La Luna nella palude


"La Luna nella palude" fu citata in "Folk-Lore" 2, 1891, opera di Mrs. Balfour. Il tema della sparizione della Luna o del Sole è antichissimo, ed è ricollegabile al fenomeno delle eclissi, che per gli antichi era  un evento catastrofico e terrifico; tuttavia, questa storia è stata narrata da una bambina a Mrs. Balfour.

Vi fu un tempo in cui gli uomini attesero invano che la Luna tornasse a risplendere.
Ci sono terre dove regnano sovrane le paludi. Erbe sottili dai lunghi filamenti e giunchi e tronchi spezzati dai rami nudi sorgono dall'acquitrino, che scintilla, ora verde ora argenteo tra le canne, rivelando a tratti il bruno rossastro e cupo del terreno. Chi conosca bene le paludi può attraversarla alla luce del giorno. Quando l'oscurità scende, le grandi pozze d'acqua nera e profonda, gli improvvisi vortici, le zone sabbiose dove il piede inesorabilmente affonda sono ardue a distinguersi anche per chi è nato in quella terra. Per gli stranieri, gli inesperti, gli abitanti delle città, le paludi si rivelano spesso fatali. Alla luce del giorno la palude può essere amica; vi crescono piante di cui l'uso è benefico, vi si cacciano prede dalla carne squisita e pregiata, anatre e folaghe, vi si possono pescare le fuggevoli anguille dalla grossa carne saporita. Quando le tenebre scendono, le grandi pozze di acqua nera, i vortici, le insidiose sabbie non costituiscono il solo pericolo. Le creature malefiche che temono la luce si ridestano, strisciano tra le canne, balzano dall'acqua melmosa, animano i nudi rami dei tronchi; streghe, serpenti, misteriosi e sconosciuti orrori, lividi fantasmi verdi come l'acquitrino abitano la palude nelle notti di tenebra, e minacciano chi vi si trovi sperduto. Ma nelle notti di luna piena, le creature malefiche che temono la luce si acquattano nelle tane, nei nascondigli, e non osano uscirne fino a quando la ferma luce della luna accarezza la palude. Allora la palude è incantata: i melmosi acquitrini scintillano di un quieto e limpido argento, le canne scure si muovono appena alla brezza notturna e si riflettono nell'acqua come si chinassero a baciarla. La luce è ferma, sospesa, immobile, il silenzio dolce; la palude rivela i suoi incanti, si accende di riflessi glauchi, di bagliori azzurri, e nessuno teme di percorrerla, di smarrire la strada, di inabissarsi nelle acque profonde dove si riflettono le costellazioni, di cadere vittime delle creature malefiche. Ma, con tutta la sua gloriosa potenza, la luna non può risplendere alta se non nei giorni che le sono stati concessi. Ora, avendo udito delle malefiche creature che tessevano incantesimi e inganni contro chi fosse tanto avventato o ignaro da attraversare la palude nelle notti oscure, la luna volle scendere lei stessa e sapere se davvero esistessero le creature tenebrose o non fossero vive soltanto nella spaurita immaginazione dei viandanti. Quando le notti di plenilunio giunsero al termine, la luna si avvolse in un nero mantello, nascose sotto un cappuccio nero il vivido scintillio dei suoi capelli, e scese dolcemente sulla palude, muovendosi tra le canne e i giunchi e i melmosi acquitrini più leggera della brezza notturna alla cui carezza le canne frusciavano in un lungo ininterrotto mormorio. Non vi era luce, poiché non vi era luna nel cielo, se non quella dei candidi piedini che uscivano dal mantello nero e gli improvvisi bagliori che il cappuccio non poteva nascondere. Una grande pozza nera e profonda si apriva al centro della palude, che la luna vide soltanto quando già stava per inghiottirla. Si ritrasse in fretta e si afferrò ai rami di un tronco spezzato, ma nell'istante in cui le bianche mani luminose afferrarono i rami, questi si piegarono, si attorcigliarono, si avvilupparono stringendole inesorabilmente i polsi: le creature malefiche che odiavano la luna per la sua luce iniziavano la loro vendetta. La luna era prigioniera della palude.
In quello stesso istante risuonò un grido, un lungo grido disperato che si avvicinava colmando di sé la vasta distesa della palude, e tuttavia si faceva sempre più spento. Un uomo era perduto tra gli acquitrini e sentiva strisciare viscide attorno a sé le creature malefiche; incespicando, cadendo, affondando nella melma, impigliandosi nei lunghi filamenti delle erbe, affannato, spaurito, esausto, si dirigeva, scorgendovi la sua unica speranza di salvezza, verso quella inattesa luce di cui ignorava la fonte: le candide, luminose mani della luna prigioniera. Ma quella tenue luce ferma e bianca l'avrebbe inesorabilmente attirato verso la profonda pozza dove la luna stessa aveva corso il rischio di inabissarsi. Comprendendolo, lei si dibatté, si divincolò, lottò disperatamente contro i rami che la imprigionavano, si ferì e lacerò le mani nell'ansia di liberare i polsi da quella stretta crudele. Inutilmente. Tuttavia, in quella lotta disperata il cappuccio le scivolò dal viso, e l'onda lucente dei suoi capelli ricadde sul mantello nero accendendo di luce la palude. Incredulo, pazzo di gioia, l'uomo non si chiese il perché di quella luce improvvisa: correndo per quanto gli era possibile, allontanando le canne e i giunchi che gli impedivano il passo, ridendo per la felicità e l'emozione, raggiunse il sentiero e corse fuori dalla palude. Presa dalla felicità di aver potuto salvare l'uomo perduto nella palude, la luna dimenticò quanto a lei stessa fosse necessaria la salvezza: e quando volle chiamarlo affinché la sciogliesse da quella stretta crudele, l'uomo era ormai troppo lontano per poterla udire. Né forse, spaventato dai pericoli notturni della palude, avrebbe accettato di tornare sui suoi passi. Accadde dunque che la luna riprendesse a dibattersi, a divincolarsi, a lottare per liberarsi da quella stretta inesorabile. Inutilmente. Nei suoi frenetici e ansiosi movimenti, altro non poté che far ricadere sul viso il cappuccio nero. Le tenebre piombarono sulla palude; la brezza notturna tacque; suoni improvvisi, crepitii, fruscii, sibili aspri e insistenti, risate crudeli, uno strisciare tra le canne, tonfi sordi, nelle acque nere, un vento caldo e ansante come un respiro, animarono sinistramente la palude. Le creature malefiche uscivano dalle loro tane, dai melmosi nascondigli, accerchiavano la luna prigioniera. I verdi spettri della palude dall'ansito profondo e affannoso, le streghe della melma dalla lunghe dita verdi come filamenti d'erba, i serpenti dalle squame argentee, gli orrori striscianti la circondavano gridando, ridendo, ringhiando; le si attorcigliavano alle gambe, le alitavano sul viso fissandola con gli spaventosi occhi morti, la graffiavano e la colpivano, e gridando e disputando tra loro minacciavano di strangolarla, di soffocarla, di avvelenarla, in un coro crudele e discorde, che scuoteva i giunchi e le canne e faceva fremere le nere acque della palude. Impotente e prigioniera, la luna si augurava che davvero potessero ucciderla. Ma ognuna di quelle ottuse, crudeli creature voleva vendicarsi a suo modo della benefica luce notturna che le ricacciava nei loro nascondigli e impediva i loro malefici, e disputavano tra loro e gridavano e si accapigliavano e minacciavano e insultavano. E infine videro lo spento, grigio chiarore dell'alba salire dal cielo. Ai primi bagliori dell'aurora sarebbero state ricacciate nelle loro tane, nei melmosi nascondigli, al fondo delle acque morte, tra le mobili sabbie insidiose. Ogni discordia tacque. Afferrarono la luna con le mani artigliate, viscide, spettrali, con le lunghe spire dei serpenti, con le verdi dita delle streghe che le si attorcigliavano attorno come corde, la afferrarono e la affondarono sotto l'acqua della palude trascinandole sopra un sinistro macigno grigio. La luna giacque in fondo alla palude, sotto le acque nere e la melma, sotto il grigio macigno che ne celava lo splendore. Con il trascorrere dei giorni, si avvicinava la notte del nuovo plenilunio e tutti si preparavano a festeggiare la rinnovata gloria della luna, a intrecciare danze, a accendere fuochi in suo onore. Ma il cielo rimase nero e profondo, i fuochi vennero tristemente spenti, la musica tacque. Le creature malefiche della notte trionfavano e imperversavano nella palude. Le loro grida, i loro sibili, i tonfi, i fruscii scatenevano ogni notte nella palude un infernale sabba. Nessuno osava avvicinarsi; il terrore invadeva i cuori più saldi. I giorni e le notti si avvicendavano, la luce delle stelle e delle costellazioni si faceva vivida nel cielo; ma la calda presenza della luna non tornava a risplendere. Gli abitanti si recarono allora da una vecchia maga, una donna sapiente esperta in molte magie e incantesimi. La donna consultò lo specchio magico, sfogliò a lungo il libro delle realtà nascoste, e scosse il capo."Vedo un luogo buio, nere acque profonde e fremiti improvvisi d'acqua; non vedo altro." Molti pensarono allora che la luna, tramontando nel mare, vi si fosse inabissata. Ma non rinunciarono per questo alla speranza, sebbene il peso nei loro cuori si facesse sempre più cupo. Né rinunciarono a parlare tra loro di quella misteriosa sparizione, e delle parole della maga. Un giorno erano tutti riuniti a parlare tra loro di un nuovo luogo per la caccia e la pesca, poiché nessuno osava più avvicinarsi alla palude, fosse pure nel più trionfale splendore del sole. Un uomo, un merciaio straniero che giungeva di quando in quando al villaggio a vendere la sua povera mercanzia, appese così quel che era accaduto, chiese gli venissero ripetute le parole della maga, e inaspettatamente disse: "La palude! Non il mare, come avete creduto, la palude. Là deve essere sepolta la luna." E narrò di averla attraversata una notte, di esservisi smarrito e di essere stato salvato da una luce improvvisa, una luce inattesa, ferma e dorata come una luce lunare. Gli abitanti tornarono dalla maga. "La luna è nella palude. Che cosa dobbiamo fare per ritrovarla? La vecchia guardò nuovamente nello specchio magico, consultò il libro, quindi annuì. "La palude, sì, la luna deve in verità essere nella palude. Non distinguo dove; ma voi recatevi alla palude prima che le tenebre siano fitte, e badate di portare con voi, ognuno di voi, un ramo del magico nocciolo per proteggervi. Questo è quel che ho veduto nello specchio: una bara, uno scheletro, una candela prossima a spegnersi. Cercate la bara, la candela e lo scheletro e troverete la luna."
Gli uomini si avventurarono nella palude. Stringendo ognuno davanti a sé il ramo di nocciolo, si incamminarono sui sentieri conosciuti, guardandosi attorno con ansia e timore, stretti e vicini gli uni agli altri, si incamminarono alla ricerca della bara, dello scheletro, della candela. Guardarono con timore il cielo, che non si oscurasse troppo velocemente, che non piombassero le tenebre a scatenare le creature malefiche della notte. Percorsero a lungo, cautamente la palude, stringendo il ramo di nocciolo con tanta forza da ferirsi le mani. Giunsero infine, stretti l'uno all'altro, tremanti e spauriti, alla grande pozza di acqua nera. Era l'ora in cui la sera scivola nella notte, quando le tenebre, seppure profonde, sono prive ancora di densità, così che una sorta di leggerezza le penetra, e consente di scorgere, improvvise, come scaturite dal nulla, inconsistenti e tuttavia nitide, realtà inattese. A quel singolare chiarore notturno gli uomini videro una grande, sinistra pietra grigia simile a una bara, un tronco d'albero spezzato che vi distendeva sopra i rami nudi, come uno scheletro fra le sue braccia senza vita e sui rami un povero bagliore che oscillava e guizzava improvviso con disperata volontà, come una candela prossima a spegnersi. Gli uomini caddero a terra, le ginocchia affondate nella melma, presi da un panico ignoto che presto si mutò in speranza. Si rialzarono, chiamarono a raccolta tutte le loro forze, usarono i rami di nocciolo come leva, e sollevarono la grande, sinistra pietra grigia. E dalle nere acque del fossato, dalle cupe profondità dell'acquitrino videro sorgere un viso luminoso, sorridente e felice. Non fu che un istante: la luce nera era così intensa che dovettero chiudere gli occhi e arretrarono. Quando osarono riaprirli, videro la palude incantata risplendere della ferma, chiara luce lunare che la inondava. Alzarono lo sguardo. Nel cielo il disco splendente e pieno della luna mandava la sua luce ferma e chiara sulla palude, rivelava l'esile bellezza delle canne e dei giunchi, diritti, scuri, nitidi, mossi appena dalla lieve brezza notturna. Glauchi riflessi e azzurri bagliori salivano dai verdi acquitrini e pareva non vi fosse un solo nascondiglio, un solo misterioso anfratto di cui la luna non rivelasse tutta la conosciuta, limpida bellezza.
Non guarderemo forse con occhi diversi la luna, ora che sappiamo quali rischi abbia affrontato per salvare gli uomini dalle creature malefiche della notte?