Trama: Un uomo, "piccolo uomo tra miliardi di altri", prepara il suo inverno che sarà simile a quello di molti altri e intanto nel tepore della sua casa, ricorda.
Ricorda gli inverni lontani della sua vita, l'attesa e la preparazione per superarli.
Così il flusso commosso del suo pensare ci restituisce vicende lontane e vicine, atroci memorie di guerra e scene d'infanzia, riflessioni esistenziali e consigli pratici.
Nota di Lunaria:
Il libro di Mario Rigoni Stern, "Inverni lontani", è davvero brevissimo (41 pagine) e si legge praticamente in un pomeriggio. è un monologo che ha il pregio di non stancare, perché pur andando da un argomento all'altro lo fa senza prolissità e pesantezza (difetto sempre dietro l'angolo in questo tipo di tecnica letteraria espressiva, come ben sanno i lettori di Svevo). Le parti che mi sono piaciute di più sono le descrizioni del paesaggio e degli animali, molto "contadinesche", e dal fascino rustico e campagnolo, mentre le parti dedicate al resoconto della guerra danno un po' l'effetto "didascalico" e a tratti si limitano ad essere una sfilza di date e luoghi. Molto suggestiva la copertina, con un dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, "Cacciatori nella neve", 1565, che raffigura da una prospettiva "aerea" un paesaggio innevato: gli uomini, rappresentati come "formichine" nere sul ghiaccio, mentre in primissimo piano un uccello nero (gazza?) vola al di sopra della casette e delle cime innevate. (*)
Qualche stralcio dell'opera:
Il cuculo non canta più svolando tra gli alberi: se n'è andato lontano oltre il mare. A farmi compagnia dai boschi più alti sono scese le cince dal ciuffo, che sulle betulle qui davanti alla finestra becchettano gli insetti, ogni tanto lanciando un richiamo che rallegra il mattino. Le rondini sono volate via con almeno 20 giorni d'anticipo rispetto al solito. Anche le latifoglie, specialmente betulle e faggi, stanno cambiando colore prima del tempo.
Ora, giorno dopo giorno si sta avvicinando l'inverno e avrò tante memorie. Sarà come ritornare bambini, come ascoltare tante voci. Rivedere lumi nella steppa, amici, cari volti femminili. Oggi nell'acqua piovana raccolta sotto le gronde che scendono dal tetto vedo anche tante nevi lontane che il sole ha sciolto e riportato qui.
Ho provato il gelo impietoso nelle stagioni della guerra; e la fame, la miseria, l'indifferenza. Ci furono degli anni nei quali le primavere non c'erano. Non si vedevano, non si sentivano dentro di noi.
Fu forse questa mia confidenza con la neve e con il freddo che mi permise di superare inverni ben più duri? E questa mia familiarità con il bosco e gli animali che mi aiutò a sopravvivere in certi momenti? Sì, questo. Ma anche tanta fortuna.
Nei mesi d'inverno, guardando dalla finestra la neve che turbina e che nasconde il paesaggio, ripenso a queste cose che ho vissuto, a tanti amici scomparsi, a quelle bambine con le quali andavo veloce sulle slitte scendendo dalle colline attorno alle nostre case che alzavano verso il cielo il fumo dei camini. Forse il loro ricordo mi ha salvato?
Inverni lontani della mia vita, uno diverso dall'altro per 80 ragioni, ma tutti simili in due cose: l'attesa e la preparazione per ben superarli.
La neve verrà leggera come piccole piume d'oca soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi infine sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio come velo di zucchero su una torta. Le lepri, i caprioli, i cervi staranno immobili a guardare il nuovo paesaggio. Le volpi dentro la tana spingeranno fuori il naso per fiutare il nuovo e antico odore che ritorna. Ma quando sarà tutto bianco, si ricorderanno gli scoiattoli dove hanno nascosto le provviste? (...) il bosco sarà immerso in un tempo irreale e io andrò a camminarci dentro come in sogno. Molte cose mi appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa.
