Considerata dialetticamente, la conseguenza forse più demoniaca di una teologia che accetta come suo fondamento la primordiale sovranità e santità di Dio è la sua sottomissione alla provvidenziale autorità di quello che Hegel chiamava "Dato", quello che per caso appare o è a portata di mano.
Durante tutto il diciannovesimo secolo cristiani radicali, come Dostojevskij, protestarono violentemente contro una teodicea che sanzionava qualunque orrore e ingiustizia in nome dell'assoluta sovranità di Dio.
La semplice verità è che finché Dio è conosciuto solo nella sua forma primordiale non esiste alcuna via per una comprensione teologica della storia, in quanto la storia viene totalmente negata secondo il metodo religioso universale, oppure spietatamente subordinata all'estranea autorità di ciò che Lutero chiamava la "legge" e Blake nomina come "Urizen" ("your reason", la vostra ragione, che in inglese ha la stessa pronuncia).
Proprio come una ragione puramente astratta e formale riflette l'immutabile datità del mondo, così il Dio della religione è impassibile e immobile e deve inevitabilmente apparire nella storia come il nemico del movimento e della vita.
Quando Nietzsche comprese il Dio cristiano come l'incarnazione più profonda dell'odio di sé e del risentimento dell'uomo, egli rivelò il solitario e trascendente Dio del cristianesimo come l'antitesi assoluta di una totale esistenza nella storia, o di ciò che il nuovo Zarathustra chiama il "corpo". Proprio perché una primordiale e religiosa divinità è l'antitesi della vita e della storia, il suo nome sacro può essere tanto naturalmente e spontaneamente evocato per sanzionare il male e l'ingiustizia (come, ad esempio, nel libro di Giobbe). Nessun orrore della nostra storia è stato tanto grande da non poter essere abbracciato dalla maggior parte del portavoce teologici che parlano in sua presenza, poiché ogni testimonianza storica contraria alla testimonianza mitologica della divinità primordiale si dirige necessariamente contro il movimento dinamico e l'umana attualità della storia. Quale maggiore coerenza teologica potremmo attenderci da un teologo il quale, parlando per il Dio primordiale, parla in realtà in nome di ogni cosa che limita e costringe la mano e il volto dell'uomo?
Una teologia cristiana dialettica deve tendere alla comprensione di una Parola che penetra nel presente, di una Parola che da trascendente si fa immanente, e deve perciò parlare sia contro le forme ecclesiastiche del passato, sia contro tutta quella realtà che è estranea e repressiva nel presente. Soprattutto, una tale teologia deve assalire ogni fonte di significato che stia al di là o che si opponga alla vita e al movimento dell'umanità, attaccando le ultime barriere che si ergono contro l'espansione dell'umanità, in quanto presumono di essere radicate in un terreno eterno e immutabile.
Lungi dal servire la dogmatica e istituzionale autorità della Chiesa, una teologia veramente dialettica dissolverebbe tale autorità aggredendo ogni legge e potere repressivo che si appelli a una fonte sacra o trascendente...
La teologia contemporanea deve ormai aprirsi al significato di una apocalittica e totale redenzione, una redenzione risultante dalla totale presenza di Dio in Cristo, mentre Dio stesso diviene il Verbo, la Parola progressivamente incarnata nel reale processo della storia.
Una teologia che esprima il movimento incarnato di Dio deve negare l'immagine tradizionale del Dio primordiale chiudendosi a ogni eco e memoria della forma originaria di Dio, così da aprirsi all'originaria sacralità e trascendenza di Dio in una profana e immanente totalità.
Dialetticamente, ogni cosa dipende dal riconoscere il significato della totale identificazione di Dio con Gesù, e dal comprendere che è Dio che diviene Gesù e non Gesù che diviene Dio.
Il movimento in avanti del Verbo Incarnato è da Dio a Gesù, e il Verbo continua il suo movimento kenotico lungo la sua direzione procedendo dal Gesù storico al corpo universale dell'umanità (sì, vabbè, come no. "Corpo universale dell'umanità" formata da maschi e da femmine, ma col cavolo che nel cristianesimo c'è "la Redentrice e Dea Donna" Nota di Lunaria) rendendosi con ciò manifesto in ogni mano e volti umani.
(Mah... a me risulta che dopo 2000 anni ancora non avete divinizzato nessuna donna, mentre invece la divinizzazione del dio maschile c'è da sempre)
In nessun punto di questo processo dialettico possiamo isolare il Verno per affermare che in esso ha la sua finale e definitiva espressione.
Qualsiasi astrazione del Verbo dalla storia porta necessariamente a perdere il significato del processo d'incarnazione, isola la teologia dall'attività e dal movimento del Verbo e pone inevitabilmente la teologia sul cammino regressivo delle forme religiose di cristianesimo.
Perciò, la regressione religiosa dev'essere considerata come il nemico specifico della fede cristiana: è la tentazione suprema che insidia la fede nel movimento in avanti del Verbo e perciò la teologia deve essere sempre impegnata nella negazione di ogni passata forma del Verbo, non fosse altro che come mezzo per aprirsi all'espansione di un futuro escatologico nel presente.
La teologia contemporanea è indiscutibilmente in crisi, forse si trova nella crisi più profonda che la teologia cristiana abbia mai dovuto affrontare dal giorno della sua nascita. Questa crisi è evidente in tre ambiti:
1) Nel rapporto della teologia dogmatica con la sua motivazione biblica, una crisi dovuta all'ascesa della critica storica moderna
2) Nel rapporto della teologia con la sensibilità e con la Existenz dell'uomo contemporaneo, crisi dovuta alla morte di Dio.
3) Nel rapporto della comunità dei fedeli con l'intero ordine sociale, con le istituzioni politiche ed economiche, crisi la cui origine è dovuta al crollo della cristianità.
Mi propongo di mettere a fuoco il secondo ambito, anche se isolarlo dagli altri due non è che artificiale.
Inoltre accetteremo la verità contenuta nella proclamazione della morte di Dio compiuta da Nietzsche, una verità che fino ad oggi è stata ignorata o messa da parte dalla teologia contemporanea.
Ciò significa che considereremo la morte di Dio come un evento storico: Dio è morto nel nostro tempo, nella nostra storia, nella nostra esistenza.
L'uomo che sceglie di vivere il nostro destino non può conoscere la realtà della presenza di Dio né considerare il mondo come sua creazione; o per lo meno, non può essere sensibile, nella sua coscienza come a livello conoscitivo, alle immagini cristiane classiche del Creatore e della creazione. Data questa situazione, affermare le forme tradizionali della fede significa scegliere una fuga gnostica dalla brutale realtà della storia...
Se si ammette che Kierkegaard ha fondato la teologia moderna, si è tentati anche di affermare che Kierkegaard è l'unico vero teologo moderno. Egli è infatti l'unico teologo il cui metodo sia dialettico conformemente ai suoi principi: la fede né si unisce al mondo né si isola dal mondo; la fede è sempre il risultato di una negazione dialettica del mondo, della "storia" e dell'"oggettività". Tuttavia dobbiamo ricordarci che il metodo di Kierkegaard ha due gravi limiti, per quel che riguarda la dialettica: non supera mai la fase negativa e di conseguenza non raggiunge mai il livello della coincidentia oppositorum. Mentre una definizione della fede come soggettività (cioè l'autentica esistenza umana culmina con la fede) poteva essere ammissibile al tempo di Kierkegaard, certamente non lo è più in un'epoca in cui la morte di Dio fa parte della coscienza contemporanea. Oggi la teologia deve affrontare il compito difficilissimo di istituire una sintesi dialettica tra una soggettività radicalmente profana (Existenz) e una fede biblica autentica. Evidentemente questa definizione del compito della teologia è dialettica e, da questo punto di vista, la teologia può riuscire in questa operazione solo se farà uso di un metodo interamente dialettico.
Ciò significa che la teologia può raggiungere una vera e propria coincidentia oppositorum solo se metterà in evidenza l'opposizione radicale che esiste tra Existenz e fede.
Quando l'Existenz e la fede saranno riconosciute come veri contrari, allora si avrà la possibilità di raggiungere una definitiva coincidentia oppositorum.
Ma tale coincidenza può essere raggiunta solo sulla base della negazione più radicale. Fermarsi prima della negazione più profonda significa precludere la possibilità di una sintesi dialettica. Questo è il motivo per cui Kierkegaard ha preparato la via per una forma di fede interamente dialettica.
Dal punto di vista teologico, il ventesimo secolo si aprì con una reazione teologica contro la nuova alienazione che il nostro tempo aveva imposto alla fede cristiana. Una forma di questa alienazione può venire osservata nella condanna di Nietzsche al no cristiano…
Dio degenerò nella contraddizione della vita, invece di esserne la trasfigurazione e il Sì eterno! Dio è la dichiarazione di guerra contro la vita, contro la natura, contro la volontà di vivere! Dio - la formula per ogni calunnia contro "questo mondo" per ogni menzogna intorno alla "vita futura"!
Dio - la deificazione del Nulla, il desiderio del Nulla dichiarato santo.
Un'altra forma intimamente connessa di alienazione moderna del cristianesimo deriva dalla scoperta dello "scandalo" escatologico del Nuovo Testamento.
