i raggi del sole a mano a mano più freddi quando raggiungono i pianeti esterni - la luce dell'Essere svanisce davanti alle resistenze dell'ultima "materia prima" che era servita da meteria grezza per la potenza formatrice del Demiurgo. Nella teologia cristiana, invece, la dottrina dell'analogia nacque come risultato delle meditazioni sulla dottrina della creazione, che di colpo stabilisce la completa trascendenza di Dio rispetto all'essere del mondo e tuttavia postula un rapporto tra Dio e il mondo molto più stretto di quanto fosse possibile nella dottrina neoplatonica della grande catena dell'essere. L'universo, in altri termini, è derivativo in un senso molto più radicale di quanto la parola "emanazione" (o anche la parola "derivazione") potesse implicare.

Quando la teologia cristiana, che si basa sulla dottrina della creazione, afferma che l'essere dell'universo è analogo a quello di Dio, lo fa perché costretta dalla dottrina della creazione ad affermare che, in quanto creazione di Dio, l'universo deve avere con lui un legame (per l'evidente ragione che nessuna causa può provocare un effetto totalmente diverso da sé) e che tuttavia, in quanto creazione di Dio, non può essere Dio, anzi non può che essere del tutto finito, dipendente e creato. 
In altri termini, dal momento che Dio creò il mondo, quest'ultimo deve condividere con l'essere di Dio alcune somiglianze, nel senso che non può essere completamente diverso da Dio; ma il mondo è di gran lunga differente dall'essere di Dio, e ciò proprio in quanto è un essere creato e non un essere divino!

Storicamente parlando, l'idea della creazione "dal nulla" proviene dalla Bibbia e non fece mai parte della metafisica greca. è questo un fatto storico accidentale o invece l'impatto della rivelazione che Dio fa di sé nell'Esodo ("Io sono colui che sono") segna un momento assolutamente decisivo nella definizione dell'essere, cui l'uomo non sarebbe mai potuto arrivare senza la donazione di grazia di Dio Stesso? 

Prima di tutto è importante riconoscere, come puro atto storico, che i greci (come ogni altra cultura pagana) non arrivarono a concepire una creazione ex nihilo sulla basa della loro analisi dell'essere (*). 
I risultati dell'indagine nella storia della filosofia ci costringono viceversa a riconoscere che il pensiero metafisico risultò radicalmente modificato e ristrutturato allorché i teologi, a seguito del loro incontro con la tradizione metafisica greca, cominciarono per la prima volta a riflettere sul significato della parola "essere" proposto dall'"Io sono colui che sono".
 
Per rispondere alla domanda dobbiamo prima di tutto volgerci non tanto alla storia della filosofia cristiana (che si sviluppò a lenti passi) quanto alla bibbia stessa, e alla sua costante polemica contro il paganesimo (OVVIAMENTE, perché il suddetto paganesimo aveva dei concetti FEMMINILI di divinità. Nota di Lunaria) In quella polemica, infatti, si nasconde la differenza decisiva fra la metafisica greca e quella cristiana e quindi fra le due versioni dell'analogo dell'essere nei due sistemi.
La polemica biblica contro l'idolatria è un tema scritturale suscettibile di facile fraintendimento, con la sua retorica del dio geloso e il suo esibito disprezzo per le religioni di vicini di Israele, una polemica che, da allora, è sempre parsa dare alle religioni monoteistiche un'aria piuttosto fanatica e disumana.

Il modo migliore per afferrare questo contrasto è di considerare il tema della teogonia, cioè della genealogia degli Dei. In tutte le religioni si incontrano racconti sulla nascita degli Dei, visti come provenienti da un universo pre-esistente, un universo dato tacitamente come sempre esistito - al pari dell'universo con esistenza eterna di Aristotele - Questi racconti propongono innumerevoli varianti del preesistente: uova cosmiche, confluenza di fiumi del mondo, l'albero al centro del mondo e così via. Tutte rappresentano tuttavia il grembo protonaturale da cui sono nati gli Dei della mitologia. Tutte queste figure contengono implicitamente un'idea che è il tratto distintivo del pensiero pagano: l'idea che esista un regno dell'essere precedente agli Dei e al di sopra di loro, da cui essi dipendono, e ai cui decreti dobbiamo obbedire. La divinità appartiene a un regno primordiale, da cui è derivata. Questo regno è concepito in vari modi - come tenebra, acqua, spirito, terra, cielo... - ma sempre come il grembo in cui sono contenuti i semi di ogni essere. Ciò vuol dire che, nella visione pagana, gli Dei non sono la fonte di quello che è, né trascendono l'universo. Quel che manca nella narrazione biblica è una teogonia: il Dio di Israele non ha un albero genealogico né figli (1), non eredita né lascia in eredità la sua autorità. Non muore e non viene resuscitato. Non ha qualità o desideri sessuali e non mostra alcun bisogno o dipendenza da poteri esterni.