Trama: questo libro è il percorso di una vita. Nato da un profondo rispetto della natura, del suo equilibrio e della sua grazia, rievoca grandi avvenimenti della Storia e piccole vicende personali, in un flusso scandito dall'alternarsi delle stagioni. Accanto alla campagna di Russia e alla drammatica esperienza del Lager riemergono così episodi apparentemente marginali, che tuttavia danno il senso di una vita; antichi riti e vecchie tradizioni, uomini e affetti di altre epoche, alberi e animali destinati ad annunciare il nuovo clima e la nuova stagione, luoghi e passaggi forse dimenticati ma sempre carichi di storia e di ricordi: su tutto lo sguardo, a volte divertito a volte malinconico dell'Autore,
testimone del suo tempo e di un passato che continua a riaffiorare. I ritmi della natura e le storie degli uomini negli occhi di un grande narratore che ci fa camminare accanto a lui, con passo lento e sicuro, stagione dopo stagione.
Nota di Lunaria: il libro di Mario Rigoni Stern, come "Inverni lontani" (vedi la mia recensione precedente) è molto breve (139 pagine). Esattamente come "Inverni lontani" è un monologo e, anzi, potrebbe semplicemente sembrare un "Inverni lontani" parte II o un rifacimento dell'opera. Anche qui, si va di argomento in argomento, il tutto legato dal filo mentale invisibile che caratterizza il "tessuto dei ricordi" dell'Autore. Di tanto in tanto, però, anche in "Stagioni", come già evidenziavo per "Inverni lontani", c'è il rischio di cadere in una prolissità ridondante. Anche in questo libro ho apprezzato le descrizioni rurali del ciclo stagionale che caratterizzava la sapienza contadina di una volta, che ben conosceva i ritmi che regolavano la vita dei fiori, delle piante e persino di animali così piccoli come le api. Poi, con lo stile personale che caratterizza Rigoni Stern, in alcune pagine ritroviamo i ricordi autobiografici sulla guerra. ("La notte del 20 gennaio 1943 una compagnia del Vestone, dopo aver ripiegato dal Don, era stata comandata di retroguardia nella steppa... apparvero nel grigiore dei reparti indistinti che marciavano con sicurezza nella neve - Non sparate. Sono ungheresi, disse il Capitano")
Per cui, se già "Inverni lontani" vi era piaciuto per sintassi e tematiche, apprezzerete anche questo "Stagioni"; se invece di Rigoni Stern non avete mai letto nulla, suggerisco di partire proprio da "Inverni lontani" e, se come stile vi è piaciuto, di leggere anche "Stagioni" che ne rappresenta un "sequel" ideale.
Qualche stralcio, per dare un'idea dell'opera:
INVERNO
A segnalare l'arrivo dell'inverno, da sempre, è per primo lo scricciolo che si avvicina alle case dagli uomini. è il più piccolo degli uccelli europei, un batuffolo raccolto di piume brune con fini striature più scure e una piccola e breve coda sempre portata all'insù. Il suo richiamo è come un leggero tocco su un campanellino d'argento: è con questo che chiama la neve. Il suo nome lo denota così antico che certamente la sua presenza faceva compagnia agli uomini nell'età della pietra: Troglodytes troglodytes; da noi in cimbro lo chiamiamo "rasetle" che vuol dire nervosetto o anche furiosetto; per i tedeschi è Zaunkönig: re delle siepi.
Arriva dal bosco a fine novembre o dicembre, si fa vedere e sentire furtivo e domestico tra le cataste di legna dove s'introduce alla ricerca di ragni o mosche. Così lo ricordo sin dalla mia lontana infanzia e subito, dopo di lui, giungerà puntuale la neve dai monti a nord: leggera e secca, uno spolverio sui boschi e case; ma se da est, abbondante da bosco a bosco a coprire le erbe secche e il muschio, i cespugli, vestendo di bianco gli alberi: tutto diventerà nuovo, irreale e misterioso.
è profondo il silenzio della neve; quando cade, anche la notte diventa più silenziosa e dolcissimo il sonno. è diversa pure la luce. Stanno immobili dentro il bosco cervi e caprioli, volpi e lepri. Quando il sole ritornerà saranno le cesene a salutarlo: erano partite dalla Scandinavia e da villaggio a villaggio sono giunte sino a noi perché il giorno ha più luce e ci sono le bacche dei sorbi dell'uccellatore che ancora rimangono brillanti sugli alberi accosto alle case.
