Il Nome di Dio presso i !Kung e il Tetragrammaton YHWH nel suo aspetto terrifico

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Nota: "!" identifica un suono come di schiocco di lingua, tipico di queste popolazioni.

La religione dei Boscimani !Kung

La religione dei !Kung è piuttosto complessa. Non ritengono gli esseri e le cose animate da spiriti. Credono invece che vi siano due Dei: uno maggiore che abita ad oriente, l'altro minore che abita ad occidente; il Dio maggiore è anche creatore: creò se stesso e il dio minore. Creò anche due mogli: una per sé, l'altra per il dio minore; le mogli generarono sei figli agli Dei, tre maschi e tre femmine; infine il Dio maggiore creò la terra, gli uomini, le donne e le cose.
Il rapporto tra Dio maggiore e minore non è come di padre e figlio. Tale precisazione viene espressa dai !Kung dicendo che tra i due esiste una relazione giocosa, ossia un rapporto di familiarità che non è concessa tra padre e figlio.
L'autorità e la potenza del Dio maggiore  vengono indicate dai !Kung dicendo che egli diede nome anche a stesso: "Io sono Hishe. Non sono conosciuto. Sono straniero.

Nessuno mi può comandare" (*)
Il male e la malattia vengono attribuiti alla sua potenza e i !Kung dicono che "Lodò se stesso anche quando fece qualcosa contro gli uomini". Al Dio maggiore vengono attribuiti sette nomi divini che non possono essere pronunciati se non con molto rispetto; lo si descrive anche col nome terrestre di Gao N!a, vecchio Gao.
Il dio minore si chiama Gauwa e il suo compito è quello di andare per la terra e informare il dio maggiore di ciò che fanno gli uomini; è a lui che attribuiscono le cause delle malattie. La sua presenza viene associata al mulinello a vento che talora si vede innalzarsi e trascorrere per la piana.
Secondo le credenze dei !Kung, i maghi-medici hanno un potere soprannaturale detto "n\um" che li mette in grado di curare. Lo stesso potere viene attribuito anche ai canti e alle piante medicinali. Questo potere è dato da Gao N!a e può trovarsi anche in altre cose o esseri anche se non sempre è benefico. I !Kung eseguono anche una "danza medicinale" che è accompagnata dal battito delle mani delle donne sedute: quando il mago cade in trance, mette le mani sul paziente.


(*) Nota di Lunaria: vedi tutta la speculazione esegetica, teologica, mistica ed esoterica inerente il nome di YHWH, il Tetragrammaton. (vedi anche https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/esoterismo-10-nomi.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/esoterismo-11-introduzione-alla-cabala.html)



Da Esodo 3:11 in poi, vi è il dialogo tra Mosè e Dio, sul nome di Dio, da dire agli Egiziani: "Io sono colui che sono" o secondo i Geovisti "Io mostrerò d'essere ciò che mostrerò d'essere". Si potrebbe fare un parallelo anche con i Novantanove Nomi del Dio Allah, che "condensano" i suoi attributi e modi di essere o con gli stessi attributi di YHWH - peraltro appartenenti ad altri Dei e Dee poi fusi in lui:


ma ci porterebbe via parecchio tempo fare un commento completo per ciascun nome; lascio che i curiosi vadano a leggersi su qualche sito islamico la speculazione mistica sui Nomi di Allah.
In questo post mi riferisco esclusivamente al concetto nell'immaginario comune di Dio e alla celebre vicenda del roveto ardente, riflettendo sull'aspetto terrifico di Dio.

Riporto una riflessione interessante fatta dal cristiano Luigi Pareyson, che, insieme a Kierkegaard e Quinzio,




è uno dei miei autori cristiani preferiti. Purtroppo non ho la foto della mia manina - con nail art - che regge il libro perché lessi e trascrissi Pareyson nel 2004 quando ancora non avevo un pc tutto mio, e quindi non potevo fare foto dei libri che leggevo - giacché è dal 1997 che mi sciroppo letture filosofiche, teologiche, esoteriche e chi più ne ha più ne metta, ma ho un pc mio solo dal 2012 - Comunque non escludo di rifare al più presto un post aggiornato su Pareyson. Purtroppo lui, come tanti altri filosofi per me essenziali, non li possiedo nella mia collezione di libri, ma devo richiederli e poi restituirli in biblioteca...