Gli studiosi moderni rivelarono un Gesù enigmatico ed estraneo al nostro tempo (Schweitzer), poiché tutto il suo messaggio e tutta la sua azione erano basati sull'attesa della venuta immediata della fine del mondo. Il Gesù che veniamo a "conoscere" è un deluso e fanatico ebreo, il suo messaggio è totalmente escatologico, e perciò Gesù e il suo messaggio non hanno nessun significato per il nostro tempo e per la nostra condizione.
L'uomo moderno può conoscere la fede solo come "scandalo"; la fede è completamente in contraddizione con la realtà che siamo nel nostro profondo.
Karl Barth riconobbe questo "scandalo" e fondò la Teologia della Crisi adottando il metodo dialettico di Kierkegaard, un metodo che lo portò a enunciare un rapporto antitetico tra il Verbo di Dio e la parola dell'uomo. Il Verbo di Dio - il sì di Dio - non può essere che un no all'uomo corrotto, autonomo e "religioso"; poiché Barth basò la sua posizione sull'infinita diversità qualitativa posta da Kierkegaard tra tempo ed eternità.
Nel suo commento all'Epistola ai Romani e nel suo libro sulla risurrezione dei morti, Barth riuscì a considerare la "fine" escatologica come una Krisis esistenziale, dal momento che tradusse un simbolo escatologico indicante la fine cosmica del mondo in un simbolo umano rappresentante la crisi originaria dalla condizione dell'uomo peccatore che deve affrontare il Dio della giustizia.
Seguendo la tesi esistenziale di Kierkegaard secondo la quale la verità è "soggettività", Barth tradusse i simboli escatologici della fede biblica in simboli che riflettono una crisi dell'Existenz umana.
Fu così che la fede escatologica divenne intensità esistenziale, e così furono gettate le basi della corrente esistenzialistica della teologia dialettica protestante. è molto significativo che Barth, quando più tardi si accinse a costruire una teologia dogmatica che fosse la continuazione delle forme storiche della fede cristiana, s'allontanasse sia dal precedente discepolato di Kierkegaard sia dal metodo dialettico. Molto probabilmente Barth si rese conto che un metodo dialettico deve negare tutte le espressioni umane del significato della fede (incluso il credo e le asserzioni dogmatiche della Chiesa storica) per affermare paradossalmente le espressioni più profonde della "soggettività" o dell'Existenz.
Il lavoro del primo Barth è stato continuato da molti seguaci, i più importanti tra questi sono Paul Tillich e Rudolf Bultmann, il primo impegnato in una teologica ontologica, il secondo in una teologia biblica.
Sebbene sotto molti aspetti questi teologi siano dissimili, essi sono uniti dall'obiettivo dialettico di porre in correlazione la coscienza che l'uomo moderno ha di sé (che essi ritengono culminare in una disperata coscienza della condizione umana) con la risposta di Gesù (considerato come il Verbo) a questa coscienza.
Sia Tillich che Bultmann lavorano su una teologia dell'immanenza che abbraccia tutta la condizione umana quanto il verbo della fede (considerato indipendentemente dalla struttura cosmica e trascendente della teologia tradizionale)
E, ancora, entrambi iniziano la propria ricerca dallo "scandalo" escatologico della fede cristiana, che è una prassi corrispondente, come abbiamo visto, a quella di Nietzsche, quando formula la sua condanna al no del cristianesimo…
Se la teologia deve imboccare la strada della dialettica, allora deve imparare il vero significato del sì e del no: deve percepire la possibilità di un sì che può mutarsi in un no, e la possibilità di un no che può mutarsi in sì; in breve, deve presentire una coincidentia oppositorum dialettica.
Che la teologia gioisca poiché ancora una volta la fede è "scandalo" e non semplicemente uno scandalo morale, una offesa dell'orgoglio e al senso della giustizia dell'uomo, ma uno scandalo molto più profondo, uno scandalo ontologico! (Ovviamente Altizer non ha mai riflettuto sul punto essenziale, che è realmente scandaloso: come mai questo dio si è fatto solo maschio e non anche femmina, e cosa questo lascerebbe intendere...)
Poiché la fede escatologica va contro la realtà più profonda di ciò che noi consideriamo storia e cosmo.
Attraverso la concezione nietzschiana dell'Eterno Ritorno possiamo intuire la liberazione estetica determinata dalla dissoluzione della trascendenza dell'Essere e dalla morte di Dio - e possiamo trovare una simile estasi in Rilke e Proust; dalla rappresentazione nietzschiana di Gesù la teologia deve imparare quale sia la potenza di una fede escatologica, che può liberare il credente contemporaneo dalla realtà inevitabile della storia.
Ma bisogna conquistare la liberazione per mezzo dell'affermazione, poiché la sola negazione porta verso lo gnosticismo.