Il fumo della legna secca che brucia nelle cucine ristagna leggero sopra i tetti e un volo di cornacchie attraversa il cielo inquadrato dalla finestra; anche nel profondo del bosco caprioli e cervi alzando la testa guardano il nuovo paesaggio. Gli scoiattoli escono dal nido e salgono sui pecci facendo cadere la neve: vanno a ricercare gli strobili che nascondono i piccoli semi.
Anche se l'inverno sembra tutto mortificare, nella nuova luce del bosco si riprende a vivere. Camminando immersi in quel bianco di luce propria, tra gli alti tronchi muschiati d'argento, pure il tempo diventa irreale e vivi in un mondo metafisico come dentro un sogno: non ha più peso il tuo corpo, non è faticoso il passo e cammini vagando da pensiero a pensiero. In un infinito tra gli alberi innevati anche le cose della vita appaiono più chiare.
PRIMAVERA
A fine marzo, nelle ore più calde del mattino, la maestra Elisa invitava Matteo ad aprire le finestre e la primavera arrivava gonfiando le tende come vele di nave. Dentro l'aula giungevano l'odore della terra e del letame sui prati, il canto delle allodole, i passi di un cavallo, il rumore del carro.
Ma quando finisce l'inverno? è una domanda che nei giorni di fine marzo mi sento fare dai giovani o anche dai vecchi che conservano poca memoria.
Una rondine non fa primavera ma due upupe innamorate, due leprotti in un cespuglio, una cutrettola che corre sulla strada, due scoiattoli che si arrampicano tra i rami di un abete, sì. Se poi avvistiamo un rumoroso calabrone, una farfalla che si chiama Arcia, un lombrico se sentiamo il canto di un cardellino, è primavera anche se il giorno dopo nevica.
Sensi e fantasia ti aiutano a scoprire la primavera del bosco, che è misteriosa, segreta, viva.
Erano le allodole le prime creature a indicare il cambiamento di stagione, ossia la fine dell'inverno. Il ripasso delle cesene, la partenza dei beccofrusoni dicevano sì che la primavera poteva essere vicina ma la neve copriva ancora in gran parte il terreno.
Le rondini arrivano sempre dopo di loro e prima delle rondini giungono da lontano le ballerine bianche, i fringuelli, i merli del bosco. A risvegliare il tasso è il canto del fringuello? Il tasso esce magro dalla sua tana puzzolente - a noi puzzolente! - per scrutare i dintorni e annusare l'aria per sentire cosa c'è di cambiato. Certo, molto è cambiato e il primo odore della primavera si sente per pochi giorni all'anno; quello dei licheni, muschi, germogli, fiori verrà dopo. Intanto lui annusa e guarda e resta in attesa della sera per uscire alla ricerca di qualche nido di vespe sfuggito al suo saccheggio autunnale.
Dove la neve, sciogliendosi, ha imbibito il bosco, ecco il più evidente segnale del risveglio vegetale: il fiore bianco e grasso del farfaraccio bianco o Petasites albus. Si racconta che per gli orsi al risveglio primaverile è il primo cibo; forse questo fiore polposo ha per loro delle qualità speciali. Qualche volta viene pure a me la tentazione di mangiarlo.
Se la prima neve che senti scendere in una notte di novembre è un invito a raccogliersi nei ricordi o nella lettura, la prima pioggia d'aprile che ascolti battere sul tetto ti dà ristoro e distensione, ritrovi un amabile sonno e poi al mattino il desiderio di andare, di uscire fuori a camminare in libertà e senza una meta perché la primavera non ha confini. Magari vorresti rincorrerla verso il Nord con quella coppia di cicogne che avevano sostato qualche giorno sugli stagni dei pascoli e sono volate via salutando noi che restiamo.
