Per approfondimenti, vedi anche:
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterica-1-origini-e-cabala.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/israele-esoterico-2-alfabeto-e-spirito.html
La Cabala è un corpo di dottrine occulte, di origine ebraica, che venne adottato dagli occultisti non ebraici sin dal 15° secolo. Levi, Mathers, Crowley ne furono profondamente influenzati. Dalla Cabala si possono trarre i grandi principi magici: che l'universo è una unità, che si fonda su un tessuto sotterraneo connesso con numeri e pianeti, che l'uomo è Dio e l'universo in miniatura e che può sviluppare la scintilla divina che ha in sé sino a dominare l'intera creazione e divenire egli stesso Dio.
La Cabala è molto complessa: è Hokmah Nistarah, la "Visione Nascosta" che si pensava tramandata in segreto di generazione in generazione dai saggi sin dal tempo di Abramo, cui venne rivelata da Dio.
La Cabala consiste di numerosi scritti di diversi autori anonimi. I più importanti sono il Sepher Yetzirah, il Libro della Formazione, e lo Zohar, Libro dello Splendore.
Molte delle idee fondamentali della Cabala si trovano anche nello Gnosticismo: comune ai due movimenti è l'importanza attribuita al Sapere, la Gnosi, la conoscenza di Dio. Tale conoscenza trasforma l'uomo che l'acquista, rendendolo partecipe dell'essenza divina: conoscere Dio significa essere Dio. Gli eletti non sono coloro che conducono vita pia, ma gli illuminati che possiedono la conoscenza del divino. Il peccato si identifica con l'ignoranza.
La Conoscenza è la chiave per il divino, e la Conoscenza Suprema deve sapere spiegare tutto. Questo fa necessariamente entrare in gioco la ragione. Nonostante il suo originale rifiuto della ragione, la sete di Conoscenza dei Cabalisti sfocia quindi nell'imposizione di un rigido schema razionale per inquadrare Dio e l'Universo.
Secondo la Cabala, Dio è la somma di tutte le cose. Ogni idea contiene la sua contraddizione e Dio è identicamente e contemporaneamente buono e cattivo [*], misericordioso e crudele, limitato e illimitato, inconoscibile e conoscibile; e tutti questi opposti si riconciliano in quella superiore unità che è, appunto, Dio.
è come se Dio fosse uno specchio dal quale splende una grande luce. E la luce si riflette in un secondo specchio, che la riflette in un terzo e così via. Ad ogni riflesso successivo la luce e gli specchi perdono un po' della loro purezza, sinché alla fine sulla superficie opaca e graffiata del nostro mondo malvagio e limitato, non brilla più che molto debolmente.
[*] Nota di Lunaria: vedi tutta la speculazione esegetica, teologica, mistica ed esoterica inerente il nome di YHWH, il Tetragrammaton.
Da Esodo 3:11 in poi, vi è il dialogo tra Mosè e Dio, sul nome di Dio, da dire agli Egiziani: "Io sono colui che sono" o secondo i Geovisti "Io mostrerò d'essere ciò che mostrerò d'essere"Si potrebbe fare un parallelo anche con i Novantanove Nomi del Dio Allah, che "condensano" i suoi attributi e modi di essere... o con gli stessi attributi di YHWH - peraltro appartenenti ad altri Dei e Dee poi fusi in lui - ma ci porterebbe via parecchio tempo fare un commento completo per ciascun nome; lascio che i curiosi vadano a leggersi su qualche sito islamico la speculazione mistica sui Nomi di Allah.
In questo post mi riferisco esclusivamente al concetto nell'immaginario comune di Dio e alla celebre vicenda del roveto ardente, riflettendo sull'aspetto terrifico di Dio.
Riporto una riflessione interessante fatta dal cristiano Luigi Pareyson, che insieme a Kierkegaard e Quinzio,
è uno dei miei autori cristiani preferiti. Purtroppo non ho la foto della mia manina - con nail art - che regge il libro perché lessi e trascrissi Pareyson nel 2004 quando ancora non avevo un pc tutto mio, e quindi non potevo fare foto dei libri che leggevo - giacché è dal 1997 che mi sciroppo letture filosofiche, teologiche, esoteriche e chi più ne ha più ne metta, ma ho un pc mio solo dal 2012 - Comunque non escludo di rifare al più presto un pdf aggiornato su Pareyson. Purtroppo lui, come tanti altri filosofi per me essenziali, non li possiedo nella mia collezione di libri, ma devo richiederli e poi restituirli in biblioteca...