Il credente che dice di no al nostro presente storico, che rifiuta l'esistenza intorno e dentro di sé, che si pone contro il nostro tempo e il nostro destino, e che tuttavia va alla ricerca di una liberazione in un'"eternità" che non è in rapporto col nostro tempo presente, o se lo è, lo è solo in modo negativo, questo credente viene costretto a soccombere al pericolo dello gnosticismo.
Di conseguenza una fede che s'aggrappi nostalgicamente a un passato perduto, a un passato che non ha alcun rapporto significativo col nostro presente, non può sfuggire all'accusa di essere gnostica; poiché una totale negazione del nostro destino può solo trovare le sue radici in una negazione gnostica del mondo. Una forma veramente dialettica di fede, non potrà mai essere gnostica, poiché non dissocerà mai la negazione dall'affermazione; e quindi la sua negazione della "storia" deve sempre trovare la sua radice in una affermazione del "presente".
Si deve considerare la crisi odierna della teologia come una crisi che nasce dal grembo della teologia stessa.
La teologia ha avuto origine dalla volontà della fede di entrare nella storia; ora la teologia deve morire per mano di una fede abbastanza forte da sconvolgere la storia. Se la teologia vuole trascendersi, allora deve negarsi, poiché la teologia può rinascere solo con la morte della cristianità, morte che, in ultima analisi, significa la morte del Dio cristiano, del Dio che è la trascendenza dell'essere.
Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che è stato il Dio cristiano a rendere l'uomo schiavo dell'alienazione dell'"essere" e del senso di colpa della "storia".
Ora, tuttavia, il cristiano contemporaneo può rallegrarsi e gioire poiché il Gesù che il nostro tempo ha scoperto è il proclamatore di un vangelo incarnante un Regno che rovescia l'ordine della "storia" e mette in dubbio la stessa realtà dell'"essere". Forse finalmente siamo pronti a comprendere la vera unicità del vangelo cristiano.
La storia delle religioni ci insegna che il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni evolute di questo mondo per tre motivi:
1) per l'annuncio dell'Incarnazione
2) per la sua etica che rovescia i valori del mondo
3) per il fatto che il cristianesimo è l'unica religione del mondo che abbia sviluppato - o che in modo significativo abbia iniziato - una forma radicalmente profana di Existenz.
La cristianità immaginò che l'Incarnazione significasse un'unione adialettica (o parziale) di tempo ed eternità, di carne e Spirito; e perciò abbandonò la forma di etica che avrebbe rovesciato il mondo, e introdusse l'epoca nuova di una storia assolutamente autonoma (l'Existenz profana)
(Nota di Lunaria: Aridaje. ovviamente Altizer non ha mai riflettuto sul punto essenziale, che è realmente scandaloso: come mai questo dio si è fatto solo maschio e non anche femmina, e cosa questo lascerebbe intendere...)
Ciò che conosciamo come l'immagine tradizionale dell'Incarnazione non è altro che il mezzo impiegato dalla cristianità per preparare la via all'inevitabile volontà della morte di Dio, poiché fu questa immagine tradizionale a rendere possibile la santificazione del "tempo" e della "natura", una santificazione che, in ultima analisi, portò alla trasformazione dell'eternità in tempo.
Se questo processo portò alla dissoluzione della cristianità, tuttavia esso è un prodotto della cristianità, e la fede oggi deve affrontare le conseguenze di un'unione dialettica di tempo ed eternità.
Può esistere una forma di fede che voglia attuare l'unione dialettica tra tempo ed eternità, ovvero del sacro e del profano? Possiamo già scorgere parallelismi significativi tra la concezione nietzschiana dell'Eterno Ritorno e la proclamazione del Regno di Dio da parte di Gesù.
Accettando il motto "L'Essere inizia ad esistere in ogni attimo", come l'espressione simbolica più profonda dell'Existenz contemporanea, vediamo che l'esistenza profana moderna conosce una forma d'Incarnazione.
Come il suo modello del Nuovo Testamento, la forma profana dell'Incarnazione separa l'esistenza autentica dalla presenza dell'"essere" e della "storia" e lo fa dialetticamente.
Il sì dell'Eterno Ritorno erompe dal più profondo no; solo quando l'uomo sarà stato superato solo allora l'"essere" incomincerà in ogni "attimo". Bisogna riconoscere che l'Existenz moderna ha risuscitato un'etica che capovolge il mondo - e se ne trovano esempi in Marx, in Freud, in Kafka e nello stesso Nietzsche.
Può il cristiano accogliere la nostra Existenz come un modo paradossale per arrivare alla fede escatologica? Questo è certo il problema che la crisi della teologia ci pone oggi.
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