P.s. un altro cristiano figo è questo qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/un-cristiano-approvato-da-lunaria.html

Lunaria... l'anticristiana che apprezza i filosofi cristiani... più dei cristiani stessi!



Riporto qualche frase di Luigi Pareyson (1918-1991), che già avevo trattato nel mio schemino sull'Esistenzialismo Cristiano. Pareyson, insieme a Nicola Abbagnano, Sergio Quinzio (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/sergio-quinzio-un-cristiano-very.html), Sandro Maggiolini e Giuseppe Rensi, è il Filosofo italiano che più mi ha influenzato, ed è uno dei miei Filosofi Cristiani preferiti, insieme a Quinzio, Altizer, Kung. Tra l'altro ho notato che viene parecchio snobbato nell'ambiente filosofico, quando invece le sue riflessioni sulla Libertà, il Male e il Male in Dio sono parecchio interessanti, e scritte senza nessuna pretesa d'arroganza intellettuale.
Luigi Pareyson: Cristiano sì, ma non zuccheroso o insopportabilmente propagandistico! Un altro aspetto interessante di Pareyson, e che lo rende particolare, è che ha più volte ipotizzato l'origine del Male in Dio stesso, e non "scaricando" il Male su un capro espiatorio come il Diavolo, che cita davvero brevemente nel suo libro.
"Ontologia della Libertà - Il Male e La Sofferenza"
Che cos'è dunque il Male? Il Male non è assenza di Essere, Privazione di Bene, mancanza di realtà, ma è realtà, più precisamente realtà positiva nella sua negatività. Esso risulta da un positivo atto di Negazione: da un atto consapevole e intenzionale di trasgressione e rivolta, di rifiuto e rinnegamento nei confronti di una previa positività; da una forza negatrice che non si limita a un atto negativo e privativo ma che, instaurando positivamente una negatività, è un atto negatore e distruttore.
La Libertà è libera anche di non essere libera, ed è pur sempre con un atto di Libertà ch'essa si nega come Libertà, diventando così potenza di distruzione, nel duplice senso dell'autodistruzione e dell'onnidistruzione. è dunque con un atto di Libertà, che la Libertà distrugge se stessa; e come la Libertà negativa è insieme distruzione e affermazione di sé, così il Male è al tempo stesso positivo in quanto reale, effettivo, risultato di volontà, negativo come distruttivo e annientatore. 
Dio contiene dunque in sé, come possibilità ab aeterno, vinte e superate, il Nulla e il Male. Per cogliere questo punto essenziale, si cerchi di pensare e tener fermo un unico atto originario, in cui l'irruzione di Dio nell'Essere (l'esistenza di Dio) il suo affermarsi come Positività (la sua scelta del Bene), il suo rifiuto dell'altra alternativa (l'eliminazione del Male), il suo superamento del Negativo (la sua vittoria sul Nulla) si identificano e sono tutt'uno, un unico e medesimo atto. Egli è Libertà, e la Libertà è di per sé ambigua, nel senso che può esser Libertà positiva o Libertà negativa, e quel dilemma fra Bene e Male, Essere e Nulla, non fa che esprimere tale ambiguità. Si ravvisa la suprema dialettica divina nel fatto che Dio è sempre
insieme Positività e Negatività, Affermazione e Negazione, cioè collera e grazia, Ira e Misericordia inseparabilmente. Il Male in Dio è soltanto la possibilità del Male, la quale può essere tradotta in realtà solo per opera dell'uomo, al momento della sua Caduta.

Nota di Lunaria: peraltro, solo i cattolici ingenui e simili boccaloni possono pensare che "Dio sia solo amore" perché anche all'interno del cristianesimo, soprattutto quello più integralista e fanatico, perciò anti-diritti civili oltre che anti-donna, Dio è un Dio di vendetta, di castigo, di capriccio assoluto. Basterebbe farsi un giro sui siti evangelici pentecostali... Per giunta, non sono mancati teologi cattolici o no che restano scandalizzati da questo aspetto del loro "dio padre" che vuole il sangue di gesù cristo, e richiede espressamente la mattanza della crocifissione. Si potrebbe citare Boff, e quanto si sentisse disturbato a pensare a questo aspetto di Dio...
Difatti l'immagine del "Dio che vuole la mattanza, la violenza, la sofferenza" è stata commentata anche dalle teologhe (vedi il libro "Lacrime Amare") non a caso, messa in parallelo con la violenza contro le donne, alle quali si chiedeva di "amare il proprio stupratore, amare colui che le picchiava, pregare per lui, sopportare, perdonarlo" anche perché gesù aveva patito, versato il suo sangue docilmente, senza lamentarsi, perdonando.