Riporto qualche frase di Luigi Pareyson (1918-1991), che già avevo trattato nel mio schemino sull'Esistenzialismo Cristiano.
Pareyson, insieme a Nicola Abbagnano, Sergio Quinzio, Sandro Maggiolini e Giuseppe Rensi, è il Filosofo italiano che più mi ha influenzato, ed è uno dei miei Filosofi Cristiani preferiti, insieme a Quinzio, Altizer, Kung. Tra l'altro ho notato che viene parecchio snobbato nell'ambiente filosofico, quando invece le sue riflessioni sulla Libertà, il Male e il Male in Dio sono parecchio interessanti, e scritte senza nessuna pretesa d'arroganza intellettuale.
Luigi Pareyson: Cristiano sì, ma non zuccheroso o insopportabilmente propagandistico! Un altro aspetto interessante di Pareyson, e che lo rende particolare, è che ha più volte ipotizzato l'origine del Male in Dio stesso, e non "scaricando" il Male su un capro espiatorio come il Diavolo, che cita davvero brevemente nel suo libro.
"Ontologia della Libertà - Il Male e La Sofferenza"
Che cos'è dunque il Male? Il Male non è assenza di Essere, Privazione di Bene, mancanza di realtà, ma è realtà, più precisamente realtà positiva nella sua negatività. Esso risulta da un positivo atto di Negazione: da un atto consapevole e intenzionale di trasgressione e rivolta, di rifiuto e rinnegamento nei confronti di una previa positività; da una forza negatrice che non si limita a un atto negativo e privativo ma che, instaurando positivamente una negatività, è un atto negatore e distruttore.
La Libertà è libera anche di non essere libera, ed è pur sempre con un atto di Libertà ch'essa si nega come Libertà, diventando così potenza di distruzione, nel duplice senso dell'autodistruzione e dell'onnidistruzione.
è dunque con un atto di Libertà, che la Libertà distrugge se stessa; e come la Libertà negativa è insieme distruzione e affermazione di sé, così il Male è al tempo stesso positivo in quanto reale, effettivo, risultato di volontà, negativo come distruttivo e annientatore.
Dio contiene dunque in sé, come possibilità ab aeterno, vinte e superate, il Nulla e il Male.
Per cogliere questo punto essenziale, si cerchi di pensare e tener fermo un unico atto originario, in cui l'irruzione di Dio nell'Essere (l'esistenza di Dio) il suo affermarsi come Positività (la sua scelta del Bene), il suo rifiuto dell'altra alternativa (l'eliminazione del Male), il suo superamento del Negativo (la sua vittoria sul Nulla) si identificano e sono tutt'uno, un unico e medesimo atto.
Egli è Libertà, e la Libertà è di per sé ambigua, nel senso che può esser Libertà positiva o Libertà negativa, e quel dilemma fra Bene e Male, Essere e Nulla, non fa che esprimere tale ambiguità.
Si ravvisa la suprema dialettica divina nel fatto che Dio è sempre insieme Positività e Negatività, Affermazione e Negazione, cioè collera e grazia, Ira e Misericordia inseparabilmente.
Il Male in Dio è soltanto la possibilità del Male, la quale può essere tradotta in realtà solo per opera dell'uomo, al momento della sua Caduta.
Nota di Lunaria: peraltro, solo i cattolici ingenui e simili boccaloni possono pensare che "Dio sia solo amore" perché anche all'interno del cristianesimo, soprattutto quello più integralista e fanatico, perciò anti-diritti civili oltre che anti-donna, Dio è un Dio di vendetta, di castigo, di capriccio assoluto. Basterebbe farsi un giro sui siti evangelici pentecostali;
Per giunta, non sono mancati teologi cattolici o no che restano scandalizzati da questo aspetto del loro "dio padre" che vuole il sangue di gesù cristo, e richiede espressamente la mattanza della crocifissione.
Avevo già riportato quando scriveva Boff, su questo aspetto di Dio che lo disturbava molto
Difatti l'immagine del "Dio che vuole la mattanza, la violenza, la sofferenza" è stata commentata anche dalle teologhe femministe
non a caso, messa in parallelo con la violenza contro le donne, alle quali si chiedeva di "amare il proprio stupratore, amare colui che le picchiava, pregare per lui, sopportare, perdonarlo" anche perché gesù aveva patito, versato il suo sangue docilmente, senza lamentarsi, perdonando.
L'aspetto angosciante consiste nel fatto che questa presenza del Male in Dio è già quasi l'annuncio della Catastrofe, cioè della Caduta dell'uomo, con la quale il Male sarà realizzato.