è subito dopo questa pioggia che i prati rinverdiscono e al mattino li vedi nuovi e lavati dall'inverno, ed è quest'erba nuova che i caprioli aspettano da dodici mesi. Non li disturba la pioggerellina, anzi si può dire che la amano: sono i temporali, le grandinate, gli acquazzoni che li spingono al riparo dentro il bosco.
ESTATE
Quando si era ragazzi pareva che con lo sciogliersi della neve fosse già arrivata l'estate e alla sera, dopo aver tanto giocato lungo il torrente con l'acqua del disgelo, ci si coricava stanchi e accaldati. Godendo il fresco delle lenzuola si piombava in un sonno ristoratore che durava dieci ore. Che bel dormire! Senza affanni, senza dolori, senza sogni. Se così è la morte, non è brutto morire.
AUTUNNO
Le prime piogge di fine settembre lavano i residui dell'estate e ogni foglia d'erba, ogni ramoscello ha la sua perla.
I tuoi passi si confondono con il rumore delle gocce che cadono sugli alberi e poi nel sottobosco con rumore più forte.
Tante cose nel corso delle stagioni la natura può insegnare a chi osserva; ma è nell'autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza: lo sviluppo delle crescite annuali degli alberi, la maturazione dei frutti e delle drupe nel sottobosco e, magari, le brutte tracce del passaggio degli uomini incivili.
Al mattino gli stagni degli abbeveratoi sono velati dal ghiaccio e nelle zone in ombra la brina giorno dopo giorno aumenta la sua consistenza. Uno sparo lontano ti farà ricordare che il tempo della caccia sta per finire.
Così una dolce malinconia ti prende, la malinconia dell'autunno e sotto un larice, all'asciutto, cerchi anche tu un luogo dove accucciarti per meditare sulle stagioni della tua vita e sull'esistenza che corre via con i ricordi che diventano preghiera di ringraziamento per la vita che hai avuto e per i doni che la natura ti elargisce.
(*) APPROFONDIMENTO SU BRUEGEL
Info tratte da
"Pittore dei contadini", lo definisce all'inizio del Seicento il suo primo biografo, Carel van Mander, intendendo insieme le presunte origini dell'artista e i temi da lui prediletti. E la fama di pittore contadino, oltre che di abilissimo imitatore di Bosch, prosegue per circa quattro secoli. Alla fine dell'Ottocento, nel recupero da parte della critica romantica di molti artisti trascurati dalla tradizione accademica (lo stesso Bruegel era relegato ad un "genere minore") con la "riscoperta" si fa decisamente strada.
Compare un primo catalogo delle opere di Bruegel seguito da studi. Da allora le definizioni si sono susseguite a ritmo incalzante: contadino e borghese, umanista, filosofo, pittore di genere, paesaggista, realista, e così la lettura delle singole opere, in chiave storica, letteraria, sociologica, esoterica.
Di Pieter Bruegel (il cognome in origine era "Brueghel" ma fu lo stesso pittore a mutarlo) non si conoscono né luogo né data di nascita. Verosimilmente però si può collocare la sua nascita fra il 1525 e 1530.
L'apprendistato si svolse presso van Aelst, pittore erudito, latinista. Lì Bruegel acquisì una base culturale raffinata e impregnata di umanesimo.
Nella bottega di Coecke, Bruegel potrebbe aver appreso anche la tecnica della tempera su tela grazie agli insegnamenti della moglie del suo maestro, Mayeken Verhulst Bessemers, pittrice e miniaturista di Malines.
Nel 1552 parte per l'Italia: il viaggio in Italia era una tappa obbligata nella formazione dei pittori fiamminghi dell'epoca (anche per l'ammirazione per i pittori rinascimentali italiani)
In questo periodo l'interesse di Bruegel è incentrato sul paesaggio: ne sono testimonianza "Vocazione degli apostoli" e una serie di disegni con vedute delle Alpi. Sono panorami grandiosi, cosmogonici, secondo la tradizione fiamminga ma filtrati attraverso il piglio vigoroso e personale di Bruegel.
