Introduzione all'Arte della Preistoria



Le prime rappresentazioni definite di divinità risalgono al
IX millennio a.c
Le statue, statuette e pitture di çatal Hüyük, in Turchia, hanno permesso di capire l'origine delle divinità: nel VI millennio si sono trovati anche edifici e templi, con rappresentazioni delle divinità, in genere, enormi Dee obese accompagnate da animali come il bue o rappresentate sedute sui troni, in procinto di partorire, con a fianco dei felini (probabilmente pantere).

Molto raffigurato anche l'uro, cioè l'antenato del bue, spesso rappresentato in proporzioni enormi, con una folla di piccoli uomini intorno. Queste due figure, la donna obesa (con la testa appena abbozzata) e il bue, sembrano le prime rappresentazioni di divinità che gli esseri umani hanno immaginato.
Gli studiosi della Preistoria risalgono fino alla Siria e alla Palestina di 2000 o 3000 anni prima.
La Dea risalirebbe a circa 8000 anni prima della nostra era, mentre il Dio Toro è stato individuato anche sotto forma di corna o bucrani (osso frontale e corna) su alcuni muri di Mureybet, località siriana sull'Eufrate.

Tutto questo succedeva prima dell'entrata in scena dell'agricoltura e dell'allevamento. Forse tutto questo fiorire di credenze e la nascita degli Dei hanno provocato il cambiamento progressivo dell'economia, piuttosto che esserne la conseguenza.
Abbiamo trovato anche altre rappresentazioni, già di epoca neolitica, come alcune figure massicce e mostruose di uomini-pesce, trovate nei Balcani, o un grande personaggio raffigurato nel Tassili (Algeria) in una serie di tavolati, circondato da figure umane con le braccia alzate.
Anche in Brasile sono state ritrovati grandi animali rappresentati insieme a piccoli uomini.


ALTRO APPROFONDIMENTO

La consuetudine di designare con l'aggettivo "primitivo" le manifestazioni culturali e artistiche dei popoli estranei alla cultura occidentale è un residuo, nel linguaggio, di idee generali, di valutazioni e di giudizi da tempo superati.
E del resto anche il termine preistoria, che discende dall'abitudine di dividere l'avventura umana con l'arbitrario spartiacque dell'elaborazione della scrittura, è un'indicazione "di comodo".
Né gli oggetti artistici della "cultura primitiva" sono primitivi (se a questa parola si attribuisce una qualche connotazione di inferiorità o incompiutezza); né quelli della preistoria sono fuori della storia.
Vero è invece che il patrimonio artistico del Paleolitico, del Neolitico e di parte delle età dei metalli o protostoriche, così come quello dei portatori delle "culture primitive" sono entrati nel circuito generale della cultura in tempi relativamente recenti, l'uno dopo lunga obliterazione, in virtù dei rinvenimenti e delle ricerche di testimonianze "antidiluviane" (come si disse agli inizi degli studi di preistoria), cominciati nel secolo scorso, l'altro a seguito del colonialismo, con interesse prima etnologico e solo recentemente artistico.


LA PREISTORIA EUROPEA: IL PALEOLITICO

La creazione artistica, cioè la volontà di rappresentare concretamente forme intraviste nel mondo circostante, di imitare la natura con uno scopo preciso, è un'acquisizione relativamente recente. I paleontologi ritengono che la specie umana si sia manifestata sulla terra circa tre milioni di anni fa. Sono stati ritrovati crani e frammenti di ossa di questi esseri non ancora completamente eretti che correvano nelle savane africane all'inseguimento della selvaggina.
Questi australopitechi differivano anatomicamente dalle altre varietà di australopitechi comparsi sulla terra sei o sette milioni di anni prima.
Si distinguevano per ciò che caratterizza la specie umana, cioè la capacità di modellare utensili per completare l'opera della natura. Certamente in un primo tempo questa facoltà creativa rimase estremamente elementare: si utilizzavano bastoni, si sbrecciavano i ciottoli per ottenere semplici strumenti da taglio. Sarà necessario attendere ancora due milioni e mezzo di anni perché i primi esseri umani siano capaci di tagliare davvero i vari tipi di pietra e soprattutto le selci per ottenere quelle belle amigdale acheuleane, o siano in grado di "catturare" il fuoco, riproducendolo con l'aiuto dello sfregamento di selci o legni.
Ma queste conquiste sono attribuite a una nuova specie umana, quella dei pitecantropi.
Cinquemila secoli passeranno ancora durante i quali l'uomo affermerà la sua tecnica, mentre evolve fisicamente e psichicamente, prima che nasca l'arte.

Siamo presi da una vertigine all'idea che siano stati necessari trentamila secoli, durante i quali si sono succedute più di centocinquantamila generazioni, prima che la mente umana arrivasse alla maturità sufficiente per creare, con la magia della scultura.
Infatti la scultura, più precisamente l'incisione eseguita con l'aiuto di un bulino in pietra, è la manifestazione più antica che si conosca delle arti plastiche. Obiettivamente sembra che la pittura, e più precisamente quelle tracce di mani in negativo rilevate sulle pareti della grotta di Gargas, sia tecnicamente più agevole da realizzare della scultura, in quanto i cacciatori preistorici non disponevano che di bulini in pietra. Ma è anche necessario non dimenticare che gli uomini del Paleolitico superiore avevano raggiunto un'abilità perfetta nel lavorare la pietra: erano in possesso di un'approfondita conoscenza dei materiali, della loro resistenza e della loro plasticità.

Viene generalmente situata nell'Aurignaziano (I e II) cioè circa trentamila anni fa, la comparsa dei primi oggetti scolpiti: solchi grossolanamente incisi nella pietra che rappresentano simboli sessuali o teste di animali, ritrovate nelle grotte della Dordogna e ad Arcysur-Cure.
Possiamo tuttavia pensare che queste prime testimonianze di un'arte preistorica ancora balbuziente siano state precedute da altri tentativi di cui non rimangono tracce, sia perché il supporto siliceo è andato distrutto o perché fosse un supporto di natura deperibile: infatti è impossibile che i primi artisti non abbiano pensato di esercitare i loro talenti su materiali facili da lavorare come il legno o la corteccia. (1)

L'evoluzione è poco sensibile durante il periodo successivo, chiamato Gravettiano medio dal sito eponimo della Gravette presso Bayac in Dordogna. Compare tuttavia un disegno più complesso e più raffinato in alcuni frammenti sui quali è inciso un garbuglio di contorni in cui si possono riconoscere dei cervidi. Alcuni studiosi vogliono rilevare una lenta evoluzione attraverso queste poche testimonianze e qualche altra incisione dello stesso stile datata al Gravettiano recente.
è però difficile dare un giusto valore alla realtà storica attraverso poche testimonianze sparse, distribuite in un arco di tempo di oltre diecimila anni. Tuttavia non si può negare che proprio nelle ultime fasi del Gravettiano e all'inizio del periodo successivo, detto Solutreano, faccia la sua comparsa la scultura paleolitica. Questa fioritura continua, con modifiche e varianti quantitative, durante i periodi successivi, cioè in tutto il Solutreano e nel Magdaleniano, quasi fino alla fine del Paleolitico, cioè circa fino a diecimila anni prima della nostra era.

Gli oggetti più antichi che si trovano in seguito con continuità, sono i frammenti incisi o decorati. Le loro dimensioni variano da pochi centimetri nei frammenti di pietra tenera o di osso al metro per alcuni grossi blocchi.
I piccoli frammenti di osso appartengono complessivamente al Magdaleniano Medio e a quello Superiore. Le incisioni sono ottenute con un tratto continuo più o meno profondo, talvolta con un punteggiato.
Gli incisori preistorici si sono compiaciuti di rappresentare su questi frammenti tutti gli animali che li circondavano: infatti l'arte paleolitica è un'arte animalistica.
Raramente viene rappresentato l'uomo: la donna è il tema quasi esclusivo della piccola statuaria. Le incisioni riflettono perfettamente il bestiario preistorico, poiché vi si ritrovano tutti i soggetti trattati nella pittura parietale; la differenza sta nella frequenza dei temi utilizzati.
Al primo posto troviamo la renna, rappresentata in circa il 20% dei casi, poi vengono il cavallo e il bisonte, con il 12% ciascuno. Anche l'orso, lo stambecco, il toro, la cerva sono animali rappresentati assai spesso; si trovano invece con meno frequenza il cervo, gli uccelli, i pesci, i felini.
(Nota di Lunaria: tutti animali che troviamo ancora come "cavalcature" delle Dee nel pantheon indù)
Infine, rari, quasi eccezionali, sono i mammut e il rinoceronte, il camoscio, la lepre, l'antilope saiga, la cavalletta e infine l'uomo.
Partendo da queste rappresentazioni che sono simili a quelle della pittura e di stile analogo si è cercato di fissare una classificazione evolutiva degli stili valida sia per la pittura sia per queste incisioni.

