Gorla Minore: foto d'epoca dei contadini, delle vie, delle chiese!

Gorla è un paesino davvero delizioso, in bicicletta riesco a raggiungerlo in circa 40 minuti.

Ha un bellissimo parco: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/lo-splendido-parco-durini-di-gorla.html + la biblioteca proprio lì accanto ^_^


P.s sto sistemando diverso altro materiale legato ai paesini qui in zona, è tutto materiale che proviene dalla collezione di mio padre che amava moltissimo il folklore tra gli altri argomenti che leggeva (era bibliomane come me, insomma!) Prossimamente condivido anche altro, tra foto d'epoca e materiale vario ^_^

Altri post: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/05/castellanza.html
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INFO TRATTE DA


 ORIGINI DEL NOME DI "GORLA MINORE":

Il nome "Gorla Minore" deriverebbe dal corso dell'Olona, un fiume le cui acque sgorgano lente ma possono diventare anche ostili e pericolose, creando gorghi vorticosi e piene devastatrici.

Sembra che i Romani, nel II secolo a.c arrivarono in Pianura Padana, sostituendosi alla gente gallica e durante la Pax di Augusto si insediarono, come coloni, nel nostro territorio, dando un nome alle capanne sorte sulla riva sinistra del fiume, traducendolo forse da un vocabolo ligure-celtizzato.
Il corso del fiume Olona descrive tra Cairate e Olgiate due anse accentuate; la più ampia è a nord: "gurgula maior", la più stretta "gurgula minor". L'ipotesi che si riferisce a "gula" e al diminutivo "gulula", come "gola, anfratto", da cui "gora", canale di alimentazione dei mulini ad acqua, è poco probabile.
Gorla sarebbe una volgarizzazione ed una contrazione di "gurgula", gorgo, con l'aggettivo di "minore".

L'origine del toponimo "Prospiano" è più incerta.
Sotto la dominazione romana, il "locus" non era meno importante di Gorla, anzi. Lì risiedeva un personaggio autorevole, Principius, dotato di grosso patrimonio fondiario: "Principianus" starebbe per il luogo o le terre di Principius.
Da "Principiano" a "Precepiano" e quindi "Prospiano".
C'è però chi considera "Precepiano" come nome composto dal verbo latino "Praecedo", "stare prima, precedere": in tal caso, la località è posta prima dell'inizio della pianura: Prospiano sta sul limite estremo della Valle Olona e dei terrazzamenti del fiume.


GALLI, ROMANI E L'ARA A DIANA

Quando i Galli arrivarono al Nord, guidati da Belloveso, trovarono gente che viveva in pace lavorando i campi. Queste tribù di invasori erano divisi in vari gruppi: i Celti insubri, della tribù degli Edui, si insediarono nelle zone della Lombardia (Malnate, Sesto Calende, Legnano, Gallarate, Varallo, Saronno, Parabiago); parlavano una lingua di origine reto-tirrenica, erano guerrieri evoluti ed organizzatori. Non erano agricoltori, ma vivevano di razzia e guerra.

I suffissi "-onno" e "-ago" indicano località di origini galliche. Sembra che i Galli fondarono Milano nel 396 a.c e anche Busto Arsizio. Si è ipotizzato che il nome "Baraggiola" sia di origine celtica, col significato di "zona a sterpeto", indicando i terreni disboscati.

La presenza dei  Galli per circa tre secoli ha avuto effetti anche sulla lingua e sulle abitudini del ceppo ligure.
Catone descrive i Liguri come "illetterati", Pompeo Trogo li descrive come uomini "tondi e irsuti", mentre Diodoro scrive che sono "agili, coraggiosi, fedeli alla comunità, dotati di spirito di sacrificio ed amanti della libertà"


Nel 200 a.c, vinte le ultime resistenze, i Romani estendono il loro impero, sottomettendo la Gallia Cisalpina e i Liguri.
I territori fertili vengono divisi in tanti appezzamenti mediante strade tracciate da nord a sud (cardi) e da est a ovest (decumani) che dividono il territorio in tanti rettangoli.
Si può ancora vedere come le strade campestri abbiano mantenuto l'orientamento che si è descritto, avendo come riferimento di base il corso dell'Olona.