L'aspetto angosciante consiste nel fatto che questa presenza del Male in Dio è già quasi l'annuncio della Catastrofe, cioè della Caduta dell'uomo, con la quale il Male sarà realizzato. Dio è senza dubbio l'origine del Male, ma certamente non ne è il realizzatore, cosa che compete soltanto all'uomo, sul piano della storia. In Dio si origina non solo il Bene, ma anche il Male. Non nel senso che egli ne sia l'autore, ma nel senso che egli nell'insondabile abisso della Libertà dà luogo, anzi, cede il posto alla Libertà umana, sì che l'autore del Male è l'uomo e soltanto l'uomo. Origine del Male non in quanto lo faccia o lo causi, o lo provochi o lo permetta, ma in quanto gli dà via libera, e persino lo suggerisce attraverso la morbosa attrazione operata da quella possibilità del Male che è insita, anzi sepolta, in lui - nell'atto stesso di cedere il posto alla Libertà umana, e di rispettarla nel suo esercizio.
Non si può ammettere che l'uomo abbia tanta creatività da inventare il Male: egli, che è l'unico autore del Male, non può tuttavia esserne l'inventore. Non è necessario ricorrere a un principio del Male perché il Male è già in Dio [...] Nemo contra Deum Nisi Deus Ipse (Nessuno contro Dio, se non Dio Stesso).
è l'Espiazione il nesso che collega indissolubilmente il Male e il Dolore: il destino di Espiazione che grava sull'uomo per la sua colpa per un verso lo priva di ogni diritto alla felicità e per l'altro non gli lascia altra prospettiva di salvezza che il Dolore. Questa è la tragedia dell'uomo. Egli è immerso nel Negativo, autore del Male e soggetto al Dolore, marchiato dall'onnicolpevolezza e destinato alla sofferenza universale. Ma è anche la tragedia di Dio, perché la Caduta umana, segnando il fallimento della creazione, colpisce l'opera sua e lo costringe a intervenire per rettificarla, ciò che Dio non può fare se non soffrendo a sua volta, perché solo col Dolore si può vincere il Male.
La Sofferenza degli innocenti è segno che la creazione è così fallimentare che per porvi riparo è necessario anche il Dolore di Dio. Dio, nel punto culminante della sua tragica vicenda, nega se stesso: è la crocifissione, questo evento inaudito e sconvolgente, questo "suicidio" non si sa se più sublime o terribile, in ogni caso enigmatico e misterioso, questa cupa e tragica storia di autodistruzione e morte. (è interessante notare come anche Thomas Altizer, Moltmann e Sergio Quinzio parlino proprio della Morte di Dio e della Kenosis, lo "svuotamento" dell'Uomo-Dio che si accascia, annullato, sulla Croce. Nota di Lunaria).
Per il Cristianesimo, invece, il problema non è di sopprimere la sofferenza, che sarebbe come sopprimere la realtà, ma di trovarne il senso e ribadirlo: si tratta di sapere soffrire per fare del dolore stesso non una diminuzione ma un incremento della personalità. La Liberazione dal Dolore consiste nell'approfondimento del Dolore stesso. Ogni zolla di terra, come dice Dostoevskij, è intrisa di lacrime e con pane di lacrime è nutrito l'uomo. Protesta Alfred de Vigny, e non soltanto quando aggiunge "le Silence" al poema "Le Mont des Oliviers", suggerendo di opporre al silenzio di Dio, il freddo e sdegnoso silenzio dell'uomo, ma anche quando immagina un giovane infelice che commette il suicidio con lo scopo preciso di presentarsi a Dio per chiedergli ragione di averlo creato sofferente. (cosa che anche Giovanni Cenacchi rinfaccia a Dio, nota di Lunaria)
Nella storia la spirale del Negativo è tutta in evidenza. Il Male non è soltanto quello definito da Kant (che, pur avendo un adeguato concetto della radicalità del Male, inteso come Grandezza Negativa e Forza Contraria, non ne accetta il carattere diabolico), distinto nelle tre forme della fragilità, dell'impurità e della malvagità che sono come il fango e la melma in cui l'uomo nasce e vive nella storia, alle quali corrisponde il campo del Dolore, il Malumore di Esistere, il Fastidio di Vivere, il Disagio della Vita (Taedium Vitae), il Flagello della Noia.