André Leroi-Gourhan ha creduto di poter distinguere quattro diversi stili divisi nel tempo.
In una prima fase primitiva (stile I) sono classificate le figure incise dell'Aurignaziano: linee ingarbugliate indefinibili, disegni maldestri o schematizzati di vulve associate a teste di animali.
La seconda fase primita (stile II), che si sviluppa durante il Gravettiano, non sarebbe che l'evoluzione delle prime prove dello stile I. Abbiamo messo in dubbio in precedenza questa continuità evolutiva a causa della rarità dei documenti. Risulta tuttavia che il disegno, anche se sommario e maldestro, acquista una fermezza sufficiente a far distinguere le specie animali: leone e bisonte su un ciottolo di Gayas, cavallo del riparo sotto roccia Labatut in Dordogna.
Il periodo arcaico (stile II) occupa tutto il Solutreano e la prima parte del Magdaleniano. Durante questo periodo si affermerebbe lo stile antico con le sue linee ad arabesco mentre comparirebbero le convenzioni che andranno ormai prevalendo nella rappresentazione dei particolari del pelo, della muscolatura, delle membra. Su un altro piano, in questo periodo e certamente fin dal suo inizio, l'arte scultoria, presente sino allora quasi esclusivamente in Francia, ha una prodigiosa espansione geografica verso la Spagna, l'Italia, l'Europa centrale e orientale, la Russia, l'Ucraina.

Parallelamente all'incisione comparirebbero il bassorilievo e le statuette a tutto tondo. In realtà sembra che la comparsa e il moltiplicarsi delle statuette femminili dette convenzionalmente ed erroneamente "Veneri aurignaziane" risalgano piuttosto alla fase finale del Gravettiano, cioè ancor prima dell'inizio del periodo arcaico.
Cogliamo qui le imprecisioni della cronologia del Paleolitico e le difficoltà dello studioso di preistoria nello stabilire una successione soddisfacente, tale da incontrare l'unanime consenso.

Lo stile IV è quello del periodo classico che copre tutte le ultime fasi del Magdaleniano. Quest'arte tende verso il realismo e il naturalismo, che raggiungeranno la perfezione verso la fine del periodo; vengono dimenticate le antiche convenzioni, viene abbandonata la forma ieratica a vantaggio del movimento della libertà di espressione che risultano nella pittura parietale. Più dei quattro quinti dei frammenti incisi appartengono a questo periodo di grande fioritura: opere come il cervo pascolante e il cavallo di Limeuii sono tra le più notevoli di questo stile, che scomparve alla fine del Magdaleniano dopo aver veduto una breve decadenza contrassegnata dalla dissoluzione delle figure e dalla negligenza nella resa delle proporzioni.
L'interesse archeologico maggiore di questi frammenti incisi, trovati nel terreno degli insediamenti durante gli scavi, è quello di poter essere approssimativamente datati.
Poiché sembrano legati alle espressioni pittoriche dell'arte parietale, gli archeologi hanno potuto datare anche le pitture e integrarle nell'evoluzione stilistica stabilita dal professor Leroi-Gourhan. Questi frammenti figurati non rappresentano che un aspetto, sia pure importante, della scultura paleolitica. A essi possono essere collegate parecchie altre opere eseguite su supporti di diversa destinazione. Rappresentazioni di animali o segni geometrici incisi, talvolta anche assai elaborati, figurano su numerosi oggetti della vita quotidiana: spatole in osso, punteruoli, bacchette arrotondate, zagaglie, bastoni fortati verso un'estremità con un buco relativamente grande (che vengono chiamati "bastoni di comando" poiché si è creduto di vedervi una specie di scettro con riferimento a taluni fatti etnografici), pendenti, piccoli dischi forati al centro che servivano probabilmente da bottoni, "profili ritagliati". Questi ultimi oggetti venivano forse appesi come ornamenti o come feticci e rappresentavano generalmente teste di animali, cavalli, stambecchi, bisonti.

Dei bassorilievi che compaiono nel Gravettiano per raggiungere l'apogeo nel Solutreano, solo un piccolo numero sopravvive.
I rilievi rappresentano un animale (cavallo, bisonte, stambecco...) o un essere umano. Le dimensioni delle opere variano dai 40 agli 80 centimetri, ma alcune scene superano il metro e mezzo. Le più notevoli scene sono state ritrovate nella grotta di Roc-de-Sers: stambecchi affrontati, bisonte che insegue un uomo, cavallo in moto dietro un bisonte. Quest'ultimo ha la testa di un cinghiale, che sembra essere stata rifatta. La "processione" di cavalli, di buoi e bisonti della grotta di Cap Blanc che risale al Magdaleniano III raggiunge i 12 metri.

L'artista del Gravettiano utilizza le sporgenze della roccia per tentare di dare, con il rilievo, una dimensione spaziale alle sue opere: spesso le irregolarità delle pareti si prestano a questo scopo, ma è necessario un lavoro di scavo della pietra all'intorno per dar forma a talune parti del soggetto trattato.
I saggi più antichi di questo genere sono i rilievi della grotta di Laussel: le figure di un uomo a sporgenza leggera e di alcune donne a intaglio più elaborato. Tra queste risalta particolarmente la donna col corno.








A questi rilievi decisamente maldestri, intagliati a sporgenza leggera, si contrappongono le opere del Solutreano, nel quale si afferma una tecnica sicura.
La figura viene modellata con un rilievo spesso assai sporgente, con un lavoro di scavo che talvolta affonda notevolmente nella superficie al punto che tali opere sembrano vere e proprie sculture addossate alla roccia. Con padronanza perfetta della materia, l'artista modella le forme che acquistano consistenza e spessore, restituendo una realtà animata colta sul vivo.
Lo scultore del Solutreano percepisce le forme nella loro dinamica e le restituisce con una sobrietà e con un vigore che trascendono la realtà, al punto da far sembrare naturali talune sproporzioni.
Con disinvoltura pari alla libertà egli sa distribuire i suoi soggetti nello spazio in modo da riunirli in scene di vigore e slancio notevoli. Quest'arte di ricreare la vita dominandola si afferra nella maggior parte delle opere del periodo, in particolare nei fregi delle grotte della Chaire à Calvin, a Mouthiers, o a Cap Blanc (Dordogna) dove i fregi risalgono al Magdaleniano.

Gli scultori del Paleolitico hanno mostrato nel rilievo la più perfetta padronanza tecnica della loro arte. 

La statuaria a tutto tondo

La piccola statuaria al contrario è scolpita in materiali meno deperibili: osso, corno di renna, avorio, pietre oppure materiali misti come argilla mescolata con polvere d'osso.
Tra queste statuette occupano un posto particolare le celebri "Veneri aurignaziane". Il soggetto generalmente trattato dagli scultori è l'animale; le figurine maschili sono rare; tra queste le più interessanti sono le teste di profilo di Kostienki presso Voronezh (Russia) dove i volti stilizzati a forma di muso si possono interpretare come personaggi che portano maschere di animali.

Le figurine animalistiche possono essere divise in due gruppi: uno occidentale, in sostanza francese, l'altro orientale.
Le figurine trovate in Francia costituiscono generalmente le estremità ornate di propulsori di zagaglie spesso staccate dal fusto che costituisce il corpo del propulsore. Qui gli artisti si sono abbandonati alla loro fantasia dando prova del più fecondo spirito inventivo: uno stambecco eretto con le quattro zampe unite, un bisonte che si lecca il fianco, un felino pronto a balzare, stambecchi avvinghiati, un cavallo colto nello slancio d'un salto, un cerbiatto con le zampe raccolte e la testa rivolta verso il proprio posteriore scolpito a forma di uccello.
Nell'Europa centrale e orientale queste statuette compaiono generalmente come opere a sé e non in funzione ornamentale. Provengono in gran parte da Dolni Vestonice, da Vogelherd nel Wurttemberg o da Kostienki in Russia. Le specie animali rappresentate sono le stesse presenti nei frammenti incisi e nelle pitture: mammut, cavalli, felini, bisonti, rinoceronti, orsi, uccelli.

Le statuette chiamate "Veneri aurignaziane" costituiscono senza dubbio le opere plastiche più note dell'arte paleolitica. Le prime figurine di questo tipo sono state scoperte negli ultimi anni del XIX secolo in Francia e alla frontiera franco-italiana, nelle grotte di Grimaldi ai Balzi Rossi.
Il numero di queste statuette nell'Europa occidentale è assai limitato: la testa in avorio "col cappuccio" di Brassempouy e altri frammenti di statue provenienti dallo stesso insediamento, denti di cavallo scolpiti; in Italia oltre a quelle dei Balzi Rossi, citiamo la statuetta in roccia serpentinosa di Savignano (Modena) e quella di Chiozza (Reggio Emilia); l'Austria ha fornito la Venere di Willendorf, le Cecoslovacchia le statuette di Dolni Vestonice.




A queste possiamo aggiungere le figurine molto stilizzate di Pekarna in Moravia, della Baveria e nel Baden, che tuttavia sono molto più tarde perché risalgono al Magdaleniano medio. Della stessa epoca e molto singolare è una statuetta in avorio, senza testa né braccia, chiamata "Venere impudica" o "Venere di Vibraye", trovata a Laugerie-Basse.
Pare che fosse sprovvista di testa e di braccia ab origine.

Il territorio sovietico ha restituito un gran numero di statuette, di stili assai diversi: ne sono stati raccolti 43 esemplari a Kostienki, 6 a Gagarino, 4 ad Avdeevo, uno a Eliseevichi in Russia; venti a Maltà, e quattro a Buret in Siberia, ad ovest del lago Baikal. Questa considerazione statistica ha permesso di pensare che questo tipo di figure fosse originario della Russia, donde la moda si sarebbe diffusa verso Occidente. In ogni caso la somiglianza tra i modelli occidentali e quelli orientali non lascia dubbi sull'esistenza di un legame tra queste opere.
Le teste, a malapena modellate, in genere
sono prive di volto. (*)
La testa di Brassempouy dal volto triangolare, disegnata con tratto fermo e con un naso poco sporgente rimane un'eccezione. Un'altra eccezione è costituita dalla testa femminile in avorio, un poco più grande di quella di Brassempouy, trovata a Dolni Vestonice; i tratti del volto sono finemente modellati e gli occhi sono nettamente disegnati; anche se manca la parte inferiore, questo volto così espressivo dallo sguardo preoccupato potrebbe essere un ritratto, il più antico che si conosca, di un essere umano.
Sembravano cercare di distinguere un'evoluzione stilistica in queste statuette; tuttavia sono riconoscibili stili nettamente diversi, dalla Venere di Willendorf dalle pesanti forme arrotondate e chiuse, fino alla statuetta pendente di Dolni Vestonice, del tutto stilizzata, dove non sussistono più che due pesanti mammelle innestate su un busto costituito da un semplice tronco.
Nelle due interpretazioni il desiderio di favorire la fecondità è pur sempre lo scopo finale di tali rappresentazioni cosmiche e la grotta rimane sempre un santuario.
Grotta-santuario è anche l'interpretazione di Franck Bourdier, il quale ha messo l'accento più in particolare sull'aspetto di un culto della fecondità fondato sulle abbondanti rappresentazioni dei caratteri maschili e femminili, sia nelle figure murali sia negli oggetti scolpiti: così egli suggerisce che la grotta tiepida d'inverno e ricca d'acqua poteva forse apparire come l'utero della Madre Terra che porta sulle sue pareti mammellute le tracce degli esseri che rinasceranno a primavera. La Venere preistorica, la Dea-Madre, antenata di tutte le innumerevoli statuette della fecondità che contrassegnano l'arte religiosa del Neolitico fino alla Dea Nuda Babilonese e all'Afrodite ellenica, potrebbe anche prendere la forma di una Madre di Animali, un'altra antenata della Potnia Theron, Signora degli Animali selvaggi dell'Asia Minore e della Grecia pre-ellenica. (2)
Due incisioni su osso potrebbero recarne testimonianza: una rappresenta una donna gravida in parte coperta di pelo, associata a una renna di cui non si vedono che le zampe posteriori(3); sull'altra, una donna senza testa e villosa, con la coscia forse perforata da un'armatura di arpione, viene raffigurata presso un altro essere dal volto mezzo felino mezzo umano, di cui non sussiste che il torso e che sembra essere anch'esso una donna, forse mascherata.
Patte ha confrontato queste due rappresentazioni con un racconto di viaggio estatico di uno sciamano samoiedo, riferito da Mircea Eliade. Lo sciamano giunge in una caverna luminosa dove vede due donne nude "coperte di pelo, come delle renne". Una delle donne dichiara di essere incinta e che darà vita a due renne che costituiranno gli animali sacrificali di tribù diverse. L'altra donne mette anch'essa al mondo due renne, simbolo degli animali che aiuteranno l'uomo nei suoi lavori e che serviranno anche al suo nutrimento.
Ma non tutti sono concordi con queste interpretazioni.
Per Gobert queste statuette dai seni gonfi e penduli rappresenterebbero anziane donne presso le quali si reclutano le streghe; si tratterebbe di figurine magiche, amuleti protettivi contro i malefici e la mala sorte.
Sarebbero perciò semplici talismani apotropaici.
Ciascuna ipotesi è naturalmente sostenuta da un numero considerevole di argomenti, che i sostenitori di ipotesi opposte si sforzano di demolire.
Alcune di queste statuette sono state rinvenute su altari, fatto che rivela chiaramente la loro funzione cultuale.
Uno studio approfondito di tali figurine attraverso l'Europa centrale e orientale ha permesso a Marija Gimbutas di ricostruire tutta una mitologia neolitica della Dea Madre e del suo compagno.
Queste statuette di Dee si ritrovano nei periodi successivi in tutto il mondo mediterraneo, da Cipro e dalla Grecia fino alla penisola iberica, passando per Creta e per l'isola di Malta dove alcuni dei prodigiosi templi detti magalitici erano senza dubbio dedicati al culto di questa "dama grassa", Dea Madre di cui sono state trovate statue in numerosi santuari.
Va menzionata la colossale effige scultorea della Dea conservata nel tempio meridionale di Tarxien, di cui non resta attualmente che la parte inferiore.

Durante l'era dei metalli, bronzo e ferro, nel corso del secondo e del primo millennio precedenti la nostra era, attraverso l'Europa si sviluppa una statuaria che va dai bronzi iberici alle figurine in oro degli sciti.
I bronzi sardi sono tra le più originali di queste opere ed esprimono con realismo spesso incantevole tutta la vita dei sardi preistorici.


Note:

(1) Curiosamente gli africani hanno sempre scolpito poco la pietra, prediligendo il legno, perché ritenevano il legno "più vivo, più spirituale" della fredda roccia. Quindi bisognerebbe anche tener presente questa cosa, e ipotesi analoghe, parlando di arte preistorica.  https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/introduzione-allarte-africana-e-allarte.html

(2) Dee accompagnate da animali (leoni, tori, arieti, capre, serpenti...) sono rimaste nell'induismo; vedi Durga, Peethal mata, Meldi Maa, Manasa...
https://intervistemetal.blogspot.com/2017/07/induismo-e-symphonic-black-metal.html

(3) Sulla religione dei Lapponi e della loro Signora delle Renne suggerisco di leggere l'analisi che si trova in "Le religioni del mondo antico" di Tokarev; https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/i-lapponi-sami-leggende-sciamani.html





APPROFONDIMENTO  tratto da


Secondo Leroi-Gourhan, uno spoglio puramente oggettivo e statistico della quantità dei disegni e delle loro svariate combinazioni, dimostra che essi rispecchiavano una qualche mitologia primitiva, che accostava, ad esempio, per qualche ragione, il cavallo al principio maschile e il bisonte a quello femminile.
Piuttosto particolare è il problema posto dalle immagini femminili scolpite del periodo Aurignaziano. Di queste immagini si conoscono decine di esemplari, scoperti tanto nell'Europa occidentale (Willendorf in Austria, Grimaldi in Italia, Brassempouy in Francia ecc.) quanto nell'ex Unione Sovietica (Gagarino, Kostenki, Mal'tà, Buret' ecc.).
Questi oggetti si presentano come statuette di stili diversi, a volte molto realistiche; raffigurano sempre donne nude con attributi sessuali sviluppati, grandi mammelle e spesso, ventre gonfio. è degno di nota il fatto che le figure maschili siano estremamente rare.
Sul tema dell'interpretazione di queste statuette esistono opinioni diverse. Alcuni studiosi le considerano semplici manifestazioni di motivi estetici e sessuali, ma la maggior parte dei ricercatori le collega in un modo o nell'altro con la religione. A questo proposito taluni vedono nelle figurine femminili Aurignaziane una specie di sacerdotessa, esecutrice di cerimonie familiari-tribali, mentre altri le considerano immagini di madri-antenate basandosi sul fatto che molte figurine femminili sono state trovate nelle immediate vicinanze del focolare domestico.
Questo è ad esempio il punto di vista di P.P. Efimenko.
Si deve però osservare che i dati dell'etnografia comparata non confermano una simile interpretazione: il culto delle antenate di sesso femminile non è attestato presso i popoli attualmente esistenti, a parte qualche dubbia eccezione.
Più verosimile e del tutto corrispondente ai dati in nostro possesso sarebbe invece l'interpretazione delle statuette femminili Aurignaziane come immagini di una padrona del fuoco (o padrona del focolare): tracce di una simile immagine mitologica, oggetto di un culto familiare-tribale, si sono conservate in molti popoli attuali, soprattutto tra i popoli della Siberia.
In tal caso ci troveremmo di fronte a monumenti di una forma antica di culto materno tribale.