La presenza romana è testimoniata dal ritrovamento di molte tombe in località "costa", sulla destra della "strà santè", cioè l'attuale via Rotondi a Gorla Minore.
è stata rinvenuta anche un'ara votiva, del I secolo a.c, venuta alla luce in una vigna, poco lontana dalla chiesa parrocchiale.

Il cippo è stato poi portato nel giardino del curato e nel 1926 nel museo di Legnano. La pietra reca un'iscrizione dove si legge che una certa Rivasia offre l'altare a Diana per lo scampato pericolo del padre.

L'ARRIVO DEI LONGOBARDI

Nel 568 ci fu l'arrivo di un altro popolo germanico, qui in Italia.
Non si trattava del solito esercito barbarico che si accontentava di saccheggiare e distruggere, ma di una vera e propria migrazione di una popolazione che stabilitasi nel nord Italia, lascerà tracce nella vita, nella cultura, nella lingua del territorio occupato, da lì in poi chiamato "Longobardia". Un secolo prima erano usciti dalle loro sedi sull'Elba e si erano trasferiti nella Pannonia dopo aver combattuto contro i Gepidi (altra popolazione di stirpe germanica). Il loro re, Alboino, sposò in secondo nozze Rosmunda, la figlia di Cunigondo, il re dei Gepidi, da lui stesso ucciso.
Una leggenda macabra racconta che la principessa venne obbligata a bere vino dal cranio del padre durante il banchetto di nozze.
La Pannonia era minacciata da Avari, Slavi e Bizantini: non era sicura. Così Alboino si trasferisce in Italia. Attraversa il passo del Predil e si ferma in vetta al monte Matajur.
Dopo aver contemplato la pianura davanti ai suoi occhi, spinge il cavallo al galoppo, seguito dai suoi 200 mila uomini e dai carri che trasportano le donne, i bambini e le masserizie.
I presidi romani del Friuli, del Veneto e dell'Insubria vengono sopraffatti.
Milano e Pavia, città fortificate, cercano di difendersi; i Longobardi si stanziano a gruppi, dove trovano minor resistenza.
La maggior parte si ferma nell'Italia settentrionale, ma alcuni arrivano fino a Spoleto e Benevento.
Già agli inizi del secolo sesto, Narsete, generale bizantino impegnato nella lotta contro i Goti, aveva al suo seguito tremila Longobardi.
Dopo la sconfitta di Totila, Narsete ordina di riaccompagnare i Longobardi nelle loro terre.
Tra le persone locali inizia a diffondersi il terrore, perché i Longobardi avevano fama di popolo di inaudita ferocia; Procopio scriveva che "incendiavano case e chiese, usando violenza a chi vi si rifugiava".
Paolo Diacono così li descriveva: "hanno lunghe barbe mai tocche da ferro, i capelli sono rasi fino alla nuca, sì che dietro sono completamente pelati mentre davanti li dividono in mezzo alla fronte lasciandoli cadere sulle guance, sino all'altezza della bocca. Prima di incominciare una battaglia si tingono i capelli di rosso per segnalare al nemico la loro collera. Invece, nei momenti lieti vi spargono polvere d'oro. Gli abiti sono ampi camici di lino, lunghi fino sotto il ginocchio, trattenuti da strisce di stoffa policroma; raramente coperti di pelli, non conciate ma seccate al sole"; i loro elmi sono adorni di corna di cervi o di bisonti, le armi sono costituite da una pesante spada, uno scudo tondo con umbone, una lunga lancia, un arco ed una faretra. Vengono a contatto con l'acqua solo quando devono attraversare i fiumi così da sembrare proprio "cavalli selvaggi, fetidi e coi garretti fasciati".
Più che non la città preferiscono la campagna dove, scacciati i Romani, si impossessano dei terreni e obbligano i contadini a consegnare, come tributo, un terzo dei loro prodotti.
Intanto, il Vescovo di Milano fugge a Genova, seguito dal clero.
Il loro nome sembra che derivi dalla parola germanica "Langbeardan" ossia "lunga barba", altri pensano che derivi da "Langbart", "lunga lancia".
Il loro re, Alboino, è un capo con un profondo senso dello Stato, sempre attento al benessere del suo popolo. Dopo aver espugnato Pavia, che ha resistito ad un assedio di tre anni, ne fa la capitale del regno. Secondo la tradizione egli viene ucciso da una congiura ordita dalla moglie Rosmunda, che si vendica così del tremendo oltraggio subito nel giorno delle nozze.

