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Ogni filosofia si propone il compito di determinare il significato (se ce n'è uno) degli eventi, quindi l'atteggiamento da assumere di fronte ad essi. Ogni filosofia sceglie una propria via per accedere alla soluzione di un problema o anche per negare la possibilità di una soluzione: è la scelta di questa via che determina la concezione del mondo. Il filosofo può fermarsi ad interrogare il cielo o la terra, la materia o lo spirito, la natura o la storia, può rivolgersi all'intimità della sua coscienza o all'esteriorità delle cose. E a seconda dell'interlocutore prescelto, le sue conclusioni saranno diverse. In una conferenza del 1966 Derrida affermava che ci sono due vie per l'interpretazione dell'uomo: la prima è quella che vede nell'uomo l'essere che attraverso la storia della metafisica e dell'onto-teologia ha sognato la presenza piena, il fondamento rassicurante, l'origine; la seconda è quella che non si rivolge più all'origine, ma afferma il gioco e tenta di passare al di là dell'uomo. Con questa distinzione, il modo di essere dell'uomo, la sua stessa esistenza, è legata alla metafisica tradizionale intesa alla ricerca di un ordine del mondo che ne sveli l'origine e il fine e che rimanga saldo nella varietà e nel mutamento, nella casualità e nei conflitti che il mondo a prima vista presenta.
Negata la metafisica e quindi l'ordine e la sostanza permanente del mondo, la realtà stessa dell'uomo e del mondo si dissolvono nel disordine e nella casualità cieca.
E la negazione della metafisica c'è stata: è nell'opera di Nietzsche, che ha riconosciuto in essa un insieme di menzogne utili solo a fornire all'uomo maschere che ne celino il volto. (*) Questi presupposti hanno ispirato un gruppo di scrittori in Francia; già Michael Foucault in "Storia della follia" aveva scorto nella follia il segno o l'annuncio di una forma superiore di vita; c'è addirittura chi ha visto nella schizofrenia (**), in quanto si sottrae all'ordine delle cose e al codice del linguaggio, la sola spinta possibile verso la rivoluzione totale, destinata a mutare radicalmente la fisionomia dell'uomo. E addirittura nell'opera di Foucault "Sorvegliare e punire" la delinquenza stessa veniva vista come un tentativo di liberazione dall'ordine repressivo della società umana. Ciò che questi filosofi difendono è il delirio, il caso, l'indifferenza; che l'uomo sia capace di scegliere è una nozione che essi respingono (Nota di Lunaria: l'eco sartreiano che scegliere di fare o non fare, in fondo, è la stessa cosa). E quanto alla responsabilità che la scelta implicherebbe essa è una "nozione da polizia o da psichiatria di tribunale" (Deleuze, che chiamò questo punto di vista "La Teologia dell'Anti-Dio", cioè delle entità non esistenti)
Nota di Lunaria: vedi anche un confronto con la Teologia della Morte di Dio, specialmente Altizer https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/introduzione-alla-teologia-della-morte.html https://intervistemetal.blogspot.com/2024/07/teologia-della-crisi-existenz.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/breve-commento-al-vangelo-dellateismo.html
Del resto l'idea che "Dio sia morto" può portare a diverse conclusioni: la totale disperazione e angoscia perché con la morte di Dio cade ogni presupposto, ogni scopo o ogni eternità promessa all'uomo, o al contrario, il trionfo dell'essere umano (maschio e femmina) che, con la morte del tiranno celeste, può finalmente auto-divinizzarsi non riconoscendo altro Dio all'infuori di se stesso (secondo una prospettiva tipicamente satanica laveyana). Colui che addita "se stesso come Dio" seduto nel tempio, per la rivelazione biblica, è l'Anticristo.
Deleuze intendeva dire che è tipico della nostra epoca riconoscere come fondamento ultimo del mondo non un ordine stabilito da Dio ma il Caos, in cui tutte le cose si confondono e ognuna può essere nello stesso tempo tutte le altre. La morte di Dio annunciata da Nietzsche (Nota di Lunaria: e ancor prima, da Jean Paul) sarebbe il riconoscimento dell'impossibilità di un ordine qualsiasi e dell'avvento della confusione e del disordine.
Per approfondimenti sul Nichilismo, vedi:
Fu proprio Klossowski in "Nietzsche e il circolo vizioso" (1969) a mostrare operante nella persona e nel pensiero di Nietzsche quel Caos divinizzante che è la scoperta della nuova tecnologia. Secondo la dottrina dell'Eterno Ritorno (assai diffusa nella Grecia antica) il mondo dopo un certo numero di anni ritorna al Caos primitivo per formarsi di nuovo con lo stesso ordine, le stesse cose, le stesse persone, gli stessi eventi; e così non una volta ma innumerevoli volte, all'infinito (Nota di Lunaria: si tenga presente che per certi filosofi antichi e pagani il mondo "non era stato propriamente creato" ma esisteva da sempre, pensiero che peraltro causò non pochi problemi quando i teologi della Scolastica dovettero ibridare il pensiero greco pagano, specialmente di Aristotele, al pensiero cristiano; vedi, per esempio, sia Tommaso d'Aquino sia Fredegiso)
Questa dottrina che apre all'uomo la prospettiva di ripercorrere in eterno tutte le tappe della sua vita, apparve a Nietzsche terribile da accettarsi e considerò la capacità di accettazione di essa come il segno caratteristico del superuomo. Ma secondo Klossowski la ripetizione prospettata dall'eterno ritorno non è veramente tale: nel movimento cosmico del ritorno, la stabilità degli esseri si dissolve e così anche si dissolve l'individualità dell'Io e della persona. Nel ritornare su se stesso il mondo si polverizza e si ricompone in forme diverse sempre casuali. Questa volontà di ripetizione che Nietzsche attribuiva al superuomo non è dunque volontà di vivere la sua vita e i suoi atti, perché nella ripetizione non ci sarà la stessa individualità: la casualità è sempre diversa e tutto si ricompone ogni volta diversamente. In quest'ottica non può esistere un superuomo, un Io, nell'Eterno Ritorno, perché egli stesso sarebbe disgregato da questo processo; l'unica potenza cosmica ad agire, qui, è una Potenza che non ha senso, né scopo; l'individuo è solo un prodotto accidentale. Nel Caos, niente ha senso: coerenza, incoerenza, logica e non-contraddizione non appartengono al Caos, che annulla ogni stabilità e forma tutto da capo senza ordine e misura.
Il libro di Klossowski è stata una delle espressioni tipiche della Teologia dell'Anti-Dio. Il mondo non è ordine e razionalità, ma irrazionalità e disordine. Il suo principio non è quindi Dio o la Ragione o la Materia retta da leggi fisiche ed inflessibili ma una forza o una potenza che agisce senza scopo e a caso. Il suo divenire non è evoluzione o progresso, ma l'eterno ripetersi di una vicenda che muove dal Caos e al Caos ritorna. L'uomo non è l'essere privilegiato che può giungere a comprendere il mondo e a dominarlo, ma un'ombra o un fantasma della potenza cosmica, dominato da essa e destinato ad essere travolto. Non ha quindi libertà né dignità. Il paradosso in cui questa filosofia è rimasta avvolta è la sua critica radicale del sistema sociale vigente, considerato come schizofrenico e quindi condannato alla distruzione, e la sua pretesa di una società in cui l'uomo trovi la sua assoluta libertà con l'abolizione del potere politico.