Nota di Lunaria: avevo già trattato le Dee del fuoco e del focolare. Le elenco anche qui: 

- Brigid\Brigit (che aveva anche un aspetto immacolato e uno legato alla vegetazione e alla ciclicità stagionale).
Brigit è la Triplice Dea del Fuoco.



Bride, Brigit e Brighde (Bridie) simboleggiano tre differenti tipologie di fuoco. è il fuoco dell'ispirazione, la Musa-Dea della poesia pronunciata dinanzi alla fonte sacra. La parola poesia deriva da "poesis", "creazione". Nei tempi antichi coloro che cantavano la poesia erano i custodi delle memorie ancestrali ed erano protetti da Bride. In Irlanda gli Ollave dell'ordine dei Druidi portavano un ramo dorato o argentato con campanelli tintinnanti in onore di Bride, per segnalare il suo passaggio. Brigit è la Dea del focolare, del fuoco che si trova in casa e in fucina. Dai tempi più antichi è stato il cuore di ogni casa, la fonte di luce, di calore e di cibo caldo. Una casa nuova non può essere definita come tale finché la fiamma di Brigit non l'ha illuminata. Il fuoco di Bride è un fuoco perpetuo che brucia di generazione in generazione. Oggi, con i riscaldamenti centralizzati, il nostro altare della Dea diventa il nostro focolare. Brigit è la Dea della Guarigione del pozzo sacro, dal quale sgorgano le sue acque guaritrici. (Nota di Lunaria: i cristiani hanno rintitolato i pozzi della Dea pozzi di "santa brigit") Brighde è anche la Dea della forgiatura, l'arte alchemica del fuoco di liquefare i metalli e creare bellezza. Nell'antichità il fabbro e la sciamana erano onorati in uguale misura: la sciamana aveva accesso al magico mondo della Dea tramite trance estatiche, nelle quali entrava in contatto con Brighde. Il fabbro conosceva la magia che creava specchi di rame splendente e le decorazioni degli abiti in cui potevano essere tenute le anime dei morti e aiutate ad andare verso l'aldilà o dove si potevano intravvedere i frammenti mancanti dell'anima, e così ritrovati. (Nota di Lunaria: acqua e rame sono associati anche all'antichissima Dea italica Cupra, adorata nelle Marche ed in Umbria) Brighde è la Signora dell'Alchimia, colei che ci scalda con le sue vibrazioni ardenti, fondendo i metalli vili delle nostre personalità con l'oro delle nostre anime, trasformando tutte le impurità in Sapienza. Corrisponde a Sofia, la Dea della Sapienza, che viene desiderata dagli alchimisti nella loro ricerca della Pietra Filosofale e dell'Elisir della Vita. Brighde ci apre le porte per entrare in contatto col Fuoco della Vita. In quanto Dea del fuoco, della poesia, della guarigione e della forgiatura, Brigit è l'ispirazione per i guaritori e guaritrici, sciamani e sciamane. Brigit è una Dea antichissima e universale, che porta con sé vibrazioni di guarigione e di trasformazione, specialmente dinanzi a fuochi, pozzi sacri e fonti. Brigit viene anche chiamata o identificata con Danu, Anu o Ana o viene indicata come sua figlia (nota di Lunaria: forse perché essendo anche una Dea Triplice, ciascun suo aspetto può essere chiamato a parte). Corrisponde anche a Kele, Kale, Cale, Kali, Kele-De ("Spirito della Dea Kele").
Le sacerdotesse erano chiamate Kelle. Ovviamente con l'arrivo del cristianesimo venne tutto cristianizzato, e Brigid venne fatta (orribilmente) coincidere con "la madonna", o sante inesistenti come "santa brigid o santa kilda". Nelle Isole Occidentali della Scozia Brigit è chiamata "Maria dei Galli."

Altre Dee sono:

- Vesta (Dea romana) e la Dea greca Hestia.
- Fuchi Kamui, la Dea più famosa degli Ainu
- Le indù Svaha e Jwaala Devi
- Pele, la Dea hawaiana dei vulcani

Alla fine del Paleolitico, nel periodo Aziliano, le immagini di animali e di uomini scompaiono quasi completamente. Appaiono invece disegni di stile più o meno schematico.
Può darsi che siano anch'essi connessi in qualche modo con idee magico-religiose.
Meritano il massimo interesse i ciottoli dipinti scoperti da Edouard Piette nella caverna di Mas d'Azil.
Il loro numero supera i 200 e sono coperti (su una sola faccia) di segni misteriosi tracciati con colore rosso, a forma di strisce parallele, chiazze circolari e ovali, e varie figure che fanno pensare a lettere. Il loro significato non è stato ancora accertato. (Nota di Lunaria: può darsi che oggigiorno lo sia).
Lo stesso Piette li interpretava sia come "portatori" di segni per conteggi, sia addirittura come lettere dell'alfabeto. Entrambe queste interpretazioni sono del tutto inverosimili. Molto più credibile è invece l'analogia con i cosiddetti ciuringa degli Aborigeni Australiani, che sono tavolette sacre di pietra o legno, emblemi totemici coperti di disegni simbolici, che in parte ricordano molto i ciottoli Aziliani. Questa analogia consente di ammettere l'esistenza di credenze totemiche.


IL CULTO DELLA DIVINITà FEMMINILE

In alcune sepolture, e particolarmente nelle grotte, si incontrano figure femminili incise nella pietra: sono evidentemente legate a qualche idea religiosa, ma è difficile stabilire esattamente a quale. Può darsi che si tratti di una divinità femminile protettrice della tribù o custode della tomba, oppure di una personificazione della terra, protettrice dei morti. è comunque del tutto verosimile che esista un determinato rapporto genetico tra queste immagini e le figurine femminili del paleolitico che personificano il focolare tribale o familiare. In generale è evidente che nell'età Neolitica esisteva il culto di una divinità femminile. Rappresentazioni di una figura femminile, che si riduce spesso al solo volto, simili per il modo di esecuzione, si incontrano anche sotto forma di figurine di pietra o argilla di grossolana fattura, di decorazioni del vasellame, proveniente dagli strati neolitici di vari paesi: dalle rive dell'Asia Minora all'arcipelago dell'Egeo, alle penisole balcanica e iberica, alla Francia, all'Inghilterra e alla Scandinavia. In tutte le raffigurazioni sono nettamente indicati i semicerchi delle arcate sopracciliari e gli occhi rotondi, il naso appuntito e, nelle figure complete, i seni.
La bocca e le altre parti del volto mancano quasi sempre.
Tra i reperti neolitici compaiono eccezionalmente anche statuette maschili, quali ad esempio un idoletto fallico acefalo proveniente dalla grotta di Nicolas (Francia).


Per approfondimenti sulle Dee, vedi questi libri:




Alla fine del Paleolitico, nel periodo Aziliano, le immagini di animali e di uomini scompaiono quasi completamente. Appaiono invece disegni di stile più o meno schematico. Può darsi che siano anch'essi connessi in qualche modo con idee magico-religiose.
Meritano il massimo interesse i ciottoli dipinti scoperti da Edouard Piette nella caverna di Mas d'Azil. Il loro numero supera i 200 e sono coperti (su una sola faccia) di segni misteriosi tracciati con colore rosso, a forma di strisce parallele, chiazze circolari e ovali, e varie figure che fanno pensare a lettere. Il loro significato non è stato ancora accertato. (Nota di Lunaria: può darsi che oggigiorno lo sia). Lo stesso Piette li interpretava sia come "portatori" di segni per conteggi, sia addirittura come lettere dell'alfabeto. Entrambe queste interpretazioni sono del tutto inverosimili. Molto più credibile è invece l'analogia con i cosiddetti ciuringa degli Aborigeni Australiani, che sono tavolette sacre di pietra o legno, emblemi totemici coperti di disegni simbolici, che in parte ricordano molto i ciottoli Aziliani. Questa analogia consente di ammettere l'esistenza di credenze totemiche.


APPROFONDIMENTO SUL NEOLITICO tratto da



La visione della volta celeste ha, da sempre e ovunque, affascinato gli esseri umani: i colori cangianti, gli elementi atmosferici, l'alternarsi di giorno e notte, l'apparire e lo scomparire del Sole, della Luna, delle Stelle, hanno indotto gli uomini all'interesse, allo stupore, al timore per la volta celeste, e ad un'esperienza del cielo ad un tempo come fenomeno naturale e come realtà superiore, dotata di una misteriosa alterità, portatrice di concezioni religiose. Tale esperienza ha contribuito a comportamenti umani quali la composizione di racconti sulle origini del mondo, il formarsi di cerimonie, l'edificazione di monumenti: si tratta di tentativi di esprimere l'inesprimibile, di ricercare una connessione tra le cose, di dare un senso unitario al mondo. La montagna, poi, gioca un ruolo importante nella geografia sacra delle religioni come legame tra terra e cielo, in quanto in grado di offrire sia la vicinanza al cielo sia l'ampia prospettiva della terra. Le scoperte recenti, degli ultimi quarant'anni, sulle origini dell'uomo (Homo Abilis) e tutte le scoperte archeologiche sull'arte preistorica (Homo Sapiens) ci mostrano l'uomo come un uomo simbolico e religioso. L'uomo non può non cercare di fare un ponte con il mistero dell'infinito, della sua origine e del suo destino. Così la volta celeste, la montagna, l'acqua ed altri divengono i primi simboli dell'umanità. Mircea Eliade ha dimostrato che la semplice contemplazione della volta celeste ha provocato nella coscienza dell'uomo arcaico un'autentica esperienza del sacro. Eccoci alle radici della religiosità umana.

A partire dal 1959 le spedizioni in Tanzania, Kenya, nella Rift Valley etiopica e nel Sudafrica hanno portato alla luce una prodigiosa documentazione composta da resti di crani e di scheletri, intorno ai quali sono stati rinvenuti ciottoli scheggiati su una faccia o su entrambe, armi da caccia, percussori e altri utensili. A questa prima cultura ritrovata è stato dato il nome di Olduvai.
Homo Abilis si è mostrato capace di creare: la mano destra in un gesto motorio diretto su un ciottolo ne percuoteva un altro per farne un utensile, il che suppone in lui l'esistenza di un progetto e il senso dell'organizzazione del lavoro. Ha operato una scelta dei materiali, tenendo conto della loro solidità, resistenza e colore e ciò implica una coscienza estetica; la scheggiatura bifacciale implica l'esistenza della nozione di simmetria.
A partire dal momento in  cui ha cominciato a creare, l'uomo non si ferma più: valuta consapevolmente. Siamo di fronte ad un salto evolutivo: il corredo di utensili segna la nascita di una cultura, sintomo e traccia dell'uomo in mezzo alla natura. A partire da questa funzione simbolica possiamo ravvisare la nascita dell'Homo Religiosus.


Homo Erectus: "Uomo in piedi" è il nome dato nel XIX secolo a quell'anello della specie umana che ha fatto la sua comparsa nell'Africa orientale. Dall'Africa, Homo Erectus si è diffuso a Giava, in Cina, nel Sud dell'Europa. Il suo volume cerebrale passerà da 800 a 1.250 cm3

L'utensile prolunga la mano e la mente: il taglio bifacciale si moltiplica: nasce l'Acheuleano, con la sua simmetria e con il primo passo dell'arte perché accanto al bifacciale nasce l'industria della scheggiatura.


A partire da circa 150.000 anni fa, Homo Sapiens prenderà il posto di Homo Erectus. è caratterizzato da un cervello voluminoso di 1.400 cm3 che può arrivare fino a 1.700 cm3
Le prime sepolture scoperte si trovano a Skhul e a Qafzeh in Palestina e risalgono a 90.000 anni fa. In diverse tombe, gli scavi hanno portato alla luce resti alimentari, utensili, fiori e pollini (50.000 anni fa!): siamo davanti all'inizio di un convincimento sulla prosecuzione della vita.
Sono stati trovati anche teschi protetti da lastre o con conchiglie incastonate al posto degli occhi, per dare al defunto nuovi occhi, eterni:




L'uso dell'ocra rossa è un elemento significativo: simbolo del sangue, suggerisce vitalità e calore.  Verso la fine del Paleolitico, i riti funerari si moltiplicano: crani posti su pietre piatte, ossa deposte in circolo insieme ad ossa e corna di animali.

I pollini e i fiori che venivano sparsi sul defunto comprendevano:
a. Malvone
b. Achillea
c. Erba di San Giacomo
d. Muscari
e. Fiordaliso


Al primo Homo Sapiens farà seguito il Sapiens Sapiens, nostro lontano antenato, che manifesta un nuovo stadio di umanizzazione caratterizzato da un'armonia tra utensile, mano, cervello, coscienza intellettuale  e immaginario. Nasce l'arte parietale.
Le grotte vengono tutte "graffitate" e dipinte; studiosi come Clottes e D. Lewis-Williams pensano che la creazione delle pitture parietali sia opera di sciamani; Breuil parla di riti magico-religiosi per propiziare la caccia. (*) Diffuse anche le prime sculture in avorio e anelli, pendenti e diademi.


(*) Nota di Lunaria: pratica che si ritrova anche nella bibbia: il dio ebraico ordina ad Ezechiele di "raffigurare l'assedio" su delle tavolette: raffigurare la cosa sul feticcio è farla avverare nella realtà.
"Ezechiele riceve l’ordine di rappresentare il futuro assedio di Gerusalemme giacendo 390 giorni sul fianco sinistro e 40 giorni sul fianco destro davanti a un mattone scolpito, sostentandosi con minime razioni di cibo e di acqua"


Verso il 10000 ha inizio la cultura khiamiana (da Khiam, in Palestina) identificabile dalle punte di freccia, dalle case costruite in mattoni e legate con malta e dalle rappresentazioni femminili a cui vanno aggiunti i crani inglobati nei sedili di argilla dentro le case.  A partire dal 9000 a.c si intensificherà quella che viene chiamata "Rivoluzione dei simboli": la donna e il toro diventano simboli del divino. Verso l'8300 la nascita dell'agricoltura dà luogo all'addomesticamento degli animali e a nuove tecnologie. è l'inizio della religione Neolitica.

Per le sepolture di Celti e Liguri, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/09/le-sepolture-presso-celti-e-liguri.html

APPROFONDIMENTO: MARIJA GIMBUTAS


"Il Linguaggio della Dea: Mito e Culto della Dea Madre nell'Europa Neolitica"

Dispensatrice della vita, espressione della terra che si rinnova, simbolo dell'energia dell'universo, ma anche Signora della morte, che è l'altra faccia della vita: queste sono le connotazioni della Grande Dea. Il suo culto è stato dominante nell'Europa del Neolitico Antico, tra il 7000 e il 3500 a.C. Un'Europa abitata da popoli felici che risiedevano in villaggi, praticavano l'agricoltura, non conoscevano la guerra, vivevano in armonia con la natura grazie al fatto che le donne avevano un ruolo primario nell'organizzazione sociale e nella vita religiosa. Una vita serena che cessò verso il 4000 a.C quando cominciarono ad arrivare da Est orde di cavalieri armati che distrussero quella società matriarcale e la pace dei popoli della Grande Dea.
Per verificare questa tesi, Marija Gimbutas, eminente studiosa e pioniera dell'archeomitologia (una disciplina che fonde archeologia, mitologia comparata e folklore) fa ricorso a un vastissimo repertorio di immagini, figurazioni dipinte o incise su pareti di roccia, nonché statuette di pietra, avorio e terracotta. Si tratta di 2000 manufatti dell'Antica Europa, ricchi di significati simbolici, nel rivelare la genesi autentica del patrimonio culturale dell'Occidente.