Il nuovo re, Autari, figlio di Cefi assume anche il nome di Flavio: questo dimostra che i Longobardi avevano già subito un processo di romanizzazione. Autari riesce a sottomettere lo strapotere dei vari duchi che spadroneggiano nelle città determinando un continuo esodo degli abitanti nelle campagne.
è proprio questo sfollamento che permette agli abitanti dei villaggi di venire a conoscenza del cristianesimo: vengono eretti molti altari dedicati ai santi; probabilmente anche Gorla e Prospiano hanno beneficiato di tutto questo.
Autari sposa Teodolinda, figlia del cattolico Garibaldo, re dei Bavari, assicurandosi un potente alleato contro i Franchi i cui attacchi vennero più volte respinti.





Il matrimonio costituisce un primo passo verso l'avvicinamento al cattolicesimo. Il re è descritto come un giovane "ben proporzionato nella statura, biondo di capelli ed assai bello di aspetto".
Nel 590 i Franchi invadono nuovamente la Longobardia ed assediano Pavia dove i sovrani si sono asserragliati. Molti "duchi" li hanno traditi comprati dall'oro dei Franchi e dei Bizantini.
Nella nostra terra il castrum di Castelseprio resiste agli attacchi, proclamando la sua fedeltà ad Autari.








Gli invasori, dopo aver vagato in lungo e in largo per la pianura senza riuscire ad aver ragione delle fortificazioni longobarde e della stessa Pavia, fiaccati dalla fame e dalle pessime condizioni meteorologiche, si ritirano sulle loro posizioni. Ma il Re è ammalato gravemente. Muore il 5 settembre del 590.
Poco dopo Teodolinda dà alla luce l'erede: si tratta di una bambina per cui il popolo resta senza un re. D'altra parte la situazione interna è instabile, i duchi aspettano il momento buono per riprendersi la libertà d'azione e il potere. Si impone subito un nuovo matrimonio.
Teodolinda sceglie Agilulfo, duca di Torino, valoroso e bellicoso condottiero già distintosi nella guerra franco-bizantina. Le nozze si celebrano nel novembre del 590. Nel maggio dell'anno seguente, l'assemblea del guerrieri longobardi, convocata a Milano, elegge Agilulfo "rex gentis longobardorum". Durante il suo regno è Milano, più che Pavia, la vera capitale.
Gli anni di governo del nuovo re sono particolarmente difficili. Oltre alla siccità, alle carestie, alle invasioni delle cavallette, anche la peste fa la sua comparsa in molti territori orientali del regno.
Inoltre i soliti grattacapi ducali mettono a dura prova la pazienza del sovrano. Si può comunque dire che le gravi preoccupazioni del re sono lenite dalla dolcezza e dalla saggezza della regina Teodolinda che, tra l'altro, è riuscita a conquistarsi la fiducia e la benevolenza di papa Gregorio Magno, con il quale ha un intenso scambio di corrispondenza.
Nel 602 nasce l'erede Adaloaldo che viene battezzato, secondo il rito cattolico, nella basilica di san Giovanni Battista in Monza.
"Modicia" è divenuta la sede estiva dei sovrani che risiedono in un palazzo fatto costruire, si dice, da Teodorico. Agilulfo muore improvvisamente nel 615 lasciando l'adolescente Adaloaldo sotto la reggenza di Teodolinda.
L'esercito è affidato al duca Sundrarit che ha la sua residenza a Milano.
Di lui si conserva il nome della "curs ducis" divenuto poi "Cordusio".
L'interregno dura circa dieci anni.
Ormai il regno dei Longobardi ha i giorni contati e l'ultimo re, Desiderio, tenta i tutti i modi di salvare il salvabile.
Per assicurarsi l'amicizia dei Franchi concede una figlia in moglie a Carlo, loro re.
Ma il papa Adriano I è particolarmente maldisposto verso di lui e chiama in Italia Carlo che, nel frattempo ha ripudiato
Ermengarda (1). In Val di Susa, l'esercito longobardo, mal guidato, viene travolto.
Desiderio muore prigioniero nel monastero di Corbie, probabilmente nel 776.
Della lunga presenza longobarda rimarranno nella parlata dei nostri villaggi molti vocaboli, anche se il sostrato resterà per sempre di costruzione romana.