Su questa via il Cristianesimo giunge a saper considerare il Dolore stesso come sede - anzi la sede forse più autentica e sicura - della gioia. Il punto di vista cristiano è sempre dialettico: ogni conforto è possibile solo attraverso un cammino doloroso, la consolazione è genuina solo se raggiunta attraverso la Disperazione, la gioia è apprezzabile come tale solo attraverso e dentro la sofferenza. La concezione cristiana sarà caratterizzata dal più amaro disincanto e da una spiccata sfiducia nell'umanità, oltre che da una spontanea e irresistibile diffidenza nei confronti del sentimentalismo sia doloristico sia consolatorio, ma non può essere tacciato di cupezza e tetraggine. Si può considerare cristiano chi senza enfasi e con impassibile fortezza è capace di sopportare le durissime idee seguenti: l'idea che il cuore della realtà è fatto di Male e Dolore; l'idea che Dio non cessa d'esser Dio se
soffre e si abbassa, perché il Male può essere completamente vinto solo con la Cenosi (Kenosis) di Dio, che deve dunque esser messa in conto della sua onnipotenza; l'idea che l'uomo non ha alcun diritto alla felicità né alcun permesso di lamentarsi, perché del fallimento del mondo non ha da incolpare che se stesso; l'idea che non si soffre mai abbastanza, a causa dell'economia sbilanciata dell'universo, e che perciò anche gli innocenti sono chiamati a prestare il loro contributo di sofferenza, del che non Dio ma l'uomo stesso è responsabile; l'idea che segno e misura dell'esser cristiano è la continua disponibilità a soffrire per gli altri, anzi a volerlo fare, anzi a trovarvi soddisfazione, cioè sollievo alla propria colpevolezza e infelicità... l'idea che proprio la Sofferenza, e non un qualsiasi divertissement, è il rimedio contro la noia, il Taedium Vitae, la scontentezza, l'inquietudine, e anzi proprio il Dolore può diventare sede della Gioia.
Nemmeno può essere considerata un male la finitezza della creatura quale esce dalle mani del creatore, la quale consiste più in un limite che in un'imperfezione, più in un naturale descensus che in un vero e proprio casus, e non allude che a quella creaturalità che segna la reciproca delimitazione fra il creatore e la creatura, come un intervallo che al tempo stesso li divide e li unisce. La risonanza emotiva di questo limite non oltrepassa il velo di tristezza ch'è disteso sull'intera creazione, quasi una dolce e serena malinconia, qual è stata notata da tutti gli osservatori, soprattutto romantici, della bellezza delle cose del mondo, meravigliose ma passeggere, e della quale è stato acuto interprete da noi, per quanto riguarda la bellezza artistica, Benedetto Croce, quando scrive: "Un velo di mestizia par che avvolga la Bellezza, e non è velo, ma il volto stesso della Bellezza". Eppure anch'essa ha un aspetto di oscurità (ma non c'è un'ombra in Dio stesso? e la creazione non ha forse in sé qualcosa di cenotico?), perchè nella creazione è ancora fresca la memoria della lotta e della vittoria sul Nulla, e l'ordine è eretto sul disordine, e ha sotto di sé, in tacito e ardente ribollimento, il caos, con le sue immense e terribili forze in continuo fermento e pronte a scatenarsi, Raab e i mostri marini e, a mala pena trattenute, le potenze del Nulla. Nulla è drammatico come l'atto primo con cui Dio origina se stesso, perchè è una lotta fra la volontà e il desiderio di Dio di affermarsi ed esistere e il pericolo che vincano il nulla e il male. è in questa lotta che il male gioca la sua carta suprema, sì che la stessa originazione di Dio e l'instaurazione della sua esistenza sono in pericolo sino a che non s'imponga la volontà divina, non prevalga il desiderio di Dio, sino a che la scelta assoluta non giunga a debellare il male scartandolo definitivamente. Il nulla e il male hanno sì giocato la loro unica e ultima carta nell'estremo sforzo per prevalere, ma hanno perso la partita. è stata un'operazione immane e terribile, in cui venne decisa l'alternativa: o la libertà positiva o il trionfo della negazione, o la vittoria sul male o la vittoria del male, o l'esistenza di Dio o il "nulla eterno".
