Breve commento al Vangelo dell'Ateismo Cristiano

Un argomento da Lunaria!



"Dal punto di vista di una teologia cristiana radicale, il principio teologico assolutamente decisivo e fondamentale è che il Dio della fede, lungi dall'essere immutabile e immobile, è un processo perpetuo e progressivo di autonegazione, pura negatività o metamorfosi kenotica"
è in forza di questo principio che Thomas Altizer, professore di Sacra Scrittura, annuncia la buona novella della morte di Dio "Il Vangelo dell'Ateismo Cristiano" (1966)

Ateismo, perché il Dio eterno e creatore è semplicemente "il corpo morto di Dio, un corpo che si decompone come totale raffigurazione di un nulla estraneo e vuoto"

Cristiano, perché il cristiano, conoscendo il Dio che nega se stesso nei suoi atti di rivelazione e redenzione, testimonia un movimento in cui il sacro nega progressivamente le sue particolari espressioni, svuotandole del loro originario potere e della loro realtà.

Vangelo, perché "conoscere un nulla estraneo e vuoto come il corpo morto di Dio significa essere liberati da ogni irreale e pauroso senso del mistero e del potere del caos"

La funzione profetica del precursore, in questo vangelo, è svolto da tre personaggi: Nietzsche, Hegel, Blake.
(Nota di Lunaria: peccato che per meri limiti temporali, Altizer non citò Mary Daly, la rappresentante più nota e fondamentale dell'Anticristianesimo Femminile... vedi approfondimento a fine post)

Blake offre ad Altizer il linguaggio oscuro e apocalittico di una dialettica misticamente dilatata; Nietzsche, oltre alla metafora della morte di Dio, la concezione dell'Eterno Ritorno; Hegel la legge della mediazione dialettica che fonda e giustifica il divenire di Dio e l'immanenza di finito-infinito. Ne deriva una morte "dialettica" di Dio, che esibisce un processo di svuotamento della divinità nelle "figure" dell'incarnazione e morte di Gesù Cristo e quindi nell'immanenza del processo storico della realtà sino alla sublimazione escatologica della "Coincidentia Oppositorum" di sacro e profano.
Dio è Gesù, Gesù è il mondo (*) Solo la regressione religiosa, come ritorno alla Totalità primordiale e alla divinità del Logos, o come ripresentazione sacramentale di un fatto già passato, può oscurare la verità e la necessità teologica del reale processo dialettico in atto. Dunque una storia-teodicea e, poiché l'eternità è in ogni Adesso, un gioioso "sì" alla vita come affermazione dell'Attimo che eternamente ricorre.

La radicalità di Altizer è esemplare. Da un lato la normatività del mondo per la fede trova una giustificazione teologica nell'Incarnazione, dall'altro l'adozione della dialettica, che necessariamente si configura come Sviluppo dell'identico, fa deperire non solo l'oggetto della teologia tradizionale, ma di qualsiasi teologia cristiana. Ciò che resta è il "reale processo dialettico in atto" e la persona storica di Cristo come figura fenomenologica. Si tratta di una semplice versione della teologia speculativa hegeliana: quando il giovane Hegel - di fronte al dualismo fra società borghese, secolarizzata, pragmatica e soggettivismo pietistico - proiettando un processo storico contingente sul piano dell'Assoluto costruisce la macchina dialettica, fa sua la metafora dell'inno luterano "Dio è morto", evocando la "Theologia Crucis" luterana del "Deus revelatus sub contrario". Così da una parte si attribuisce un'importanza decisiva alla divinità della persona di Gesù, come alla sua morte e risurrezione, dall'altra le vicende di Cristo non sono che "figure" che dileguano l'una nell'altra e che rappresentano lo stesso processo divino, la cui verità razionale si pensa nella dialettica. 
è la struttura che sopraffà l'evento, puro "bricolage". Recuperare il valore assoluto del fattuale significa abbandonare la dialettica.

(*) Nota di Lunaria: Ovviamente Altizer non si interroga sull'esclusione della donna dall'incarnazione di Dio...


