Introduzione al dialetto ligure



I dialetti liguri appartengono, come quelli emiliani, lombardi e piemontesi, al gruppo dei dialetti gallo-italici. Si distinguono però dagli altre tre sia perché i caratteri gallo-italici sono meno vistosi, sia perché non dipendono da una diretta influenza gallica ma da correnti e influenze che hanno premuto dalla valle padana.
Il processo di romanizzazione è stato tardivo; il periodo bellico si conclude nel 180 a.C. con la deportazione nel Sannio dei Liguri Bebiani e Corneliani. I primi contatti dei Romani con Genova risalgono allo sbarco di Cornelio Scipione nel 218 a.C
L' evento decisivo per l'inserimento della Liguria nella romanità è rappresentato dalla via Postumia, aperta nel 148 a.C, che collegava Genova con Tortona e Piacenza.
Anche se non influenzata direttamente dalla cultura gallica, la latinità ligure rimane una latinità settentrionale: la latinità ligure, quale si conserva oggi, è una delle più deformate, e osiamo dire, barbariche.
Gli esempi della gallo-italicità affermatasi anche in Liguria sono i seguenti: la ü al posto della U lunga latina così accentata come atona: brütu, "brutto", latino brutus; fümaea, "nebbia" ("fumara"); la ö di fronte al dittongo UO: növu (nuovo), övu (uovo); il dittongo EI per E chiusa: beive, "bevere", peive, "pepe". Manca invece il passaggio di A in E negli infiniti, in cui si dice "lavà", "lavare" di fronte all'emiliano "lavär" o al piemontese "lavè". La -N- intervocalica è pure pronunciata faucale, lan-a.


La caratteristica fondamentale dei dialetti liguri è invece quella di un violento squilibrio a danno delle articolazioni consonantiche, di numerose occasioni di incontri tra vocali incompatibili, e quindi di una struttura di parole quanto mai lontana da quella che era la base di partenza latina. Da questi incontri vocali nascono dittongazioni nuove, energiche contrazioni e persino spostamenti della sede dell'accento di vocali di colorito più scuro verso vocali di colorito più chiari. I dialetti liguri più di altri possono dare l'impressione di una Babele fonetica.
La palatalizzazione è caratteristica dei dialetti liguri per più di un motivo. Nei gruppi con L preceduta da consonante gutturale, essa segna il normale svolgimento settentrionale che a sua volta spinge a risultati estremi una tendenza già presente nel toscano.
Per la morfologia, bastano solo poche annotazioni, nel grande quadro dei dialetti gallo-italici. Si nota qualche cambiamento di declinazione rispetto all'italiano per esempio di "pesciu" rispetto a "pesce" o "füme" rispetto a "fumo". Ma il carattere più importante della morfologia ligure è dato dall'impiego della metafonia a scopi morfologici, che si associa alle desinenze normali o anche le surroga. Il plurale tradizionale di "grande" è "grendi" con una metafonia di A in E non essenziale. Vistosa è anche la metafonia nel caso di plurali: "caciuéi", "pescuéi", "cacciatori", "pescatori" di fronte ai rispettivi "caciòu", "pescòu". Tipico esempio di metafonia essenziale per distinguere il plurale dal singolare è invece quella di "chen", "sen", "cani", "sani" di fronte ai singolari "can", "san".


Nel vocabolario sono in prima linea le parole tipicamente liguri, "mugugno", ormai penetrato anche nella lingua letteraria. Seguono fra i termini di parentela  "frä", "fratello", equivalente a "frate", "sö", "sorella", equivalente a "suor", "fantin, fantina", "celibe, nubile".

Altri termini: bügata = bambola; mandilu = fazzoletto; fi ferutu = fil di ferro; beu = canaletto di irrigazione, quä = voglia, brigua = pustula; ciätu = pettegolezzo; a bretiu = a catafascio; véi = ieri; ascì = anche; sögia = giovedì; cägà = calzolaio; insà = manomettere; acatà = comprare (parola che ha connessioni anche nei dialetti meridionali); toa = tavola, nel senso di asse, che si trova anche in Toscana.
Come esempi di parole di origine araba si possono ricordare méizou = mèsero, scialle da donna, dall'arabo mizar; macramè = asciugamani, dall'arabo mahrama; miscimìn = albicocca; infine, l'affermazione di festa "scialla, scialla!"

I dialetti liguri sono fortemente cambiati dal Medioevo in poi. Dante gli rimprovera l'eccessiva quantità di Z, delle quali però oggi sopravvivono solo le -S sonore del tipo "rosa" e non le Z di "zero", "zona", "tozzo".
Il genovese antico suonerebbe più simile al veneziano, mentre il genovese odierno se ne discosta tantissimo. Genova si è aperta ben presto alle influenze toscane.

Questi alcuni esempi di dialetto ligure di quattro località da occidente verso oriente:
 [Nota: purtroppo senza traduzione in italiano, anche se la seconda forma è già più vicina all'italiano]


Da Taggia, Imperia: Mi dunca digo, che inte chei tempi ch'u gh'eira u prumo Re de Zipri, dopo che Gotifrè de Buglion ha faito a conchista de Terra Santa (...)
Da Sassello, Savona: A diggo dunque ch'ai tempi der primm Re 'd Cipro, dopo che Goffredo l'eiva conquistà ra Terra Santa (...)
Da Chiavari, Genova: Diggo dunque, che a-i tempi do primmo Rè de çipro, doppo a conquista faeta da Taera Santa da Goffreido da Baglion (...)
 Da Sarzana, La Spezia: Ar tempu der primu Re de Cipru, dopu che Gufredu i a avù Tera Santa (...)
Accanti a questi esempi leggiamo la diciannovesima favoletta dell'"Esopo Zeneise" di Martin Piaggio [anche questa, senza traduzione]:
Unn-a musca de stae [estate], stanca e affanà/In sce (1) corne d'un (2) beu a s'andò a posa (3), e a ghe disse: "Se mai te peisu troppo dimmeo che me ne vaddo de galoppo"
Sciolla [stupida] rispose u beu, ti me fae rie (4).
E chi saveiva che ti fosci chie? (5)


Non avendo sulla tastiera alcuni di questi accenti li realizzo con "paint" e riporto la parola a parte: