Pierre Seel e gli omosessuali deportati e torturati nei lager

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Pierre Seel pubblicò la sua testimonianza nel 1994: "Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel". Per lungo tempo preferì restare anonimo; proveniva da una famiglia cattolica molto bigotta e dopo la deportazione venne accettato in famiglia alla condizione di non rivelare mai i motivi della sua deportazione nel lager. Pierre venne internato per sei mesi nel campo di Schirmeck, fino al 1941. Venne interrogato dalla Gestapo, per via dei suoi "rimorchiamenti" nelle piazze. Probabilmente il suo nome venne rivelato da qualche omosessuale precedentemente interrogato. Della sua famiglia, al suo ritorno dal lager, Pierre scrive: "Il silenzio che mio padre impose rispetto alla mia omosessualità, dopo il mio ritorno in famiglia dal campo di Schirmeck, restò in vigore: nessuna confidenza da parte mia, nessuna discussione da parte loro. Tutti agivano come se non fosse successo niente. Ritornai e restai come una figura incerta: evidentemente non avevo ancora capito che ero rimasto in vita. Gli incubi mi affliggevano di giorni e di notte, mi esercitavo al silenzio."
Pierre scrive anche che altri omosessuali, che pure erano sopravvissuti al lager, "non dicevano una parola e non davano alcuna spiegazione. Non c'era alcuna discussione pubblica su ciò che era accaduto agli omosessuali. Niente, assolutamente niente mi venne in aiuto nel mio silenzio."
Pierre si sposò con una donna cinque anni dopo; ebbe anche dei bambini, tentando di vivere una vita "normale" per essere accettato dalla famiglia: "la pressione sociale e familiare era molto grande. Forse volevo dimostrare qualcosa a me stesso. Ma non era facile, per il semplice motivo che la mia omosessualità naturalmente non spariva affatto."


Una delle pagine più atroci del suo libro è la descrizione della morte del suo amico Jo, ricordo che tormentò Pierre per oltre 50 anni.

"Un giorno ci fu ordinato dall'altoparlante di riunirci nella piazza d'armi (...) Di fatto questa volta ci aspettava un esame completamente diverso, doloroso, cioè un'esecuzione. Due uomini delle SS portarono un giovane al centro del quadrato. Colmo di orrore, riconobbi Jo, il mio caro amico da quando avevo 18 anni. Non l'avevo ancora incontrato al campo. Era arrivato prima o dopo di me? Non ci eravamo visti nei giorni che avevano preceduto la mia consegna alla Gestapo. Ero raggelato dal terrore. Avevo pregato perché non fosse nelle loro liste, sfuggito alle retate, risparmiato dalle loro umiliazioni. E invece era lì di fronte ai miei occhi impotenti, colmi di lacrime. Gli altoparlanti trasmettevano musica classica a volume molto alto mentre le SS gli strappavano i vestiti di dosso lasciandolo nudo e gli ficcarono un secchio di latta in testa. Poi gli aizzarono contro i loro feroci pastori tedeschi: i cani lo azzannarono all'inguine e tra le cosce e lo sbranarono proprio lì di fronte a noi. Le sue grida di dolore erano distorte e amplificate dal secchio sulla testa. Sentii il mio corpo irrigidito vacillare, gli occhi sbarrati dall'orrore, le lacrime mi correvano giù irrefrenabili, ho pregato perché la sua potesse essere una morte rapida. Da allora è accaduto spesso che mi sia svegliato urlando nel cuore della notte. Per cinquant'anni quella scena è passata e ripassata continuamente nella mia mente."

Pierre attraversa dei momenti di totale perdita di identità e della memoria; ma piano piano, inizia a riparlare dei ricordi dolorosi: "Indubbiamente perché avevo da risolvere, da quel momento, un compito: imporre il riconoscimento della deportazione degli omosessuali (...) i crimini dei nazisti non possono restare ignorati e impuniti, oppure, ancora peggio, completamente dimenticati! Coloro che sono sopravvissuti devono testimoniare. Soltanto i sopravvissuti possono fondare il ricordo dei morti, la nostra memoria."