Ecco alcune parole di origine longobarda, ricorrenti nel dialetto gorlese:

BARA: mucchio, carico di un carro agricolo (da "bara", lettiga)
BENDA: fasciatura (da "binda", fasciare)
BIOTU: nudo (da "blausz", privo, nudo) [usato anche nel dialetto legnanese; "biotü" per il maschile, "biota" al femminile]
BISA: serpe, insetto (da "bison", correre qua e là, come fanno le serpi)
BULZON: parte della serratura che riceve il chiavistello (da "bolzo", ariete, freccia)
FAZULETU: fazzoletto (da "fazzjo")
GRAMM: cattivo (da "grama", irato, triste)
PALCU: palco (da "palk")
RüDU: letame, spazzatura (da "rud", sporcizia) [usato anche nel dialetto legnanese]
SCAGN: scranno (da "skranna")
SCHIRPA: dote, corredo (da "skairpa")
SCUSSà: grembiule (da "skauz") [usato anche nel dialetto legnanese]
STAMBERGA: locanda (da "stain", pietra, e "berga", alloggio)
STRACCU: stanco (da "strak", teso, tirato) [usato anche nel dialetto legnanese]
TANFU: tanfo (da "thamp", cattivo odore)
TRUSSON: urto (da "stauzzan", urtare, colpire)
TRAPULA: laccio, trappola (da "trappa", tenaglia)
ZAZZARA: ciuffo di capelli (da "zazza")
Altre parole di origine longobarda sono: CARAGNà ("piangere", usato anche nel dialetto legnanese) LIFROCU (anche "difrocu", persona stupida, sciocco, idiota) MAGOLCIU, STURNì
Nomi propri: Aldo, Manfredo, Raimondo, Corrado, Anselmo, Bruno, Goffredo, Rinaldo, Cristina, Emelda, Gisa, Edgarda

(1) APPROFONDIMENTO: ERMENGARDA, CELEBRATA DAL MANZONI (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/11/lecco-citta-manzoniana-cartoline-e.html)

Tratto da



"Morte di Ermengarda" è il secondo coro dell'Adelchi, la tragedia in cui il Manzoni descrive la fine del regno longobardo in Italia (772-774).
I cori non fanno parte integrante dell'azione che si rappresenta sulla scena, ma sono introdotti dall'autore per esprimere il suo stato d'animo di fronte ad un determinato evento.
  
Trama: Desiderio, ultimo re dei Longobardi, invade le terre della Chiesa. Il papa Adriano I, allora, invoca l'aiuto di Carlo Magno, re dei Franchi, che era anche suocero di Desiderio, perché ne aveva sposato la figlia, Ermengarda, la quale però era stata ripudiata. Il padre Desiderio e il fratello Adelchi, accolgono presso di sé l'infelice fanciulla, ma ella chiede pace e oblio, non vendetta. Carlo Magno scende in Italia e dopo un'eroica resistenza alle Chiuse di Val Susa, i Longobardi vengono sconfitti: Desiderio cade prigioniero, Adelchi muore. Ermengarda intanto si era rifugiata nel monastero di San Salvatore in Brescia, di cui era badessa la sorella Ansberga, dove sperava di trovare rassegnazione e conforto nella fede. Ma ella ama ancora profondamente Carlo Magno e va logorandosi nei ricordi di quell'amore disperato. Quando ormai si sente vicino alla fine, si fa portare, sostenuta da due donzelle, nel giardino del monastero, sotto un tiglio, dove  dice pacate e commosse parole per il padre, per il fratello e l'infedele sposo, che ella ha perdonato.
La sorella Ansberga, però, le rivela imprudentemente che Carlo Magno si è risposato.
Ermengarda allora sviene e nel delirio confessa l'amore immenso e potente che la lega ancora a Carlo, amore che la sua anima pudica non avrebbe potuto manifestare quando ella era nel chiaro possesso delle sue facoltà.
Il dolore profondamente umano di questa infelicissima anima ha momenti strazianti. Quando rinviene è ormai placata e vicina a Dio.
Si rivolge alle sorelle ed alle altre monache e dice: "Moriamo in pace - parlatemi di Dio: sento ch'ei giunge". Dopo queste parole si inizia il coro.
Il dramma interiore di questa delicatissima anima femminile consiste nel contrasto tra il ricordo della felicità di un tempo e la constatazione dolorosa che il regno di suo padre è crollato per opera dell'uomo che ella ama. Tra l'amore indimenticabile e tremendo per l'infedele sposo e l'ansioso desiderio di trovare conforto e rassegnazione nella fede in Dio e nella pace del chiostro. E quando finalmente muore, ella è già santificata dalla sua stessa sofferenza e ascende  al Dio dei Santi, nonostante che appartenga ad una stirpe di tiranni che affermò il suo diritto con la violenza e il cui valore consistette soprattutto nella forza del numero.
  