Dissoluzione dialettica di Dio in Cristo

Dal punto di vista di una teologia cristiana radicale e dialettica, il principio teologico assolutamente decisivo e fondamentale è che il Dio della fede, lungi dall'essere immutabile e immobile, è un processo perpetuo e progressivo di autonegazione, pura negatività o metamorfosi kenotica. 
Una forma coerente e pienamente dialettica di cristianesimo radicale non può conoscere un Dio eterno e primordiale che rimane in eterno legate alla sua identità originale, non fosse altro perché la fede radicale è una totale risposta alla reale presenza e al movimento in avanti di Dio nella storia. 
Perciò, la fede radicale deve negare il nome e l'immagine primordiale di Dio per rispondere al reale movimento di Dio stesso. Rispetto a una forma di fede puramente religiosa, con il suo movimento a ritroso di involuzione e ritorno, una fede autenticamente cristiana deve essere sempre aperta e nuove epifanie del Verbo o Spirito di Dio; epifanie che non saranno semplicemente delle ripetizioni dell'originaria manifestazione di Dio o neppure sempre più comprensive illuminazioni della sua eterna gloria e del suo eterno potere, ma piuttosto delle epifanie veramente nuove, il cui stesso verificarsi effettua o registra una nuova attualizzazione o un nuovo momento del processo divino. In quanto la teologia cristiana ha quasi invariabilmente assunto una forma sacerdotale (è stata cioè diretta a un ritrovamento o a una ri-presentazione del Verbo originario della fede) essa è stata fondata su una concezione religiosa del Creatore o del Dio del Principio rimanendo chiusa a una comprensione del Cristo escatologico della Fine.
Del tutto naturalmente, il Dio della teologia cristiana è stato estraniato dal movimento progressivo della fede e del Verbo o Spirito che si è progressivamente manifestato nel profano movimento della nostra storia. Finché sarà incapace di comprendere l'autonegazione o l'autotrasformazione di Dio, la teologia non potrà giungere a una concezione escatologica del movimento reale e progressivo di Dio.
Se dobbiamo aprirci a un nome ed a un'epifania di Dio contemporanei e autenticamente cristiani, dobbiamo anzitutto ripudiare ogni concezione religiosa del mistero della divinità con l'inevitabile corollario che la sacra Realtà ultima è impassibile e silenziosa, e perciò incapace di muoversi e di parlare nella storia.
Dire che il nome di Dio è inesprimibile, non significa semplicemente rinunciare al Dio della bibbia, ma significa seguire un cammino regressivo che conduce alla totale ribellione contro la storia e alla conseguente ricerca religiosa della perduta innocenza del Principio primordiale. Strettamente legata a questo religioso rifiuto del nome di Dio è l'insistenza dogmatica sulla tesi che i nomi e le epifanie di Dio si sono manifestati una volta, e una volta per tutte, nel passato, con la conseguenza che la fede deve essere sempre un raccoglimento o una rimembranza di una forma passata, e stabilita per l'eternità da Dio. Quando viene in tal modo concepita come un processo di raccoglimento o di rimembranza, la fede non solo deve essere identificata con un movimento regressivo, di ritorno, ma deve anche esser posta contro il movimento progressivo della storia e del cosmo. Dobbiamo prendere debita nota del fatto che proprio la tradizione profetica così com'è registrata nell'Antico e nel Nuovo Testamento, e questa tradizione soltanto, dà testimonianza al movimento in avanti o progressivo della rivelazione. Si tratta di un movimento in cui il Dio della fede apparte in nuove e sempre più dinamiche epifanie, nello stesso modo in cui l'oracolo profetico attualizza il nome di Dio rivelando l'integrale rapporto fra il processo divino e l'umana realtà della storia. Il Dio della tradizione profetica della Bibbia è un Dio che parla e rivela se stesso nella storia; qui la storia non è il passivo ricettacolo del discorso divino, ma è piuttosto l'arena in cui quel discorso stesso diviene attuale e reale: perché separato dalla storia Dio sarebbe silenzioso, impassibile e solo. Rivelando il suo nome, Dio svuota se stesso della sua originaria completezza, negando il Dio che solo è Dio, la causa sui, il Motore non mosso che è l'unica causa di se stesso.
La teologia deve finalmente giungere a comprendere la correlazione inevitabile fra l'autorivelazione di Dio e la sua autonegazione o Kenosis. Il Dio che rivela se stesso nella storia è il Dio che svuota se stesso della completezza del suo Essere primordiale; con ciò egli diviene realmente e veramente manifesto nella storia e la storia diviene finalmente non la semplice arena della rivelazione, ma lo stesso incarnato Corpo di Dio. Di conseguenza la rivelazione è qui un reale movimento dal Principio alla Fine, un movimento reale e progressivo dall'Essere primordiale di Dio al dio che diviene tutto in tutti nella Fine. Progressivamente, ma decisamente, Dio abbandona o nega la sua originaria passività o quiescenza (una cognizione del nome o della realtà primordiali di Dio non è presente nella Bibbia né nel cristianesimo ma si manifesta invece pienamente nelle espressioni più pure della religione) divenendo incarnato sia nella realtà del mondo e della storia, sia come tale realtà. In realtà, dal punto di vista cristiano, Rivelazione e Incarnazione sono inseparabili, essendo soltanto due facce di un unico processo, un processo in cui Dio rivela se stesso e diviene incarnato come l'opposto stesso della sua identità originaria. La Rivelazione, in conformità alla tradizione profetica della Bibbia, dà testimonianza di una caduta o graduale dissoluzione del Dio primordiale, mentre Dio diviene progressivamente attuato e reale nella storia, apparendo alla fine come un onnicomprensivo ma immanente e imminente "Regno di Dio". Perciò un cristianesimo coerente e radicale non includerà invece e renderà reale quel "Regno di Dio" che è una conseguenza dell'assoluta autonegazione di Dio.

Se il cristianesimo radicale congeda il Dio primordiale, rifiutando perfino il nome del Creatore sovrano, allora una nuova e radicale teologia deve tendere a comprendere l'unico nome cristiano di Dio, il nome di Gesù Cristo. Anzitutto, dobbiamo riconoscere che Gesù Cristo è il nome di Dio che è divenuto pienamente e totalmente incarnato, ed è perciò un nome divino, un nome che rivela il reale movimento di Dio. Separato dal suo fondo veterotestamentario, il nome di Gesù Cristo diviene semplicemente privo di significato, perché è il Dio dell'Antico Testamento che diviene pienamente attuato e storicamente reale in Cristo. Quando il cristiano proclama Gesù "Signore" egli parla dello stesso Dio che l'Antico Testamento conosce come Creatore, Legislatore e Signore; ma qui il Dio originariamente sovrano e trascendente appare in una forma totalmente vuota e kenotica. Inoltre, è solo attraverso la fede in Cristo che il credente può conoscere i nomi di Dio contenuti nell'Antico Testamento come epifanie dell'autonegazione o svuotamento di Dio stesso. Se è vero che solo la tradizione biblica conosce il Dio che è il Creatore assolutamente sovrano e il totalmente "altro" Legislatore e Giudice, allora il cristiano, come Giobbe, deve giungere a conoscere il Creatore e il Giudice come un'estranea e addirittura autoestraniata epifania di Dio. 
Soltanto un'estranea o vuota forma di Dio potrebbe essere totalmente altra dall'uomo e dal mondo, perché il Dio la cui stessa realtà e il cui stesso potere schiacciano lo spirito dell'uomo è un Dio estraniato dalla sua propria identità di Redentore. 
L'El Shaddai, l'onnipotente Signore che si rivela a Giobbe come il Creatore assolutamente sovrano, è un Dio estraniato dai suoi propri atti di redenzione: così un baratro invalicabile si apre fra l'uomo e Dio, precisamente nel momento in cui Dio cessa di esistere e di agire nella sua forma redentrice. Il teologo può ben parlare di una divina economia della salvezza, di un processo della storia in cui uomo e Dio, o mondo e divinità, divengono manifesti e reali in nuove forme e manifestazioni; ovviamente il rapporto fra uomo e Dio deve subire delle reali trasformazioni durante lo svolgimento di questo processo. Se questo processo è effettivo, vale a dire se è un processo storico che si verifica nelle concrete contingenze di tempo e spazio, allora Dio stesso deve agire ed esistere in maniera tale da negare il suo primordiale modo di Essere.
Hegel, il pensatore dialettico per eccellenza, afferma che lo Spirito ha esistenza reale ed effettiva solo in quanto si aliena da se stesso; lo Spirito, quindi, può procedere solo attraverso un processo di auto-estraniamento o auto-negazione. Dio procede in avanti nella storia negando il suo modo di esistere in una data manifestazione. Dio evolve effettivamente in una nuova forma, mentre la sua progressiva epifania storica lo allontana sempre di più dalla sua primordiale o preistorica identità. Tuttavia, è essenziale affermare che Dio rimane Dio, che il divino processo rimane se stesso anche nello stato di auto-estraniamento. Il cristiano, anzi, sostiene che Dio è tanto più realmente se stesso quanto più è in uno stato di auto-alienazione o di auto-estraniamento. Infatti, il cristiano crede che Dio riveli se stesso nella maniera più piena in Gesù Cristo: e gli atti kenotici dell'Incarnazione e della Crocifissione non devono affatto intendersi come frammentarie epifanie del potere e della gloria di un'eterna immutabile divinità, ma bensì come atti o eventi storici con i quali la Divinità cessa definitivamente di esistere e di essere reale nelle sue passate e primordiali manifestazioni.
Se un monoteismo radicale è presente solo nella tradizione biblica, o se è solo qui che Dio rimane se stesso in una diversa e sempre più reale serie di epifanie storiche, allora solo il cristiano conosce il Dio che rimane Dio in un totale atto di auto-estraniamento o auto-svuotamento dei suoi poteri divini. Il nome cristiano di Dio è il nome di un processo di assoluta auto-negazione, mentre Dio rivela egli stesso in Gesù Cristo di essere il Dio che è venuto a morire liberamente per l'uomo.