(1) Veramente nella bibbia si parla eccome di "figli di Dio" che sono stati tradotti come "angeli" e che probabilmente in origine quando gli ebrei non erano monolatrici indicava un vero e proprio "olimpo" di divinità, figli nati a seguito di rapporti sessuali con la sua PAREDRA Asherah. Poi cancellata, quando gli ebrei hanno deciso di diventare prima "monolatrici" e poi "monoteisti".

(*) Poi c'era quel simpatico cristianello di Fredegiso che fece il dispetto ai suoi fratellini nella fede 😃


Approfondimento su "Il Nulla è qualcosa"

tratto da


(sì, è proprio quello che sembra: Lunaria, l'Ava Gardner della Teologia)



"Carissimo, il nulla è qualcosa, lo dice Dio"

è questa la sostanza della lettera inviata dal diacono Fredegiso a Carlo Magno, forse nell'anno 800. Fredegiso sembra che provenisse da York, come il suo maestro Alcuino che aveva diretto la scuola palatina voluta da Carlo Magno.
La lettera è molto breve: sei pagine circa, e si rivolge a Carlo Magno.
Era opinione prevalente che il nulla e le tenebre, di cui parlano i testi sacri, fossero "nulla" cioè assenza assoluta di essere. La tesi di Fredegiso è del tutto opposta, e la sostiene con argomenti ricavati dalla dimostrazione razionale e poi dall'autorità biblica, cioè divina.
Gli argomenti ricavati dalla ragione si svolgono secondo le procedure sillogistiche apprese dalla logica aristotelica: "Procediamo quindi con la ragione. Ogni nome finito significa qualcosa. Per esempio, "uomo", "pietra", "legno". Non appena queste parole vengono pronunciate noi comprendiamo le cose che esse significano. Quindi se "nulla" è un nome, come sostengono i grammatici, esso è un nome finito. Ma ogni nome finito significa qualcosa. Ora è impossibile che questo qualcosa finito non sia alcunché. è impossibile che nulla, che è finito, non sia alcunchè. E in questo modo può essere dimostrato che esso esiste.
Se poi si passa all'autorità divina, espressa nei testi biblici, si può anzi si deve pervenire alle stesse conclusioni. Nei testi biblici si afferma infatti "che la potenza divina ha prodotto terra, acqua, aria e fuoco, insieme con la luce, gli angeli e l'anima umana, dal "nulla".
Per questo essa dichiara che le cose prime e massime fra le creature sono prodotte dal nulla. Pertanto, nulla è un qualcosa grande e distinto.
Un discorso analogo viene fatto per le "tenebre", che molti affermano non esistenti.
"E le tenebre stavano sopra l'abisso", e se non esistevano, come facevano a "stare"?
La ragione generale per la quale bisogna riconoscere "realtà" sia al "nulla" sia alle "tenebre" viene individuata da Fredegiso nel fatto seguente: "Il creatore ha impresso nomi sulle cose che egli ha fatto, così che ogni cosa sarebbe stata conosciuta quando fosse chiamata col suo nome. Né egli formò alcuna cosa senza il nome di essa né stabilì alcun nome a meno che non esistesse ciò che aveva stabilito. Se le cose stessero così, sembrerebbe interamente superfluo (il nome per la cosa).
Ed è empio dire che Dio ha fatto questo."
Carlo Magno si fece leggere la lettera e poi la fece circolare per sentire qualche parere in merito. Un certo Agobardo respinse le tesi di Fredegiso sostenendo che la grammatica non deve dettare legge alla religione e che pertanto bisogna saper leggere il vero significato delle parole bibliche che all'attento cristiano appaiono chiare: il nulla è nulla, e non qualche cosa di esistente, e Dio ha creato il mondo proprio dal nulla e non da qualche cosa. Sotto sotto, come si può ben vedere, dietro la lettura "grammaticale" di Fredegiso serpeggiava l'eresia che afferma l'eternità del mondo, o almeno della "materia" da cui il mondo sarebbe stato fatto da Dio: l'eresia, cioè, proveniente dal lontano mondo del Demiurgo di Platone.