Nota di Lunaria: a questo punto inserisco una breve riflessione su Max Stirner, che ben prima di Nietzsche, estremizzava le riflessioni dell'Idealismo (Fichte-Schelling-Hegel)
"Io sono Il Proprietario della Mia Potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell'Unico il Possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualsiasi essere superiore a Me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della Mia Unicità, e impallidire al sole di questa Mia Coscienza. Se Io ripongo La Mia Causa in Me Stesso, L'Unico, essa riposa sul suo Creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; sicché, potrò veramente dire: IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU NULLA. "
"La sua opera capitale,"L'Unico e La Sua Proprietà" (1844), è l'espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra nato come reazione allo Hegelismo. Sostenendo le ragioni di una rivolta anarchico-libertaria spinta all'estremo, Stirner si scaglia contro ogni tentativo di assegnare alla vita dell'individuo un senso che la trascende e che pretende di rappresentarne le esigenze, i bisogni, i diritti e perfino l'immagine. E chiama l'indefinibile entità "L'Unico", così come in quei medesimi anni Kierkegaard - anch'egli contro Hegel - lo chiama il "Singolo". Principe degli iconoclasti moderni, Stirner intende smontare ogni sistema filosofico, ogni astrazione, ogni idea, - Dio, ma anche lo Spirito di Hegel o l'Uomo di Feuerbach - che arroghi a sé l'impossibile compito di esprimere "l'indicibilità" dell'Unico:
"Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io che sono l'unico. Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto."
Il tenore blasfemo del rifiuto stirneriano di ogni fondamento risulta chiaro se si considera che l'espressione "Io ho fondato la mia causa su nulla" fu introdotto da Goethe nella poesia "Vanitas! Vanitatum Vanitas!", rovesciando il titolo di un canto ecclesiastico di Johannes Pappus (1549-1610) che recita: "Io ho affidato la mia causa a Dio".
Riportiamo anche il celebre passo con cui si conclude "L'Esistenzialismo è un umanismo" di Sartre:
"Si vede, dopo queste riflessioni, che nulla è più ingiusto delle obiezioni che ci vengono mosse. L'Esistenzialismo non è altro che uno sforzo per dedurre tutte le conseguenze da una posizione atea coerente. Tale posizione non cerca per nulla di sprofondare l'uomo nella disperazione. Ma se — come i cristiani — si definisce disperazione ogni atteggiamento di incredulità, esso muove dalla disperazione originaria. L'Esistenzialismo non vuole esser ateo in modo tale da esaurirsi nel dimostrare che Dio non esiste; ma preferisce affermare: anche se Dio esistesse, ciò non cambierebbe nulla, ecco il nostro punto di vista. Non che noi crediamo che Dio esista, ma pensiamo che il problema non sia quello della sua esistenza; bisogna che l'uomo ritrovi se stesso e si persuada che niente può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell'esistenza di Dio. In questo senso l'Esistenzialismo è un ottimismo, una dottrina d'azione, e solo per malafede — confondendo la loro disperazione con la nostra, — i cristiani possono chiamarci «disperati»"
Infatti l'umanesimo esistenzialista di Sartre (a differenza di quello cristiano alla Marcel) è completamente condensato nell'ateismo. Tuttavia, per Sartre, se anche ammettessimo l'esistenza di Dio, per l'uomo non cambierebbe niente, in quanto rimarrebbe per lui immutato il compito di realizzarsi nell'impegno e nella responsabilità.
Ciò significa riconoscere all'uomo un valore supremo, perché lo si rende unico padrone di sé e unico protagonista della propria vita.
A testimonianza di quanto la questione gli stia a cuore, Sartre termina la sua esposizione ribadendo che il suo Esistenzialismo non conduce alla disperazione e all'inazione: esso è piuttosto un disperato ottimismo, se così si può dire; l'uomo di Sartre agirà senza garanzie e senza certezze, ma non potrà non agire.
Tuttavia, l'uomo può scegliere il male (ciò che Dio vieta) e meritarsi quindi un castigo eterno (inferno).
