Recensione ad "Hardware" di Richard Stanley


Una recensione di Lunaria

Trovai recensito "Hardware" con il massimo dei voti sulla cara, vecchia (e ormai scomparsa dalle librerie) guida al cinema horror (1980-1990) "35 Millimetri di Terrore", ma anche su "Rassegna del Cinema Horror" (1995), che ci piazzò, a pagina 168, l'immagine rosso shock del robot assassino del film.







"Hardware" fu l'esordio di Richard Stanley, autore anche dell'onirico e desertico "Demoniaca" (che ebbi la fortuna di vedere su una VHS comprata all'usato diversi anni orsono).







Con l'arrivo del web, of course, gli appassionati di Fantascienza e Cyber Punk hanno riversato sulla rete commenti e monografie per tutti i grandi capolavori del genere, spesso anche decisamente poco conosciuti, come "Hardware", che effettivamente, anche se recensito su un vecchio almanacco di Dylan Dog, resta sempre poco citato nelle discussioni.

Invece, cazzo!, che filmone!







A vederlo così, di notte, pare quasi di crepare fulminati seduta stante, da tanta è l'elettricità che sfrigola da quei cavi serpentiformi che avviluppano il robottone!

In breve, ecco la trama: in un futuro post apocalittico dove il nostro pianeta terra è stato reso una pattumiera inquinata con ogni possibile schifezza tossica (gassosa o liquida),







Moses compra da un misterioso nomade (interpretato dal singer dei Fields of the Nephilim!),





per 50 dollari, i rottami di ciò che resta di un androide, che il nomade in questione ha raccattato nel deserto, semisepolto sotto la sabbia.



Moses ne approfitta per regalare la ferraglia alla fidanzata,



che è un'artista e assembla sculture metalliche.







 Il robottone, creato dall'esercito come micidiale mezzo di difesa e attacco,



non tarderà a ricaricare le pile e a riprendere vita nell'appartamento della ragazza, iniziando a trivellare e a squarciare dove capita...

Ma aldilà della storia che potrebbe far gridare lesa maestà agli aficionados dei cyborg e dei robottoni antropomorfi (in fondo "Terminator" è del 1984 e nei primi anni '90 ancora dilagava la "Terminator-mania"...), è il ritmo del film (tra montaggio, scenografie, colonna sonora) a folgorare lo spettatore.

Già il titolo, quel'Hardware, vero lampo di genio che esemplifica tutto ciò che sarà e verrà creduta, col senno di ora, la nascente industria informatica dei primi '90s,
il look dell'androide (con il teschio pittato a stelle e strisce!),



la caratterizzazione dei personaggi (in ossequio all'estetica Cyber Punk http://intervistemetal.blogspot.com/2017/12/introduzione-al-cyberpunk.html uno dei personaggi indossa costantemente gli occhiali da sole, anche se non a specchio),



la scenografia che mostra un mondo lercio e tossico con liquami giallastri nelle acque navigabili (!),







un cielo rosso asfissiante (evidentemente Stanley è ossessionato dai deserti, perché anche in "Demoniaca" tutto era incentrato sulla sterminata aridità sabbiosa),





ciminiere che eruttano gas mefitici continuamente, e nonostante questo!, gli esseri umani ancora brulicano come insetti infestanti (no, neppure in epoca post apocalittica possono mancare le pubblicità con veline sculettanti e reclamizzanti succulenti "bistecche di renna senza radiazioni"...)





e no, neppure in epoca post atomica a un passo dal collasso mancano le relative nevrosi che accompagnano la nostra condizione umana (dagli albori): il vicino guardone, un grasso e bisunto omaccione sempre arrapato come un porco (peraltro, scorticato e trivellato a dovere dal robottone che evidentemente non gradiva il suo gracchiare molesto!), il menefreghismo altrui (pidocchiosi barboni e mendicanti si aggirano per le strade ammassate di macerie nell'indifferenza più totale) la donna (interpretata da Stacey Travis)



abbandonata dall'uomo che ama (che di tanto in tanto si ricorda di lei...) e che pur rinfacciandolo al suo lui, di quanto sia stronzo (un Dylan McDermott sempre avvolto in un pastrano che più polveroso non si può), entrerà nuovamente nell'appartamento, noncurante di tutto, per salvare Moses e finire a bastonate l'androide







soprannominato biblicamente "M.A.R.K. 13", dal versetto del vangelo di Marco "No flesh shall be spared", "nessuna carne sarà risparmiata".



Un tocco di genialità assoluta, battezzare un letale androide antropomorfo ("e l'uomo creò Dio a sua immagine e somiglianza", chioserebbe un Feuerbach...) con una citazione presa dal libro più violento e sadico di tutti i tempi, ovvero la Bibbia!!!
Una piccola citazione anti-monoteistica, a dimostrazione di come il monoteismo sia letale e distruttivo, che - ahimè! - pochi potranno cogliere (dal momento che la maggioranza è imbonita di paccottiglia cristiana alla volemmose bbbene), ma che non è sfuggita alla sottoscritta, eh eh!

Jean-Claude Van Gogh del blog "400 calci" lo definisce "sembra di stare pieni di pasticche in un cazzo di rave party ciberpunk", e cazzo, se c'ha azzeccato! "Hardware" in effetti è un rave party andato a male, con tutti quei colori metallici e freddi, l'aria satura di tossicità, gli sfrigolii della pura elettricità che sfavilla al fulmicotone. Da non crederci che un film con una tale verve acida, corrosiva ed elettrica sia stato girato da un 24enne e con un budget risicatissimo!