Quando il cristiano proclama Gesù Cristo come trionfante epifania di Dio egli non parla di un'epifania di potere e di gloria; o piuttosto potere e gloria trapassano qui nell'opposto della loro originaria manifestazione, mentre Dio appare ora, ed è, reale solo in un atto assoluto di auto-sacrificio e auto-negazione. Gesù Cristo è la consumazione degli atti e dei movimenti storici di Dio: l'itinerario progressivo e l'energia kenotica di Dio si sono sempre svolti attraverso atti espiatori di auto-negazione; Dio ha agito estraniando se stesso dalla sua Totalità originaria, rendendo con ciò possibile un reale movimento verso una nuova e complementare altra Totalità della Fine. Un secolo e mezzo di erudizione storica ha dimostrato che la Bibbia contiene una serie di tradizioni e di immagini che resistono a ogni tentativo teologico di armonizzazione o conciliazione. Non è più possibile parlare di una fede biblica o di una religione biblica e neppure di un Dio biblico univocamente distinto, né vi è alcuna possibilità di unificare razionalmente le contraddittorie immagini bibliche di Dio. Ma solo una teologia radicale e dialettica può farci comprendere la necessità del linguaggio contraddittorio della Bibbia.
Soltanto nel suo orizzonte noi possiamo giungere a capire il significato di un processo divino progressivamente svolgentesi attraverso l'auto-negazione di un fondamento originario, verso nuove e sempre più diverse epifanie che si oppongono e rovesciano la primordiale sacralità di Dio. Una volta giunti a comprendere veramente il Dio cristiano come un reale processo dialettico in atto saremo finalmente purgati dalla credenza religiosa cristiana nell'esistenza di un Dio isolato nella sua unicità e assolutamente autonomo.
Che cosa può significare parlare del Dio cristiano come di un processo dialettico, anziché di un Essere? Anzitutto significa che il Dio cristiano non può essere concepito come avente una natura o sostanza comune che rimane eternamente la stessa attraverso i suoi atti di rivelazione e di redenzione. Se il cristiano conosce il Dio che si è svuotato della sua originaria sacralità diventando realmente carne, allora non può conoscere il Dio che rimane distinto e chiuso in sé, nel suo Essere primordiale. Il Dio che agisce nel mondo e nella storia è un Dio che nega se stesso gradualmente ma decisamente annientando la sua originaria Totalità. Dio è quella Totalità che "cade" o "discende", trapassando così sempre più pienamente nell'opposto della sua originaria identità. Dio, o la divinità, diventa il Dio che si manifesta in Cristo passando attraverso un rovesciamento della Sua forma originaria: la trascendenza divine immanenza, proprio come lo Spirito diviene carne. In nessun punto di questo processo Dio è unicamente se stesso: ogni punto o momento del processo include una metamorfosi di Dio, mentre Dio rimane se stesso anche quando è estraniato da se stesso, perché è precisamente l'auto-estraniarsi o auto-negarsi di Dio che attua il suo movimento in avanti. Il cristiano proclama il Dio che ha totalmente negato e sacrificato se stesso in Cristo.
Il cristiano confessa che Dio è diventato Cristo; e il Dio che divenne Cristo era una volta presente e reale come Creatore e Signore. 
Altrimenti non sarebbe possibile parlare del Cristo kenotico, o dell'auto-annientamento di Dio, o di Dio che ha realmente negato se stesso in Gesù Cristo. Perciò, parlare di Dio come di un processo dialettico anzichè come di un Essere è parlare di Dio che ha vuotato se stesso di Dio in Cristo. Il cristiano che giunge a comprendere Dio come progressivo processo kenotico sarà liberato dalla tentazione di pensare a Dio come a un Essere completamente "altro" e autonomo, proprio come sarà liberato da ogni forma di dualismo teologico. Espressioni non dialettiche del cristianesimo hanno invariabilmente stabilito, con un mezzo o con l'altro, una frattura fra l'essenziale o integrale realtà di Dio e i suoi atti di rivelazione e di redenzione. Quando Dio è stato conosciuto separatamente dai suoi atti (è questa la via della teologia naturale o razionale) allora si è stabilita una frattura fra il Dio della fede e il Dio della ragione, una frattura che rivela una intensa biforcazione fra l'attività della mente e la vita della fede.
D'altro canto, ogni tentativo di limitare il significato di Dio al Verbo della sua rivelazione deve non solo abbandonare tutti i significati di Dio, ma deve anche isolare la realtà di Dio dalla realtà del mondo, isolando con ciò Dio sia dal luogo di svolgimento che dalla realtà dei suoi atti.  
Tanto la "teologia naturale" che la "teologia rivelata" rifiutano la piena realtà di Dio: l'una concependo una primordiale o eterna natura di Dio, incapace tanto di movimento progressivo quanto di azione redentrice, l'altra postulando un Signore sovrano che è infinitamente remoto dalla realtà immediata o storica della sua creazione. Ma, ciò che è più grave, tanto le espressione dogmatiche della teologia rivelata, quanto le forme stabilite della teologia speculativa isolano Dio da Cristo, stabilendo così un incolmabile abisso fra il Creatore e il Redentore, cioè fra la primordiale e la conseguente natura di Dio regredendo così definitivamente a forme pagane o religiose di cristianesimo.