Ma se si nega Dio, si può liberamente affermare il proprio IO come fondamento di se stessi, non dipendendo più dall'esistenza di un "creatore", né dai suoi "voleri" ("Io sono Il Proprietario della Mia Potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico", scriveva Stirner, o "Io sono io e la mia circostanza", faceva eco Ortega y Gasset). Estensioni estreme dell'Egocentrismo sono la Misantropia e il Solipsismo, che comunque, a parere della sottoscritta, in forma equilibrata, non hanno per niente la valenza negativa che comunemente si crede: una Misantropia intesa come fastidio per la massa ebete e beota, serve a rafforzare se stessi nell'astenersi dal partecipare a cose insulse e frivole (portate avanti dalla massa stessa) perdendo tempo ed energia psico-fisica con individui che sono solo una zavorra per la propria persona; quanto al Solipsismo, dare valore solo alla propria visione e percezione non significa in automatico essere ignoranti su tutto ciò che è stato fatto e detto da altri, al contrario, per scegliere ciò che è meglio per me, valuto tutte le opzioni possibili. "Bastarsi da se stessi" permette di trovare un paradiso e un appagamento nel profondo del nostro essere, del nostro Io. è "la morte di Dio", ad affrancare l'essere umano dalla condizione di sottomissione creaturale, infatti, sia che la si riveda come un ateismo pratico, che non sente la necessità di disprezzare ed inveire contro (il concetto di) Dio, sia che la si riveda come un atto volontario e blasfemo di Deicidio (Non è Dio che muore, sono IO che lo uccido, e lo uccido nel mentre che proclamo la mia Unicità, il mio essere Dio, e il fatto che non esiste alcun Dio all'infuori di Me, niente a cui IO mi debba sottomettere, e se Io sono la mia divinità, non riconosco niente al di sopra di Me). D'altraparte, cogliere se stessi da se stessi (e non più "secondo quanto gli altri pensano o dicono di me, su di me") è una forma di emancipazione da ogni schiavitù fisica e morale; diceva bene Sartre quando affermava che "L'Inferno sono gli altri"! L'Altro è, in Sartre, vissuto come antagonista in quanto relativizzando il mio punto di vista limita la mia libertà: il suo "sguardo" mi oggettiva, mi reifica, murandomi nelle sue stesse idee, nei suoi pensieri, nei quali io vengo solidificato, detenuto, dalle quali non posso evadere, sulle quali non ho potere. Tuttavia lo sguardo dell'altro, oltre che perturbante, è la garanzia della mia esistenza, la testimonianza che non sono una nullità. Scrive Sartre ne "Il rinvio": "Che angoscia scoprire quello sguardo come un centro universale dal quale non posso evadere; ma che riposo, anche! So infatti di essere. Trasformo quel penso dunque sono e dico mi si vede dunque sono, colui che mi vede mi fa essere: sono come egli mi vede."
A mio personale parere, l'emancipazione vera, per quanto limitata (l'essere umano è mortale e destinato a finire), passa solo dall'affermazione di se stessi in quanto Unici e Singoli. E tale consapevolezza la prendiamo nel momento stesso in cui ci rendiamo conto di pensare: Cogito Ergo Sum, Penso dunque Sono, Se penso, dunque sono e sarò (è la morte del pensiero che genera una stasi se non una regressione di se stessi e delle proprie potenzialità); Penso dunque IO SONO, e quindi mi rifiuto di "farmi imboccare" dalla propaganda di pensieri già pensati, al posto mio, da qualcun altro: e questa è la negazione di ogni dogma fatto passare come "verità perfetta, da credersi, sempre e comunque".
L'archetipo della forza Vita\Morte\Vita è frainteso in molte culture moderne. Alcuni non comprendono più che Signora Morte rappresenta un modello essenziale di creazione e che la vita si rinnoverà per le sue cure. Spesso nel folklore si fa del sensazionalismo: è armata di falce e miete chi meno se lo aspetta, bacia le sue vittime e ne lascia i cadaveri sparsi alle sue spalle, oppure le affoga e poi geme nella notte. Ma in altre culture, come quella indiana orientale e maya, che hanno conservato insegnamenti sulla ruota della vita e della morte, Signora Morte abbraccia i morenti, ne allevia le sofferenze e dà conforto. Si dice che giri il bambino a testa in giù nel ventre materno, affinché possa nascere. Si dice guidi le mani della levatrice, apra i sentieri del latte materno nei seni e conforti tutti coloro che piangono da soli. Quelli che la conoscono nel ciclo completo non la vilipendono: ne rispettano invece la liberalità e le lezioni. A livello archetipo, la natura Vita\Morte\Vita è una componente fondamentale della natura istintiva. Nei miti e nel folklore è personificata come Dama del Muerte, Coatlicue, Hel, Berchta, Baba Yaga, la Dama in Bianco, la Compassionevole Ombra Notturna, in un gruppo di donne chiamate dai greci Graie, le Vecchie Donne, da Banshee, sul suo carro fatto di nuvole a La Llorona, la donna piangente sul fiume, dall'angelo oscuro che sfiora gli esseri umani con la punta dell'ala, sprofondandoli nell'estasi, alla fiammata che appare quando la morte è imminente, le storie sono piene di questi resti delle personificazioni dell'antica Dea Vita\Morte\Vita. Per lo più la nostra conoscenza della natura Vita\Morte\Vita è contaminata dalla paura della morte. Pertanto la nostra capacità di muoverci con i suoi cicli è assai fragile. Quelle forze fanno parte della nostra natura, un'autorità interiore che conosce i passi, conosce la danza della Vita e della Morte. Si compone di quegli aspetti di noi che sanno quando qualcosa può, dovrebbe e deve nascere e quando deve morire. è una maestra profonda di cui dobbiamo apprendere il tempo. Rosario Castellanos, poeta messicano, scriveva "datemi la morte che mi occorre". I poeti comprendono che nulla ha valore senza la morte. Senza di essa non ci sono lezioni, non c'è l'oscurità in cui brilla il diamante.
(*) Nota di Lunaria: più che non in Nietzsche, è in Cioran che si assiste al trionfo assoluto del Nichilismo; basti riportare qualcuno dei suoi aforismi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/cioran-i-miei-stralci-preferiti.html
Da cioraniana, consiglio di leggere per integale le opere di Cioran, specialmente queste tre che vedete qui sopra: "La caduta nel tempo", "L'inconveniente di essere nati", "Sommario di decomposizione"
* Non siamo realmente noi se non quando mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità.
* Non coltiviamo il brivido in sé, vagheggiamo ciò che è nocivo.
* Liberarsi dell'ossessione di sé. Nessun imperativo è più urgente.
* Promossi al rango di incurabili, siamo materia dolente, carne urlante, ossa rose da grida, e i nostri stessi silenzi non sono che lamenti strozzati.
* Distruggere significa esercitarsi a non essere niente.
* Il tale è dominato dalla cupidigia, dalla gelosia, dalla vanità? Lungi dal biasimarlo si deve invece lodarlo. Che cosa sarebbe senza di esse? Quasi nulla, vale a dire puro spirito, più precisamente angelo (sterile e inefficace quanto la luce in cui vegeta).
* L'automatismo della malattia è tale che essa non può concepire niente al di fuori di se stessa. A lungo andare, essa non dà più nulla a colui che soffre se non la conferma quotidiana della sua impossibilità di non soffrire.
* Finchè si sta bene non si esiste, più esattamente: non si sa di esistere.
* Non possiamo immaginarci senza di esso né separarlo da noi stessi, dal nostro essere, di cui è la sostanza, anzi la causa.
* L'inferno è quel presente che non si muove, quella tensione nella monotonia, quell'eternità rovesciata che non si apre su niente, nemmeno sulla morte, mentre il tempo che scorreva, che si svolgeva, offriva almeno la consolazione di un'attesa, sia pure funebre.
* Colui che non ne distoglie mai la mente dà prova di egoismo e di vanità; vive in funzione dell'immagine che gli altri si fanno di lui, non può accettare l'idea che un giorno non sarà più niente; poichè l'oblio è il suo incubo di ogni istante.
* La vera vita comincia e finisce con l'agonia.
* Presto egli non sarà più niente. Non era niente neanche prima della malattia. Egli è soltanto nell'intervallo che intercorre tra il vuoto.
* Quell'essere che lui stesso ha demolito ora smania e si agita nella vana speranza di ricostituirlo, come quella di Macbeth, la sua coscienza è devastata, anche lui ha ucciso il sonno, il sonno ove riposavano le certezze... Dopo aver dubitato dei propri dubbi, finisce col dubitare di sé, con lo sminuirsi e con l'odiarsi, col non credere più alla propria missione di distruttore. Una volta reciso l'ultimo legame, quello che lo teneva attaccato a se stesso, e senza il quale perfino l'autodistruzione è impossibile, egli cercherà rifugio nel vuoto primordiale...