La prospettiva era o la vittoria del male, sole nero nella voragine del nulla, o la vittoria sul male da parte d'una positività libera e dominatrice.   L'importante è riconoscere che Dio è libertà assoluta, che la sua scelta è stata la scelta del bene, cioè la scelta positiva in presenza della possibilità negativa, che la sua esistenza è la vittoria del bene sul male e perciò positività originaria. Dire "Dio esiste" significa dire che ab aeterno è stato scelto il bene, che il male è stato vinto per sempre. Questa abissalità divina è data dal fatto che Dio è libertà, la quale per un verso è volontà d'esistenza e atto iniziatore, e per l'altro verso è possibilità del male e scelta originaria. Il fatto che il male già sussistesse prima dell'umanità non significa altro che l'uomo non aveva tanta creatività e inventività da sapersi fare un'idea del male, cosa possibile solo in una scelta orginaria, in un atto di libertà pienamente e assolutamente primo e invalicabile.
Se c'è, nel senso chiarito, negatività in Dio, non si dovrà dire che c'è un'ombra in lui? L'espressione è forte, probabilmente esagerata; ma non mi sembra ingiustificabile all'interno del linguaggio mistico e simbolico cui si deve ricorrere parlando della divinità. Certo, lo stesso Barth parla della "mano sinistra" di Dio, e anche questa è una metafora, probabilmente meno spinta della precedente. Che sia meglio fermarsi all'espressione barthiana, la quale ha tuttavia un senso preciso nell'ambito di una concezione del nulla diversa da quella sostenuta in queste pagine?
(Nota di Lunaria: a me sembra che sia Pareyson che Barth siano fin troppo gentili nel descrivere Dio. Tutto l'Antico Testamento è pervaso da un Dio collerico, adirato, distruttore, che gradisce sacrifici, genocidi, immolazioni di sangue, tanto che è uno dei primi limiti del Cattolicesimo, non aver dato una spiegazione davvero convincente su come fosse possibile che il Dio devastatore di Abramo fosse anche il Dio amorevole di Gesù. Resta una frattura, o, citando il Teologo Kitamori, un Dio "schizofrenico", dalla doppia personalità, tanto che a mio parere solo la Gnosi ha saputo spiegare meglio certe aporie del Cristianesimo).
Come si può non vedere in Dio un abisso, anzi l'abisso, poichè egli, non avendo fondamento, origina se stesso, anzi è la stessa originazione che fa di sé? Tutto in Dio è abissale. Abissale è la sua libertà, la liberta ch'egli è; abissale la sua volontà, il suo desiderio di esistere; abissale la sua positività come liberamente scelta; abissale la sua generosità, quello slancio di prodiga liberalità ch'è la creazione; abissale il suo amore, che va incontro alla sofferenza e alla morte non solo per restaurare la creazione ma anche per redimere l'uomo che pure ha fatto fallire la sua opera.
Altra pensabile ipotesi è che Dio possa scegliere il male, e che da questa scelta risulti l'esistenza d'un Dio malvagio, "Re delle cose, autor del mondo, arcana malvagità", "Eterno dator de' mali", che "per uccider partorisce", che cioè crea esseri unicamente per soddisfare il proprio gusto di distruggere.
Nota di Lunaria: E ovviamente, nell'ottica femminista radicale, dio è comunque l'origine del male che le donne patiscono perché eleva e divinizza esclusivamente la virilità e quindi l'egocentrismo e la megalomania maschile del sentirsi "padroni delle femmine": quale stupratore non sarebbe lusingato nel pensare che "Dio si è fatto maschio come me\Dio è nato con il mio stesso attributo"? Pertanto, il concetto di Dio come lo intende il monoteismo e le religioni androcentriche è funzionale alla misoginia.
Non è strano che per parlare di Dio sia necessario ricorrere a ossimori, contraddizioni, paradossi: parlare ad esempio di Dio prima di Dio, di Dio e Deità, di Dio e Sopradivinità, tutte espressioni simboliche della sua abissalità. L'abissalità di Dio è data dalla sua libertà, ch'è inizio assoluto come desiderio d'esistenza e scelta prima come istituzione della possibilità del male; essa non esclude quindi aspetti sconcertanti, ma li situa nella sorgente viva della stessa positività. Ciò non significa fare di Dio una realtà notturna o conferirgli l'opacità della notte. L'oscurità dell'abisso è quella del mistero: notte profonda sì, ma rotta dai lampi improvvisi di intense illuminazioni, capaci di squarciare le tenebre più fitte mantenendone insieme la più densa e ricca insondabilità, con l'inesauribile promessa di sempre nuove rivelazioni.
L'ombra in Dio è che gli si possa domandare: "Perché tanto male nel mondo, perché tanta malvagità e tante sofferenze?" e ch'egli non risponda che col suo silenzio. (Nota di Lunaria: questa è forse la frase migliore di Pareyson che demolisce un sacco di teologia buonista e da zucchero filato)
La disperata domanda "Perché tanto male?" non è che il rovescio della "domanda fondamentale"; e il silenzio di Dio è quello da cui trae spunto l'angoscia dell'uomo d'oggi, immerso nel pozzo senza fondo del nichilismo. Fermarsi al silenzio di Dio e accettarlo: forse che sia questa la "soluzione" del problema del male.
Nota di Lunaria: riporto nuovamente ciò che diceva Elie Wiesel sul "silenzio di Dio", avendo lui vissuto, in prima persona, il dramma della deportazione. Avrà pregato, avrà implorato Dio di salvarlo, di far cessare l'orrore, e tutto ciò che ha visto, è stato un Dio muto:
"Abbiamo la netta percezione che un giorno non lontano dovremo - noi che allora non eravamo nati - parlare di un Dio muto mentre il suo popolo veniva sacrificato su un'ara di cenere dai molti nomi, dai nomi impronunciabili, la più grande ara di cenere della storia"
"Se c'è un tempo per pregare, c'è un tempo per porre delle domande a Dio, è un terzo tempo in cui, in assenza di risposte, non resta altro da fare se non intentare un processo a Dio. Tutta la grandezza della tradizione Ebraica, tutta la sua forza, non sono forse in grado di intentare all'Eterno un processo per aver lasciato assassinare sei milioni di individui del suo popolo, di cui un milione e mezzo di bambini?"
Nella situazione, è ovvio, perchè nella situazione c'è un'infinità di cose che non dipendono da noi (la nostra nascita, la nostra condizione, i genitori che abbiamo, il luogo in cui nasciamo...) [qui Pareyson si colloca nel solco del pensiero Heideggeriano... nota di Lunaria] non solo, ma l'inizio della nostra situazione è una nascita a cui non abbiamo dato alcun consenso, è quindi una necessità che ci è piombata tra capo e collo, e guardando all'incertezza del futuro c'è per lo meno un'assoluta certezza, e cioè qualcosa di inesorabile che è la morte. Non si può non agire. Anche se io decidessi di non agire, sarebbe pur sempre una decisione che prendo. (e qui è palese il riferimento a Sartre! Nota di Lunaria)
La Libertà non la si può ricevere se non esercitandola. è un apparente paradosso quello di qualcosa che comincia ad essere solo nell'atto in cui è ricevuto, perché solo l'atto di riceverlo lo attiva.
Dio può dire: "Io sono così libero che sono libero anche dal mio essere, e il mio essere me lo do come voglio; la mia volontà è lo stesso atto di libertà che io sono; il mio atto di libertà è l'atto con cui io voglio essere quello che sono.
Ego sum qui sum, 'Ehjeh 'Ascher 'Ehjeh, Io sono chi sono, Io sono chi mi pare, Io sono chi voglio, Io sono chi voglio essere, Io sono quello che voglio essere e voglio essere quello che sono, Io sono libero al punto di essere libero anche del mio essere, dalla mia essenza, della mia esistenza.
(qui Pareyson rimanda, a mio parere, a certi quesiti teologici relativi all'onnipotenza di Dio, del genere "Se Dio possa creare un altro Dio", "Se Dio possa creare qualcuno di più onnipotente di lui" e così via... tutti giochini che piacevano molto ai teologi di secoli fa! Nota di Lunaria)
è una peripezia drammatica questa della libertà, che al punto culminante può invertire la rotta, perventendo la propria immagine di libertà in modo che l'affermazione si fa negazione, anzi distruzione. Questa uscita dal non essere può giungere al punto di far ritorno al non essere: è appena uscito dal non essere che già può rientrarci; (mi viene in mente Severino... che abbia letto anche lui Pareyson? nota di Lunaria) e questo non essere non si presenta più soltanto, in questo caso, come non essere, ma come nulla, anzi qualcosa di peggio: come distruzione.Perché c'è stata di mezzo la scelta, c'è stato di mezzo l'atto della libertà, che ha convertito questo non essere in qualcosa di molto più impegnativo. L'atto di libertà che affermandosi e realizzandosi esce dal non essere (vince il non essere) mantiene la possibilità di rientrarvi e di morirvi, soccombervi. Passando il punto fatale, il non essere da cui essa emerge, realizzandosi, diventa il nulla in cui essa può tornare, perdendovisi. L'uscire dal non essere è certo un'affermazione di sé, che può però essere anche la negazione di sé, cioè l'entrare nel nulla. Ecco come l'inizio diventa scelta. è pur sempre un atto di libertà (cioè l'affermazione di sé) sia l'atto con cui si conferma e si ribadisce nell'essere, sia l'atto con cui si nega scegliendo il non essere da cui è emersa; e questo non essere, essendoci stato di mezzo l'atto di libertà, diventa "nulla". La negazione, questa affermazione di sé presentandosi come negazione, si fa annientamento, distruzione, autodistruzione. Quello che Barth chiama das Nichtige, non semplicemente il Nein. Così l'atto della libertà è l'essere in alternativa, l'inizio diventa di per sé una scelta, il cominciamento assoluto diventa un dilemma, l'atto che sembrava unico invece si presenta a due termini. [...] Il non essere più la scelta è il male. Che cos'è il male? Il non essere + la scelta. Il male è il non essere scelto. Queste due possibilità contemplate dalla libertà si sono realizzate storicamente, non nel senso della storia temporale, ma nel senso della storia della libertà, che è storia in quanto presente e identica alla libertà; c'è la libertà che non appena si afferma rientra nel nulla da cui è appena uscita; c'è la libertà che fra l'autoaffermazione e l'autonegazione sceglie l'autonegazione; c'è la libertà che si afferma solo per negarsi e non si afferma che negandosi; c'è la libertà che trasforma il non essere in nulla e la negazione in annientamento; c'è la libertà da cui è nata la forza negativa della distruzione, dell'onni- e autodistruzione [...] Comunque di tutta questa analisi che ho fatto fin qui volevo che risultasse questo, che la libertà è insieme potere di originazione (e quindi inizio assoluto), e scelta negativa o positiva, e questo in assoluto, ovunque c'è libertà. In ogni punto la libertà indivisibile, anche se diversa in intensità e in potenza, presenta questi due caratteri: sgorga impetuosamente e si divide duplicemente. In ogni punto la libertà è inizio e scelta.
Il male nella sua realtà si trova nel mondo storico-umano, dove è stato realizzato dall'uomo. Ma si può veramente attribuire all'uomo tanta creatività, tanta inventività da inventare il male? Per potente che l'uomo si possa immaginare, è difficile attribuirgli una potenza tale e un'inventività tale da inventare il male. Una potenza per realizzarlo, dopo che ne ha trovato la traccia, sì; ma la potenza di realizzarlo dopo aver già sprecato tutte le sue eventuali energie nel cercare e nel riuscire a inventarlo, no: la finitezza dell'uomo non è da tanto. Bisogna che l'uomo abbia trovato l'idea del male, uno spunto di male, e che lo consideri come una possibilità da tradurre in realtà. E dove l'ha potuta trovare, questa possibilità? Cosa c'è prima dell'uomo? Non c'è che il suo creatore, cioè Dio. Non ha potuto trovarla se non in Dio. Ma in Dio il male non può essere reale, perché Dio è il bene scelto, Dio è stata la realizzazione del bene. Ma era possibile realizzare il bene se non scegliendolo? E scegliere il bene è possibile, se non operando questa scelta con la possibilità della scelta opposta, cioè  della scelta del male? No. Se scelta è scelta, è duplice (perchè se Dio non avesse avuto altro che l'univoca possibilità del bene, non sarebbe stata una scelta la sua, ed egli non sarebbe il bene scelto), egli non sarebbe quello che è, la vittoria sul male. Quindi, dire che il bene è scelto significa dire che questa scelta è stata operata in opposizione, in presenza della possibilità della scelta opposta, e cioè della scelta del male, della scelta negativa. Quindi è in Dio il male - naturalmente come possibilità.           


Già che ci sono metto anche un commentino su dio e Hegel

  tratto da


Niente era più alieno dalla filosofia di Hegel che "riverire qualcosa che è al di sopra di noi." In linea con la sua analisi storica e genetica delle origini del monoteismo, Hegel non può che interpretare il quadro teistico di Dio e uomo in termini di relazione padrone-schiavo. Per lui, quindi, in qualsiasi posizione che accetti Dio e l'uomo come esseri irriducibilmente distinti, sarà sempre implicita una denigrazione dell'umanità, un estraniamento che soffoca la vita, per quanto intima possa poi essere la loro unione nella grazia.
Nota di Lunaria: veramente qui l'unica cosa che è una denigrazione dell'umanità FEMMINILE, è l'idea che dio sia maschile. 
è per questo che Hegel non può ammettere un Giudizio finale: "[Dio] non può giudicare il mondo; può solo averne pietà". Ma si tratta qui di un'implicazione teologica del suo precedente punto di partenza filosofico secondo cui "fra l'uomo e Dio, fra spirito e spirito, non c'è questo gran divario di oggettività: l'uno non è per l'altro che uno, e l'altro è tale solo quando conosce l'altro."
Se le cose stanno come dice Hegel, allora non c'è da stupirsi che egli nutra un terribile risentimento nei confronti di quelli che hanno generato la rivelazione dell'alterità e trascendenza di Dio, e Balthasar lo sa benissimo:
"[In Hegel] questa conciliazione del genio greco con il Vangelo comporta però una condizione: la totale eliminazione dell'elemento ebraico. Nella sua insaziabile polemica piena di odio contro il vecchio testamento Hegel perseguita il solo elemento di cui egli non ha in nessun caso bisogno per il suo sistema pur così onniconciliante: la sovrana, dominatrice supremazia di Dio sul mondo che di puro arbitrio agisce, elegge e riprova; e perciò anche la distintiva forma veterotestamentaria della gloria divina, il kabod. Questo antisemitismo precisamente doveva emergere alla fine della nostra storia dello spirito, in cui la supremazia di Dio sul mondo - in senso antico-classico e poi cristiano - venne livellata nello schema della implicazione-esplicazione."
Per Balthasar il successivo cammino del pensiero tedesco, se non la sua storia, diventa a questo punto inevitabile: un utopismo che si spacca in un'ala destra e un'ala sinistra, e un'estetica che distorce a tal punto la gloria biblica e (ironia della sorte!) le vedute classiche, che non ne può seguire che l'Età della prosa. Secondo Hegel il monoteismo nacque come espressione della coscienza infelice intrappolata in un sistema politico imperiale oppressivo, in cui la sola relazione reale era quella di padrone-schiavo; e quando arriviamo alla fine del sistema hegeliano, vediamo che esso, nel momento in cui annulla la distinzione fra Dio e il mondo, alimenta lo stesso sistema politico che criticava. Così perlomeno lo vede Balthasar: "Se si considera che l'assunto primo in ordine di tempo di Hegel era stato il concreto (cioè nazionale) spirito del popolo che doveva mediare tra spirito universale e la monade, e che questo indeterminato spirito del popolo gli si presentò più tardi come spirito formato dello Stato, ci risulta chiaro che Hegel doveva diventare lo spirituale punto di partenza sia del socialismo di sinistra che di destra del tempo successivo, due socialismi che, ciascuno a suo modo, hanno poi raccolto la gloria dell'essere assoluto nella pretesa di assolutezza del loro partito"