Prefazione a cura di Joseph Campbell, tratto da "Il Linguaggio della Dea - Mito e culto della Dea Madre nell'Europa Neolitica"

Marija Gimbutas è stata in grado non solo di elaborare un glossario fondamentale di motivi figurativi che fungono da chiave interpretativa per la mitologia di un'epoca altrimenti non documentata, ma anche di stabilire, sulla base dei segni interpretati, le linee caratterizzanti e i temi principali di una religione che venerava sia l'universo quale corpo vivente della Dea Madre Creatrice, sia tutte le cose viventi dentro di esso, in quanto partecipi della Sua Divinità: religione, lo si percepisce immediatamente, in contrasto con le parole che il creatore padre rivolge ad Adamo: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e polvere ritornerai!".
In questa mitologia arcaica, invece, la terra da cui tutte le creature hanno avuto origine non è polvere, ma vita, come la Dea Creatrice.
Nella biblioteca della cultura europea, il primo riconoscimento di un tale ordine matristico nel pensiero e nella vita, precedente alle forme storiche sia dell'Europa sia del Vicino Oriente, apparve per la prima volta nel 1861, in "Das Mutterrecht" di Johann Jakob Bachofen, il quale dimostrava che nelle norme del diritto romano si potevano riconoscere tracce residue di una successione matrilineare nell'eredità. Dieci anni prima in America, Lewis H.Morgan aveva pubblicato "The League of the Ho-dé-no-sau-nee, or Iroquois", una documentazione in due volumi su una società che riconosceva ancora il principio del "Diritto della Madre"; e successivamente, in un'analisi sistematica dei sistemi di parentela in America e in Asia, aveva dimostrato la diffusione su scala pressoché mondiale di un tale ordinamento prepatriarcale nella vita delle comunità.
Inoltre, in contrasto con le mitologie delle tribù indoeuropee di allevatori che, a ondate successive, invasero i territori dell'antica Europa dal VI millennio a.C, e i cui pantheon dominati dal maschio riflettevano gli ideali sociali, le leggi, e le aspirazioni politiche delle unità etniche a cui appartenevano, l'iconografia della Grande Dea era nata con l'osservazione e la venerazione delle leggi della natura. Il lessico di segni pittorici della Gimbutas mostra il primordiale tentativo di una parte dell'umanità di comprendere e vivere in armonia con la bellezza e la meraviglia del creato, e adombra nei termini simbolici archetipici una visione della vita umana contraria in ogni aspetto ai sistemi manipolati che hanno prevalso, in epoche storiche, nell'Occidente.


Diamo voce alla stessa Marija Gimbutas!


Questo libro intende fornire un "copione" per immagini dell'antica religione europea della Grande Dea, fatto di segni, simboli e immagini di divinità. Sono queste, infatti, le nostre fonti primarie per la ricostruzione di tale scenario preistorico, e sono fondamentali per ogni reale comprensione della religione e della mitologia occidentali.
I simboli di rado sono astratti in senso stretto; i loro legami con la natura sono profondi, e devono essere svelati attraverso lo studio del contesto e delle loro associazioni.
Io non credo, contrariamente a molti archeologi di questa generazione, che non conosceremo mai il significato dell'arte e della religione preistoriche. Certo, la scarsità di fonti rende in molti casi difficile la ricostruzione, ma la religione del primo periodo agricolo dell'Europa e dell'Anatolia è abbondantemente documentata. Tombe, templi, affreschi, rilievi, sculture, statuette, raffigurazioni pittoriche e altre fonti devono essere analizzate dal punto di vista ideologico.
Il mondo della Dea sottointende l'intero regno in cui essa si è manifestata. Quali furono le sue funzioni principali? Quali i rapporti tra essa e i suoi animali, le piante e il resto della natura? In diversi libri di storici della religione, di mitologi e psicologi, la Dea è stata descritta come la Grande Madre che dà la vita dal Suo Grembo a tutte le cose. è solitamente rappresentata con le fattezze delle "Veneri" del Paleolitico e delle statuette europee e anatoliche del Neolitico o dell'Età del Bronzo cretese.
I siti più ricchi dove si sono mantenuti integri templi e affreschi, sono di massima importanza per ricreare queste divinità, le loro funzioni e i rituali associati. I rinvenimenti di çatal Hüyük, nell'Anatolia centrale, risalenti dal 6400 al 5600 a.C circa, vennero compiuti da James Mellaart negli anni '60. Gli stessi scavi da me eseguiti ad Achilleion, in Tessaglia, nel 1973-74, hanno
portato alla luce alcuni dei più antichi templi europei dello stesso periodo. La scoperta delle aree sacre di sepoltura del Mesolitico e del Neolitico Antico a Lepenski Vir e Vlasac sul Danubio, nella Iugoslavia settentrionale, fornì preziose informazioni sui rituali funebri e sulle sculture delle divinità associate alla Rigenerazione. Una notevole sequenza di rinvenimenti in Bulgaria, Romania, Moldavia e nell'Ucraina Occidentale, dopo la seconda guerra mondiale, ha rivelato tesori di sculture e ceramiche dipinte, così come templi. Molti di questi risalgono dal VI al V millennio a.C. Nell'area mediterranea, oltre ai grandi templi e alle tombe di Malta, gli scavi in Sardegna hanno portato alla luce tombe sotterranee e rupestri. La maggior parte delle illustrazioni qui riprodotte è databile dal 6500 al 3500 a.C nell'Europa sud-orientale e dal 4500 al 2500 a.C nell'Europa occidentale.
Le Dee ereditate dall'Europa antica come Atena, Era, Artemide, Ecate, Minerva, Diana, le irlandesi Morrigan e Brigit, le baltiche Laima e Ragana, la russa Baba Yaga, la basca Mari non sono "Veneri" dispensatrici di fertilità e prosperità: sono molto di più. 
Gli aspetti precipui della Dea del Neolitico - la Generatrice di Vita, rappresentata nella naturalistica posizione del parto (a tal rimando, segnalo due collegamenti: il primo, con la Mitologia dell'America Centrale, che ha prodotto molte statuette di Dee "accovacciate" nell'atto di partorire; il secondo, a noi più vicino dal forte sapore "primitivo" - di Monica Sjöö, Pensatrice NeoPagana, "God Giving Birth",



nel quale si vede una Dea Possente, dal volto bicromo, stilizzato, "Virile", con i seni eretti, partorire dalla vulva); la dispensatrice di fertilità, che influenza la crescita e la moltiplicazione, rappresentata incinta e nuda; la dispensatrice e protettrice di vita, o nutrimento, rappresentata come donna-uccello con seni e glutei prominenti; la reggitrice di morte, rappresentata come un nudo rigido ("osso") -  possono essere tutti rintracciati nel periodo in cui comparvero le prime sculture di osso, avorio o pietra, attorno al 25.000 a.C, e i loro simboli - vulve, triangoli, seni, chevron, zig zag, meandri, coppelle - risalenti a un'epoca ancora più arcaica.
Il tema centrale del simbolismo della Dea si dispiega nel mistero della nascita e della morte, e nel rinnovamento della vita, non solo umana, ma di tutta la terra, e dell'intero cosmo. Simboli e immagini si raggruppano attorno alla Dea partenogenetica (autogenerantesi) e alle sue fondamentali funzioni di Dispensatrice di Vita, Reggitrice di Morte e Rigeneratrice, e intorno alla Madre Terra, la giovane e vecchia Dea della Fertilità, che nasce e muore con la vita vegetale. Era l'unica fonte di vita che traeva l'energia dalle sorgenti, dal sole, dalla luna e dall'umida terra. In questo sistema di simboli si configura il tempo mitico, ciclico, non lineare. Nell'arte si manifesta con segni dinamici: spirali a vortici e ritorte, serpenti attorcigliati e sinuosi, cerchi, crescenti lunari, corna, semi germinati e germogli. Il serpente era un simbolo di energia vitale e rigenerazione, un'entità benevola, non malefica. Persino i colori avevano un significato diverso: il nero non significa la morte o il mondo degli inferi; era il colore della fertilità, delle grotte umide e del suolo fertile, del Grembo della Dea dove aveva origine la vita. Il bianco, invece era il colore della morte, delle ossa.
L'arte incentrata sulla Dea, con la sua assenza d'immagini guerresche e di dominio maschile, riflette un ordine sociale in cui le donne, come capi-clan o regine-sacerdotesse, ricoprivano un ruolo dominante. L'antica Europa e l'Anatolia, come la Creta minoica, erano una "gilania" (Riana Eisler, nel suo libro "Il calice e la spada", 1987, propone il termine "gilania", da "gy", donna, "an" da "andros", "uomo" e la "l" in mezzo come legame tra le due parti dell'umanità, per indicare una struttura sociale caratterizzata dall'uguaglianza tra i due sessi).
Mentre le culture europee trascorrevano un'esistenza pacifica, una cultura neolitica assai diversa, che addomesticava il cavallo, produceva armi, emergeva dal bacino del Volga (Russia meridionale). Questa nuova forza cambiò il corso della preistoria europea. Io la chiamo la cultura Kurgan (in russo "kurgan" significa "tumulo"), poiché i morti venivano sepolti in tumuli circolari che coprivano gli edifici funebri dei personaggi importanti. Le caratteristiche fondamentali della cultura Kurgan erano il patriarcato, l'allevamento di animali, posizione del cavallo nel culto; fabbricazione di armi come arco e freccia, lancia e daga. Così i ripetuti tumulti e incursioni dei Kurgan, misero fine all'antica cultura gilanica, trasformandola in androcratica.
Viviamo ancora sotto il dominio di quella aggressiva invasione maschile e abbiamo appena cominciato a scoprire la nostra lunga alienazione dall'autentica eredità europea: una cultura gilanica, non violenta, incentrata sulla terra.

Simboli:
La prima categoria di simboli comprende la sfera acquatica, poiché la credenza prevalente era che tutta la vita venisse dall'acqua (credenza poi mantenuta anche nei culti monoteisti: nell'Islam si trova: "Dall'acqua Noi abbiamo fatto ogni cosa vivente/il suo trono era sull'acqua"; nell'Ebraismo e poi nel Cristianesimo: "Ora la Terra era informe e vacua e c'erano tenebre sulla superficie delle ondeggianti acque; e la forza attiva di Dio si muoveva sulla superficie delle Acque").
I simboli delle distese d'acqua dei corsi d'acqua, della pioggia - zig zag, bande ondulate e serpentine, rete, scacchiera - e dell'uccello acquatico fanno parte di questa categoria, e sono associati alla Dea nelle sembianze dell'ibrido donna/uccello. Nelle versioni stilizzate, questa immagine può avere soltanto seni e natiche esagerate. Questo nutrito gruppo di simboli è senza dubbio di origine paleolitica.
La più antica rappresentazione delle parti del corpo femminile - seni, glutei, ventre, vulva - risale al tempo in cui i popoli, non avendo ancora capito il processo biologico della riproduzione (l'accoppiamento come causa della gravidanza) dovettero darsi una divinità che fosse l'estensione macrocosmica del corpo femminile. Si tratta di una Creatrice Cosmica, Dispensatrice della Vita e della Nascita. A queste parti essenziali del corpo femminile fu attribuito il potere miracoloso della procreazione. La misteriosa umidità del sesso e i labirintici organi uterini della Dea diverebbero la magica fonte della Vita.
La Dea Dispensatrice di Vita, raffigurata nella posizione di partoriente o dalla vulva come pars pro toto, compare nel Paleolitico Superiore. Tali simboli continuarono ad essere presenti nel Neolitico e perfino più tardi. La Dea è collegata alle madri primeve nelle forme di animali quali l'orso, la cerva, il daino, e, nel Paleolitico Superiore, come bisonte femmina o giumenta.
Con l'avvento dell'economia neolitica si produssero notevoli innovazioni. L'ariete (il primo animale addomesticato) divenne sacro alla Dea Uccello, seguito dal simbolo del vello e dall'associazione della Dea con la tessitura e la tosatura. Risale probabilmente a questo primo periodo neolitico l'origine del concetto della Dea Dispensatrice di Vita e di Nascita come Fato - poichè decide della durata della vita, della felicità e della salute e come filatrice, o tessitrice della stessa esistenza umana (mi sembra che si possa fare un collegamento con le parche greche, che tessevano e tagliavano i fili dell'esistenza umana... )
Allo stesso tempo, la scoperta della ceramica aprì altre strade per la creazione di nuove forme scultoree, nonché di nuovi modi di raffigurare i simboli mediante la pittura su ceramica. Apparvero askoi (vasi a forma di uccello) e vasi antropomorfi o a forma di donna-uccello. Corsi d'acqua, chevron, triangoli, bande decorate a rete, spirali, serpenti e spire serpentine ne divennero i motivi decorativi predominanti. Vasi di ceramica con le sembianze della Dea Dispensatrice di Vita, e ornati di M, zig zag, (correnti d'acqua o liquido amniotico) reti, onde a spirale, e altri segni acquatici, fecero la loro comparsa nel VI millennio a.C
Anche i simboli della fertilità e della gestazione affondano le radici nel Paleolitico Superiore. La Dea Gravida già vi compare.
La linea doppia (due trattini) durante il Paleolitico Superiore simboleggia la gravidanza, o la forza di due. Nella nuova economia agricola, la Dea Gravida del Paleolitico fu trasformata in una divinità della Fertilità della Terra. La scrofa, animale di rapida crescita e ingrasso, divenne sacra a questa Dea. In origine forse divinità lunare, tonda come la Luna piena, la Dea Gravida dell'epoca agricola divenne una divinità ctonia (terrestre), simbolo del ciclo vitale della vegetazione (nascita, fioritura, morte).
La rappresentazione del mutamento delle stagioni si intensificò, manifestandosi nei rituali estivi/invernali o primaverili/autunnali e nella comparsa dell'immagine di una madre/sorella e di un dio maschile, spirito della vegetazione che nasce e muore.

Nel corso della preistoria le immagini della morte non offuscarono quelle della vita: esse sono combinate con i simboli della rigenerazione. Anche la Messaggera e la Reggitrice di Morte sono coinvolte nella rigenerazione. Innumerevoli esempi attestano l'esistenza di questo motivo: teste di avvoltoio sono poste tra i seni; fauci e zanne di feroci cinghiali sono coperte di seni (come nei santuari di çatal Hüyük, nella Turchia centrale, del VII millennio); le immagini della Dea Civetta nell'Europa occidentale sulle pareti delle tombe megalitiche e sulle stele hanno i seni, oppure il loro corpo interno è un labirinto creatore di vita, con una vulva nel centro. Come simbolo di rigenerazione, l'utero in quanto tale, o il bucranio (cranio di bue) dalla forma simile, o analoghe forme animali - pesce, rana, rospo, porcospino, tartaruga
- hanno svolto una funzione per quasi tutta la preistoria post-paleolitica come pure, dopo, nel periodo storico.
Durante il Neolitico, tombe e templi assunsero la forma dell'uovo, della vagina e dell'utero (da notare come invece, in epoca cristiana, tutta l'arte religiosa assume aspetto fallico: i campanili, per esempio. Nota personale) della Dea, o del suo corpo intero. Le tombe a corridoio megalitiche dell'Europa occidentale molto probabilmente simboleggiavano la vagina (corridoio) e il ventre gravido (tholos, camera rotonda) della Dea. La forma di una tomba è analoga alla collina naturale con un omphalos (una pietra che simboleggia l'ombelico) sulla sommità, simbolo universale del ventre gravido della Dea Madre con il cordone ombelicale, come si riscontra nel folclore europeo.
L'interconessione delle due funzioni, dara la vita e dare la morte, in una divinità è particolarmente tipica delle Dee dominanti. La Dispensatrice di Vita e di Nascita può trasformarsi in una spaventosa immagine di morte. Essa è un nudo rigido o un semplice osso con uno sproporzionato triangolo pubico in cui comincia la trasformazione della morte in vita.
L'aspetto occasionalmente ornitomorfo della sua maschera e le zampe di avvoltoio tradiscono il legame con il rapace, e i lineamenti tipici degli ofidi - bocca larga, zanne, piccoli occhi tondi - la associano al serpente velenoso. (anche Lilith è raffigurata con elementi come ali e zampe di rapace)
Le maschere della Dea della Morte (metà del V millennio a.C) con bocca larga, zanne, e talvolta, lingua pendula, potrebbero aver generato il gorgoeion, la testa del terribile mostro dell'antica Grecia. Le più antichi Gorgoni greche, comunque, non erano simboli terrificanti che trasformavano gli uomini in pietre. Sono raffigurate con ali di ape e antenne a serpente e decorate a nido d'ape: tutti chiari simboli di rigenerazione.
Una delle categorie più vaste può essere considerata quella dei simboli dell'energia e dello sviluppo. Spirali, corni, falci di luna, semicerchi (a U), ganci, asce, cani, capri e itifalli, con a fianco una sorgente, una colonna di vita acquatica, un serpente, un albero della vita, e la Dea antropomorfa, o il suo ventre gravido, sono simboli di energia. Serpenti antitetici o teste a spirali riempiono l'antica decorazione fittile europea, con i loro movimenti e torsioni. Vortici e croci e una varietà di segni quadrangolari sono simboli del dinamismo nella natura che assicura la nascita della vita e muove la ruota del tempo ciclico dalla morte alla vita, perchè la vita si perpetui. In questa serie di trasformazioni la più appariscente è il cambiamento da una forma di vita in innumerevoli altre: da un bucranio alle api, alle farfalle, alle piante, epifanie della Dea della Rigenerazione.
L'iconografia della Dea nei suoi vari aspetti contiene sempre diversi tipi di simboli: astratti e geroglifici come segni a V, X, M, a triangolo, a rombo...; "rappresentativi" come occhi, seni, zampe di uccello; e animali, cioè attributi dei vari aspetti della Dea (serpente, uccello, scrofa, toro, rana, ape...).
Queste tre categorie sono strettamente intrecciate e discendono da una percezione sacrale del mondo, quando la natura non era classificata come nelle nostre moderne università, quando gli esseri umani non erano isolati dal mondo circostante e quando era normale percepire il potere della Dea nell'uccello o nella pietra, nei Suoi Occhi o nei Seni o nei geroglifici.