Blake intuì acutamente che il Dio del teismo e il Dio dell'ortodossia sono identici, perché entrambi bandiscono dal mondo il Dio redentore, mentre, postulando Dio o come fonte impassibile dell'ordine cosmico o come despota tirannico della storia, giungono all'identica concezione di un Dio distante ed estraneo. In realtà, mentre il cristianesimo storico o ecclesiastico è progressivamente regredito dalla sua fede originaria, esso ha approfondito il baratro fra il Creatore e il Redentore, finché nel nostro tempo un significato redentore di Dio è completamente svanito. Per invertire questo processo di regressione, noi dobbiamo ritornare al principio fondamentale della teologia dialettica: Dio è un processo graduale di metamorfosi kenotica, che rimane se stesso mentre si svolge come assoluta auto-negazione. "Dio è Gesù", grida Blake e con lui ogni profeta cristiano radicale, perché Dio stesso è divenuto incarnato ed è pienamente e totalmente identico a Cristo.
Così dobbiamo parimenti resistere a ogni tentazione gnostica e dualistica di dividere in due parti il Creatore e il Redentore, riconoscendo che se Dio è identico a Cristo, Cristo è allora la finale incarnazione dell'auto-negazione di Dio.
In nessun punto il Vangelo di Giovanni è più anti-gnostico che nel suo tentativo di raffigurare Cristo come il Creatore, perché l'onnipotente Creatore che diviene Cristo è già, nel suo atto originario e nella sua epifania, il Dio capace di svuotarsi del suo potere sovrano. 
Dialetticamente considerato, ogni atto di Dio è una metamorfosi kenotica, perché il Dio che agisce come Creatore è già un Dio che è caduto da una originaria Totalità; e allora anche gli atti più imponenti e oppressivi di Dio possono essere compresi dal cristiano come preparazione al Vangelo.  

Tuttavia, il cristiano tradisce la sua fede se rifiuta il movimento progressivo del processo divino. Dio nega se stesso come Creatore sovrano incarnandosi in Cristo: Dio come Creatore e Signore subisce una metamorfosi in Cristo, così che egli trapassa nell'opposto della sua originaria epifania. Cristo è identico a  Dio; sì, ma il Dio che è presente e reale in Cristo è il Dio che ha svuotato se stesso nella sua originaria sovranità e trascendenza. Perciò il cristiano che vive in Cristo deve rifiutare ogni immagine del Dio pre-incarnato, eccetto in quanto queste immagini sono trasfigurate dall'auto-sacrificio o auto-negazione di Dio stesso.