Purtroppo, la quantità di testimonianze di omosessuali sopravvissuti è minima e questo causa una marginalizzazione della persecuzione degli omosessuali durante l'Olocausto, rispetto ad altre categorie di vittime. Per giunta, una volta liberati, molti di loro subivano ancora lo stigma della società (il paragrafo nazista 175 del 1935, anti-omosessualità, rimase in vigore fino al 1969. Le retate continuavano e gli omosessuali venivano ancora condannati al carcere.) Il riconoscimento di perseguitati dal regime nazista è stato dato tardi, agli omosessuali. Vennero esclusi dal risarcimento economico a favore delle vittime del nazismo, perché, in realtà, le leggi contro di loro erano precedenti a quelle naziste. Il sostegno dell'opinione pubblica, per loro, agli inizi, non esisteva. Gli uomini marchiati "col triangolo rosa" subirono, anche dopo essere stati liberati dai lager, la vergogna, il senso di colpa, la reticenza a testimoniare parlando della propria esperienza, l'isolamento e il silenzio collettivo. Nel 1993, solamente la metà degli adulti in Inghilterra (e un quarto in America) sapeva che i gay furono vittime del regime nazista. Nel 1994 qualcuno gridò "fuori di qui, pervertiti!" agli omosessuali che parteciparono alla funzione commemorativa Memorial Museum Yad Vashem di Gerusalemme il 30 maggio 1994.

Un sopravvissuto, Frederick Paul von Großheim, scrive "Io avevo 14 anni nel 1920 - era un periodo di assoluto divertimento. Ed è per questo che non riesco a capire come ci fossero persone cresciute con me che potessero voler entrare nelle SS. Secondo me, chi entrava nelle SS lo faceva per poter praticare ogni tipo di crudeltà in modo legale."
Großheim rivela che gli omosessuali arrestati subivano pestaggi ed erano obbligati a fare i nomi di amanti e altri omosessuali:
"è così assurdo essere puniti per l'amore", commenta  von Großheim.


(Nota di Lunaria: negli ultimi tempi vicende simili stanno capitando in Cecenia; gli omosessuali vengono arrestati e deportati, torturati e costretti a rivelare i nomi di altri omosessuali)

Un altro omosessuale, Paul-Gerhard Vogel, giovane comunista, si rifiutò di entrare nella Gioventù Hitleriana e fu imprigionato, a 18 anni, in un campo di concentramento, dove vi rimase per 5 anni. Venne anche condannato, successivamente, ai lavori forzati in una cava di torba. Vi rimase per sette anni: lavorava dalle 6 del mattino fino alle 9 di sera. Per due mesi visse ammanettato, dovendo farsi i bisogni addosso senza potersi lavare; i nazisti versavano la minestra dall'alto, di modo che schizzasse tutta fuori dalla ciotola e i prigionieri fossero costretti a leccare il pavimento per poter mangiare qualcosa.
Testimonia che il kapò era omosessuale e si era preso come amante un giovane ragazzo che usava da "stallone". Al kapò nessuno diceva niente, ma se due prigionieri venivano trovati assieme, venivano picchiati ed insultati "porci, froci schifosi".


Gli omosessuali venivano mandati nel castello di Prettin, che dal 1812 era utilizzato come prigione. Gli omosessuali che venivano puniti (pubblicamente) erano legati ai tavoli e picchiati; venivano torturati anche ai genitali. Subivano mutilazioni nei lavori alla cava e le grosse pietre venivano portate sulle spalle: chi non ce la faceva più, crollava collassando sotto il peso del macigno.

Venivano anche usati per testare calzature: molti omosessuali, nel campo di Sachsenhausen erano costretti a correre per 40 chilometri al giorno, senza pausa, per testare la durata delle suole sintetiche, sferzati dai colpi ed aizzati dai cani.

Il numero di vittime si aggira sui 15.000. Avrebbe potuto essere più alto e fu solo per il disinteresse dei nazisti a rastrellare i gay "non tedeschi e non austriaci" al di fuori della Germania che la persecuzione nazista contro gli omosessuali riguardò solo vittime tedesche e austriache.
Alcuni nazisti erano convinti che andassero sterminati, altri pensavano che si potessero "guarire": gli omosessuali vennero condannati dal nazismo perché "socialmente aberranti" e considerati pericolosi o inutili perché non contribuivano alle politiche di natalità.


Nel 1935 i nazisti avevano già bruciato migliaia di testi e documenti, i primi tentativi di combattere l'omofobia (fu soprattutto il dottor Hirschfeld a sforzarsi di riformare le leggi che criminalizzavano l'omosessualità).

Inizialmente gli omosessuali non erano contrassegnati col triangolo rosa, ma con una grossa "A" cucita sui pantaloni e sull'uniforme: la "A" stava per "Arschficker", "fottinculo".
Più tardi, fu adoperato il sistema dei triangoli per tutte le vittime: marrone per i Rom, nero per gli asociali e le prostitute (incluse le lesbiche), azzurro per gli immigrati, i due triangoli gialli sovrapposti e rovesciati per gli ebrei, rosso per i prigionieri politici, verde per i criminali, rosa per gli omosessuali.


I nazisti tentarono anche di "guarire gli omosessuali" con folli interventi chirurgici: il dottore Carl Vaernet convinse Himmler di avere trovato "la cura per l'omosessualità": impiantava "ghiandole sessuali artificiali" ovvero capsule che rilasciavano testosterone su 15 omosessuali usati come cavie; in gergo, venivano chiamati "i 175ini" per via del "paragrafo 175" che puniva l'omosessualità dal punto di vista legislativo; ovviamente nessuno di loro "divenne eterosessuale", due di essi morirono, ma Vaernet scrisse orgoglioso ad Himmler che "questo impianto, noto come 3A, è capace di convertire l'omosessualità in una normale condotta sessuale".
Gli omosessuali vennero anche castrati; fu in seguito al fallimento di queste "terapie per curare l'omosessualità" che i nazisti decisero di risolvere "il problema omosessuale" una volta per tutte dando il via all'eliminazione sistematica degli omosessuali.

Nota di Lunaria: questa idea immonda ce l'aveva anche la psichiatria (e ce l'ha ancora ai giorni nostri, se si va nel settore della "psichiatria cristiana"); anche ai giorni nostri ragazzi gay, lesbiche o transgender sono stati segregati in veri e propri lager psichiatrici (con tanto di genitori più che favorevoli) per "venir guariti dall'omosessualità" ovvero per subire della violenza psichiatrica.
Alcuni di questi ragazzi e ragazze sono morti, altri si sono suicidiati. Per i cristiani più integralisti, poi, è necessario "pregare lo spirito santo e gesù cristo di continuo" per "guarire dal peccato dell'omosessualità in abominio a Dio"


Infine, anche le lesbiche vennero perseguitate, in misura minore, perché riuscirono più spesso a fingersi eterosessuali; i nazisti comunque le assimilavano alle prostitute (e viceversa) quindi diventa difficile stabilire con precisione il conteggio delle vittime; abbiamo il nome di una di esse, Henny Schermann, arrestata nel 1940 ed etichettata come "lesbica licenziosa" e "ebrea apolide". Venne uccisa nella camera a gas nel 1942.

In Italia gli omosessuali venivano condannati al confino. La Polizia faceva retate nelle sale da ballo, arrestando "gli errusi", come erano chiamati gli omosessuali. Gli omosessuali italiani vennero spediti in zone come Ustica, Lampedusa, San Domino (Isole Tremiti). Erano segregati lì perché bisognava "arginare tale grave aberrazione sessuale che offende la morale ed è esiziale alla sanità ed al miglioramento della razza."