I SIMBOLI DELLA DEA MADRE

Chevron e V come simboli della Dea Uccello.
Chevron, V, zig-zag, M, meandri, linee triple, reti e corsi
d'acqua sono antichi simboli europei che si ripetono con frequenza. Ma in tutta la letteratura delle ceramiche del Neolitico e delle epoche posteriori sono considerati come semplici "motivi geometrici", senza neppure sospettare il rapporto intercorrente tra disegno e simbolo. In questo capitolo tratteremo dei simboli associati all'aspetto primario di questa Dea, l'umidità del suo corpo che dà la vita: i seni, la vulva, gli occhi, la bocca e la vulva. In queste funzioni di creatrice e protettrice della vita, le sue forme animali sono l'ariete, il cervo, l'orso e il serpente. Quest'ultimo compare anche antropomorfizzato e sembra essere un alter-ego della Dea Uccello. Cominceremo dai geroglifici della Dea, la V e lo chevron, e i loro legami con uccelli e simboli acquatici.
Il segno grafico che rende nel modo più diretto il triangolo pubico è la V. è stupefacente quanto presto questo segno "stenografico" si sia cristallizzato per diventare, nel corso dei millenni, il segno specifico della Dea Uccello.
Oche, gru e cigni si incontrano dipinti o graffiti nelle grotte del Paleolitico Superiore, o intagliati su oggetti in osso ornati con chevron e linee parallele, o come statuette d'avorio. Alcune rappresentazioni di uccelli acquatici sono chiaramente antropomorfizzate. Nell'Europa orientale e nella Siberia, la V come segno singolo o ripetuto come chevron era associata all'uccello e alle sculture di uccelli antropomorfici fin dall'epoca del Paleolitico Superiore. Per esempio, le statuette di uccelli acquatici provenienti da Mal'ta, in Siberia, sono ornate con file di incisioni di V, e gli uccelli acquatici antropomorfi privi di volto in avorio di mammut originari di Mezin, presso Chernigov, nell'Ucraina, sono decorati con lineette o V. Sui corpi e sui colli sono incisi simboli come chevron, meandri, reti, linee doppie, linee triple e linee parallele multiple. Le statuette piccole hanno posteriore di uccello, e la loro divina funzione generatrice è evidenziata da un triangolo pubico. Alcune sono decorate con una serie di riquadri che presentano varianti di chevron: chevron in colonne, opposti, invertiti. Queste statuette, databili approssimativamente al 18.000-15.000 a.C, sono di inestimabile valore perchè consentono di documentare quanto antica sia la decorazione a V in rapporto alla Dea ornitomorfa. Nel corso delle ultime fasi del Paleolitico e nel Mesolitico, le V, gli chevron e gli chevron multipli, invertiti ed opposti, compaiono nelle incisioni su osso e corno, come negli esempi della cultura Magdaleniana francese e di quella Romanello-Aziliana della Romania sud-occidentale. L'associazione di V o chevron, di V collegate insieme, di V contrapposte o di V unite a meandro, con immagini della Dea ornitomorfa e oggetti usati nel suo culto, rimane costante per millenni, come vedremo.
Durante il Neolitico, la V e lo chevron compaiono frequentemente sui vasi, recipienti votivi, lucerne, altari, placche e altri oggetti, da soli o inframmezzati da colonne e pannelli e associati a meandri, reti e linee parallele. Lo chevron e il triangolo sono i motivi prevalenti sulle prime ceramiche dipinte della cultura Sesklo tessalica, nel corso della seconda metà del VII secolo a.C.
Lo chevron - singolo, doppio o come elemento di un disegno - compare anche sulle prime ceramiche neolitiche delle culture Starcevo e Karanovo, nel Balcani centrali e orientali, nel corso della prima metà del VI millennio a.C.
I vasi riccamente decorati del Tardo Neolitico, dell'Età del Rame e dell'Età del Bronzo hanno in comune la tradizione del motivo dello Chevron racchiuso in un riquadro, una banda, un cerchio o un'elisse.
La forma ad askos comparve nell'Europa sud-orientale, nella prima fase della ceramica neolitica (metà del VII millennio a.C) e continuò in tutto il Neolitico e nell'Età del Bronzo. Fu una delle più caratteristiche forme di vaso della prima Età del Bronzo nell'Egeo e nell'Anatolia occidentale. L'askos era ornato con chevron e linee parallele. Una variante tipica di Troia II-III era una brocca askoide con il beccuccio a becco d'uccello. Questa Dea, o l'idea del legame tra il femminile e gli uccelli, è rappresentata con ibridi uccello-donna meglio riconoscibili dai volti o dalle maschere rostrate. Generalmente hanno, ben evidenti, una acconciatura o corona e una collana a V.
L'associazione chevron/uccello/Dea Uccello è ben esemplificata da statuette e vasi con caratteristiche ornitomorfe. La si osservi su un vaso Vinca Iniziale proveniente da Anza, in Macedonia: ci sono il becco e gli occhi della Dea; le guance sono dipinte a bande diagonali, che sembrano il suo segno caratteristico; le braccia dipinte in rosso con uno chevron multiplo convergono al centro del "corpo" come ornamento simbolico. Un altro esempio è una statuetta femminile ornitomorfa della cultura Lengyel, con viso a becco, monconi di braccia (per ali) e uno chevron triplo come collana.
Ancora, la statuetta Tardo Vinca, seduta e con maschera di anatra da Svetozarevo, Iugoslavia centrale, indossa un grembiule ornato con uno chevron triplo. Questo complesso di associazione è comune durante tutta l'Età del Bronzo nelle aree mediterranea ed egea. Dal campo di urne di Tarxien (metà del III millennio a.C), sull'isola di Malta, sono emerse statuette stilizzate di uccelli con gambe umane, corpi piatti, discoidali, ornati su entrambi i lati con uno chevron o un motivo a scacchiera, bande striate o a rete; linee doppie, triple o multiple uniscono gli chevron o sono incise sulle zampe e sulla coda. L'ampia acconciatura circolare della Signora rostrata del Minoico Antico cretese è ornata da uno chevron triplo dipinto. Una Dea-Alata e rostrata tardo-minoica o una sua adoratrice danzante, indossa un'ampia gonna con l'orlo a V sul davanti. I vasi dell'Età del Bronzo provenienti dall'Europa centro-orientale presentano ancora, a volte, l'immagine di una Dea con viso a becco e il suo chevron. è lo stile geometrico greco abbonda di uccelli associati a riquadri di chevron si trova anche sulle statuette ornitomorfe posate sui manici di altri vasi dello stesso periodo.


APPROFONDIMENTO: LE PRIME SEPOLTURE info tratte da


Le tracce più antiche di resti umani, ricoperti o circondati da vari oggetti sono stati trovati nelle fosse tombali in Iraq, Israele, Russia, Francia.
In Iraq, a Shanidar, è stato rinvenuto uno scheletro di un bambino che era stato sepolto su un letto di fiori, in posizione ripiegata.
A Qafzeh, in Israele, è stato ritrovato lo scheletro di un adulto ripiegato e sdraiato sul fianco destro con un bambino allungato ai suoi piedi.
In un'altra fossa un bambino aveva un corno di renna a contatto con la mano destra. E un altro bambino è stato ritrovato a Teshik-Tash, in Russia, circondato da corna di stambecco.
In Francia, l'uomo della Chapelle aux Saints riposava ripiegato in una fossa. A La Ferrassie erano stati inumati cinque bambini e due adulti.
Si tratta delle prime sepolture conosciute che risalgono tra gli 80mila e i 50mila anni fa.
è evidente che questi uomini avevano credenze e praticavano riti con i morti.

Con la comparsa dell'Homo sapiens sapiens le sepolture diventano più numerose: i morti venivano inumati con oggetti: conchiglie, orecchini in avorio, denti di cervo o volpe. Queste sepolture risalgono a più di 20 mila anni fa.
Altre testimonianze sono i segni, le incisioni e le pitture su blocchi di roccia e pareti di rifugi in Dordogna, statuette di animali ed esseri umani.

Tutto questo sembra riflettere l'esistenza di credenze nel soprannaturale.






Inoltre, sembra che i primitivi suddividessero gli animali in gruppi femminili o maschili. Per esempio, i bovidi appartenevano alla parte femminile, i cavalli a quella maschile. Questa ripartizione corrisponde a delle credenze riscontrate in etnologia, ma non ne sappiamo molto.
Infine, da non dimenticare, le moltissime statuette di "Veneri", dalle forme abbondanti.



































Altre immagini di Dee















Vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/01/dinosauri-e-arte-preistorica-le.html