Con l'aggravarsi della situazione politica (Filippo II di Spagna conduce una repressione contro i movimenti religiosi riformistici), Bruegel si dedica ad incisioni a tema satirico\moraleggiante ("Tentazioni di sant'Antonio", la serie dei "Sette peccati capitali")
Entra come protagonista nei dipinti di Bruegel la figura umana: si tratta di personaggi colti negli atteggiamenti più banali, grotteschi, sgradevoli. Ma l'interesse dell'artista non è rivolto ad individui particolari, ma agli uomini in generale, alle loro sofferenze ed errori.
Il paesaggio riappare in opere successive: "Paesaggio fluviale con la parabola del seminatore" e "Paesaggio con la caduta di Icaro".
Altra grande passione del pittore furono "i ritratti" di navi e vascelli. In "Combattimento fra Carnevale e Quaresima" e "Giochi di fanciulli" ad emergere è il Bruegel contadino, con la sua attenzione ai personaggi umili (1), alle fatiche di tutti i giorni (la donna che si china sul fuocherello per cuocere le focacce, la bancarella del pesce...)
(1) Nota di Lunaria: potremmo fare un parallelo con il Verga di "Vita dei campi" e "Novelle Rusticane"
http://intervistemetal.blogspot.com/2018/07/giovanni-verga-1-i-romanzi-e-vita-dei.html
La presenza di simbologie alchemiche nei dipinti di Bruegel non è da escludere: qualcuno ha rivisto la Pietra Filosofale nel suo "Giochi di fanciulli".
è possibile che le suggestioni alchimistiche gli siano state suggerite dalle opere di Bosch, che ammirava. Nel Cinquecento, l'Alchimia era ancora molto studiata (2)
Nelle "Due scimmie" incatenate, Bruegel esprime l'angoscia di un popolo asservito o l'allegoria dell'uomo reso schiavo dal peccato.
I mostruosi esseri infernali di Bosch popolano "La caduta degli angeli ribelli". Nel "Trionfo della Morte" (la mia opera preferita. Nota di Lunaria) l'incalzare ineluttabile del destino prende forma nell'esercito di scheletri che avanzano nella landa disseminata di fuochi e di forche.
Fuochi e fumi d'incendio e orrende creature infernali nello stile di Bosch compaiono anche in "Dulle Griet" che raffigurerebbe l'incursione all'inferno di un personaggio della tradizione popolare nordica, Margherita o Greta, che incarna i peggiori difetti del carattere femminile.
Il tema e i motivi simbolici hanno dato luogo a svariate interpretazioni, in chiave alchemica, storico-umanistica, politica: la Dulle Griet potrebbe impersonare i riformisti ribelli e la figura sul tetto che sparge monete la chiesa cattolica che pone la propria autorità al di sopra di tutto e che alimenta la violenza finanziando i delatori di eretici.
"La tempesta" è una delle opere più intense di Bruegel: la violenza della tempesta è espressa con pochi elementi, come il bruno incredibile del cielo che si estende a invadere il mare, le linee scure e falcate che esprimono il sommovimento delle acque, la freccia di luce livida che illumina la nave in pericolo; solo il chiarore all'orizzonte in cui si staglia la sagoma di una chiesa lascia una possibile speranza di salvezza.
Il pittore muore il 9 settembre 1569. I due figli Pieter "il giovane" e Jan, avviati dalla madre e dalla nonna, la pittrice Mayeken Verhulst, proseguirono l'attività pittorica, imitando in parte lo stile del padre.
(2) Vedi questo approfondimento, tratto da
L'Alchimia si basa sul concetto che l'Universo è un'unità. L'Alchimista trova il principio dell'unità e dell'ordine in una sostanza chiamata "Materia Prima" che resta immutata attraverso tutte le diversità. La Materia Prima è la "possibilità di una materia". Può essere descritta solo in termini contradditori: non possiede qualità o proprietà ma nello stesso tempo possiede tutte le qualità e le proprietà in quanto racchiude, latente in sé, la possibilità di tutte le cose. La Materia Prima è ciò che resta quando si strappano via tutte le caratteristiche particolari ad una determinata sostanza.
Gli Alchimisti erano condotti a questa credenza perché credevano alla "Teoria dei Quattro Elementi", sviluppata da Empedocle, Platone e Aristotele. Secondo tale teoria, l'Universo venne edificato da un Dio o Demiurgo che creò la Materia Prima, o la trovò già in esistenza, la modellò e le diede vita. I Quattro Elementi - Fuoco, Aria, Acqua, Terra - furono le modificazioni iniziali della Materia Prima. Ciascuno di questi Elementi combina due delle quattro qualità primarie che esistono in tutte le cose (caldo, freddo, umido, secco). Il Fuoco è caldo e secco, l'Aria calda e umida, l'Acqua fredda e umida, la Terra fredda e secca. Ogni cosa è formata da Quattro Elementi, e le differenze tra gli oggetti derivano dalle diverse proporzioni in cui si combinano gli elementi costitutivi.
Se si alterano le qualità di un Elemento, questo si trasforma in un altro: per esempio, il Fuoco perde il suo calore diventando freddo e secco, e si trasforma in Terra (la cenere); quando l'Acqua viene riscaldata si trasforma in Aria.
Questa teoria è essenziale all'Alchimia perché ammette la possibilità delle trasmutazioni. L'oro è una mescolanza dei Quattro Elementi in una certa proporzione. Anche gli altri metalli sono mescolanze degli stessi elementi. Cambiando le proporzioni dell'amalgama - riscaldando e raffreddando, disseccando e liquefacendo - i metalli vili possono essere trasformati in oro.
Gli occultisti moderni credono ancora alla Teoria dei Quattro Elementi: "l'Universo venne creato da Quattro Elementi: Fuoco, Aria, Acqua, Terra, nell'ordine dato, ciascuno derivante dal suo predecessore e tutti animati a turno dalla Parola alitata su di essi al momento della Creazione" (Pavitt)
Nota di Lunaria: anche per l'islam allah ha creato gli jinn ed Iblis partendo dal fuoco,
e per ebrei e cristiani "lo spirito di dio [lo spirito è analogo all'aria] aleggiava sulle acque".
Tuttavia nell'occultismo moderno i Quattro Elementi sono i quattro stati in cui può esistere l'energia. Il Fuoco rappresenta l'Elettricità, l'Aria lo stato gassoso, l'Acqua lo stato liquido, la Terra lo stato solido. Tutte le cose esistono nell'una o nell'altra di queste condizioni, o in un insieme di esse, ed è possibile passare da una condizione all'altra.
Sembra che l'Alchimia ebbe come "precedenti" le leghe di rame e di argento che venivano create in Egitto dagli artigiani, e che avevano la parvenza di oro. La convinzione che la Natura potesse essere imitata divenne una delle teorie fondamentali dell'Alchimia riassunta nella massima: "L'Opera più naturale e perfetta sta nel creare ciò che è simile a se medesimo"
L'oro era considerato perfetto perché rispetto ad altri metalli erano meno attaccato dall'invecchiamento e dalla corrosione. Quando un Alchimista cercava di mutare un metallo in oro era convinto di liberarlo dalle sue impurità e di portarlo ad uno stato più alto.
Per gli Alchimisti, i metalli erano "vivi": crescevano nel grembo della terra come un bambino che cresce nel grembo della madre. In un manuale tedesco sui metalli, stampato nel 1505, si legge: "Nell'unione del mercurio e dello zolfo nel minerale, lo zolfo si comporta come il seme maschile ed il mercurio come quello femminile nel concepimento e nella nascita di un bambino."
Il supremo obiettivo dell'Alchimista era la fabbricazione della Pietra Filosofale, che si pensava avesse il potere di trasformare ogni cosa in oro. J.B. van Helmont, chimico del diciassettesimo secolo e inventore del termine gas, descrisse la Pietra nel suo libro "De Vita Eterna": "Io ho veduto e maneggiato più di una volta la Pietra dei Filosofi. In colore era simile a polvere di zafferano, ma pesante e lucente, come minutissimi frammenti di vetro. In un'occasione me ne venne data la quarta parte di un grano, vale a dire un seicentesimo di oncia (circa 0,05 grammi) [...] avendo fatta fondere questa in un forte fuoco, trovai otto once meno undici grani dell'oro più fino."
Helvetius, un'autorità in medicina ma scettico sull'Alchimia, nel 1666 venne visitato da uno straniero che gli mostrò tre piccoli frammenti della Pietra "ciascuno della grandezza di una nocciola, trasparenti, di un colore zolfo pallido". Helvetius incapsulò un frammento di Pietra in cera e la riscaldò in un crogiuolo con mezza oncia di piombo. Dubitava che sarebbe accaduto qualcosa, ma in meno di un quarto d'ora tutto il piombo si trasformò in oro.
Gli Alchimisti sono più misteriosi ed ermetici parlando di Pietra; secondo quanto dicono, la Pietra è qualcosa che esiste dovunque in Natura ma è considerata senza valore. è composta di sostanza animale, vegetale e minerale; ha un corpo, ha un'anima e uno spirito; cresce dalla carne e dal sangue; è fatta di fuoco e acqua. è una pietra, ma non è una pietra, sconosciuta eppure nota a tutti, disprezzata eppure incredibilmente preziosa, proveniente da Dio ma non proveniente da Dio. Le istruzioni per fabbricarla sono nascoste dietro codici simbolici di diverso tipo, come questa: "Da un uomo e una donna forma un circolo, poi un quadrato, poi un triangolo, e finalmente un cerchio. Otterrai così la Pietra Filosofale"
Gli Alchimisti avvolgevano i loro procedimenti in veli di mistero che spesso confondevano altri alchimisti perché tali procedimenti erano mistici oltre che chimici. L'Alchimia è spesso considerata un preludio, piuttosto insulso, della chimica, ma questo è solo il lato meno interessante. La Pietra non si limitava a trasformare i metalli vili in oro. Rappresentava anche la trasformazione dell'uomo da uno stato di impurità terrestre ad uno stato celeste di perfezione. Alcuni Alchimisti disprezzavano chi cercava la Pietra solo per brama di ricchezze. Tuttavia molti di coloro che si affaticavano tra forni e alambicchi credevano che la Pietra potesse essere fabbricata solo da chi avesse raggiunto una comprensione profonda dei più riposti segreti dell'Universo, che non potevano essere trasmessi con un linguaggio comune; era possibile comunicarli solo con simbolismi e allegorie.
Nota di Lunaria: aggiungo qui un approfondimento sull'Alchimia nel Cinquecento, tratto da
Microcosmo e Macrocosmo, Uomo e Natura, erano i riferimenti dell'Umanesimo e Naturalismo rinascimentali: l'Universo era un uomo su scala gigante, l'uomo era un cosmo in miniatura. Non sempre vi era distinzione tra Astronomia e Astrologia: esse decifravano e definivano la meccanica celeste anche attraverso le congiunture zodiacali, come l'Alchimia studiava sostanze ed essenze dei corpi.
"Libro della Natura" era la metafora rinascimentale per eccellenza usata per la Natura, vista come "un libro scritto in un linguaggio oscuro", che celava al suo interno realtà occulte con segreti che potevano venir decifrati anche usando la magia.
Anche Galileo affermerà che "Il gran libro della Natura è scritto", non in termini magici ma "in termini matematici, onde non può essere inteso da chi non conosce questo linguaggio."
Personaggio spicco di questa concezione fu Paracelso (1493-1541), il cui vero nome era Philipp Theophrast Baumbast von Hohenheim, che pubblicamente si ribellò al "sapere accademico e preconfezionato" di Aristotele, Galeno e Avicenna (e dei suoi seguaci) bruciandone i libri in un rogo che passò alla storia.
Paracelso, chiamato provocatoriamente "Lutero dei medici" (Lutherus medicorum) per la sua vena polemica, voleva riformare il campo della medicina. Per lui il "medico nuovo" non stava nei libri di Avicenna e Galeno, assunti acriticamente, ma nella "Experienz", ovvero l'esperienza diretta delle malattie, cominciando da quelle di minatori e contadini, e nella sperimentazione tramite "rimedi della terra" con l'uso di acque minerali, sorgenti termali o metalli (ai tempi di Paracelso i metalli noti erano sette, e venivano spesso messi in corrispondenza con i corpi celesti: oro, argento, piombo, rame, stagno, ferro, mercurio. In Alchimia, il mercurio era depositario della volatilità dello spirito, mentre lo zolfo era il principio depositario dell'infiammabilità propria dell'anima e il sale era il principio depositario della resistenza al fuoco, propria del corpo che, bruciato, restava cenere incombusta. Per Paralcelso, la medicina doveva essere un'"Alchimia Metallurgica")
Scontato dire che un tale atteggiamento contestatore dell'Autorità, era inviso alle gerarchie politiche e religiose del tempo: Paracelso veniva considerato un medico eretico, accusato di essere un ciarlatano e un necromante. Scandalizzava, perché teneva le sue conferenze vestito da minatore, col grembiule di cuoio dei fabbri, davanti al fuoco dei crogiuoli e alambicchi.
Dopo l'Alchimia, Paracelso dava grande valore all'Astronomia. La intendeva come "scienza degli astri" con le loro influenze sull'uomo.
Nel Cinquecento, molti medici osservavano ancora gli astri a scopo divinatorio e con il calcolo degli oroscopi; Copernico e Tycho Brahe erano anche astrologi. L'Astrologia veniva condannata dalla chiesa ma bastava dire che "astra inclinant, non necessitant", "l'astro propone, Dio dispone" per "far sembrare" l'Astrologia "ancella della Teologia" e quindi farla rientrare "tra le dottrine consentite". Come si è detto, non era sempre neanche netta la distinzione tra Astrologia e Astronomia: papa Leone X istituì una cattedra di scienza degli astri; Filippo Melantone, protestante, tenne lezioni di astrologia: sosteneva che "i portenta e i monstra astrali" cioè le eclissi e le comete, e "i prodigia celesti" (tuoni e fulmini) erano segni dell'intervento di Dio nel corso degli eventi naturali.
Per Paracelso, influenzato dall'ermetismo rinascimentale in voga con Marsilio Ficino,
il medico era "signore del cosmo" che poteva tendere al controllo e al dominio della Natura. Del resto, Astronomia\Astrologia e Alchimia venivano legate indissolubilmente e il fatto che l'antimonio, dopo fusione e raffreddamento, in presenza di ferro si rapprendeva in una forma cristallina-stellare, dimostrava questo legame. E così, per capire le cause di un maldipancia era meglio scrutare il pianeta Marte, legato al fegato, perché "il fegato era bellicoso e marziale" piuttosto che scrutare il fegato dopo averlo dissezionato; per capire perché qualcuno fosse "lunatico" era meglio guardare la Luna che il cervello estratto dalla scatola cranica.
Anche Agrippa spiegava la "melancolia" con la bile nera prodotta dalla milza soggiacente Saturno e Nostradamus (Michel de Notre-Dame, 1503-1566) prevedeva decorsi ed esiti di malattie e persino le profezie su influenze astrali.
In Italia, Girolamo Cardano (1501-1571) era famoso come "medico-mago", venne inquisito e poi chiamato a Roma da papa Gregorio XIII. Nel suo libro "De subtilitate" affermava che il "medico squisito", il "Doctor subtilis", doveva essere padrone della "Naturalis Magia", tra l'osservazione empirica, tecnica ed esperimenti, oroscopi, cabala e calcoli. Anche lui andava contro chi, pur di non mettere in discussione Galeno, faceva morire i malati: "Non dobbiamo seguire l'andazzo dei medici del nostro tempo, i quali per non detrarre nulla alle parole e alla stima di Galeno, uccidono impunemente gli infermi."
Altri dipinti di Bruegel:
"Il suicidio di Saul" |
"La gazza sulla forca" |
"Cacciatori nella neve" |
"Giornata scura" |
"La grande torre di Babele" |
"Paesaggio invernale con pattinatori" |
"Proverbi fiamminghi" Su Bosch: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/07/bosch-grien-e-altdorfer.html Su Botticelli, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/botticelli-creatore-di-talismani.html |