Arte Rupestre, Rosa Camuna, Sole delle Alpi


Le valli alpine lombarde (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/vacanze-nei-paesini-della-lombardia.html) da tempo restituiscono significative tracce della preistoria e della protostoria, dai primi popoli cacciatori e raccoglitori del Paleolitico e del Mesolitico. L'area dell'arco alpino comprendente un vasto territorio dall'Engadina ai Grigioni, alle Orobie, al Trentino Alto Adige fino all'Austria. Le ricerche archeologiche hanno permesso di porre in rilievo il fenomeno artistico (incisioni rupestri, stele, massi...).


La stele conosciuta come Caven 3 (altezza 80 cm, larghezza 50 cm), per esempio, appartenenti all'Età del Rame, presenta una figura antropomorfa: sulla parte superiore e anteriore è presente una serie di cerchi concentrici con fasci di raggi a cui si lega il motivo a collare; ai lati, due cerchi semplici. In basso c'è un'incisione a semi elisse con una serie costante di zigzag.



Sulla destra c'è un importante simbolo: un "pendaglio ad occhiale"



che secondo Reggiani Rajna, studiosa e scopritrice del reperto, identificherebbe la figura come una Dea Madre.
Il tema decorativo del "pendaglio ad occhiale" è presente in molte testimonianza di arte rupestre: sono due cerchi concentrici unite da una doppia linea ansata; nell'Età del Ferro tale simbolo viene anche concretizzato su fibule, collane, pettorali. Secondo Marija Gimbutas tale simbolo sarebbe la rappresentazione dell'Occhio della Grande Madre, di epoca neolitica. è associato anche a collari, pettini, orecchini a cerchio "

Nota di Lunaria: infatti è simbolo della Dea. Lo abbiamo visto anche parlando di Astarte, che in questa statuetta fenicia, indossa proprio il pendaglio "doppia spirale"


Peraltro, una purista del Ginocentrismo farebbe notare che la famosa lettera (usata poi come simbolo) dell'Omega, associata a Gesù, in realtà potrebbe derivare proprio da questa primigenia doppia spirale FEMMINILE, associata anche alla Dea Ninhursag.




Difatti la lettera Omega è molto simile a questo segno.



Lo abbiamo visto centinaia di volte, i cristiani (specie i cattolici) si sono appropriati di centinaia di simboli del politeismo, "cambiandone il sesso": laddove un simbolo era femminile perché associato ad una DEA, loro pensano bene di cambiarne il genere, et voilà, il simbolo diventa maschile per riferirsi a diopadre\gesù. Non hanno avuto manco la fantasia di inventarsi un simbolo che fosse loro, mai pensato da qualcun altro prima di loro...

Esiste poi un simbolo, detto "Rettangolo frangiato"



rinvenuto sul quinto masso di Ossimo (e attestato anche sui massi di Borno) è stato variamente interpretato dagli esperti: per alcuni si tratta di un corredo connesso all'abbigliamento, per altri ha carattere topografico: potrebbe indicare un campo arato; tuttavia sembra che possa essere anche un simbolo connesso alla sessualità maschile, perché in alcuni reperti lo si trova inciso accanto ad una figura maschile col membro virile evidenziato, raffigurata insieme a un personaggio con aureola solare e a un personaggio femminile. Marija Gimbutas però ha ipotizzato che tale simbolo andrebbe più connesso all'acqua perché le linee ondulate sono associate all'acqua; tale figura fu usata per migliaia di anni e la si ritrova sulle ceramiche della Tarda Età del Bronzo e dell'Età del Ferro provenienti dall'Europa Centrale o nella cultura Sarda di Ozieri. Secondo l'interpretazione della Gimbutas, più che un campo arato, potrebbe indicare persino delle reti da pesca.
A Ninive, nella necropoli di Arpachiyah, su una ciotola, è stato trovato un simbolo simile: il telo o mantello frangiato però è sostenuto da due figure femminili con lunghe trecce.
(Nota di Lunaria: comunque se ci pensiamo, i tappeti hanno proprio le frange ai bordi...)
Tale associazione (la ciotola è stata trovata in una necropoli) farebbe pensare che anche per il masso di Ossimo ci fosse, in qualche modo, un riferimento alla Vita e alla Morte, e al loro equilibrio, anche perché al di sotto del rettangolo frangiato compaiono incisi un cervo, due cerbiatte e alcuni canidi.


Il Dio Cornuto è stato trovato inciso anche su alcuni massi dell'arco alpino: la raffigurazione più nota è quella presente a Naquane, in Valcamonica:


ai piedi del Dio, alto in piedi, ci sono anche figurine oranti, più piccole nelle proporzioni. Anche a Pian Cogno, Val Fontanalba e Höll (Austria) sono state ritrovate incisioni di questo Cernunnos primordiale, con una forma di croce a livello dei genitali.




Probabilmente la croce originaria rappresentava il corpo umano in piedi, (gambe unite, braccia aperte) come si vede in un'incisione sulla stele di Lusernetta, o il sorgere o il calare della luce solare all'orizzonte, che a volte appare come una sottile linea di luce cruciforme.

Certo, mica se la sono inventati i cristiani, la forma a croce, eh!

I Cernunnos di Naquane, Val Fontanalba e Höll sono stati ribattezzati "diavoli" dagli abitanti del posto.

Esistono poi altre incisioni molto famose, come la Rosa Camuna, riferibile all'Età del Ferro, simbolo poi assunto a marchio della regione Lombardia, prototipo della svastica (la figura ha quattro braccia dalla forma arrotondata).




Nota di Lunaria: sì, la svastica, o Stella della Dea Bride
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/la-strega-del-grano.html
un bellissimo simbolo orribilmente rovinato dal nazismo (e da quelli che lo usano anche oggigiorno per sentirsi "machi e cattivi")
ERA UN SIMBOLO FEMMINILE! Stava ad indicare il rinnovamento stagionale, il corso ciclico del tempo. Era un simbolo positivo di vita, fertilità e progresso!
E voi lo avete usato per simboleggiare un'ideologia di morte e dominio, e non avete manco avuto la fantasia di inventarvi un vostro proprio simbolo, ma ne avete preso uno a casaccio preso dalle antiche culture! Un simbolo che era FEMMINILE, vedi la Potnia Theron, per esempio!


che, NON A CASO, compare con il pesce (altro simbolo rubato e maschilizzato dal cristianesimo):

Col risultato che oggigiorno il 98% delle persone se vede una svastica subito pensa al nazismo! e se vede il pesce pensa a gesù cristo!

La svastica è analoga alla Triscele, https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/sicilia-storia-curiosita-letteratura.html
al Triskell, http://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/irlanda-10-geometrie-celtiche.html
al Lauburu basco (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/spagna-pagana-e-anticristiana-2-le.html)



Alcuni cinturoni provenienti da ricchi corredi funebri di sepolture femminili, databili 530-500 a. C, sono decorati con figure quadrilobate molto simili alla Rosa Camuna, spesso incisa insieme ad una figura antropomorfa.

Altro simbolo famoso è il Sole delle Alpi, un fiore a 6 petali, diffusissimo anche nella tradizione decorativa alpina dei mobili, collari per le mucche o marchi da burro.


Il simbolo, comunque, è stato ritrovato anche in Iran, su un bicchiere d'argento risalibile al 1000 a.C., e persino su alcune lapidi della costa Nord Africana! Nel I e II secolo d.C lo ritroviamo come motivo decorativo nelle ville romane in Libia. 

Un'altra figura, di difficile interpretazione, è quella geometrica del "Filetto":



Una rudimentale scacchiera usata per giocare? Una planimetria? Un sistema di misura? Un rito magico?

Dopo le figure geometriche, il tema più diffuso è quello dell'aratro, che mostra rudimentali figurine umane intente ad arare.



"L'agricoltore penetra e si integra in una zona ricca di sacro; i suoi gesti, il suo lavoro sono responsabili di conseguenze importantissime, perché si compiono entro un ciclo cosmico" come scrive M. Eliade (*)

Sul masso di Ossimo numero 9, ci sono tre figure antropomorfe: una di esse ha un grande sole raggiante intorno alla testa e tutte e tre le figure (di una si vede il fallo) hanno le braccia aperte. Due grosse asce hanno la lama rivolta verso l'antropomorfo-sole:





Il soggetto coronato sarebbe un capo? Un Dio? La raffigurazione complessiva descrive un rito? Una danza? Sono domande alle quali è difficile fornire una risposta obiettiva.

Anche figure chiamate "Palette"


ben documentate sulla roccia di Naquane e devono il loro nome al fatto che effettivamente il loro aspetto è molto simile all'omonimo attrezzo. Su questi oggetti è stato detto di tutto: sono state considerate specchi, pagaie, tombe e figure bovine stilizzate, ma manca una definizione precisa. L'ipotesi maggiormente diffusa è quella delle "palette rituali" per le cerimonie funebri di cremazione e la raccolta delle ceneri.  Palette di bronzo e ferro sono state rinvenute in luoghi di sepoltura - anche in aree lontane dalla Valcamonica -, sembrerebbero supportare questa tesi.

Nota di Lunaria: a me ricordano il sistro egizio, simbolo di Iside https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/iside.html







Per approfondimenti vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/09/linfluenza-del-femminile-nel-contesto.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/12/lago-maggiore-e-valcamonica-le-foto-piu.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/lombardia-folklore-e-curiosita-band.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/05/la-distruzione-cristiana-dei-reperti.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/la-civilta-della-valcamonica-e-cernunnos.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/campo-rotondo-e-la-litolatria.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/04/la-spirale-e-il-labirinto.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/introduzione-allarte-della-preistoria.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/veneri-senza-volto.html



(*) Il significato, oltre che quello pratico e agricolo, è anche simbolico, come dimostra ampliamente Mircea Eliade in "Trattato di Storia delle religioni":

"Il riconoscimento della solidarietà fra la fecondità della gleba e quella della donna, è uno dei tratti caratteristici delle società agricole. Per moltissimo tempo i Greci e i Romani hanno parificato gleba e matrice, atto generatore e lavoro agricolo. Questa parificazione si ritrova, del resto, in molte civiltà, e ha dato origine a buon numero di credenze e di riti. Eschilo, ad esempio, dice che Edipo ‘osò seminare il sacro solco ove si era formato e piantarvi un fusto cruento’. Abbondanti allusioni in Sofocle: ‘i solchi paterni’, ‘l'agricoltore, padrone di un campo lontano, che visita una volta sola, al tempo della semina’ . Dieterich, che aggiunge a queste citazioni classiche altri riferimenti innumerevoli, studia anche la frequenza del motivo "arat-amat" nei poeti latini. Ma, come era da prevedere, l'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa. Occorre distinguere nella sintesi mitica-rituale vari elementi: identificazione della donna e della terra arabile; identificazione del fallo e del vomero; identificazione del lavoro agricolo con l'atto generatore.
Bisogna dire fin da principio che la Terra-Madre e la sua rappresentante umana, la donna, quantunque abbiano una parte preponderante nel complesso rituale, non vi hanno più una parte esclusiva. C'è posto non soltanto per la donna o per la terra, ma anche per l'uomo e per il dio. La fertilità è preceduta da una ierogamia. Un antico incantesimo anglosassone contro la sterilità dei campi riflette mirabilmente le speranze che le società agrarie ponevano nella ierogamia: ‘Salve Terra, madre degli uomini, sii fertile nell'amplesso del dio e riempiti di frutti per uso dell'uomo’. A Eleusi, il miste pronunciava la formula agricola arcaica: ‘Fa' piovere!  -  Che tu possa portar frutti!’ guardando prima il cielo poi la terra.
E' assai probabile che questa ierogamia fra Cielo e Terra sia stata il modello primordiale sia della fecondità dei campi che del matrimonio umano. Un testo dell'"Atharva-Veda" (14, 2, 71), ad esempio, paragona lo sposo e la sposa al Cielo e alla Terra.

La donna e l'agricoltura.
Si ammette volentieri che l'agricoltura fu una scoperta femminile. L'uomo occupato a cacciare la selvaggina o a pascere le mandre, era quasi sempre lontano da casa. La donna invece, col suo spirito di osservazione ristretto ma acuto, aveva occasione di osservare i fenomeni naturali della semina e della germinazione e poteva tentare di riprodurli artificialmente. D'altra parte, essendo solidale con gli altri centri di fecondità cosmica  -  la Terra, la Luna  -  la donna acquistava anch'essa il prestigio di influire sulla fertilità e il potere di distribuirla. Così si spiega la parte preponderante rappresentata dalla donna all'inizio dell'agricoltura  -  specialmente nel periodo in cui la sua tecnica era ancora patrimonio femminile  -  parte che le donne svolgono tuttora in alcune civiltà. Così nell'Uganda la donna sterile è considerata pericolosa per l'orto, e il marito può domandare il divorzio per questo solo motivo di carattere economico. Si trova la stessa credenza, che la sterilità femminile sia pericolosa per l'agricoltura, nella tribù Bantu, in India. A Nicobar si dice che il raccolto sarà più abbondante se ha seminato una donna gravida. Nell'Italia meridionale si crede che tutto quel che fa la donna gravida riesce, e che quel che semina crescerà, come cresce il feto. A Borneo, ‘le donne hanno la parte principale nelle cerimonie e nei lavori per la coltivazione del riso; gli uomini sono chiamati soltanto per liberare il terreno dai cespugli e per aiutare in qualche lavoro finale. Tocca alle donne scegliere e conservare le sementi... Sembra che sia sentita in loro un'affinità naturale con i semi, che dicono gravidi. Qualche volta le donne vanno a passare la notte nei campi di paddy, nella stagione in cui spunta. La loro idea, probabilmente, è di accrescere la propria fecondità, o quella del paddy, ma su questo punto sono molto reticenti’.
Gli Indiani dell'Orenoco lasciano alle donne l'incarico di seminare il granturco e piantare i tuberi, perché ‘come le donne sanno concepire e mettere al mondo i figli, così i semi e i tuberi piantati da loro dànno frutti assai più abbondanti che se li avessero piantati gli uomini’. A Nias, una palma da vino piantata da una donna dà linfa in maggior quantità della palma piantata da un uomo. Le stesse idee si trovano in Africa, presso gli Ewe. Nell'America del Sud, per esempio fra i Jibaros, si crede ‘che le donne abbiano un'influenza speciale e misteriosa sulla crescita delle piante coltivate’. Questa solidarietà fra la donna e il solco fertile si conservò anche quando l'agricoltura divenne una tecnica maschile e l'aratro sostituì la primitiva zappa, e spiega moltissimi riti e credenze che esamineremo insieme ai complessi drammatici agrari.

Donna e solco.
L'assimilazione della donna alla terra coltivata si incontra in molte civiltà, ed è stata conservata nelle tradizioni popolari europee. ‘Io sono la terra’, dice l'amata in una canzone d'amore egiziana. Il "Videvdat" paragona la terra incolta a donna senza figli, e nei racconti la regina sterile si lamenta: ‘Sono simile a un campo dove non spunta nulla!’. Invece in un inno del dodicesimo secolo, Maria Vergine è glorificata come "terra non arabilis quae fructum parturiit". Ba'al era chiamato ‘il marito dei campi’. L'identificazione della donna con la gleba era frequente presso tutti i popoli semitici. Nei testi mussulmani la donna è chiamata ‘campo’, ‘vigna’, eccetera. Così il "Corano" (2, 223): ‘Le vostre mogli sono per voi come dei campi’. Gli Indu assimilavano solco e vulva ("yoni"), grano e sperma. ‘Questa donna è venuta come un terreno vivo: seminate in essa la semenza, o uomini!’. Anche le leggi di Manu insegnano che ‘la donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme’ (9, 33). Narada così commenta: ‘La donna è il campo e il maschio è il dispensatore della sementa’. Un proverbio finlandese dice che ‘le ragazze hanno il campo nel loro corpo’. Evidentemente l'assimilazione della donna al solco implica quella del fallo alla vanga, e del lavoro agricolo all'atto generatore. Queste simmetrie antropotelluriche sono state possibili soltanto in civiltà che conoscevano tanto l'agricoltura quanto le vere cause del concepimento. In alcune lingue dell'Asia orientale, la parola "lak" indica tanto il fallo come la vanga. Przyluski ha suggerito che un vocabolo simile, dell'Asia orientale, è all'origine delle parole sanscrite "langula" (coda, vanga) e "linga" (organo generatore maschile). L'identità fallo-vomero è stata perfino rappresentata plasticamente. L'origine di questa rappresentazione è molto più antica: sopra un disegno dell'epoca cassita, che rappresenta un vomero, sono segnati  i simboli accoppiati dell'atto generatore. Simili intuizioni arcaiche scompaiono difficilmente, non soltanto dalla lingua popolare corrente, ma anche dal vocabolario degli scrittori di vaglia. Rabelais ha conservato l'espressione ‘membro che viene chiamato l'agricoltore della natura’. Finalmente, per dare qualche esempio di identificazione del lavoro agricolo con l'atto generatore, ricordiamo il mito della nascita di Sita, la protagonista del "Ramayana". Suo padre Janaka (nome che significa ‘progenitore’) la trovò nel suo campo mentre arava e la chiamò Sita, ‘solco’. Un testo assiro ci ha conservato la preghiera diretta a un dio ‘il cui vomero ha fecondato la terra’.  Molti popoli primitivi si servono ancor oggi, per rendere feconda la terra, di amuleti magici rappresentanti i genitali. Gli Australiani praticano un curiosissimo rituale di fecondazione; armati di frecce, che portano a mo' di falli, ballano intorno a una fossa simile all'organo generatore femminile; alla fine piantano bastoni in terra. Bisogna ricordare anche la relazione molto stretta esistente fra donna ed erotismo da una parte, aratura e fertilità della terra dall'altra. E' nota l'usanza di far tracciare da giovanette nude i primi solchi con l'aratro; usanza che ricorda l'unione esemplare della Dea Demeter con Giasone, al principio della primavera, sul solco allora seminato."
"Un profeta indiano Smohalla, della tribù umasilla (Stati Uniti), vietava ai suoi discepoli di zappare la terra perché, diceva, ‘è un peccato ferire, tagliare, lacerare o graffiare la nostra comune madre con lavori agricoli’. E giustificava così il suo atteggiamento contrario all'agricoltura: ‘Mi domandate di lavorare la terra? Prenderò dunque un coltello per immergerlo nel petto di mia madre? Mi domandate di zappare e di togliere i sassi? Debbo dunque mutilare la sua carne per arrivare fino alle sue ossa? Mi domandate di tagliare l'erba e il fieno, venderlo e arricchirmi come fanno i bianchi? Ma come oserei tagliare i capelli di mia madre?’. Questa devozione mistica per la madre tellurica non è un fatto isolato. I membri di una tribù dravidica primitiva dell'India centrale, i Baiga, praticano l'agricoltura migratoria, contentandosi di seminare unicamente sulla cenere che rimane quando certi tratti della giungla sono stati incendiati. E fanno tutta questa fatica perché ritengono peccato ‘lacerare il seno della madre-terra con l'aratro’. Anche i popoli altaici credono che sia grave peccato strappare l'erba, perché la Terra ne soffre, precisamente come soffrirebbe un uomo se gli strappassero i capelli o la barba."