Dio è senza dubbio l'origine del Male, ma certamente non ne è il realizzatore, cosa che compete soltanto all'uomo, sul piano della storia.
In Dio si origina non solo il Bene, ma anche il Male. Non nel senso che egli ne sia l'autore, ma nel senso che egli nell'insondabile abisso della Libertà dà luogo, anzi, cede il posto alla Libertà umana, sì che l'autore del Male è l'uomo e soltanto l'uomo.
Origine del Male non in quanto lo faccia o lo causi, o lo provochi o lo permetta, ma in quanto gli dà via libera, e persino lo suggerisce - attraverso la morbosa attrazione operata da quella possibilità del Male che è insita, anzi sepolta, in lui - nell'atto stesso di cedere il posto alla Libertà umana, e di rispettarla nel suo esercizio.
Non si può ammettere che l'uomo abbia tanta creatività da inventare il Male: egli, che è l'unico autore del Male, non può tuttavia esserne l'inventore. Non è necessario ricorrere a un principio del Male perché il Male è già in Dio [...] Nemo contra Deum Nisi Deus Ipse (Nessuno contro Dio, se non Dio Stesso).
è l'Espiazione il nesso che collega indissolubilmente il Male e il Dolore: il destino di Espiazione che grava sull'uomo per la sua colpa per un verso lo priva di ogni diritto alla felicità e per l'altro non gli lascia altra prospettiva di salvezza che il Dolore.
Questa è la tragedia dell'uomo. Egli è immerso nel Negativo, autore del Male e soggetto al Dolore, marchiato dall'onnicolpevolezza e destinato alla sofferenza universale. Ma è anche la tragedia di Dio, perché la Caduta umana, segnando il fallimento della creazione, colpisce l'opera sua e lo costringe a intervenire per rettificarla, ciò che Dio non può fare se non soffrendo a sua volta, perché solo col Dolore si può vincere il Male.
La Sofferenza degli innocenti è segno che la creazione è così fallimentare che per porvi riparo è necessario anche il Dolore di Dio.
Dio, nel punto culminante della sua tragica vicenda, nega se stesso: è la crocifissione, questo evento inaudito e sconvolgente, questo "suicidio" non si sa se più sublime o terribile, in ogni caso enigmatico e misterioso, questa cupa e tragica storia di autodistruzione e morte. (è interessante notare come anche Thomas Altizer, Moltmann e Sergio Quinzio parlino proprio della Morte di Dio e della Kenosis, lo "svuotamento" dell'Uomo-Dio che si accascia, annullato, sulla Croce. Nota di Lunaria).
Per il Cristianesimo, invece, il problema non è di sopprimere la sofferenza, che sarebbe come sopprimere la realtà, ma di trovarne il senso e ribadirlo: si tratta di sapere soffrire per fare del dolore stesso non una diminuzione ma un incremento della personalità.
La Liberazione dal Dolore consiste nell'approfondimento del Dolore stesso.
Ogni zolla di terra, come dice Dostoevskij, è intrisa di lacrime e con pane di lacrime è nutrito l'uomo.
Protesta Alfred de Vigny, e non soltanto quando aggiunge "le Silence" al poema "Le Mont des Oliviers", suggerendo di opporre al silenzio di Dio, il freddo e sdegnoso silenzio dell'uomo, ma anche quando immagina un giovane infelice che commette il suicidio con lo scopo preciso di presentarsi a Dio per chiedergli ragione di averlo creato sofferente.
(cosa che anche Giovanni Cenacchi rinfaccia a Dio, nota di Lunaria)
Nella storia la spirale del Negativo è tutta in evidenza. Il Male non è soltanto quello definito da Kant (che, pur avendo un adeguato concetto della radicalità del Male, inteso come Grandezza Negativa e Forza Contraria, non ne accetta il carattere diabolico), distinto nelle tre forme della fragilità, dell'impurità e della malvagità che sono come il fango e la melma in cui l'uomo nasce e vive nella storia, alle quali corrisponde il campo del Dolore, il Malumore di Esistere, il Fastidio di Vivere, il Disagio della Vita (Taedium Vitae), il Flagello della Noia.
Su questa via il Cristianesimo giunge a saper considerare il Dolore stesso come sede - anzi la sede forse più autentica e sicura - della gioia. Il punto di vista cristiano è sempre dialettico: ogni conforto è possibile solo attraverso un cammino doloroso, la consolazione è genuina solo se raggiunta attraverso la Disperazione, la gioia è apprezzabile come tale solo attraverso e dentro la sofferenza.