Ma, esattamente come "il Corvo" anche "Hardware" viene ricordato per le comparse di celebri musicisti: di Carl McCoy dei Fields of the Nephilim nella parte del Nomade, yes! of course, sempre agghindato con il suo immacabile cappello!



Una figura affascinante che però è stata sfruttata con parsimonia (ipotizzo che Stanley volesse dargli maggiore visibilità in un eventuale sequel, che purtroppo non si è concretizzato) a Lemmy dei Motorhead nella parte del tassista che conduce una sorta di taxi-gondola su un fiume che è una fogna a cielo aperto,



 a Iggy Pop nel ruolo del DJ radiofonico, fino agli GWAR (!)



e ai Ministry di "Stigmata" che passano proprio mentre Jill, la protagonista, armata di fiamma ossidrica, come una moderna Efestessa (ah, ah!) si mette a "fondere" e plasmare, novella Demiurga, (altra citazione biblica... ma questa volta in chiave femminista, ah ah!) e dare nuova forma all'androide!



Un rave, quindi, questo "Hardware", un rave da LSD andato a male. E proprio per questo a me dispiace che non si sia dato spazio ad una colonna sonora a base di Acid Techno e meglio ancora, di Hardcore, anche se è comprensibile, il film è del 1990 e l'Hardcore nasce ufficialmente solo nel 1993... c'è da dire che col senno di ora, le scene del robottone metallico tutto trapani e cavi elettrici fulminanti sarebbero state esaltate alla perfezione con una colonna sonora a base di Evil Activities, Delta 9, Predator, Leviathan o Rotterdam Terror Corps http://intervistemetal.blogspot.com/2016/01/we-are-all-slaves-to-rave-unanalisi.html
(due loro pezzi celebri si intitolano "Are you prepared to die" e "Armageddon") e, ancora meglio, con la deriva Electro Cyber e Rhythm 'n' Noise alla Circuito Cerrado, V2A e Xotox...
gente che i cavi elettrici sfrigolanti te li ficca su per il culo facendoti ballare!

Insomma, chissà, forse un ipotetico remake o sequel... questa volta con una colonna sonora ancora più a tema cyber ed elettronico... ^-^

Non mancano poi le consuete citazioni care ad ogni cultore della Fantascienza, dai riferimenti ai pc "che aprono e sigillano le porte", agli immacabili asiatici (c'è persino una splendida gigantografia di una Dakini!), 


alle droghe "per sopportare lo squallore quotidiano", agli interventi dello Stato in termini di procreazione.
Non molti i riferimenti al gore e allo splatter, se si escludono lo sventramento del guardone, il trinciamento del sorvegliante in due metà (davvero disgustoso e ben fatto a livello di resa!) e le ferite sul corpo della bella e nervosissima Jill... 



forse qui vediamo una sorta di "risparmio dello splatter" solo per motivi di budget.

Di notevole raffinatezza lirica la scena della doccia (tra i due protagonisti, lui dotato di rude braccio meccanico come il Cyber Punk comanda, lei dalla pelle liscia e immacolata), l'unica scena, insieme al finale, dove vediamo della luce (anche se artificale e quindi "finta": è quella della lampadina...) 




 Gran bel film, insomma (e guardate che io non sono affatto un'appassionata di fantascienza e raramente mi appassiono così)! Che peccato che questo regista, per non ben precisati motivi, sia stato estromesso dal mondo cinematografico e non abbia più continuato! Le premesse di una sua ascesa nell'olimpo del cinema insieme ai Cronenberg e ai Carpenter c'erano tutte, ma comunque si tenga presente che il genere Cyber Punk, di per sé, è sempre stato parecchio underground e ben poco sfruttato nelle sue potenzialità. Non ho visto il film in dvd (quindi in qualità digitale) e suppongo che in tal senso sia ancora più spettacolare.

Da urlo la sparatoria di massa contro l'androide con le braccia stese a croce, proprio un secondo dopo che Jill si è buttata per terra!



le visuali nella soggettiva dell'androide (che fa molto Predator, eh eh!), 


la scena del frigorifero, con la povera Jill rannicchiata dentro!


  fino alla catarsi finale






Capolavoro di maestria, tra flash e luci stroboscopiche, poi, è la scena del delirio di Moses, morente e steso a terra:



Un film nichilista, cupissimo, rischiarato solo da luci artificali ad intermittenza; un film anti-umano, paradossalmente, nella sua critica feroce e caustica a quel pozzo di abominio che è l'essere umano. In "Hardware" ci trovate metallo sferragliante e letale, solitudini alla deriva che si incontrano, per darsi un po' di calore umano prima della morte, e la razza umana che si avvia, come topi da fogna, verso il declino, causato proprio dalla presenza umana, che ha violentato il pianeta terra fino all'ultimo. Per inciso, ho visto "Hardware" dopo aver visto "Carnosaur": come dar torto alla folle dottoressa che creava dinosauri per far sì che da Madre Natura fosse debellato l'unico animale nefasto, infestante e parassitario (noi uomini) per tornare all'originaria purezza incontaminata (i dinosauri...)...?   

Insomma, con un futuro come quello (profetizzato?) da "Hardware", ci sentiamo ancora più misantropi, cioraniani e disfattisti di quanto non lo fossimo già prima.