Il paradiso originario perduto e proibito
In Oriente, dove il movimento religioso d'involuzione, inversione e ritorno riceve la più completa e chiara espressione, una rivelazione assoluta e definitiva è sempre conosciuta come un fatto verificatosi nel tempo primordiale del Principio. Qui la rivelazione è completamente isolata dalla realtà profana del tempo, oppure è visibile in una forma decaduta solo in quanto cessa di essere assoluta per adattarsi all'umana ignoranza e debolezza. Quando la rivelazione è così concepita, essa sarà storica solo in quanto cessa di essere rivelazione. Rispetto a questa forma di rivelazione puramente religiosa, una rivelazione veramente storica può verificarsi soltanto nella realtà contingente di una storia profana, e deve perciò inevitabilmente apparire in una forma decaduta anziché in una forma eterna. Una rivelazione storica può perciò manifestarsi in una forma sacra o eterna solo in quanto essa non è ancora divenuta storica, o ha cessato di esserlo. La rivelazione può essere storica solo per mezzo di una metamorfosi del sacro nel profano, un reale movimento della Parola dal sacro al profano, invertendo il movimento regressivo della religione. Il cristianesimo religioso resiste a questo movimento della Parola, contrapponendo al suo abbandono di un sacro originario e primordiale la sua resurrezione in una forma religiosa. Rifiutando la Parola che appare ed è reale nella decaduta realtà della storia, il cristiano religioso soccombe alla tentazione del passato, fuggendo verso il Dio primordiale di un non decaduto Principio. 
Un cristianesimo pienamente coerente o radicale conosce la totalità della Caduta. Di conseguenza esso condanna la ricerca religiosa di un sacro non decaduto, ripudia il Dio che è solo Dio e rinuncia ad ogni legame col passato. L'odio profetico di Blake per la memoria, l'aver compreso che l'Innocenza deve diventare Esperienza, e il suo successivo attacco all'innocenza come una fuga subumana dall'umana realtà della storia, sono tutti elementi che illustrano questo fondamento antireligioso del cristianesimo radicale. Essendo stato iniziato alla realtà totalmente decaduta e storica è non solo perduto ma proibito: perduto nel senso che è completamente svanito dalla storia, e proibito non fosse altro perché la ricerca di un paradiso deve capovolgere la realtà della storia, secondo un rovesciamento che può essere compiuto soltanto coll'abolizione dell'umanità. 
Parlare della totalità della Caduta significa riconoscere che nessuna via si apre nella storia verso l'innocenza non decaduta o verso la Parola primordiale. Una volta che la storia è diventata veramente manifesta nella sua forma completamente profana, sia il paradiso originario che il sacro primordiale sono andati perduti per sempre. Messa di fronte all'avvento di un mondo totalmente profano, la fede ha l'inevitabile tentazione di fuggire nel passato: ma il cristianesimo radicale addita la strada verso una nuova epifania della Parola, una Parola che è morta nella sua forma originaria e sacra e che si manifesta ora soltanto al centro della radicale profanità. Se dobbiamo ammettere che la Parola cristiana consiste veramente in un itinerario progressivo, per mezzo di una metamorfosi del sacro nel profano, essa può allora procedere soltanto col negare la sua originale identità, passando con ciò attraverso la morte nella sua forma originaria. 
Il cristianesimo ha sempre celebrato la morte come via verso la redenzione, proclamando che la morte di Cristo inaugurava una nuova realtà di gioia e di perdono e chiamando tutti gli uomini a partecipare a questa morte, come modo di salvazione.
La morte, è vero, è un motivo universale nella storia delle religioni: l'uomo muore alla sua condizione profana o decaduta per rinascre nel sacro. Tuttavia il cristianesimo, e soltanto il cristianesimo, proclama la morte del sacro; e soltanto nel cristianesimo troviamo effettivamente una concreta esperienza della fattualità e finalità della morte. Su questo punto il buddhismo presenta un istruttivo contrasto col cristianesimo, perché nel cristianesimo si scoprono sistemi incredibilmente complessi di meditazione incentrati sull'immagine della morte, ma nel buddhismo la morte è una via verso la dissoluzione della condizione umana, e quindi verso l'abolizione del dolore e della sofferenza. Nessun'altra delle religioni superiori del mondo chiama i suoi partecipanti a una piena esperienza del dolore e dell'oscurità dell'atto umano della morte come via verso la trasfigurazione e la rinascita. Unico è anche il mondo in cui il cristiano è chiamato a condividere al processo di salvazione. Alla base di questa esperienza cristiana della morte sta una nuova apertura verso la morte come evento fondamentalmente reale. In nessun altro luogo si concede alla morte la sua semplice seppur brutale realtà, poiché in nessun altro luogo della storia l'uomo ha trovato la vita attraverso l'umano evento della morte...
... La Parola incarnata che entra veramente ed effettivamente nella profana realtà della storia deve non solo apparire in una forma decaduta, ma deve realmente passare attraverso la realtà della Caduta e della morte, svuotandosi con ciò della sua purezza e del suo potere originari. La Parola cristiana è la Parola caduta e svuotata del suo potere divino nell'umiliazione della carne, proprio come l'Incarnazione è la più vera testimonianza della totalità e del carattere definitivo della Caduta. La Parola è attiva e reale soltanto nella profana realtà di una storia decaduta. Nella Crocifissione, la Parola è morta alla sua forma originaria, perdendo la sua gloria trascendente e la sua primordiale santità, mentre è divenuta pienamente carne. Solo nella Crocifissione, nella morte del Verbo sulla Croce, la Parola diviene effettivamente, realmente e completamente carne. Infine, l'Incarnazione è veramente reale solo se produce la morte del sacro originario, la morte di Dio stesso.

La buona novella della morte di Dio
Che senso può avere parlare della morte di Dio?
Anzi, è possibile parlare della morte di Dio in un tempo in cui il nome di Dio sembrerebbe indicibile? Dobbiamo anzittutto riconoscere che la proclamazione della morte di Dio è una professione di fede cristiana.
Poiché affermare che Dio è morto significa riconoscere che il Dio che morì in Gesù Cristo, il Dio che passò attraverso quello che Blake ha denominato simbolicamente Auto-annientamento e che Hegel ha concepito dialetticamente come "Negazione della Negazione".
Solo il cristiano può veramente parlare della morte di Dio, perché solo il cristiano conosce il Dio che nega se stesso nei suoi atti di rivelazione e di redenzione. Proprio come una concezione puramente religiosa della divinità deve ammettere un Dio trascendente e remoto, così una concezione puramente razionale e non dialettica della divinità deve parimenti ammettere un Dio impassibile e immobile, chiuso in sé, nel proprio Essere. Né il credente religioso, né il pensatore non dialettico possono comprendere il Dio la cui realtà e il cui movimento derivano dai suoi propri atti di auto-negazione. Perciò è solo il radicale o il profano o il cristiano non religioso a riconoscere che Dio ha cessato di essere attivo e reale nella sua preincarnata o primordiale realtà. è essenziale che il cristiano radicale chiarisca ciò che intende con la sua professione di fede, eliminando per quanto è possibile tutta quella confusione e ambiguità che nasce dal linguaggio della morte di Dio, e affermando chiaramente tanto il suo buon diritto cristiano, quanto il suo ripudio di tutte le forme di cristianesimo religioso. Confessare la morte di Dio significa parlare di un evento effettivo e reale, non forse un evento che avviene in un singolo momento del tempo o della storia, ma, nonostante questa riserva, un evento che è effettivamente accaduto sia in senso cosmico che in senso storico. Non dovrebbe esservi confusione derivante dal presumere erroneamente che una tale confessione si riferisca a una eclissi di Dio o a un ritirarsi di Dio dalla storia o dalla creazione. Un linguaggio che parli autenticamente della Morte di Dio deve inevitabilmente parlare proprio della Morte di Dio. Il cristiano radicale proclama che Dio è effettivamente morto in Cristo, che la sua morte è sia un evento storico che un evento cosmico e che, come tale, è un evento definitivo e irrevocabile, che non può essere capovolto da un susseguente movimento religioso o cosmico. è vero che un rovesciamento religioso della Morte di Dio è realmente avvenuto nella storia, che è presente nelle espressioni religiose del cristianesimo e che del resto sta ora recedendo in un passato arcaico, forse presto dimenticato. Ma un tale rovesciamento religioso non può annullare l'evento della Morte di Dio; non può ritrovare il Dio vivente del vecchio patto, né invertire il corso né porre fine alla progressiva discesa dello Spirito nella carne. I cristiani religiosi possono conoscere il Signore risuscitato dell'Ascensione proprio come possono esser legati a un Creatore o Giudice distante e onnipotente. Ma una tale fuga dal carattere definitivo dell'Incarnazione non può dissolvere l'evento dell'Incarnazione stessa, anche se alla fine costringerà il cristiano a cercare la presenza e la realtà di cristo in un mondo che è totalmente estraniato dalla visione del sacro stabilita dal cristianesimo. Dobbiamo ancora una volta tentare di stabilire una distinzione tra l'originaria o primaria morte di Dio in Cristo e l'attuazione o realizzazione storica della sua morte attraverso l'intera gamma dell'umana esperienza (Nota di Lunaria: ad eccezione del corpo femminile, si intende, che fa parte dell'umana esperienza di alcunE di noi, ma che dio non ha voluto assumere...)
Ricordando la radicale affermazione che Dio è pienamente e totalmente divenuto incarnato in Cristo, possiamo notare che né l'Incarnazione né la Crocifissione possono essere concepite come eventi isolati e irripetibili; esse devono piuttosto essere concepite come espressioni primarie di un progressivo ed escatologico processo di redenzione, un processo consistente nel graduale trapassare dello Spirito nella carne... Una fede che conosce questo processo come movimento di auto-negazione, come incarnato e simbolicamente attuato nella passione di Cristo, sa che esso diviene manifesto nella sofferenza e nell'oscurità di una nuda esperienza umana, bandita dal paradiso terrestre e svuotata del sostegno di una ragione o principio trascendente. Lungi dal considerare la vacua e radicata esistenza dell'uomo moderno come il prodotto di un abbandono della fede, il cristiano radicale riconosce nel vuoto spirituale del nostro tempo l'attuarsi storico dell'auto-annientamento di Dio e malgrado l'orrore e angoscia insiti in tale condizione dell'umanità, il cristiano radicale può salutare anche queste tenebra come un'ancor più ampia incarnazione e come un compimento dell'originaria passione di Cristo. Perciò, una fede radicale afferma che la nostra attuale condizione è uno svolgersi del corpo di Cristo, un'estensione nella pienezza della storia dell'auto-svuotamento di Dio. Nessuna evasione da un'autonoma condizione umana è possibile per il cristiano che confessa la sua partecipazione a un Verbo che ha negato il suo primordiale e trascendente principio: al cristiano che vive in un Cristo totalmente incarnato (nel maschio, ovviamente, e solo in quello. Nota di Lunaria) è proibito sia di aggrapparsi a un'originaria innocenza, sia di bramare nostalgicamente uno Spirito preincarnato (veramente qui l'unica cosa proibita, nel cristianesimo, è pregare Dio come Madre. Nota di Lunaria)
è precisamente la vita del cristiano nel Verbo kenotico che lo spinge ad accettare e ad affermare un mondo in cui Dio è morto come realizzazione nella storia dell'auto-annientamento di Dio in Cristo. Una volta che il cristiano è stato liberato da ogni attaccamento a un celestiale e trascendente Signore, una volta che è morto in Cristo alla primordiale realtà di Dio, allora può dire trionfalmente "Dio è morto!" 
Solo il cristiano può pronunciare la parola liberatrice della morte di Dio, perché solo il cristiano è morto in Cristo al regno trascendente del sacro e può realizzare nella sua propria partecipazione al corpo progressivamente svolgentesi di Cristo la vittoria dell'auto-negazione dello Spirito.
Proprio come il cristiano primitivo poteva invitare il suo ascoltatore a gioire della Crocifissione perché realizzava l'avvento del Regno di Dio, così il cristiano contemporaneo può annunciare la "lieta novella" della morte di Dio e parlare con gioia della definitiva consumazione e auto-annientamento di Dio.
Veramente, ogni uomo che oggi è aperto all'esperienza sa che Dio è assente, che la morte di Dio è un evento definitivo e irrevocabile e che la more di Dio ha attuato nella nostra storia un'umanità nuova e liberata.
Come sa il cristiano che Dio è morto?
Perché vive nel corpo pienamente incarnato di Cristo, il cristiano riconosce la totalità della nostra esperienza come la consumazione della passione del Verbo; dando se stesso al Cristo che è presente a noi, egli è liberato dal potere estraneo di una trascendenza svuotata e oscurata. Invece di restare muto e insensibile in risposta all'avvento di un mondo in cui il nome originario di Dio non può essere pronunciato, il cristiano può vivere e parlare pronunciando le parole della morte di Dio, annunciando gioiosamente la "buona novella" della morte di Dio e salutando la nuda realtà della nostra esperienza come la trionfante realizzazione dell'auto-negazione di Dio. Che cosa può temere il cristiano dal potere delle tenebre, quando può vedere nelle tenebre che lo circondando l'adempimento dell'auto-svuotamento di Dio in Cristo?