Non c'è più alcun argomento che lo attragga o che egli voglia innalzare alla dignità di problema, di flagello...
è ridotto a non potersi più rivolgere ad altri che al Non-Creatore, a cui assomiglia, con cui si identifica, e di cui il Tutto, indistinguibile dal Niente, è lo spazio dove, sterile e prostrato, egli trova compimento e riposo.
Mi abbandono allo spazio come la lacrima di un cieco. Di chi sono io la volontà, chi vuole in me? Mi piacerebbe che un demone concepisse una cospirazione contro l'uomo: sarei pronto ad associarmi. Stanco di ingarbugliarmi nelle esequie dei miei desideri, avrei finalmente un pretesto ideale, giacché la Noia è il martirio di quelli che non vivono e non muoiono per nessuna fede.
Se Dio ha potuto affermare di essere "colui che è", l'uomo, al contrario, potrebbe definirsi "colui che non è". E proprio questa mancanza, questo deficit di esistenza, risvegliando per reazione la sua tracotanza, lo incita alla sfida o alla ferocia. Avendo disertato le sue origini, barattato l'eternità con il divenire, maltrattato la vita proiettando in essa la propria giovane demenza, egli emerge dall'anonimato tramite un susseguirsi di rinnegamenti che fanno di lui il grande transfuga dell'essere.
Da "Storia e Utopia" (1960)
* Esistere significa accondiscendere alla sensazione, dunque all'affermazione di sé.
* Creare significa trasmettere le proprie sofferenze.
Da "Squartamento"
* Beati tutti coloro che nati prima della scienza, avevano il privilegio di morire alla loro prima malattia.
* Anche quando non accade niente, tutto sembra di troppo.
Che dire allora in presenza di un avvenimento?
* è consolante potersi dire: "La mia vita corrisponde esattamente al genere di arenamento che mi auguravo".
* L'uomo è un Nulla conscio di sé.
* Quando si è votati al tormentarsi, i propri tormenti, per quanto grandi siano, non bastano, ci gettiamo anche su quelli degli altri, ce li appropriamo.
* Lo stato di salute è uno stato di non sensazione, anzi, di non realtà. Non appena si cessa di soffrire, si cessa di esistere.
* L'essere certi che non c'è salvezza è una forma di salvezza. A partire da lì si può organizzare la propria vita come pure costruire una Filosofia della Storia. L'Insolubile come soluzione,
come sola via d'uscita.
* Sopprimevo dal mio vocabolario una parola dopo l'altra. Finito il massacro, una sola superstite: Solitudine.
Da "La Tentazione di Esistere"
* "Contro che cosa reagire?" Il Nulla era la mia Ostia: tutto in me e fuori di me si transustanziava in spettro.
* Soffrire: il solo modo d'acquisire la sensazione di esistere.
* Più nulla da rovesciare se non se stesso, ultimo idolo da abbattere... le proprie rovine lo attirano.
* Non si distrugge. Ci si distrugge. Mi sono odiato in tutti gli oggetti dei miei odii, ho immaginato miracoli di annientamento...
* Più nulla da cercare se non la ricerca del Nulla.
* Che tutto si fermi dal momento che non riesco a concepire né a fare un passo di più verso un orizzonte qualsiasi.
Da "Lacrime e Santi"
* Dio ha sfruttato tutti i nostri complessi di inferiorità, a cominciare da quello che ci impedisce di crederci Dèi.
* Dio ha creato il mondo per paura della solitudine. è questa l'unica spiegazione possibile della Creazione. La sola ragione di essere di noi creature è di distrarre il Creatore...
* Poichè non esiste soluzione ad alcun problema, né via d'uscita ad alcuna situazione, non ci rimane che girare a vuoto. Nutriti di sofferenza, i pensieri prendono la forma di aporie, questo chiaroscuro della mente, la somma degli insolubili proietta una tremula ombra sulle cose. La serietà incurabile del Crepuscolo...
* Tutti i declini sono qui con me, per sostenermi...
* Non si vede più niente all'infuori del Niente e questo Niente è Tutto.
* Tutti i Nichilisti hanno avuto a che fare con Dio. Prova supplementare della sua vicinanza al Niente. Dopo aver calpestato tutto, altro non vi resta da distruggere se non quest'ultima riserva del Nulla.
* Credo di non aver mai perso un'occasione di essere triste. (La mia vocazione d'uomo)
* I nostri occhi sanno tutto, imbevuti del Nulla ci assicurano che niente ci può più accadere.
* Questo bisogno di profanare le tombe, di animare i cimiteri, in un'Apocalisse primaverile!
* La non aderenza alla vita genera una voglia di fissità. Si comincia a vedere il mondo in forme rigide, linee definite, contorni morti; quando non provate più quella gioia che nutre il divenire, tutto sfocia in simmetrie; quello che tra i vari tipi di follia, è stato chiamato "Geomatrismo", non sarebbe dunque altro che un eccesso di questa predisposizione all'immobilità che accompagna tutte le depressioni. Il gusto delle forme tradisce una tendenza segreta alla morte. Più siete depressi, più le cose si fissano, nell'attesa di farsi ghiaccio.
Da "Sillogismi dell'amarezza"
* è facile essere "profondi": basta lasciarsi sommergere dalle proprie tare.
* Un libro che, dopo aver demolito tutto, non demolisca anche se stesso, ci avrà esasperato invano.
* Se posso lottare contro un accesso di depressione, in nome di quale vitalità dovrei accanirmi contro un'ossessione che mi appartiene, che mi precede? Se sto bene, prendo la via che desidero.
"Malato" non sono più io a decidere: è la mia malattia.
* Tutte le acque sono color dell'annegamento.
* Quando si impara ad attingere nel vuoto a piena mani, non si paventa più il domani.
* Non chiedetemi più il mio programma. Respirare, non ne è già uno?
* Senza la speranza di un dolore più grande non potrei sopportare quello del momento, fosse anche infinito.
* A che è dovuta la sua aria di sufficienza?
Sono riuscito a sopravvivere a molte notti durante le quali mi chiedevo: mi ucciderò all'alba?
Da "Esercizi d'ammirazione"
* Uno dei primi capitoli si intitolava "L'Antiprofeta". In realtà reagivo da profeta, mi attribuivo una missione, dissolvente se si vuole, ma pur sempre una missione. Attaccando i profeti, attaccavo me stesso e... Dio, in conformità col mio principio di allora secondo il quale ci si dovrebbe occupare soltanto di lui e di sé.
* Un'incoercibile voluttà di negare...
* Le ossessioni espresse sono affievolite e per metà superate. Un libro che esce è la tua vita o una parte della tua vita che non ti appartiene più, che ha cessato di opprimerti e logorarti.
* ... della scossa fortificante di uno spirito che ha costruito sull'abisso invece di lasciarvisi cadere, e di coltivarne le angosce.
* (Benjamin Fondane) Sulla sua persona, è vero, i segni della prosperità; solo che tutto in lui era al di là della salute e della malattia, come se l'una e l'altra fossero unicamente delle tappe che aveva superato.
* (Fitzgerald) Ecco l'orrore sopraggiungere come il temporale. E se questa notte prefigurasse quella che segue la morte. Se l'aldilà non fosse che un brivido senza fine sull'orlo di un abisso in cui ci spinge tutto quanto in noi è vile e corrotto, e nel quale ci precedono la viltà e la corruzione del mondo. Nessuna scappatoia, nessuna via d'uscita, nessuna speranza, null'altro che le perpetue ripetizioni del sordido e del semi tragico... O forse attendere indefinitamente ai confini della vita senza potere mai oltrepassare la soglia che ce ne separa. Quando l'orologio suona le 4 non sono più che uno spettro.
* Mi identificavo adesso con gli oggetti del mio orrore e della mia compassione.
(**) Per una critica radicale alla psichiatria (che nasce dopo l'inquisizione, e ha lo scopo di soffocare l'individualismo, creando ghettizzazioni e "false malattie") vedi in particolar modo Szasz:
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/i-crimini-della-psichiatria-raccolta-di.html