Sparsa le trecce morbide
sull'affannoso petto, (1)
lenta le palme, (2) e rorida (3)
di morte il bianco aspetto,
giace la pia (4), col tremolo
sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: (5) unanime
s'innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera (6)
sulla pupilla cerula (7)
stende l'estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall'ansia (8)
mente i terrestri ardori; (9)
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e muori:
fuor della vita è il termine (10)
del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile (11)
era quaggiuso (12) il fato:
sempre un oblio di chiedere
che le saria negato;
e al Dio de' Santi ascendere,
santa del suo patir. (13)
Ahi! nelle insonni tenebre,(14)
pei claustri solitari, (15)
tra il canto delle vergini, (16)
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl'irrevocati dì; (17)
Quando ancor cara, improvida
d'un avvenir mal fido, (18)
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido, (19)
e tra le nuore Saliche (20)
invidiata uscì:
quando da un poggio aereo, (21)
il biondo crin gemmata,(22)
vedea nel pian discorrere (23)
la caccia affaccendata, (24)
e sulle sciolte redini (25)
chino il chiomato sir; (26)
e dietro a lui (27) la furia
de' corridor fumanti; (28)
e lo sbandarsi, e il rapido
redir (29) dei veltri ansanti; (30)
e dai tentati triboli (31)
l'irto (32) cinghiale uscir;
e la battuta polvere (33)
rigar di sangue, colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d'amabile terror. (34)
Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d'Aquisgrano! (35)
ove, deposta l'orrida
maglia,(36) il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere (37)
il nobile sudor!
Come rugiada (38) al cespite (39)
dell'erba inaridita,(40)
fresca negli arsi calami
fa rifluir la vita, (41)
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor; (42)
tale al pensier, (43) cui l'empia
virtù d'amor fatica,
discende il refrigerio
d'una parola amica,
e il cor diverte (44) ai placidi
gaudii d'un altro amor. (45)
Ma come il sol che reduce (46)
l'erta infocata ascende, (47)
e con la vampa assidua (48)
l'immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde al suol; (49)
ratto così (50) dal tenue
obblio (51) torna immortale
l'amor sopito, (52) e l'anima
impaurita assale,
e le sviate immagini (53)
richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia
mente i terrestri ardori;
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,
altre infelici dormono, (54)
che il duol consunse; orbate
spose dal brando, (55) e vergini
indarno fidanzate; (56)
madri che i nati videro
trafitti impallidir.
Te dalla rea progenie
degli oppressor discesa,(57)
cui fu prodezza il numero, (58)
cui fu ragion l'offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,
te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri  (59)
nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com'era allor che improvida
d'un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea.(60) Così
dalle squarciate nuvole
si svolge (61) il sol cadente,
e, dietro il monte, imporpora
il trepido occidente: (62)
al pio colono augurio
di più sereno dì.



1) Con le morbide trecce sparse; Ermengarda si trova nel giardino del monastero, sotto un tiglio, e il coro accompagna il suo transito.
2) Con le mani abbandonate sul petto; la morte è imminente ed Ermengarda è estenuata.
3) "rugiadosa": qui indica il sudore che diffonde sul volto esangue della morente.
4) Ermengarda è ormai santificata dal dolore.
5) è il compianto delle suore, che adesso pregano in coro per l'anima che si stacca dal corpo.
6) è la mano leggera della morte che appanna lo sguardo della moribonda.
7) La pupilla azzurra.
8) Da qui incomincia la preghiera delle suore, che esprimono il sentimento del poeta.
9) Le passioni terrene.
10) "Non la fine, ma il fine, la meta, il significato"
11) Il destino fisso, immutabile.
12) Era sulla terra: la frase significa "il suo destino immutabile era sulla terra di chiedere sempre invano l'oblio del suo grande amore per Carlo, oblio che le sarebbe stato negato"
13) Il suo destino era di salire al cielo fatta santa dalle sue sofferenze.
14) Nelle tenebre delle notti, passate vegliando.
15) Chiostri
16) Le suore
17) I giorni del suo amore che ella non voleva richiamare alla memoria.
18) Non prevedendo
19) Respirò l'aria del paese di Francia, che lei ancora amata e invidiata, sentiva così dolce e vivificatrice. Il paesaggio francese agli occhi di Ermengarda innamorata appare ancora più bello.
20) tra le spose dei nobili Franchi
21) che si slancia verso l'alto
22) coi biondi capelli gemmati, su cui risplendeva il diadema imperiale
23) correre in ogni direzione
24) i cacciatori, ed indica l'affannoso correre di cani e di cavalli
25) sulla groppa del cavallo galoppante a briglia sciolta
26) il re, suo sposo, dalla lunga chioma
27) è sottointeso "vedea"
28) di sudore
29) ritornare
30) veloci cani da caccia
31) dalle macchie spinose frugate dai battitori
32) con le setole diritte, per paura e furore insieme
33) colpito dallo strale del re, rigare di sangue la polvere battuta dai cavalli
34) L'aggettivo "amabile" tempera il sostantivo "terror" e rende conveniente a una maestà quel terrore.
Nella "tenera" sono riassunti in anticipo tutti i sentimenti, espressi fisicamente in quel volgere repente il volte alle donzelle e in quel "pallida d'amabile terror". C'è nella densissima scena, dolcezza di donna, apprensione paurosa di moglie, grazia e dignità di regina. Queste ultime tre strofe sono le più pittoriche di tutto il coro.
35) Le acque termali di Aquisgrana sul confine tra la Germania e il Belgio
36) La rigida armatura; è orrida perché è coperta di polvere e sangue.
37) A ripulirsi del sudore delle fatiche di guerra.
38) Come la rugiada posandosi sull'erba inaridita vi fa riaffluire la vita, così la parola consolatrice della sorella rasserena l'anima di Ermengarda; ma per breve momento, perché il ricordo dell'amore che sembrava assopito torna ancora ad assalire l'anima sgomenta di Ermengarda, come il sole, risalendo nel cielo infuocato, riarde la tenera erba che la rugiada aveva ristorato.
39) Al cespo
40) Dal calore del sole
41) Fa rifluire la vita ancora fresca negli steli (calami) riarsi dal sole
42) Nel mite calore dell'alba
43) Così all'anima di Ermengarda che la potenza spietata dell'amore spossa
44) e distoglie il cuore
45) quello di Dio
46) risorgendo
47) ascende nella volta celeste infocata dall'ardore dei suoi raggi
48) e con la sua fiamma costante avvampa l'atmosfera afosa e senza vento
49) riarde facendo ricadere al suolo
50) con la stessa rapidità
51) dal lieve e momentaneo oblio
52) l'amore che sembrava sopito
53) le dolci immagini d'amore che solo per poco ella aveva potuto allontanare
54) spose, fidanzate, madri private dei loro cari dalla crudeltà dei Longobardi
55) spose private del marito dalla spada longobarda
56) perché il loro fidanzato venne ucciso prima delle nozze
57) La sventura provvidenziale collocò te, che eri discendente dalla rea progenie degli oppressori, fra gli oppressi, coi quali fosti affratellata nel dolore e dal dolore e che perciò non ti maledissero i tuoi progenitori longobardi, che avevano infierito col loro numero e con le loro crudeltà sulle inermi popolazioni italiche.
58) per i quali oppressori l'essere così numerosi fu una prodezza, l'offesa fu ragione, spargere sangue un loro diritto e il non avere pietà dei vinti fu per loro motivo di gloria. Si avverti con quanta amarezza Manzoni considera quelle crudeltà che ancor oggi chiamano diritti e necessità di guerra, in dispregio di ogni principio di umanità.
59) che non hanno colpe, innocenti
60) esprimeva
61) appare
62) la parte del cielo dove tramonta il sole, trepida, palpita di luce; ciò per il pio colono è auspicio di giorno sereno, come la serena compostezza che il volto di Ermengarda ha acquistato nella morte è indice che un amore più alto, quello di Dio, ha accolto nella sua pace quell'anima tormentata. Il Momigliano così conclude il suo commento: "Ermengarda, moribonda, rivede, silenziosa e rassegnata, gli splendori ormai spenti: ma l'affollarsi del passato è troppo rapido e i sentimenti sono troppo profondi perché ne possa apparire qualche segno al di fuori. Il suo dramma è ormai interno, tutto immagini e palpiti che non trovano parole. Mentre nei "Memori" ultimi istanti la vita ripassa dinanzi al pensiero con una evidenza d'incanto, le vergini pregano l'ultima pace. E da quella preghiera si irradia anche sulle rievocazioni terrene una luce calma che non è del nostro mondo. L'amore invincibile, i claustri solitari, popolati di ricordi invano respinti, la corte festosa, quella caccia prodigiosamente disegnata e tutta animata dall'immagine dominante forte indimenticabile di Carlo, la vicenda faticosa dei conforti e degli assalti dell'amore immortale, tutta quella vita viva d'una sola passione ha ormai il colore di ciò che si allontana per sempre: è un corteo luminoso e doloroso di immagini che la morente si lascia dietro salendo.
E intanto la voce d'una sapienza sovrana spegne la malinconia delle sue visioni confondendo le angosce d'una persona in quelle di un popolo:
"altre infelici dormono/che il duol consunse..."
e richiamano lo sguardo della morente al giorno sereno che l'aspetta dopo il transito delle battaglie fugaci.
La meditazione religiosa unifica e isola in una limpida lontananza gli spettacoli mondani, i pensieri virginei e gli ardori terrestri, le sventure d'una donna e d'una gente: e tutto rimane nella fantasia come un arco di storia umana in cui brilla una verità che non tramonta."