APPROFONDIMENTO SU MARY DALY

Mary Daly osservava:
 
"Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. 
Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile. Venendo meno il consenso delle donne alla supremazia maschile, questi tradizionali presupposti cominciano a traballare.
(Nota di Lunaria: si vedano Sprenger e Kramer nel "Malleus Maleficarum": "E sia benedetto l'Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello [la stregoneria]. Egli ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato") 

"Io ritengo che l'idolatria cristiana nei confronti della persona Gesù non verrà probabilmente superata se non per mezzo della rivoluzione in corso nella coscienza femminile. Diviene sempre più evidente che i simboli esclusivamente mascolini per l'ideale della "incarnazione" o per quello della realizzazione umana non vanno bene (...) "L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."
"Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo." 
Aggiungo anche quest'altra riflessione

L'essere umano perfetto è sempre stato ritenuto quello maschile, modello dell'umanità; la donna è "altro dal maschio". Il modo in cui è stata definita in filosofia e nella teologia cristiana del passato la dice lunga: "mas occasionatus", un maschio incompleto, malriuscito.
La questione della definizione della donna nasce in una cultura androcentrica e dualista che intende l'essere umano unicamente al maschile e associa alla donna, che maschio non è, tutto ciò che non è perfetto o che è malvagio: le tenebre, il male, la finitudine, la materia, il basso:

Efesini 4,13: "Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio allo stato di uomo perfetto (maschio, anèr, vir) nella misura che conviene alla prima maturità di Cristo." Se la perfezione dell'essere umano è il maschile, la donna è un "problema".

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