La concezione cristiana sarà caratterizzata dal più amaro disincanto e da una spiccata sfiducia nell'umanità, oltre che da una spontanea e irresistibile diffidenza nei confronti del sentimentalismo sia doloristico sia consolatorio, ma non può essere tacciato di cupezza e tetraggine. Si può considerare cristiano chi senza enfasi e con impassibile fortezza è capace di sopportare le durissime idee seguenti: l'idea che il cuore della realtà è fatto di Male e Dolore; l'idea che Dio non cessa d'esser Dio se soffre e si abbassa, perché il Male può essere completamente vinto solo con la Cenosi (Kenosis) di Dio, che deve dunque esser messa in conto della sua onnipotenza; l'idea che l'uomo non ha alcun diritto alla felicità né alcun permesso di lamentarsi, perché del fallimento del mondo non ha da incolpare che se stesso; l'idea che non si soffre mai abbastanza, a causa dell'economia sbilanciata dell'universo, e che perciò anche gli innocenti sono chiamati a prestare il loro contributo di sofferenza, del che non Dio ma l'uomo stesso è responsabile; l'idea che segno e misura dell'esser cristiano è la continua disponibilità a soffrire per gli altri, anzi a volerlo fare, anzi a trovarvi soddisfazione, cioè sollievo alla propria colpevolezza e infelicità... l'idea che proprio la Sofferenza, e non un qualsiasi divertissement, è il rimedio contro la noia, il Taedium Vitae, la scontentezza, l'inquietudine, e anzi proprio il Dolore può diventare sede della Gioia.
Nemmeno può essere considerata un male la finitezza della creatura quale esce dalle mani del creatore, la quale consiste più in un limite che in un'imperfezione, più in un naturale descensus che in un vero e proprio casus, e non allude che a quella creaturalità che segna la reciproca delimitazione fra il creatore e la creatura, come un intervallo che al tempo stesso li divide e li unisce. La risonanza emotiva di questo limite non oltrepassa il velo di tristezza ch'è disteso sull'intera creazione, quasi una dolce e serena malinconia, qual è stata notata da tutti gli osservatori, soprattutto romantici, della bellezza delle cose del mondo, meravigliose ma passeggere, e della quale è stato acuto interprete da noi, per quanto riguarda la bellezza artistica, Benedetto Croce, quando scrive: "Un velo di mestizia par che avvolga la Bellezza, e non è velo, ma il volto stesso della Bellezza". Eppure anch'essa ha un aspetto di oscurità (ma non c'è un'ombra in Dio stesso? e la creazione non ha forse in sé qualcosa di cenotico?), perchè nella creazione è ancora fresca la memoria della lotta e della vittoria sul Nulla, e l'ordine è eretto sul disordine, e ha sotto di sé, in tacito e ardente ribollimento, il caos, con le sue immense e terribili forze in continuo fermento e pronte a scatenarsi, Raab e i mostri marini e, a mala pena trattenute, le potenze del Nulla.
Nulla è drammatico come l'atto primo con cui Dio origina se stesso, perchè è una lotta fra la volontà e il desiderio di Dio di affermarsi ed esistere e il pericolo che vincano il nulla e il male. è in questa lotta che il male gioca la sua carta suprema, sì che la stessa originazione di Dio e l'instaurazione della sua esistenza sono in pericolo sino a che non s'imponga la volontà divina, non prevalga il desiderio di Dio, sino a che la scelta assoluta non giunga a debellare il male scartandolo definitivamente. Il nulla e il male hanno sì giocato la loro unica e ultima carta nell'estremo sforzo per prevalere, ma hanno perso la partita. è stata un'operazione immane e terribile, in cui venne decisa l'alternativa: o la libertà positiva o il trionfo della negazione, o la vittoria sul male o la vittoria del male, o l'esistenza di Dio o il "nulla eterno".
La prospettiva era o la vittoria del male, sole nero nella voragine del nulla, o la vittoria sul male da parte d'una positività libera e dominatrice.
L'importante è riconoscere che Dio è libertà assoluta, che la sua scelta è stata la scelta del bene, cioè la scelta positiva in presenza della possibilità negativa, che la sua esistenza è la vittoria del bene sul male e perciò positività originaria. Dire "Dio esiste" significa dire che ab aeterno è stato scelto il bene, che il male è stato vinto per sempre.
Questa abissalità divina è data dal fatto che Dio è libertà, la quale per un verso è volontà d'esistenza e atto iniziatore, e per l'altro verso è possibilità del male e scelta originaria.
Il fatto che il male già sussistesse prima dell'umanità non significa altro che l'uomo non aveva tanta creatività e inventività da sapersi fare un'idea del male, cosa possibile solo in una scelta orginaria, in un atto di libertà pienamente e assolutamente primo e invalicabile.
Se c'è, nel senso chiarito, negatività in Dio, non si dovrà dire che c'è un'ombra in lui? L'espressione è forte, probabilmente esagerata; ma non mi sembra ingiustificabile all'interno del linguaggio mistico e simbolico cui si deve ricorrere parlando della divinità. Certo, lo stesso Barth parla della "mano sinistra" di Dio, e anche questa è una metafora, probabilmente meno spinta della precedente. Che sia meglio fermarsi all'espressione barthiana, la quale ha tuttavia un senso preciso nell'ambito di una concezione del nulla diversa da quella sostenuta in queste pagine?
(Nota di Lunaria: a me sembra che sia Pareyson che Barth siano fin troppo gentili nel descrivere Dio. Tutto l'Antico Testamento è pervaso da un Dio collerico, adirato, distruttore, che gradisce sacrifici, genocidi, immolazioni di sangue, tanto che è uno dei primi limiti del Cattolicesimo, non aver dato una spiegazione davvero convincente su come fosse possibile che il Dio devastatore di Abramo fosse anche il Dio amorevole di Gesù. Resta una frattura, o, citando il Teologo Kitamori, un Dio "schizofrenico", dalla doppia personalità, tanto che a mio parere solo la Gnosi ha saputo spiegare meglio certe aporie del Cristianesimo).
Come si può non vedere in Dio un abisso, anzi l'abisso, poichè egli, non avendo fondamento, origina se stesso, anzi è la stessa originazione che fa di sé? Tutto in Dio è abissale. Abissale è la sua libertà, la liberta ch'egli è; abissale la sua volontà, il suo desiderio di esistere; abissale la sua positività come liberamente scelta; abissale la sua generosità, quello slancio di prodiga liberalità ch'è la creazione; abissale il suo amore, che va incontro alla sofferenza e alla morte non solo per restaurare la creazione ma anche per redimere l'uomo che pure ha fatto fallire la sua opera.
Altra pensabile ipotesi è che Dio possa scegliere il male, e che da questa scelta risulti l'esistenza d'un Dio malvagio, "Re delle cose, autor del mondo, arcana malvagità", "Eterno dator de' mali", che "per uccider partorisce", che cioè crea esseri unicamente per soddisfare il proprio gusto di distruggere. [1]
Non è strano che per parlare di Dio sia necessario ricorrere a ossimori, contraddizioni, paradossi: parlare ad esempio di Dio prima di Dio, di Dio e Deità, di Dio e Sopradivinità, tutte espressioni simboliche della sua abissalità. L'abissalità di Dio è data dalla sua libertà, ch'è inizio assoluto come desiderio d'esistenza e scelta prima come istituzione della possibilità del male; essa non esclude quindi aspetti sconcertanti, ma li situa nella sorgente viva della stessa positività. Ciò non significa fare di Dio una realtà notturna o conferirgli l'opacità della notte. L'oscurità dell'abisso è quella del mistero: notte profonda sì, ma rotta dai lampi improvvisi di intense illuminazioni, capaci di squarciare le tenebre più fitte mantenendone insieme la più densa e ricca insondabilità, con l'inesauribile promessa di sempre nuove rivelazioni.
L'ombra in Dio è che gli si possa domandare: "Perché tanto male nel mondo, perché tanta malvagità e tante sofferenze?" e ch'egli non risponda che col suo silenzio. (Nota di Lunaria: questa è forse la frase migliore di Pareyson che demolisce un sacco di teologia buonista e da zucchero filato)
La disperata domanda "Perché tanto male?" non è che il rovescio della "domanda fondamentale"; e il silenzio di Dio è quello da cui trae spunto l'angoscia dell'uomo d'oggi, immerso nel pozzo senza fondo del nichilismo. Fermarsi al silenzio di Dio e accettarlo: forse che sia questa la "soluzione" del problema del male.
Nota di Lunaria: riporto nuovamente ciò che diceva Elie Wiesel sul "silenzio di Dio", avendo lui vissuto, in prima persona, il dramma della deportazione. Avrà pregato, avrà implorato Dio di salvarlo, di far cessare l'orrore, e tutto ciò che ha visto, è stato un Dio muto:
"Abbiamo la netta percezione che un giorno non lontano dovremo - noi che allora non eravamo nati - parlare di un Dio muto mentre il suo popolo veniva sacrificato su un'ara di cenere dai molti nomi, dai nomi impronunciabili, la più grande ara di cenere della storia"
"Se c'è un tempo per pregare, c'è un tempo per porre delle domande a Dio, è un terzo tempo in cui, in assenza di risposte, non resta altro da fare se non intentare un processo a Dio. Tutta la grandezza della tradizione Ebraica, tutta la sua forza, non sono forse in grado di intentare all'Eterno un processo per aver lasciato assassinare sei milioni di individui del suo popolo, di cui un milione e mezzo di bambini?"
Nella situazione, è ovvio, perchè nella situazione c'è un'infinità di cose che non dipendono da noi (la nostra nascita, la nostra condizione, i genitori che abbiamo, il luogo in cui nasciamo...)
[qui Pareyson si colloca nel solco del pensiero Heideggeriano... nota di Lunaria] non solo, ma l'inizio della nostra situazione è una nascita a cui non abbiamo dato alcun consenso, è quindi una necessità che ci è piombata tra capo e collo, e guardando all'incertezza del futuro c'è per lo meno un'assoluta certezza, e cioè qualcosa di inesorabile che è la morte.
Non si può non agire. Anche se io decidessi di non agire, sarebbe pur sempre una decisione che prendo.
(e qui è palese il riferimento a Sartre! Nota di Lunaria)
La Libertà non la si può ricevere se non esercitandola. è un apparente paradosso quello di qualcosa che comincia ad essere solo nell'atto in cui è ricevuto, perché solo l'atto di riceverlo lo attiva.
Dio può dire: "Io sono così libero che sono libero anche dal mio essere, e il mio essere me lo do come voglio; la mia volontà è lo stesso atto di libertà che io sono; il mio atto di libertà è l'atto con cui io voglio essere quello che sono.
Ego sum qui sum, 'Ehjeh 'Ascher 'Ehjeh, Io sono chi sono, Io sono chi mi pare, Io sono chi voglio, Io sono chi voglio essere, Io sono quello che voglio essere e voglio essere quello che sono, Io sono libero al punto di essere libero anche del mio essere, dalla mia essenza, della mia esistenza.
(qui Pareyson rimanda, a mio parere, a certi quesiti teologici relativi all'onnipotenza di Dio, del genere "Se Dio possa creare un altro Dio", "Se Dio possa creare qualcuno di più onnipotente di lui" e così via... tutti giochini che piacevano molto ai teologi di secoli fa! Nota di Lunaria)
è una peripezia drammatica questa della libertà, che al punto culminante può invertire la rotta, perventendo la propria immagine di libertà in modo che l'affermazione si fa negazione, anzi distruzione. Questa uscita dal non essere può giungere al punto di far ritorno al non essere: è appena uscito dal non essere che già può rientrarci; (mi viene in mente Severino... che abbia letto anche lui Pareyson? nota di Lunaria) e questo non essere non si presenta più soltanto, in questo caso, come non essere, ma come nulla, anzi qualcosa di peggio: come distruzione.Perché c'è stata di mezzo la scelta, c'è stato di mezzo l'atto della libertà, che ha convertito questo non essere in qualcosa di molto più impegnativo. L'atto di libertà che affermandosi e realizzandosi esce dal non essere (vince il non essere) mantiene la possibilità di rientrarvi e di morirvi, soccombervi. Passando il punto fatale, il non essere da cui essa emerge, realizzandosi, diventa il nulla in cui essa può tornare, perdendovisi. L'uscire dal non essere è certo un'affermazione di sé, che può però essere anche la negazione di sé, cioè l'entrare nel nulla.
Ecco come l'inizio diventa scelta. è pur sempre un atto di libertà (cioè l'affermazione di sé) sia l'atto con cui si conferma e si ribadisce nell'essere, sia l'atto con cui si nega scegliendo il non essere da cui è emersa; e questo non essere, essendoci stato di mezzo l'atto di libertà, diventa "nulla". La negazione, questa affermazione di sé presentandosi come negazione, si fa annientamento, distruzione, autodistruzione. Quello che Barth chiama das Nichtige, non semplicemente il Nein.
Così l'atto della libertà è l'essere in alternativa, l'inizio diventa di per sé una scelta, il cominciamento assoluto diventa un dilemma, l'atto che sembrava unico invece si presenta a due termini. [...] Il non essere più la scelta è il male. Che cos'è il male? Il non essere + la scelta. Il male è il non essere scelto.
Queste due possibilità contemplate dalla libertà si sono realizzate storicamente, non nel senso della storia temporale, ma nel senso della storia della libertà, che è storia in quanto presente e identica alla libertà; c'è la libertà che non appena si afferma rientra nel nulla da cui è appena uscita; c'è la libertà che fra l'autoaffermazione e l'autonegazione sceglie l'autonegazione; c'è la libertà che si afferma solo per negarsi e non si afferma che negandosi; c'è la libertà che trasforma il non essere in nulla e la negazione in annientamento; c'è la libertà da cui è nata la forza negativa della distruzione, dell'onni- e autodistruzione [...] Comunque di tutta questa analisi che ho fatto fin qui volevo che risultasse questo, che la libertà è insieme potere di originazione (e quindi inizio assoluto), e scelta negativa o positiva, e questo in assoluto, ovunque c'è libertà. In ogni punto la libertà indivisibile, anche se diversa in intensità e in potenza, presenta questi due caratteri: sgorga impetuosamente e si divide duplicemente. In ogni punto la libertà è inizio e scelta.
Il male nella sua realtà si trova nel mondo storico-umano, dove è stato realizzato dall'uomo. Ma si può veramente attribuire all'uomo tanta creatività, tanta inventività da inventare il male? Per potente che l'uomo si possa immaginare, è difficile attribuirgli una potenza tale e un'inventività tale da inventare il male. Una potenza per realizzarlo, dopo che ne ha trovato la traccia, sì; ma la potenza di realizzarlo dopo aver già sprecato tutte le sue eventuali energie nel cercare e nel riuscire a inventarlo, no: la finitezza dell'uomo non è da tanto. Bisogna che l'uomo abbia trovato l'idea del male, uno spunto di male, e che lo consideri come una possibilità da tradurre in realtà. E dove l'ha potuta trovare, questa possibilità? Cosa c'è prima dell'uomo? Non c'è che il suo creatore, cioè Dio. Non ha potuto trovarla se non in Dio. Ma in Dio il male non può essere reale, perché Dio è il bene scelto, Dio è stata la realizzazione del bene. Ma era possibile realizzare il bene se non scegliendolo? E scegliere il bene è possibile, se non operando questa scelta con la possibilità della scelta opposta, cioè della scelta del male? No. Se scelta è scelta, è duplice (perchè se Dio non avesse avuto altro che l'univoca possibilità del bene, non sarebbe stata una scelta la sua, ed egli non sarebbe il bene scelto), egli non sarebbe quello che è, la vittoria sul male. Quindi, dire che il bene è scelto significa dire che questa scelta è stata operata in opposizione, in presenza della possibilità della scelta opposta, e cioè della scelta del male, della scelta negativa. Quindi è in Dio il male - naturalmente come possibilità.
Altra definizione sulla Cabala, tratta da
Qabbalah, Cabala, deriva dal verbo ebraico "qabel" che significa "ricevere", passando poi ad indicare il contenuto di ciò che viene ricevuto, fino a diventare "tradizione".
La prima lettera, qof, "il cordone ombelicale" che lega il mondo divino all'universo creato. La radice qaw significa "filo a piombo" e questa lettera verticale esprime l'immagine dello Spirito che discende nel creato.
Le ultime lettere della parola "qabel", prese al contrario, formano la parola "leb", cuore.
Nella Qabbalah il significato di una parola non si colloca mai ad un solo livello ma include molteplici implicazioni semantiche, in particolare quando in essa è presente un'altra parola in forma nascosta, attraverso l'energia delle sue lettere, siamo autorizzati a tradurre la parola qebel con "la discesa dello Spirito nel cuore dell'uomo", cioè la discesa del Verbo, perché qol significa voce.
Attraverso la sua etimologia, la Qabbalah è, in profondità, l'azione divina del Verbo nel mondo creato.
APPROFONDIMENTO: info tratte da
La Cabala (Kabala) è un'alterazione moderna della parola ebraica Kabbalah che significa "tradizione" ed è il nome dato alla dottrina esoterica degli Ebrai: si tratta di un insieme di tradizioni riguardanti l'interpretazione dell'Antico Testamento.
Per alcuni la Cabala sarebbe di origine divina ed antica quanto il genere umano, dato che Raziel, l'Angelo dei Misteri, l'insegnò per ordine dell'Eterno ad Adamo, quando venne cacciato dall'Eden. Adamo la trasmise al figlio Seth e da Seth giunse a Mosè.
Giuseppe pronipote di Abramo l'insegnò ai maghi d'Egitto. Mosè ritrovata la Cabala in Egitto la raccolse e la purificò. Ne velò la sostanza segreta nelle composizioni allegoriche del Sepher-Bereshit ed è così che fissata con la scrittura, si è conservata fino a noi.
Secondo altri, la Cabala sarebbe il risultato di una scienza segreta egiziana derivata a sua volta dalle dottrine esoteriche dei popoli primitivi dell'India, dottrina che sarebbe stata introdotta in Egitto da una migrazione ariana condotta da Menes più di 4mila anni prima della nostra era.
Gli Ebrei avrebbero ricevuto la loro scienza dai sacerdoti egizi, perché Mosè, iniziato egizio, era sacerdote del santuario di Menfi.
Sembra molto più probabile che la Cabala risalga a 200 anni prima di Cristo, epoca nella quale la Diaspora era cominciata da più di un secolo e che è quasi contemporanea alla dominazione siriana sugli Ebrei.
La Cabala è un amalgama di sistemi comuni al mosaismo e ad altre metafisiche orientali nell'epoca della prigionia di Babilonia e che si è mantenuta nella setta dei Caraiti per ricostituirsi in un corpo di dottrine al tempo di Filone e della scuola di Alessandria.
La materia della dottrina cabalistica è contenuta nei due libri: Sepher Yetzirah (che tratta della Genesi) e il Sepher ha Zohar, il Libro dello Splendore, ispirato alla visione di Ezechiele.
La disciplina cabalistica si divideva in due sezioni:
Maasseb Bereshit (Storia dell'Inizio) si riferisce al senso segreto della Genesi, l'altra, Maasseb Merkubad (Storia del Carro Celeste) forma un sistema di teologia e metafisica nel quale lo sviluppo necessario degli attributi divini è rappresentato come causa e origine di tutti gli esseri.
Dare una spiegazione simbolica della creazione del mondo, della natura e una teodicea, tutte e tre in margine all'esegesi della Torah, poteva essere pericoloso, così i cabalisti per giustificare la loro interpretazione inventarono un artifizio ingegnoso: "Secondo l'ordine dell'Eterno Mosè scrisse le parole dell'Alleanza e della Testimonianza sulle due facce delle tavole di pietra. Ma non fece vedere al popolo se non ciò che era scritto sul recto delle tavole. Solo un piccolo numero di iniziati di cui noi siamo i depositari e i successori, ebbero la grazia di conoscere ciò che era scritto sull'altro lato. Istruiti al riguardo penetriamo il significato nascosto d'un testo apparentemente mutilato a tal punto da essere inintelligibile, ma in realtà rimaneggiato secondo un metodo razionale che ne dà la chiave."
INTERPRETAZIONE CABALISTA DI "IN PRINCIPIO DIO CREò"
La prima Sefirah contiene soltanto "Lui", talvolta celato e non menzionato (per il suo estremo auto-occultamento) come per esempio nel verso "Bara", "Egli creò", all'inizio della Bibbia.
Bereshit bara Elohim, "in principio Dio creò" è interpretato misticamente come un riferimento alle prime tre Sephiroth: tramite il mezzo ("be") di Hokhmah (chiamato "reshit"), la prima Sephirah (la forza nascosta nella terza persona singolare della parola "bara") produsse con un atto di emanazione la terza Sefirah (Binah) che è chiamata Elohim.
Elohim (Dio, al plurale. Nota di Lunaria) non è il soggetto, bensì l'oggetto della frase.
Questa interpretazione è comune a tutti i cabalisti del XIII secolo.
Dio diviene "Tu", a cui l'uomo può rivolgersi, e questo Tu è relato a Tipheret o alla totalità delle Sephiroth in Malkhut.
Dio raggiunge la sua individuazione completa tramite la sua manifestazione in Malkhut, dove è chiamato "Io": questa concezione è riassunta nell'Ayin le-Ani, "Il Nulla si muta in Io".
Le tre lettere che formano "Ayin", Nulla, Aleph, Yod, Nun, sono contenute in "Ani", che è tanto l'inizio quanto la fine del processo. Il nome YHWH denota una sola Sephira, Tipheret, ma contiene in sé tutte le fasi fondamentali dell'emanazione: la punta sopra lo Yod rappresenta la fonte di tutto in Ayin, lo stesso Yod è Hokhmah, il primo He è Binah, Vav è Tipheret, e dato il valore numerico della lettera Vav la totalità delle sei Sephiroth e della He finale è Malkhut.