Il Museo di Legnano:






Nota di Lunaria: anche Arluno ha conservato traccia di un culto a Diana.

Info tratte da


Le origini di Arluno sono antichissime, forse celtiche. Della successiva e lunga età romana restano poche tracce: un paio di tombe scoperte in paese, con un corredo di monete ma soprattutto il nome, che deriverebbe da "Ara Lunae" , cioè altare dedicato al culto pagano della Luna-Diana, sorella del Sole-Apollo. Del resto ancora oggi una mezzaluna fa bella mostra di sé sullo stemma comunale, fra due ali candide.  




Una mia personale ipotesi è che anche Garbagnate fosse sede di un qualche culto dedicato a Cerere; infatti la radice "Garbagn" e la desinenza "-Ate" ha origini celtiche e romane. "Garbagn\Garben" starebbe per "manipolo\fascio di spighe" e "-ate", "luogo\contrada".
In tedesco, "Garben" significa "covoni", "Ate" "luogo": "luogo dei covoni", quindi grano. "Garbum" potrebbe alludere anche a "cespuglieto", cioè terreno incolto.

Robecchetto con Induno, Inveruno, Arluno: i nomi con un finale composto potrebbe trarre la sua origine dal suffisso celtico -dunon, che nell'antica lingua nordica significa "fortezza", "roccia"
Numerosi toponimi la cui parte finale proviene da -dunon hanno cambiato l'originale -duno in -onno (Saronno, Caronno, Castronno)
Anche i suffissi in -ate, -ago denunciano radici galliche.
Suffissi che risalgono al gallico sono: -laanon, -lanon, -lan, -lano.
Il termine -bar segnala la presenza di un rilievo o di una cima.

ALCUNI REPERTI PAGANI:






















ALTRE IMMAGINI:




Qualche miniatura medioevale:






Vita nei campi:  https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/lavori-e-divertimenti-nel-medioevo.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/economie-preindustriali-e-rivoluzione.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/la-condizione-operaia-sul-finire.html



Per un approfondimento sui contadini del Sud vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/07/giovanni-verga-1-i-romanzi-e-vita-dei.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/litalia-meridionale-nel-1861-e-lunita.html












































































Vabbè, non sono cristiana, ovviamente, comunque le condivido nel caso ci sia qualche studioso che sta ricercando "la devozione mariana a Gorla"... "Madonna dell'albero e dei fiori".
Ovviamente è scopiazzata da simboli ed usanze pagane: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/09/alberi-sacri-femminili-nellantico.html






































IL LAZZARETTO DI GORLA MINORE: com'era una volta...





e com'è ora!










La strada per raggiungerlo 


Come appare l'interno


Aggiungo anche







Il campanile della chiesa di san Lorenzo, poco distante dal Lazzaretto










e la chiesetta di Marnate





Aggiungo anche: