Il Castello del Sangue


Da una versione inglese di Barbablu, anche questa citata da Shakespeare in "Molto rumore per nulla", intitolata in Jacobs "Mister Fox". Il tema di Barbablu è quello di una donna che sfugge a un demone in un'ennesima variante del ratto di Persefone, dove Persefone, salvo nella versione "borghese e maschilista" di Perrault, si libera da sola. 
Per un'analisi agli archetipi, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/archetipi-aggressivi-ed-evolutivi-in.html

Era giovane, bella e ardita; non vi era timore in lei né tristezza né esitazione. Molti uomini la amavano, molti uomini le avevano offerto il loro cuore; ma il cuore di lei non aveva risposto a nessuna parola, a nessuno sguardo, a nessun bacio rubato sotto gli alberi del giardino nelle sere di primavera, e Iosbail, fiera della sua bellezza e lieta della della sua gioventù, viveva nella casa del padre, con la compagnia dei due fratelli.
Un pomeriggio d'autunno era a caccia con loro, ma nell'entusiasmo dell'inseguimento si era allontanata dagli altri, e ora cavalcava, dimentica della caccia, gioiosamente sferzata dal vento della corsa, in sella al cavallo grigio che balzava agilmente su siepi e cespugli, palizzate e ruscelli.
L'acqua e la terra sembravano zampillare dagli zoccoli del cavallo; il prato ondulato, interrotto a tratti da macchie di alberi e cespugli fioriti, si stendeva innanzi a lei, e Iosbail, nella gloria dei colori dell'autunno, bella e fiera nella veste scarlatta, galoppava sui prati e tra gli alberi.
Oltre un folto di alberi il prato scendeva bruscamente alle rive del fiume, in un pendio percorso da dorati cespugli di ginestre. Il cavallo scese il pendio senza esitazione; la bella donna rideva felice, e il vento della corsa le strappò il cappello scarlatto scagliandolo ai piedi del pendio, sulle rive del fiume, le sciolse i capelli che si gonfiarono sulle spalle in una fulva onda tempestosa.
Scorgendo le acque profonde del fiume, il cavallo si impennò, e Iosbail, accarezzandogli il collo madido per acquetarlo, scese agilmente a terra.
Un uomo era davanti a lei, sulle rive del fiume, un uomo giovane dagli occhi chiari; aveva tra le mani il suo cappello scarlatto e glielo porse piegando a terra il ginocchio. "Sei bella come una regina", disse, "e come a una regina mi inchino alla tua bellezza"
Quanti uomini avevano rivolto parole non meno appassionate alla bella Iosbail? Quanti l'avevano guardata con occhi nei quali l'ammirazione non era meno profonda? Pure, il cuore di lei non aveva mai risposto alle parole, agli sguardi, ai baci rubati sotto gli alberi del giardino, nelle sere di primavera, ora si destò alle parole e allo sguardo del cavaliere sconosciuto.
Il suo nome era Gorad, e veniva da terre lontane. Era giovane, era coraggioso alla caccia, ricco e cortese nei modi, e Iosbail lo amava. Il padre di lei acconsentì alle nozze che vennero fissate per gli ultimi giorni d'autunno, prima che le nevi invernali ostacolassero il cammino del corteo nuziale.
Gorad era solito parlare del castello che possedeva, in cui avrebbe condotto la giovane moglie, in cui avrebbero vissuto e si sarebbero amati, ma prima delle nozze non volle mostrarglielo, né pregò il padre o i fratelli di lei di recarvisi.
E Iosbail, bella, ardita e curiosa, risolse di visitare il castello dove il suo bel cavaliere l'avrebbe condotta dopo le nozze.
Un giorno in cui i fratelli e il padre erano a caccia, Iosbail si incamminò dunque in cerca del castello del suo bel cavaliere. Questi gliene aveva spesso parlato e ne aveva magnificato la ricchezza, così che Iosbail non dubitava di saperlo riconoscere. La strada per giungervi, le aveva detto, correva lungo il fiumo sulle cui rive si erano incontrati e amati.
Iosbail scese alle rive cavalcando il cavallo grigio, e lo guidò sul sentiero che correva lungo l'impetuoso corso del fiume.
Il giorno era luminoso, e una nebbia dorata saliva dai prati e si distendeva tra gli alberi.
Iosbail cavalcava da tempo senza scorgere alcun castello presso di sé o lontano all'orizzonte, né strade che vi conducessero.
Il cavallo appariva stanco, il corso del fiume diveniva sempre più impetuoso, la nebbia pareva avanzare al suo fianco e farsi sempre più impenetrabile. Ma, se Iosbail si volgeva a misurare la strada percorsa, vedeva le rive del fiume limpide e dorate e la natura risplendere nella gloria dell'autunno.
Innanzi a lei il sentiero era grigio e deserto, i colori dell'autunno offuscati dall'ombra impenetrabile della nebbia. Il fiume pareva tuttavia serbare vita in quell'immobile paesaggio di morte: le acque ribollivano, frangendosi contro sassi aguzzi, contro pietre dalle forme ignote; le acque ribollivano, e, sebbene non vi fossero raggi di sole né foglie accese dal fulgore dell'autunno a riflettervisi, ribollivano cupe e rossastre.
Un banco di nebbia scaturì innanzi a lei; il cavallo, il grigio che la seguiva nelle più ardite imprese, si impennò rifiutando di proseguire e né la frusta né le carezze valsero a nulla. Iosbail smontò, e legò il grigio a un albero, risoluta a proseguire a piedi; non conosceva né esitazione e a proteggersi aveva con sé lo specchio magico, il dono della madrina.
Entrò in quell'ombra impenetrabile; attorno a lei pareva non vi fosse che il vuoto, e lembi di nebbia si impigliavano tra i suoi capelli, si avvolgevano attorno al viso come a soffocarla, le accecavano lo sguardo. Quando pure avesse voluto ritornare sui suoi passi, non vi era che vuoto alle sue spalle.
Un vento gelido si levò, disperse la nebbia: Iosbail vide innanzi a sé il castello. Proseguendo nel suo corso, il fiume si allargava in un fossato che circondava la tetra costruzione di pietra grigia, le torri che la fiancheggiavano perdute nel vuoto della nebbia. L'aria era gelida, le morte acque del fossato immobili come lastre di piombo; alberi inariditi, tronchi spezzati, spaccati e bruciati dal fulmine parevano segnare la strada che conduceva al castello.
Iosbail si sentì gelare il sangue nelle vene; tuttavia proseguì e raggiunse il ponte che attraversava il fossato; un grande cancello di ferro lo chiudeva, e non vi erano battenti che potessero annunciare un visitatore, chiedere che quelle alte sbarre di nudo ferro si aprissero per lui.
Iosbail alzò gli occhi all'architrave che sovrastava il cancello: sotto il suo sguardo lettere d'oro vi si scolpirono, e Iosbail lesse: "Sii forte".
Attraversò il ponte e giunse al cancello, che silenziosamente si aprì innanzi a lei. Si trovava in un breve passaggio a volte dalle pareti umide di muschio; doveva essere costruito sul fiume, poiché un ribollire di acque vi scorreva sotto. Al termine del passaggio si innalzava una scala dagli alti gradini di pietra; sulla balaustra, a custodire la porta rotonda che si apriva in fondo alla scala, due orridi grifoni, i rostri spalancati e le zampe pronte a artigliare, le grandi ali nere che oscuravano la vista. Iosbail arretrò con un grido di spavento: i grifoni non ebbero un fremito e lei comprese che erano di pietra.
Lungo l'arco della porta vide scolpirsi lettere d'argento e tracciare per lei le parole: "Sii forte, ma non troppo forte".
La porta si aprì silenziosamente innanzi a lei.
Era nel grande atrio del castello, due rampe di scale se ne dipartivano e conducevano a una galleria. Iosbail le salì, percorse la galleria e giunse a una porta alta e tetra. Sull'architrave lettere di sangue si scolpirono tracciando per lei le parole: "Sii forte, ma non troppo forte, che non ti stringa il cuore un orrore di morte".
Ma Iosbail voleva sapere. L'ansia di sapere era in lei più ardente della paura, e si avvicinò senza esitare alla porta di ferro alta e tetra, che si aprì silenziosamente innanzi a lei.
Entrò in una stanza vuota di mobili e di arredi, dove avrebbe voluto non essere entrata; il pavimento era rosso di sangue; corpi insanguinati e sfigurati di quelle che un tempo dovevano essere state donne giovani e belle giacevano ovunque, le vesti strappate, lacere, incrostate di sangue. In una pozza di sangue poco oltre la porta affondava un teschio, e uno scheletro orribilmente contorto era davanti alla finestra, come se la donna fosse stata uccisa in un estremo, disperato tentativo di fuga.
Iosbail fuggì inorridita, percorse correndo la galleria; il respiro le mancava, il cuore le veniva meno. Un solo pensiero le attraversava la mente: in quale luogo, in quale  mondo era entrata, quali invalicabili confini aveva varcato? Poiché non poteva essere, quello, il castello del suo bel cavaliere.
Era giunta alle scale e già aveva iniziato a scenderle correndo, quando sentì, lontano, il suono degli zoccoli di un cavallo. Atterrita, sollevò lo specchio magico: riflesso nel vetro vide il ponte e sul ponte un uomo a cavallo, e nel viso dell'uomo lo specchio le rivelò inesorabilmente il viso del suo bel cavaliere.
L'orrore della certezza fu tale che, per un istante, lo specchio si offuscò e Iosbail non vide più nulla. Era sull'ultimo gradino della scala che dalla galleria scendeva al grande atrio del castello, immobile, paralizzata dall'orrore; sentì dei passi risuonare lontano.

Guardò angosciosamente nello specchio che tornò a farsi limpido e le rivelò il passaggio dalle pareti verdi di muschio e la lunga scala custodita dai grifoni di pietra. Gorad, il suo bel cavaliere, saliva la scala trascinando un corpo inanimato di donna, e al suo passaggio i grifoni di pietra spiegarono le grandi ali nere e lo nascosero alla vista.
Iosbail scese silenziosamente le scale, silenziosamente scivolò nell'atrio. Sentiva i passi risuonare sempre più vicini, e l'orribile battito delle ali dei grifoni di pietra. Si guardò attorno, alla disperata ricerca di un'altra porta dalla quale potesse fuggire: non vide che la porta rotonda dalla quale era entrata, e sentì che i passi si avvicinavano.
Nell'antro sotto la scala, lo specchio magico le rivelò una cassapanca di legno; in quello stesso istante, la porta rotonda girò silenziosamente sui cardini.
Gorad, il suo bel cavaliere, entrò trascinando il corpo inerte e insanguinato. Lo abbandonò a terra e si incamminò risolutamente verso il sottoscala, verso la cassapanca di legno che nascondeva Iosbail.
La giovane donna stringeva con la forza lo specchio magico, che, nel movimento della mano di lei, si mosse e balenò vividamente catturando la luce di un grande anello che scintillava al dito della donna morta. Gorad vide quello scintillio, tornò sui suoi passi e si chinò per sfilare l'anello; ma la mano insanguinata della donna era irrigidita dalla morte e l'anello resisteva.
Sotto lo sguardo inorridito di Iosbail, Gorad sguainò la spada e con un colpo recise la mano.
E volse nuovamente i passi verso il sottoscala.
Iosbail sfilò un anello che aveva al dito, e muovendo l'anello e lo specchio in direzione della galleria creò un così improvviso e scintillante balenìo, che il suo bel cavaliere si volse verso la galleria dove si trovava l'orribile camera insanguinata, si lasciò cadere di mano l'anello infilato ancora al dito della donne morta e salì correndo le scale, verso la galleria e la camera del sangue.
Iosbail uscì allora dal suo nascondiglio, raccolse tremando la mano insanguinata e fuggì dal castello, lungo le scale di pietra, tra i grifoni tornati immobili, sotto la volta del passaggio dalle pareti verdi di muschio, lungo il ponte, lungo la strada segnata dai tronchi spaccati e bruciati.
Fuggì correndo lungo il greto del fiume, attraversò l'ombra impenetrabile della nebbia, fuggì da quell'orrido, cupo regno di morte e di sangue, ritrovò il glorioso splendore dell'autunno, il corso vivo e impetuoso del fiume, il cavallo grigio che la attendeva battendo sul prato con lo zoccolo impaziente.
Il contratto di nozze tra Iosbail e il suo bel cavaliere doveva venir steso e firmato il giorno successivo, e il padre e i fratelli di lei diedero un gran banchetto per celebrare la cerimonia.
Bella, giovane e ardita, la fulva onda dei capelli imprigionata in una rete d'oro e smeraldi, Iosbail sedeva davanti al suo bel cavaliere, ma era mortalmente pallida, e tra le risate e la gaiezza e i canti del banchetto, lei sola appariva silenziosa e triste.
"Che cosa ti è accaduto?", volle sapere Gorad.
"Ho trascorso una ben triste notte, signore, e tristi sogni l'hanno funestata."
"Tristi sogni annunziano lieti eventi. Narraci i tuoi sogni, perché possiamo trarne gioiosi auspici"
"Ho sognato, Gorad, mio bel cavaliere", prese a narrare la giovane donna, "ho sognato di recarmi al tuo castello, lungo la strada del fiume, un alto castello di pietra grigia, circondato da un fossato; vi conduce un sentiero di tronchi spezzati, bruciati dal fulmine, inariditi."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così"
"Sull'architrave del cancello, prima che io vi entrassi, lettere dorate hanno tracciato per me le parole: Sii forte"
"Non è così, mia cara, né mai è stato così. Il tuo sogno ti ha ingannata."
"Spesso i sogni ingannano, Gorad, mio bel cavaliere, e non i sogni soltanto. Nel sogno io salivo una scala, custodita da orridi grifoni di pietra; la scala conduceva a una porta rotonda, e sull'arco della porta lettere d'argento hanno tracciato per me le parole: Sii forte, ma non troppo forte."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così."
"Io ho tuttavia varcato quella porta, ho salito una scala e sono giunta a un'altra porta in fondo a una galleria, dove lettere di sangue hanno tracciato per me le parole: sii forte, ma non troppo forte, che non ti stringa il cuore un orrore di morte."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così."
"E tuttavia ho varcato anche quela porta, Gorad, mio bel cavaliere, e sono entrata in una camera dove mi ha accolto l'orribile vista di corpi insanguinati, e scheletri, e ossa e sangue sul pavimento e sulle pareti."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."
"Ho sognato allora, Gorad, mio bel cavaliere, di fuggire da quel luogo orribile, di sentire dei passi lungo il ponte e le scale di pietra e di vederti entrare trascinando il corpo insanguinato e inerte di una donna."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."
"Non era che un sogno, Gorad, mio bel cavaliere. Nel sogno io ero nascosta dietro una cassapanca di legno, sotto la volta delle scale e ti vedevo chino sul corpo inerte e insanguinato di quella povera, giovane donna, per sfilarle un anello che aveva al dito; ma l'anello resisteva, e nel sogno, Gorad, mio bel cavaliere, tu sguainavi la spada e con un colpo solo mozzavi la mano con l'anello."
"Non è così, mia cara, né mai è stato così e per nulla al mondo vorrei fosse così."
Iosbail si levò in piedi, bella, giovane e ardita, tempestosa come l'immagine della vendetta; trasse dalla veste la mano insanguinata e la tese verso di lui.
"è così", disse, l'orrore e lo sdegno nella voce "sempre è stato così, ma per nulla al mondo sarà ancora così."
Il padre, i fratelli di Iosbail, i commensali tacevano inorriditi; Gorad sguainò la spada, ma la giovane donna trasse dalla cintura dorata lo specchio magico e lo tese come uno scudo innanzi a sé.
La magia dello specchio implacabilmente rifletteva la verità e l'orrore che dallo specchio affrontò il bel cavaliere quando vide riflesso il suo viso fu tale che il suo perfido cuore si spezzò, e con un grido soffocato Gorad si rovesciò a terra morto.