Simboli!

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Anjana




Figura delle leggende popolari iberiche, il suo nome deriva da Jana o Diana. Si tratta di una strega [Sacerdotessa? Comunque su fonti inglesi del web viene anche associata alle fate. Nota di Lunaria] rappresentata come una giovane donna bionda con occhi chiari, vestita a fiori e stelle [elementi legati alla natura terrena, di Dee come Vesna, Flora, Gea, e alla sfera celeste-trascendente, come Arianrhod, Tala o Nut; anche Ishtar era accompagnata da una stella. Nota di Lunaria].
Protettrice degli animali [quindi Potnia Theron, nota di Lunaria] trasforma in oro tutto ciò che tocca con il suo bastone.




Tale figura ha legami con le antiche divinità druide e la simbologia che la caratterizza deriva dall'insieme dei suoi attributi: il bastone è l'emblema della comunicazione con le cose perse, i tesori e le ricchezze rappresentano i poteri spirituali che giacciono nell'inconscio.

Appeso



L'Appeso, chiamato in alcuni casi "Il Pipistrello" [o "Impiccato"], era rappresentato dai pittori medioevali come una figura androgina appesa per i piedi a un ramo d'albero. Forse vi è stato appeso per castigo. Molto più probabilmente egli stesso si è appeso per penitenza. Il soggetto dell'Appeso suggerisce una deliberata rinuncia alle proprie energie. è un umile mistico, persuaso di essere niente. La sua passività lo rende disponibile alle forze che agiscono intorno e su di lui. L'Appeso resta inattivo nel corpo affinché il suo spirito possa liberarsi. Non è propriamente un essere di questa terra, perché ne è stato separato. La realtà materiale è discosta da lui, ed egli vive in un sogno, appeso a una misteriosa entità celeste. L'Appeso vi si tiene aggrappato perché, da saggio, ha compreso il valore del sacrificio. E il suo misticismo è estremo. Non prosegue alcuna salvezza personale, bensì il totale oblio di sé, perché la devozione pura non prevede alcuna ricompensa. Nei Tarocchi, l'Appeso non desidera conquistare il cielo. La sua testa è rivolta verso la terra. E così le sue meditazioni. Egli si prefigge il bene altrui, la redenzione degli umani vittime dei propri egoismi. è il simbolo dell'ascetismo perfetto e dell'abnegazione.

Aggiungo un approfondimento
Info tratte da Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa "La via dei Tarocchi" (2004)

La Carta numero 12 (XII) è l'Appeso.
Vediamo un uomo che pende da una trave, fra due pilastri che in alcune versioni, sembrano dei rami; potrebbero essere accostate alle Colonne del Tempio di Salomone o a un riferimento massonico. Il disegno comunque suggerisce l'idea di patibolo e ha valore di monito. Le mani dell'uomo sono legate dietro la schiena (non può scegliere, si offre completamente come dono di sé), mentre il piede è legato da una pesante corda. In alcune versioni di Tarocchi, l'uomo è appeso in modo tale che il viso sia quasi a contatto con il terreno: i capelli che ricadono verso il basso, come se fossero radici. In genere sono colorati di azzurro (ricettività spirituale) o giallo (rimandano al Sole e alla Luna, a livello grafico).
I bottoni dell'abito possono rimandare alle Sephiroth. Gli occhi sono aperti, consapevoli di quello che gli succede. è in una situazione di stasi o di transizione; l'iniziativa che prima era attiva (il Bagatto) ora è passiva: la calma momentanea è un preludio all'azione?

Significato divinatorio: vita in bilico, mutamento, passività, apatia, noia, abbandono, rinuncia; stato di accumulo, sosta, reclusione; misticismo, idealismo, spirito di sacrificio: in senso esteso, rappresenta quelle divinità incarnate che si sono immolate: il dono di se stessi, mentre i rami tagliati vengono a simboleggiare gli apostoli. Può indicare la necessità di lottare per raggiungere la meta che tuttavia non sarà raggiunta. Può rappresentare nuove esperienze, se confrontato con le carte successive. Ad ogni modo, per essere interpretato va messo in correlazione con le carte che precedono e seguono (se sono a loro volta positive e negative), per capire se il sacrificio andrà a buon fine.
Se la carta capita capovolta (da verificare con le carte successive): mancanza di spirito e di sacrificio. Rifiuto di compiere lo sforzo necessario. Sacrifici inutili. Continuo commiserarsi senza prendere decisioni.
In alcune versioni di Tarocchi, le tasche sono a forma di Luna: una riceve, l'altra dà, una è attiva, l'altra passiva. La corda doppia, può rimandare a un simbolo fallico, o alla vagina, se la si guarda da destra; il tallone dell'uomo ha un simbolo circolare, con un piccolo triangolo al suo interno: è un simbolo dello spirito. Se sono raffigurate delle goccioline che sembrano trasudare dai rami, significano sensi di colpa o peccati anche immaginari.
Secondo alcuni, la posizione dell'Appeso (le gambe incrociate sono simili a quelle dell'Imperatore) non è di passività, ma anzi, è una preparazione per l'accumulo di energia, che egli sta raccogliendo dentro di sé. è la forza del sacrificio, della rinuncia, dell'abnegazione; può agire sulle cose a distanza.
Un'altra concezione, lo raffigura come un traditore, che da se stesso si punisce: sacrificio ed espiazione; Può rappresentare una sorta di Giuda, e in certe versioni, compare con due borse piene di denaro. Lo si può accostare anche al misticismo yoga o degli sciamani.
 è associato alla Lettera Ebraica Lamed.

A livello professionale, indica vita d'ascesi.

Abbinamenti Positivi:
L'Appeso + Il Bagatto = il sacrificio porterà al successo. Se dopo capitano Arcani Minori di Coppe: successo in Amore; Bastoni: successo lavorativo; Denari: successo negli investimenti.
Appeso + Arcano XIII (Morte) = potrebbe rappresentare un cambiamento esplosivo, a livello creativo/spirituale.

Abbinamenti negativi:

L'Appeso + La Torre = totale fallimento.
Arcano XIII (Morte) + L'Appeso = totale stasi, frustrazione.



Artemisia
 


L'Artemisia era associata ad Artemide in quanto il suo infuso allevia i disturbi mestruali.




L'Artemisia è una pianta medicinale che, oltre a quanto è stato detto, abbassa la febbre ed espelle i parassiti presenti nell'intestino perciò è considerata un simbolo di purificazione.
In Cina il decotto di Artemisia veniva bevuto durante la festa del quinto giorno del quinto mese. Inoltre per scongiurare la presenza di entità malefiche si tiravano frecce di Artemisia contro il cielo, la terra e i quattro punti cardinali o si appendevano figurine di uomini o tigri alle porte. Quest'ultima usanza rimanda alla pratica tipica delle campagne di appendere dell'Artemisia nelle stalle per allontanare le mosche dagli animali.
Una specie di Artemisia viene utilizzata nella termogenoterapia o kaobustione, una medicina alternativa in cui vengono bruciati piccoli mucchi di foglie su alcuni parti del corpo.



Melagrana



Simbolo di fecondità per i numerosi semi che lo compongono, questo frutto del melograno ricorre spesso nella religiosità dell'antica Grecia. Il suo albero era sacro ad Era, protettrice delle spose e dei parti.
Durante i Misteri Eleusini i sacerdoti di Demetra dovevano portare sul capo rami di melograno, e tutti i partecipanti ai riti durante quei giorni dovevano assolutamente astenersi dal mangiare un solo suo frutto. Tale proibizione aveva origine dal fatto che Persefone era stata condannata a rimanere nell'Ade per avervi mangiato un seme di melagrana, contravvenendo così al digiuno obbligatorio per coloro che visitavano il mondo sotterraneo. Tra i Romani le spose si presentavano al rito nuziale ornate di rami di melograno, in quanto quest'ultimo simboleggiava il matrimonio seguito da figli.
In India le donne sono solite combattere la sterilità bevendo succo di melagrana.





Mirto



Il mirto rappresenta l'amore sensuale, la felicità coniugale, la longevità, l'armonia. L'arbusto sempreverde che arricchisce la flora della macchia mediterranea, è spesso collegato ai rituali che riguardano il matrimonio e la nascita dei bambini.
è il simbolo delle Dee dell'amore, specialmente della greca Afrodite. Quando la Dea nacque dalle onde marine, le Ore le offrirono una ghirlanda di mirto e, per la sua vittoria contro Giunone e Minerva fu coronata di rami di mirto dagli Amori.
L'arbusto è venerato presso la setta Mandacan come simbolo della vita; era inoltre l'emblema cinese del successo.
Plutarco racconta come durante i simposi i convitati cantavano, passandosi fra di loro un ramo di mirto, come simbolo di allegria.
Infine, il mirto simboleggia l'accademia e l'onore. Si usava per commemorare il sacrificio vittorioso e per celebrare il trionfo delle legioni romane.


Calumet



La pipa sacra, che appartiene alle tradizioni degli Indiani d'America. Presso la cultura dei Pellerossa la pipa era associata al soprannaturale; l'atto di fumare rappresentava una sorta di comunicazione con gli spiriti superiori: univa l'uomo, tanto legato alla terra, al cielo che lo sovrasta.
Il calumet è simbolo della pace per eccellenza, in quanto veniva utilizzato per suggellare patti di pace fra le tribù. Veniva impiegato comunque durante i rituali atti a ufficializzare un avvenimento: invocare gli spiriti per la guerra, la pace, la caccia; più generalmente era un segno di ospitalità. Spesso i componenti della società tribale si riunivano in occasione dei pow-wow, celebrazioni collettive molto importanti in cui si invocavano gli spiriti. Le pipe erano spesso usate a coppie, a rappresentare l'elemento maschile e femminile, ed erano passate da est a ovest in un moto circolare.
Durante una riunione chi prendeva la parola, nel momento in cui aveva il calumet, veniva ascoltato attentamente dagli altri, in quanto durante la cerimonia del fumo si potevano pronunciare solo parole vere. Il fumo simboleggia il soffio vitale e durante la cerimonia veniva soffiato verso il cielo, verso la terra e verso i quattro punti cardinali. Essenzialmente il calumet era uno strumento di preghiera.


Oca


Vigilanza, loquacità, amore, felicità coniugale e fedeltà. In Egitto è un simbolo solare, infatti si sacrificava l'oca durante il solstizio di dicembre per simboleggiare il ritorno de sole; era anche l'emblema della libertà, dell'aspirazione, delle stagioni della primavera e dell'autunno. Rappresentava il messaggero degli Dei, nonché il leggendario uccello che covava l'uovo cosmico. Giulio Cesare notò come i Galli addomesticassero le oche per farne animali da compagnia più che per cibarsene.
Nell'antica Roma erano legate al dio della guerra Marte, e divennero un celebrato emblema della vigilanza quando nel 390 a.c diedero l'allarme e salvarono il sacro collo, il Campidoglio, dall'attacco dei Galli.
In Cina, l'oca selvatica era l'emblema solare maschile e nell'arte cinese e giapponese è un importante simbolo dell'uccello lunare dell'autunno, a causa dei suoi voli migratori.
Era la cavalcatura degli sciamani asiatici e di Brahma in India, come desiderio dell'anima di unirsi all'incessante circolo dell'esistenza.


Nota di Lunaria: l'oca è la cavalcatura anche di Mata Hingraj


Appare spesso nei racconti popolari ed è legata al destino, come dimostra il Gioco dell'Oca, che è la derivazione profana, spaziale e temporale, del simbolo e che rappresenta i pericoli e le fortune dell'esistenza, prima del ritorno al seno materno.

I miei due giochi dell'oca, che da piccola adoravo e ci giocavo ogni volta che andavo dai miei nonni :) Alla fine vincevo sempre mille lire a fine gioco xD



Gallina & Gallo



La gallina è simbolo di protezione materna per la decisa difesa che questo animale opera nei confronti dei suoi piccoli, ma anche (soprattutto tra i popoli europei) di stupidità per la facilità con cui si spaventa.
Il "vangelo secondo matteo" riporta le seguenti parole di cristo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!"


Nota di Lunaria: sì, è l'unico riferimento "pseudo femminile" che si può appioppare a questo dio maschile.
I cattolici lo citano raramente, i testimoni di geova hanno fatto uscire un paio di pagine multicolour per commentare la vicenda:






Di tanto in tanto qualche teologa "femminista", per salvare il salvabile nello scandalo dell'idolatria fallica cristologica "si inventa" che qui gesù paragonandosi a una gallina con i pulcini stia "affermando il suo lato femminile"
Qui una decente analisi al "gesù chioccia":
http://chiamatiallasperanza.blogspot.it/2014/10/come-una-chioccia-coi-pulcini.html
Se non altro il tizio cristiano che l'ha scritta ha accennato al lato materno di Dio... è già qualcosa considerato che non l'ammettono mai un dio madre!!! :P

Durante il Medioevo la grammatica, che faceva parte delle arti liberali, era raffigurata come una gallina che covava le uova, per evocare la diligenza necessaria allo studio.
Tra i popoli africani la gallina è considerato un animale mediatore tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, perciò essa è presente in numerosi riti iniziatici o sciamanici.

Nota di Lunaria: Cerridwen è una Dea che può trasformarsi in gallina nera.

Il gallo è legato al sole, di cui annuncia il sorgere mattutino. è un portafortuna che allontana le influenze maligne della notte. Come elemento mascolino è fecondo e generatore.
Nella mitologia greca il gallo è animale celeste che è posto vicino a Latona madre di Apollo, il Dio del Sole e di Artemide, Dea lunare. Il volatile veniva sacrificato ad Asclepio, Dio della medicina; Socrate prima di morire ricorda a Critone di sacrificare un gallo al Dio.
è associato anche a Mercurio in quanto guida le anime dell'aldilà. Il suo canto allontana vampiri, streghe, spettri.
Nel "Libro di Giobbe" è simbolo di intelligenza, dono di Dio "che annuncia la luce del mattino". Legato all'esperienza di san Pietro che rinnega cristo "prima che il gallo canti", è simbolo di pentimento e memoria. Anche nell'islam il gallo "chiama i fedeli alla preghiera".
Connesso al cielo e al vento, il gallo compare nelle banderuole.

In Africa è l'animale specifico per i sacrifici agli Dei, il suo sangue nutre le potenze divine e pacifica i defunti.


Nel mondo greco romano era sacrificato nei rituali domestici. L'uso di mangiare pollame durante le feste risente di tali significati simbolici.
Nota di Lunaria: Bahuchara Ma, una Dea Guerriera, cavalca il gallo. Attualmente, è considerata la patrona delle persone che hanno cambiato genere di appartenenza (Hijra) e adorata nei molti santuari di Gujarat.



Orchidea


L'orchidea è un simbolo cinese di fecondità e un amuleto contro la sterilità, ma anche emblema di bellezza, raffinatezza e amicizia. Nell'arte cinese l'orchidea contenuta in un vaso simboleggia la concordia.
 


Nota di Lunaria: nel film horror "La casa dell'orco"




compariva il riferimento all'orchidea, "il fiore preferito dagli orchi e capace di eccitarli"; al di là dell'artigianalità degli effetti speciali, del suo essere un "B movie" e delle interpretazioni un po' dozzinali degli attori, la trama di per sé è interessante e proponeva, seppure in forma molto vaga, la metafora dell'orco come desiderio sessuale femminile represso, ma anche, se vogliamo basarci sulla scena di apertura del film, un'allusione alla pedofilia.




Limone





Info tratte da



Nota di Lunaria: purtroppo non ho trovato il significato simbolico, ma un interessante scritto che elenca le virtù del limone :)

Sembra che fu Marina Briacesca la "prima che usasse limonea, oggi sorbetta, della quale se ne usa in gran quantità, stante la consuetudine del zuccaro e della neve"; così riferiva Antoni Latini, mentre un'antica leggenda araba narra che alcuni malviventi, condannati a morte per mezzo di serpenti velenosi, nonostante i morsi di questi, sopravvissero. La spiegazione di questo singolare evento si trovò nel fatto che i condannati, prima dell'esecuzione della pena, mangiarono molti limoni.
Originario dell'India, il Limone (Citrus limonum), dai cui frutti si preparono bevande dissetanti e astringenti, possiede importanti virtù mediche. Le parti utilizzate in terapia sono il pericarpio (la scorza) ed il succo. Quest'ultimo oltre alle ben note proprietà antinfettive, ha capacità ipoglicemizzanti (determina la diminuzione del glucosio nel sangue).
Nell'uso cosmetico, il succo, diluito, rende meno evidenti le efelidi e gli estratti di limone, al giusto dosaggio, vengono utilizzati nel trattamento delle pelli grasse. Dalle scorze del frutto si ricava un olio essenziale che favorisce i processi digestivi ed è antispasmodico. L'essenza di limone entra inoltre nella composizione di diversi disinfettanti ed è utilizzata esternamente per accelerare la guarigione di piaghe, afte e stomatiti.


Grillo


Per il suo canto, il grillo all'interno delle varie culture è considerato un simbolo di felicità, e il sentiero un elemento di buon augurio. In Cina, poiché questo insetto fuoriesce dalla terra quasi completamente formato dopo che l'uovo si è dischiuso al suo interno, il grillo è visto come una triplice immagine della vita, della morte e della resurrezione.

Scopa


I Romani veneravano Deverra, Dea delle scope e della pulizia. Alla nascita di un bambino, si spazzava tutta la casa per rendere la Dea favorevole al neonato.
La Befana della tradizione italiana scendeva sulla terra a cavallo di una scopa, carica di doni per i bambini.
Le scope sono il mezzo di trasporto delle streghe e una leggenda popolare narra che quando la megera sta per morire, e la sua anima si dibatte nella terribile agonia, il tocco di una scopa può liberarla dal dolore e dalla vita.
Un'antica usanza marchigiana ne fa il simbolo delle offerte alla novella sposa da parte della suocera per esortarla alla pulizia.


Perla


Fra i gioielli rappresenta l'emblema sia della luce che della femminilità. La sua pallida iridescenza, associata alla luminosità della luna, le sue origini acquatiche, la sua vita segreta nella conchiglia con i miracoli della nascita e della rinascita, ne fanno il simbolo della sapienza spirituale e della conoscenza esoterica.
Presso gli antichi, il gioiello nel mollusco, un'immagine dell'unione fra acqua e il fuoco, era un mistero che confermava la teoria della fecondazione celestiale della conchiglia aperta tramite la pioggia o tramite i tuoni e i lampi o ancora della luce della luna o delle stelle.
Nell'arte cinese, la perla viene rappresentata nella gola del drago. In Cina rappresenta uno degli 8 emblemi comuni, simboleggiando il genio del'oscurità. Come forma di luce celeste, la perla è il terzo occhio di Shiva o di Buddha. Nella cultura cristiana rappresenta la metafora di cristo nel ventre di maria.
La trasfigurazione della materia in gioiello spirituale fece della perla un simbolo di rinascita, infatti in Asia era usanza mettere una perla nella bocca del defunto durante i funerali.
Gli Egiziani, che indossavano le perle in onore di Iside, le usavano come talismani contro qualsiasi forza negativa.
Il simbolismo sessuale della perla è ambivalente; nella tradizione classica le perle erano indossate da Afrodite. Simboleggiano anche la purezza e l'innocenza. La sua associazione con le lacrime ne fa un simbolo di matrimonio sfortunato.


APPROFONDIMENTO
La perla nel commento di Mircea Eliade

Seguire un simbolismo arcaico fino alla preistoria è possibile per la perla. Sono state trovate perle, conchiglie, nelle sepolture preistoriche; la magìa e la medicina le utilizzano; si offrono ritualmente alle divinità dei fiumi, eccetera; occupano un posto privilegiato in alcuni culti asiatici; le donne le portano per ottenere fortuna in amore e fecondità. Vi fu un tempo in cui la conchiglia, la perla, avevano dappertutto un significato magico-religioso; gradatamente il loro campo si è ristretto alla stregoneria e alla medicina. Nei tempi moderni e per certe classi sociali, la perla conserva soltanto un valore economico ed estetico. Questa degradazione del significato metafisico, dal ‘cosmologico’ all'‘estetico’, è di per sé un fenomeno interessante, sul quale torneremo; ma prima si deve rispondere a un'altra domanda: perché la perla ha un significato magico, medicinale o funerario? Perché era ‘nata dalle Acque’, perché era ‘nata dalla luna’, perché rappresentava il principio "yin", perché era stata trovata dentro una conchiglia, simbolo della femminilità creatrice. Tutte queste circostanze trasfiguravano la perla in ‘centro cosmologico’, nel quale coincidevano i prestigi della Luna, della Donna, della Fecondità, del Parto. La perla era carica della forza germinatrice dell'acqua in cui si era formata; ‘nata dalla Luna’, ne divideva le virtù magiche e per questo si imponeva come ornamento femminile; il simbolismo sessuale della conchiglia le comunicava tutte le forze che implica; finalmente la somiglianza fra perla e feto le conferiva proprietà genitali e ostetriche (l'ostrica "pang" ‘gravida di una perla, è simile alla donna che ha il feto nel ventre’, dice un testo cinese). Da questo triplice simbolismo (Luna, Acque, Donna) derivano tutte le proprietà magiche della perla, medicinali, ginecologiche e funerarie. In India la perla diventò panacea; giova contro le emorragie, l'itterizia, la pazzia, gli avvelenamenti, il mal d'occhi, la tisi, eccetera. La medicina europea l'ha utilizzata specialmente contro la malinconia, l'epilessia, la pazzia; malattie in massima parte ‘lunari’. Anche le sue proprietà antitossiche si spiegano nello stesso modo: la luna guariva gli avvelenamenti di ogni specie. Ma il pregio della perla, in Oriente, è dovuto specialmente alle sue proprietà afrodisiache, fecondatrici e talismaniche. E quando si depone una perla nella tomba, a contatto col cadavere, la perla rende il morto solidale col proprio principio cosmologico: la Luna, l'Acqua, la Donna. In altri termini, la perla rigenera il morto, inserendolo in un ritmo cosmico per eccellenza ciclico, che presuppone (come le fasi della luna) nascita, vita, morte, rinascita. Il morto coperto di perle acquisisce un destino ‘lunare’, può sperare di rientrare nel circuito cosmico, essendo penetrato di tutte le virtù della luna, creatrici di forme viventi.
Si comprende facilmente che il valore multiplo della perla è dovuto anzitutto al simbolismo in cui la perla si inquadra. Che tale simbolismo venga interpretato basandosi particolarmente sugli elementi sessuali, o che si preferisca ridurlo a un complesso cultuale preistorico, un punto resta incontestabile: la sua struttura cosmologica. Gli emblemi e le funzioni della donna conservano, in tutte le società arcaiche, un valore cosmologico. Non siamo in grado di definire con esattezza in quale momento della preistoria la perla abbia acquistato tutti i valori sopra elencati; per lo meno è certo che prese il suo carattere di ‘pietra magica’ soltanto quando l'uomo ebbe coscienza del complesso cosmologico Acqua-Luna-Divenire, e il ritmo cosmico dominato dalla luna gli si rivelò. Le ‘origini’ del simbolismo della perla non sono quindi empiriche, ma teoriche e metafisiche. Questo simbolismo, in seguito, fu interpretato, ‘vissuto’ diversamente, poi degradato fino alle superstizioni e al valore economico-estetico che rappresenta per noi la perla.


Nocciola



Simbolo di fecondità e di fertilità, la nocciola è presente in alcune usanze propiziatorie collegate al matrimonio: come quella tedesca che prescriveva di gridare le parole "nocciole" agli sposi usciti dalla chiesa, cui seguiva la distribuzione di questi frutti da parte della sposa il terzo giorno; o quella ucraina nella quale la madre della sposa tirava nocciole e avena in testa al genero durante il pranzo di nozze.
Nel Medioevo un ramo di nocciolo era considerato una bacchetta magica per mezzo della quale trovare l'oro o far dare il latte alle mucche. Anche in queste ultime credenze si intravede la simbologia della fecondità e della fertilità, la quale però rimandando all'atto sessuale evocava spesso l'idea di lussuria, di conseguenza capitava che il ramo di nocciolo venisse considerato uno strumento delle streghe. Il fatto che i tempi di fruttificazione di questo albero sono lunghi ha fatto sì che il nocciolo venisse a volte elevato a simbolo di pazienza, e comparisse nelle espressioni metaforiche di alcuni scrittori della spiritualità cristiana.


Betilo & Onfalo


Il betilo è una pietra venerata come sacra in quanto percepita come manifestazione di Dio. L'origine ebraica del termine rimanda a precisi episodi riportati nell'Antico Testamento. In Genesi si narra che Giacobbe durante il suo viaggio verso Paddan-Aram utilizzò una pietra come guanciale, e quella stessa notte Dio gli comunicò in sogno che era con lui e che gli avrebbe dato una discendenza numerosa. Si legge nel testo sacro: "Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò l'olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz". Nel "Libro di Giosuè" il successore di Mosè, eseguendo l'ordine divino, fa deporre a 12 rappresentanti delle 12 tribù d'Israele delle pietre come testimonianza del patto concluso tra Dio e il suo popolo.

Omphalos: Nome che gli antichi Greci avevano dato ad una famosissima pietra scolpita con la cima a forma d'uovo, la cui decorazione rappresentava una rete intrecciata, che si trovava nel tempio di Apollo a Delfi. Essa era considerata "l'ombelico del mondo".
In origine era consacrata a Gea (la Terra), l'omphalòs successivamente fece parte del culto di Apollo [Nota di Lunaria: forse per simboleggiare la vittoria del patriarcato sul matriarcato]. Si riteneva che esso favorisse gli oracoli della Pizia, la sacerdotessa vaticinante, in quanto era considerato il punto d'incontro fra il mondo sotterraneo dei morti, il mondo terrestre degli uomini e il mondo celeste degli Dei. Si riteneva che l'omphalòs fosse collocato sul punto in cui Apollo aveva ucciso il drago Pitone che soggiogava gli abitanti di Delfi, e in cui si era formato il crepaccio dal quale erano state inghiottite le acque del diluvio universale voluto da Zeus.
Oggi l'omphalòs è esposto nel museo di Delfi. Sembra che un altro omphalòs si trovasse ad Eleusi, nel santuario dove si celebravano i Misteri di Demetra.




Vedi il confronto con il celebre Lingam indù:



Nell'induismo, poi, è rimasta la pratica del rappresentare le Dee "a forma di uovo" o persino di tumulo di terra o formicaio, vedi Ashapura, Shantadurga, Poleramma:



d'altraparte sia Ashapura che Poleramma ricordano l'Omphalòs... o meglio, l'Omphalòs ricordava queste Dee proprio perché era diffuso rappresentare le Dee sotto forma di uova.

Aggiungo un approfondimento:



A partire dal III millennio a.C in Europa andò affermandosi una scultura monumentale in pietra (indicata come "cultura delle statue-stele" )  che costituisce una traccia fondamentale dell'evoluzione culturale post neolitica. Opere che provengono da Francia, Austria, paesi dell'Est si sommano a quelle italiane rinvenute in alcune zone del centro nord: Valtellina, Valcamonica, Lunigiana, Valle d'Aosta; sono lastriformi: le loro dimensioni variano da 60 cm a oltre 3 metri. Si tratta di rappresentazioni schematiche, realizzate con maggior cura nella parte superiore (quella inferiore è meno articolata in quanto destinata ad essere infissa nel terreno). Si pensa ad una funzione funeraria. (*)
Senza dubbio i significati di cui sono portatrici le statue-stele permette un interessante confronto tra culture molto diverse e lontane, lasciando intravedere le possibilità che nel III millennio a.C, tra il Vicino Oriente e l'Europa, esistessero alcuni itinerari di fede, scanditi dalla presenza di sculture in pietra lastriforme in cui le innate istanze sacre dell'uomo cercavano la fisionomia per raffigurare una divinità o un antenato.


Nota di Lunaria: si confronti la litolatria europea con quella mongola: Ovoo:
Tra le steppe della Mongolia, si trovano spesso dei mucchi a forma di piramide formati da pietre e ossa di animale con, al centro, un palo di legno fasciato da veli azzurri.
Sono i cosiddetti "Ovoo", pile votive caratteristiche della religione sciamanica, posti sulle alture, sui passi montani, lungo le piste più importanti e ai loro crocevia. Secondo le credenze, presso gli Ovoo si riuniscono gli Spiriti della natura. I pastori nomadi invocano la protezione di queste potenze col dono di un sasso, di piccoli oggetti, denaro, sigarette o altro che, gettati nell’Ovoo, contribuiscono alla crescita del monticello che un giorno potrà così arrivare al cielo. Poi, dopo questa offerta, i fedeli devono compiere tre giri completi in senso orario intorno all’Ovoo stesso, in armonia col Nariin, il percorso del Sole.


E quella islamica, "la pietra nera"... E quanto scrive Mircea Eliade:

"Ma, d'altra parte, la Ka'ba era considerata il ‘centro del mondo’, cioè non soltanto il centro della terra: sopra di essa, nel centro del cielo, doveva trovarsi la ‘Porta del Cielo’. Evidentemente, cadendo dal cielo, la Pietra Nera della Ka'ba bucò il firmamento, e attraverso quel foro può avvenire la comunicazione fra Terra e Cielo (vi passa l'‘Axis Mundi’) [...]  ‘Gli Arabi adorano le pietre’, scriveva Clemente Alessandrino. Come i suoi predecessori monoteisti del Vecchio Testamento, l'apologeta cristiano era indotto dalla purità e dall'intensità della propria esperienza religiosa (fondata sulla rivelazione cristologica) a negare ogni valore spirituale alle antiche forme di culto. Considerando la tendenza strutturale dello spirito semitico a confondere la divinità col sostegno materiale che la rappresenta o manifesta la sua forza, si può supporre che al tempo di Clemente la maggioranza degli Arabi ‘adorassero’ i sassi. Ricerche recenti hanno dimostrato che gli Arabi preislamici veneravano certe pietre chiamate dai Greco-latini "baytili", parola di origine semitica che significa ‘casa di Dio’. Del resto tali pietre sacre non furono venerate soltanto nel mondo semitico, ma anche dalle popolazioni dell'Africa del nord, anche prima dei loro contatti con i Cartaginesi. Ma i betili non furono mai adorati in quanto SASSI, lo furono soltanto nella misura in cui manifestavano una PRESENZA DIVINA. Rappresentavano la ‘casa’ di Dio, erano il suo segno, il suo emblema, il ricettacolo della sua forza o il testimonio incrollabile di un atto religioso compiuto in suo nome."
Il fenomeno delle statue-stele si sviluppò in un periodo della preistoria in cui l'Europa Occidentale del Neolitico e dell'Età del Rame fu contrassegnata da un'importante serie di innovazioni che interessarono l'agricoltura, l'allevamento e la metallurgia.


Osservando le statue-stele ci si rende conto di alcuni aspetti importanti:

1. presenza di oggetti e strumenti tra le decorazioni che possono essere importanti indicatori culturali e cronologici.
2. esistenza di un universo mitico-religioso.
3. culto dei morti.
4. continuità, in alcuni casi, di un culto protrattosi nel tempo


Nota di Lunaria: per il punto 4, vedi l'orribile abitudine cattolica di appropriarsi delle cose altrui di matrice pagana. Si veda questo orribile "dolmen cattolico" o quest'altra idiozia cattolica: la "madonna" dentro la grotta!



Non solo la forma della madonna ricorda una sorta di Menhir, ma la grotta era un posto associato alla Dea Madre, per la connessione con l'utero, l'oscurità umida dal quale si originava la vita! I cattolici, non contenti di scopiazzare la caverna, hanno pensato bene di aggiungere altre due cose, APPARTENENTI ALLE DEE, IN  PARTICOLAR MODO, ALLA DEA ANAHITA:
1) La parola "Immacolata", ATTRIBUTO DI ANAHITA, la Dea Persiana il cui nome significa apputo "Immacolata"
2) Il riferimento all'acqua, che scorre in basso, a destra, sotto forma di piccolo ruscello. Anahita è proprio la Dea delle acque correnti, così come tante altre Dee e creature mitologiche (nate in contesti politeisti!) legate ai fiumi (Obba, le ondine, le fate Asrai, Chalchiuhtlicue, ecc.)
Da notare, sullo sfondo, la cattedrale, altro scopiazzamento dei menhir, con le guglie che svettano verso il cielo!


Inoltre, nell'Induismo ancora si adorano Dee delle grotte o delle colline, quindi i cattolici con 'sta roba qui non fanno altro che scopiazzare una Dea della grotta come Mata Hingraj

Il primo manufatto in rame è un punteruolo rinvenuto in Romania, a Balomir, (5900-5300 a.C) a cui ha fatto seguito tutta una serie di altri ritrovamenti in varie località. Per quanto riguarda l'Italia sappiamo che le testimonianze più antiche risalgono alla prima metà del IV millennio a.C (Vasi di bocca quadrata, Lagozza); in generale va comunque constatato che l'Età del Rame, pur con le sue differenze regionali, fu il periodo in cui si manifestarono e si affermarono alcune fondamentali innovazioni tecnologiche e culturali: la ruota, il carro, l'aratro, l'uso degli animali per il traino, lo sfruttamento di prodotti come la lana, il latte, la transumanza. A queste fondamentali variazioni fecero seguito importanti innovazioni sul piano sociale e religioso, investendo l'organizzazione della collettività, i modelli di insediamento, il culto. Contributi di notevole importanza giungono poi dalle statue-stele e dai massi incisi in cui sono presenti gioielli, armi, raffigurazioni associabili all'abbigliamento e piccole scene rituali di attività quotidiana che "fotografano" alcuni aspetti salienti di un periodo dell'Età dei Metalli che fornì un impulso determinante all'articolata gestazione della storia.

Megalitismo

Il termine megalito deriva dal greco mègas, grande e lithos, pietra, ed è un termine con il quale si designano i numerosi monumenti di pietra grezza o lavorata in genere risalenti al neolitico. La diffusione del megalitismo è vastissima, e non è possibile ascriverla all'interno di una sola cultura. Megaliti di diverso genere sono presenti ovunque: isole britanniche, Paesi Bassi, Scandinavia, Germania, Francia, penisola iberica e Baleari, Italia, Malta, Balcani, Africa del Nord, India, Giappone, Polinesia, Americhe.
Dal punto di vista lessicale, abbiamo diversi tipi di statue-steli:
⦁ Menhir: dal bretone "men", pietra, e "hir", lunga. Indica un monolito infisso nel suolo, isolato o disposto in allineamenti o circoli. In alcuni casi sono segnate da tracce di decorazione, come fori o incisioni rupestri, ma si tratta di casi rari.

Oltre ai Menhir, abbiamo megaliti più complessi, come il Dolmen, costituito da una lastra di pietra orizzontale posta su altre pietre verticali, infisse nel terreno.
o ancora:
⦁ Stele: simile al menhir, anche se rispetto al menhir la stele prevede quasi sempre le incisioni e hanno valenza commemorativa.
⦁ Stele antropomorfa: un'opera litica caratterizzata da lavorazioni destinate a renderla riconoscibile nel suo legame con la figura antropomorfa che viene rappresentata (antenati mitici, eroi ecc.).
⦁ Statua stele: un'evoluzione delle stele antropomorfa, un passaggio alla statua a tutto tondo.
⦁ Masso inciso: quasi sempre si tratta di un masso erratico di piccole e medie dimensioni su quale figura una vasta e articolata rassegna di simboli.    
⦁ Cromlech: deriva da crom, curva, e lech, pietra, ed è costituito da una serie di pietre infisse nel terreno disposte a circolo; in Inghilterra troviamo la definizione di stone circles, cerchio di pietre.
⦁ Tumulo: indica un monumento di terra o pietra, rotondo o ovale che in genere copre una o più sepolture. I tumuli fecero la loro comparsa nel V millennio a.C e in alcuni casi raggiunsero forme elaborate come nel caso di New Grange (Irlanda) o Silburyhill (Inghilterra), con ampiezza di 350.000 metri cubi.


(*)  Uno studio accurato sugli "Dei di pietra" è stato fatto da Mircea Eliade in "Trattato di storia delle religioni".

Vedi la litolatria. Riporto l'intero capitolo

Cratofanie litiche.

Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania. Non v'è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v'è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. IL SASSO, ANZITUTTO, E'. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, COLPISCE. Ancor prima di afferrarla per colpire, l'uomo urta contro la pietra, non necessariamente col corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La roccia gli rivela qualche cosa che trascende la precarietà della sua condizione umana: un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma o nel suo colore, l'uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo DIVERSO da quel mondo profano di cui fa parte.
Non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi. La devozione del primitivo si riferisce sempre, in ogni caso, a qualche cosa di diverso, che la pietra incorpora ed esprime. Una roccia, un ciottolo, sono oggetto di rispettosa devozione perché rappresentano o imitano QUALCHE COSA, perché vengono da QUALCHE POSTO. Il loro valore sacro è dovuto esclusivamente a questi qualche cosa e qualche posto, mai alla loro stessa esistenza. Gli uomini hanno adorato i sassi soltanto nella misura in cui rappresentavano UNA COSA DIVERSA dai sassi. Li hanno adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come centri di energia destinati alla difesa propria o a quella dei loro morti. E ciò avveniva, è bene dirlo subito, perché le pietre con incidenza cultuale erano in maggioranza utilizzate come STRUMENTI: servivano a ottenere qualche cosa, ad assicurarne il possesso. La loro funzione era magica più che religiosa. Fornite di certe virtù sacre dovute all'origine o alla forma, erano non adorate ma utilizzate.
Così l'americanista J. Imbelloni, studiando la zona di diffusione della parola oceano-americana "toki" (zona che si estende dal limite orientale della Melanesia fino all'interno delle due Americhe) ha rilevato i seguenti significati:

a) arma di combattimento di pietra; ascia; per estensione, ogni strumento di pietra;
b) insegna di dignità, simbolo del potere;
c) persona che detiene o esercita il potere, per eredità o investitura;
d) oggetto rituale.

I ‘custodi delle sepolture’ e neolitici erano collocati accanto ai depositi mortuari, per garantire la loro inviolabilità. Sembra che i "menhir" avessero un compito analogo: quello del Mas d'Azais era piantato verticalmente sopra un deposito mortuario. Il sasso
proteggeva contro gli animali e i ladri, ma specialmente contro la ‘morte’, poiché, come la pietra è incorruttibile, così l'anima del defunto doveva durare indefinitamente, senza disperdersi (l'eventuale simbolismo fallico delle pietre preistoriche conferma questo senso, perché il fallo è simbolo dell'esistenza, della forza, della durata).


Megaliti funerari.

Presso i Gond, una delle tribù dravidiche penetrate più profondamente nell'interno dell'India centrale, esiste quest'usanza: il figlio o l'erede del morto deve deporre accanto alla tomba, quattro giorni dopo la sepoltura, una roccia enorme, che raggiunge qualche volta i tre metri d'altezza. Il trasporto di questa pietra, spesso da una distanza notevole, costa spesa e fatiche; per questo, spessissimo, la costruzione del monumento viene rimandata per un pezzo, qualche volta non avviene mai.
L'antropologo inglese Hutton crede che questi monumenti funebri megalitici, frequenti fra le tribù incivili dell'India, abbiano lo scopo di ‘fissare’ l'anima del morto e di fornirle un alloggio provvisorio che la conservi nelle vicinanze dei vivi e, pur consentendole di influire sulla fertilità dei campi con le forme che la sua natura spirituale le conferisce, le impedisca di andare vagando e di esser pericolosa. Questa interpretazione è confermata dalle recenti ricerche di W. Koppers sulle tribù più arcaiche dell'India centrale, i Bhil, i Korku, i Munda e i Gond. Astraendo dai risultati ottenuti da Koppers sulla storia dei monumenti litici dell'India centrale, bisogna tenere presente:

a) che tutti questi monumenti si riferiscono al culto dei morti e mirano a placare l'anima del defunto;
b) che dal punto di vista morfologico si possono paragonare ai megaliti e ai "menhir" preistorici europei;
c) che non stanno sopra le tombe, e neppure accanto, ma a notevole distanza;
d) che nondimeno, nei casi di morte violenta (fulmine, serpente, tigre), il monumento è costruito sul luogo stesso della catastrofe.

L'ultimo caso rivela il significato originario dei monumenti funerari litici, perché la morte violenta proietta un'anima agitata e ostile, piena di rancore. Si ritiene che, quando la vita è interrotta improvvisamente, l'anima del morto tende a continuare il periodo di vita, che normalmente gli sarebbe spettato, presso la collettività dalla quale fu staccato. Presso i Gond, ad esempio, si ammucchiano sassi sul punto ove qualcuno è stato ucciso dal fulmine, dalla tigre o da un serpente; ogni passante aggiunge un sasso al mucchio, per il riposo del morto (questa usanza sopravvive ancora ai nostri giorni in alcune regioni dell'Europa, per esempio in Francia). Finalmente, in certe regioni (presso i Gond dravidici) la consacrazione dei monumenti funerari è
accompagnata da riti erotici, che si trovano sempre nelle commemorazioni dei morti in società agrarie. Presso i Bhil si erigono monumenti soltanto ai defunti per morte violenta, o ai capi, maghi, guerrieri, per il riposo delle anime dei ‘forti’, in breve per quelli che in vita rappresentavano la ‘forza’ o che l'hanno ottenuta per contagio dalla ‘morte violenta’. La pietra funebre diventa così un mezzo di protezione della vita contro la morte. L'anima ‘abita’ la pietra, come in altre civiltà abita la tomba, considerata, per ragioni simili, la ‘casa del morto’. I megaliti funerari proteggono i vivi da eventuali atti nocivi del morto; la morte, essendo uno stato di disponibilità, permette di esercitare influenze buone o malefiche. ‘Fissata’ in un sasso, l'anima è costretta ad agire unicamente in senso positivo, a favore della fertilità. Per questo, in molte zone culturali, i sassi, ritenuti abitazione degli ‘antenati’, sono mezzo di fecondazione dei campi e delle donne. Le tribù neolitiche del Sudan assimilano le ‘pietre della pioggia’ agli antenati che sapevano portare la pioggia.
Nelle isole del Pacifico (Nuova Caledonia, Malekula, Atchin, eccetera) certe rocce rappresentano o incarnano gli dèi, gli antenati e gli eroi ‘civilizzatori’; secondo J. Layard, la parte centrale di ogni altare in queste regioni del Pacifico è un monolito accompagnato da un "dolmen" di proporzioni minori, che rappresenta gli antenati.
Leenhardt scrive che ‘i sassi sono lo spirito pietrificato degli antenati’. La formula è bella, ma non si deve prendere alla lettera. Non si tratta di spirito pietrificato, ma di rappresentazione concreta, di un'‘abitazione’ provvisoria o simbolica dello spirito. Del resto lo stesso Leenhardt confessa: ‘che si tratti di spirito, dio, totem del clan, tutti
questi concetti hanno in realtà una rappresentazione concreta, che è il sasso’. I Khasi dell'Assam credono che la Grande Madre del clan sia rappresentata dai dolmen ("maw-kynthei", ‘i sassi femmina’), e che il Grande Padre sia presente nei menhir ("maw-shynrang", ‘i sassi maschi’). In altre zone culturali i menhir incarnano addirittura la divinità suprema (uranica). Abbiamo già visto (confronta paragrafo 16) che in molte tribù africane il culto del dio supremo del Cielo comprende menhir (a cui si fanno sacrifici) e altre pietre sacre.


Pietre fecondatrici.

Di conseguenza, il culto non è rivolto al sasso, in quanto sostanza materiale, bensì allo spirito che lo anima, al simbolo che lo consacra. La pietra, la roccia, il monolito, il dolmen, il menhir eccetera DIVENTANO sacri grazie alla forza spirituale di cui portano il segno. Dato che ci troviamo nella zona cultuale dell'‘antenato’, del morto ‘fissato’ nel sasso per diventare strumento di difesa e di accrescimento della vita, aggiungiamo ancora qualche esempio. In India, gli sposi si rivolgono ai megaliti per avere figli. Le donne sterili di Salem (India meridionale) credono che nei dolmen abitino gli antenati capaci di fecondarle, e per questo si strofinano al sasso dopo aver deposto offerte (fiori, sandalo e riso cotto). Le tribù dell'Australia Centrale hanno concetti simili. Spencer e Gillen citano il caso di una grande roccia chiamata Erathipa, che ha un'apertura laterale da cui le anime dei bambini, richiuse nella roccia, spiano il passaggio delle donne, per poter rinascere in loro. Quando le donne che non vogliono figli si trovano nelle vicinanze della roccia, si fingono vecchie e camminano appoggiate al bastone, gridando:
‘Non venire da me, sono vecchia!’.
Le donne sterili della tribù Maidu (California settentrionale) toccano una roccia che somiglia a una donna gravida. Nell'isola di Kai (sud-ovest della Nuova Guinea) la donna che desidera figli unge di grasso una pietra. La stessa usanza c'è nel Madagascar. E' interessante notare che le stesse ‘pietre fecondatrici’ sono unte d'olio anche dai commercianti, perché i loro affari prosperino. In India c'è la credenza che certe pietre sono nate e si riproducono da sé ("svayambhu" = ‘autogenesi’); per questo sono ricercate e venerate dalle donne sterili, che recano loro offerte. In certe regioni d'Europa e del mondo, gli sposi novelli camminano sopra un sasso perché la loro unione sia feconda. I Samoiedi pregano davanti a un sasso di forma strana, che si chiama "pyl-paja" (‘la donna-sasso’) e gli fanno offerte di oro.
L'idea implicita in tutti questi riti è che certi sassi possono fecondare le donne sterili, sia grazie allo spirito dell'antenato che vi abita, sia in virtù della loro forma (‘donna gravida’, ‘donna di sasso’) o della loro origine ("svayambhu", ‘autogenesi’). Ma la ‘teoria’ che diede origine a queste pratiche o le giustificò, non sempre si è conservata
nella coscienza di chi ancora continua a osservarle. Talvolta la ‘teoria’ originaria è stata sostituita o modificata da una teoria diversa; qualche volta è completamente caduta in dimenticanza, in seguito a qualche rivoluzione religiosa.
Ricordiamo qualche esempio di quest'ultimo caso. Deboli vestigia di un culto dei megaliti, rocce o dolmen, sopravvivenza delle pratiche di ‘fecondazione’ per contatto con i sassi, sussistono ancora ai giorni nostri nelle credenze popolari europee. Questa devozione è molto vaga; nel cantone di Moutiers (Savoia), la popolazione manifesta ‘un timore religioso e un pio rispetto’ per la ‘Pierra Chevetta’ (Pietra della Civetta), senza sapere di lei altro che questo: protegge il villaggio e, finché durerà, né il fuoco né l'acqua potranno fargli del male. Nel cantone di Sumène (dipartimento del Gard) i contadini temono i dolmen e li evitano. Le donne del cantone di Annecy-sud dicono un Pater e un'Ave Maria quando passano accanto a un mucchio di sassi che si chiama ‘il Morto’. Ma questo timore si spiega con la credenza che vi sia seppellito qualcuno. Nella stessa regione, le donne si inginocchiano e si fanno il segno della
croce gettando un sasso sopra il tumulo che coprirebbe il cadavere di un pellegrino assassinato, o sepolto da una frana. Si incontra un'usanza simile in Africa. Gli Ottentotti gettano sassi sulla tomba del demiurgo Heitsi Eibib e le popolazioni bantu meridionali praticano lo stesso rituale per il demiurgo Unkulunkulu. Dai precedenti esempi risulta che la devozione o il timore religioso ispirato dai megaliti è sporadico in Francia, e dovuto, nella maggior parte dei casi, a ragioni diverse dalla magìa della pietra (per esempio alla ‘morte violenta’). Il concetto arcaico della fertilità delle pietre consacrate, dolmen, menhir, è del tutto diversa. Ma le pratiche si sono conservate un po' dappertutto, fino ai nostri giorni.


La ‘scivolata’.

L'usanza detta ‘scivolata’ è nota: per avere figli le donne scivolano lungo una pietra consacrata. Altra usanza rituale ancora più diffusa è la ‘frizione’, praticata per ragioni di salute, ma specialmente dalle donne sterili. A Decines (Rodano), ancora in tempi recenti, queste donne si ponevano a sedere sopra un monolito che sta in un campo nella località Pierrefrite. A Saint-Renan (Finisterra) la donna che desiderava un figlio si coricava per tre notti consecutive sopra una grande roccia, ‘la cavalla di Pietra’. Parimenti i novelli sposi, nelle prime notti dopo le nozze, venivano a strofinare il ventre contro quella pietra (28). La pratica si ritrova in molte regioni.
Altrove, ad esempio nel villaggio di Moedan, cantone di Pont-Aven, le donne che strofinavano il ventre contro la pietra erano sicure di avere figli maschi. Ancora nel 1923 le contadine che venivano a Londra abbracciavano le colonne della cattedrale di San Paolo per avere figli.
Deve integrarsi in questo medesimo complesso rituale l'usanza riferita da Sébillot: ‘Verso il 1880, poco lontano da Carnac, due coniugi sposati da parecchi anni e che non avevano figli, si recarono, alla luna piena, presso un menhir; si spogliarono e la moglie cominciò a girare intorno alla pietra, cercando di sfuggire all'inseguimento del marito; i genitori si erano messi di guardia nelle vicinanze per tener lontani i profani’. E' molto probabile che in passato ricorressero assai più spesso a tali sistemi. Si citano numerosi divieti del clero e dei re, nel medioevo, contro il culto delle pietre e specialmente contro l'emissione di sperma davanti alle pietre. Ma questo ultimo rito è assai più complesso, e non si può ridurre  -  come le ‘scivolate’ e le ‘frizioni’  -  a una credenza nella possibilità di fecondazione diretta da parte del dolmen o del menhir.
Anzitutto è ricordato il momento degli accoppiamenti (‘durante il plenilunio’) e questo indica tracce di culto lunare; poi l'accoppiamento dei coniugi o l'emissione di sperma davanti alla pietra si spiegano col concetto, più evoluto, della sessualizzazione del regno minerale, delle nascite dovute alle pietre, eccetera, corrispondenti a certi riti di fecondazione della pietra.
Queste usanze, come abbiamo già detto, conservano ancora, in massima parte, la credenza che un semplice contatto con la roccia o la pietra consacrata è sufficiente a fecondare una donna sterile. In quello stesso villaggio (Carnac), le donne andavano a sedersi sul dolmen Creuz-Moquem, sollevando le gonne; è stata piantata una croce sulla roccia per impedire la pratica. Esistono molte altre pietre chiamate d'‘amore’ o di ‘matrimonio’, che hanno virtù erotiche. In Atene le donne gravide andavano sulla collina delle ninfe e scivolavano sulla roccia invocando Apollo, per ottenere un parto felice.
Questo è un buon esempio del cambiamento di significato di un rito: la pietra della fecondazione diventa pietra del parto. Le stesse credenze sulle pietre che, per semplice contatto, dànno un parto facile, si ritrovano in Portogallo.
Numerosi megaliti favoriscono i primi passi dei bambini o assicurano loro buona salute. Nel cantone di Amance c'è una ‘Pietra forata’; le donne le si inginocchiano davanti e la pregano per la salute dei figli, gettando una moneta nel buco. I genitori portavano il neonato alla ‘pietra forata’ di Fovent-le-Haut e lo facevano passare per il foro. ‘Era, in un
certo senso, il battesimo della pietra, destinato a preservare il bambino dai malefìci e a portargli fortuna’. Ancor oggi le donne sterili di Pafo passano attraverso il pertugio di una roccia. Questa stessa usanza esiste in certe regioni dell'Inghilterra. Altrove le donne infilano soltanto la destra nel foro, perché dicono che questa mano sostiene il peso
del bambino. A Natale e il giorno di San Giovanni Battista (cioè ai due solstizi), si ponevano candele accanto a certe pietre forate, e si spandeva sulle pietre dell'olio, che poi veniva raccolto e usato come rimedio.
La Chiesa ha lungamente combattuto queste usanze. La loro sopravvivenza malgrado le pressioni del clero, e specialmente malgrado un secolo di razionalismo antireligioso e antisuperstizioso, è una nuova prova del vigore di queste pratiche. Quasi tutte le altre cerimonie relative a pietre consacrate (devozione, timore, divinazione eccetera) sono scomparse. Rimane soltanto quel che avevano di essenziale: la fede nella loro virtù fecondatrice. Oggi la credenza non è più basata su nessuna considerazione teorica, ma è giustificata da leggende recenti o da interpretazioni sacerdotali (un santo si è riposato su quella roccia; sopra il menhir c'è la croce, eccetera). Però talvolta si può distinguere una formula teorica intermedia: le pietre, le rocce, i menhir, sono frequentati dalle fate, e le offerte (olio, fiori, eccetera) sono destinate a loro. Non che alle fate si renda un vero culto, ma si domanda loro sempre qualche cosa.
Tuttavia la rivoluzione religiosa avvenuta con la conversione dell'Europa al cristianesimo finì con l'annientare il primitivo complesso teorico nel quale si inquadrava il cerimoniale delle pietre fecondatrici. La devozione manifestata dalle popolazioni rurali fino al medioevo per tutto quel che toccava le civiltà preistoriche (le cosiddette ‘epoche di pietra’), per i loro monumenti funerari, magici o cultuali, per le loro armi di pietra (la pietra del fulmine), non si spiega soltanto con la sopravvivenza diretta delle idee religiose dei loro predecessori preistorici, ma anche col timore, la devozione o l'ammirazione superstiziosa manifestata dalla gente di campagna verso quegli uomini, giudicati da quel che sopravviveva della loro civiltà litica. E' vero che le popolazioni rurali, come vedremo in seguito, consideravano le armi primitive ‘pietre del fulmine’, cadute dal cielo, e parimenti i menhir, le steli, i dolmen, erano ritenuti vestigia di giganti, di fate o di eroi. Ma questi giganti, fate, eroi, streghe, altro non avevano fatto che incorporare al proprio dominio le pietre e le silici che per la loro stessa struttura attiravano l'attenzione; in questo modo la loro ammirazione, la loro devozione e il loro timore trovarono un senso nuovo e una nuova giustificazione.


Pietre forate, ‘pietre del fulmine’.

Abbiamo osservato poco fa che la teoria tradizionale, quella che giustifica il culto delle pietre fecondatrici e la devozione alle pietre, fu sostituita (o almeno contaminata) da una teoria nuova. Esempio notevole è l'usanza (viva fino ai nostri giorni in Europa) di far passare i neonati per il foro di una roccia. Indubbiamente questo rito si riferisce a una ‘rinascita’, intesa sia come nascita, per il tramite di un simbolo di pietra, dalla matrice divina, sia come rinascita attraverso un simbolo solare. I popoli protostorici dell'India consideravano le pietre forate un emblema del "yoni", e l'azione rituale di passare per il buco implicherebbe rigenerazione per mezzo del principio cosmico femminile. Le ‘mole di pietra’ cultuali ("älv-kvarnar") della preistoria scandinava avevano forse una funzione analoga; il professor Almgren attribuisce loro un senso simbolico prossimo a quello del "yoni". Ma in India queste "ringstones" hanno anche un simbolismo solare; sono assimilate alla porta del mondo, "loka-dvara", traversando la quale l'anima può ‘passare oltre’ (salvarsi = "atimucyate"). Il foro della pietra si chiama ‘porta della liberazione’ ("mukti-dvara"), e in ogni caso questa formula non si può applicare a una rinascita per mezzo del "yoni" (la matrice), ma soltanto a una liberazione
dal Cosmo e dal ciclo karmico, liberazione implicita nel simbolo solare. Siamo di fronte a un simbolismo che manifesta un senso diverso dal rito arcaico del passaggio attraverso la "ringstone". Sempre in India, si trova un altro esempio della sostituzione di una teoria nuova all'antica: ancor oggi la pietra "salagrama" è sacra perché passa per il simbolo di Vishnu ed è sposata alla pianta "tulasi", simbolo della Dea Laksmi. In realtà il complesso cultuale pietra-pianta è un simbolo arcaico del ‘luogo consacrato’, dell'altare primitivo, e copre tutta la zona indo-mediterranea.
In molte regioni, le meteoriti sono ritenute emblemi o segni di fecondità. I Buriati sono convinti che certi sassi ‘caduti dal cielo’ favoriscono la pioggia e, in tempo di siccità, offrono loro sacrifici.
In molti altri villaggi si trovano pietre analoghe, di dimensioni ridotte; si recano loro offerte a primavera, per garantire un buon raccolto. Ne risulta che, se la pietra ha un valore religioso, questo dipende dalla sua origine: proviene da una zona sacra e fertile per eccellenza. Cade dal cielo insieme col fulmine che porta la pioggia. Tutte le credenze sulla fertilità delle ‘pietre della pioggia’ sono fondate sulla loro origine meteorica o sulle analogie che si sentono fra queste pietre e certe forze, forme, esseri, che comandano la pioggia. A Kota Gadang (Sumatra), per esempio, c'è una pietra che somiglia vagamente a un gatto. Avvicinandola alla parte rappresentata dal gatto nero in certi riti per ottenere la pioggia, si può supporre che questa pietra abbia la stessa virtù. L'analisi approfondita delle innumerevoli ‘pietre della pioggia’ rivela sempre l'esistenza di una ‘teoria’, che spiega la loro virtù di comandare alle nuvole; si tratta della loro forma, che ha una certa ‘simpatia’ con le nuvole o col fulmine, o della loro origine celeste (si ritengono cadute dal cielo), o del fatto che appartennero agli ‘antenati’; oppure furono trovate nell'acqua, o hanno una forma che ricorda la rana, il serpente, il pesce o qualche altro emblema acquatico.
L'efficacia delle pietre non è mai insita in loro; partecipano a un principio o incarnano un simbolo, esprimono una ‘simpatia’ cosmica o traducono un'origine celeste. Queste pietre sono SEGNI di una realtà spirituale diversa, o strumenti di una forza sacra alla quale servono soltanto di ricettacolo.

Meteoriti e betili.
Un esempio suggestivo della multivalenza simbolica della pietra è dato dalle meteoriti. La Pietra Nera della Mecca e quella di Pessinunte, immagine aniconica della Grande Madre dei Frigi, Cibele, portata a Roma durante l'ultima guerra punica, sono le più illustri meteoriti. Il loro carattere sacro era dovuto anzitutto alla loro origine celeste. Ma erano insieme immagini della Grande Madre, cioè della divinità tellurica per eccellenza. E' difficile credere che la loro origine uranica sia stata dimenticata, perché le credenze popolari attribuiscono
questa discendenza a tutti gli strumenti preistorici di pietra chiamati ‘pietre del fulmine’. Probabilmente le meteoriti divennero immagini della Grande Dea perché si credettero inseguite dal fulmine, simbolo del Dio uranico. Ma, d'altra parte, la Ka'ba era considerata il ‘centro del mondo’, cioè non soltanto il centro della terra: sopra di essa, nel centro del cielo, doveva trovarsi la ‘Porta del Cielo’. Evidentemente, cadendo dal cielo, la Pietra Nera della Ka'ba bucò il firmamento, e attraverso quel foro può avvenire la comunicazione fra Terra e Cielo (vi passa l'‘Axis Mundi’).
Le meteoriti quindi sono sacre, o perché cadute dal cielo o perché rivelano la presenza della Grande Dea, o perché rappresentano il ‘Centro del Mondo’. In ogni caso, sono SIMBOLI o EMBLEMI. Il loro carattere sacro suppone una teoria cosmologica e insieme un concetto preciso della dialettica ierofanica. ‘Gli Arabi adorano le pietre’, scriveva Clemente Alessandrino. Come i suoi predecessori monoteisti del Vecchio Testamento, l'apologeta cristiano era indotto dalla purità e dall'intensità della propria esperienza religiosa (fondata sulla rivelazione cristologica) a negare ogni valore spirituale alle antiche forme di culto. Considerando la tendenza strutturale dello spirito semitico a confondere la divinità col sostegno materiale che la rappresenta o manifesta la sua forza, si può supporre che al tempo di Clemente la maggioranza degli Arabi ‘adorassero’ i sassi. Ricerche recenti hanno dimostrato che gli Arabi preislamici veneravano certe pietre chiamate dai Greco-latini "baytili", parola di origine semitica che significa ‘casa di Dio’. Del resto tali pietre sacre non furono venerate soltanto nel mondo semitico, ma anche dalle
popolazioni dell'Africa del nord, anche prima dei loro contatti con i Cartaginesi. Ma i betili non furono mai adorati in quanto SASSI, lo furono soltanto nella misura in cui manifestavano una PRESENZA DIVINA. Rappresentavano la ‘casa’ di Dio, erano il suo segno, il suo emblema, il ricettacolo della sua forza o il testimonio incrollabile di un atto religioso compiuto in suo nome. Qualche esempio scelto nel mondo semitico farà comprendere meglio il loro significato e la loro funzione.
In viaggio per la Mesopotamia, Giacobbe attraversò Haran. ‘Giunto a un certo luogo, volendovi riposare dopo il tramonto del sole, prese delle pietre che vi si trovavano, e postele sotto il suo capo, ivi dormì. E vide in sogno una scala rizzata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; gli angeli di Dio salivano e discendevano per essa; e il Signore, appoggiato alla scala, gli diceva: ‘Io sono il Signore Dio d'Abramo tuo padre e il Dio d'Isacco; la terra nella quale dormi, la darò a te e alla tua stirpe...’ ... Svegliatosi Giacobbe dal suo sogno disse: ‘Veramente, il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo!’ e intimorito così continuò: ‘Quanto è terribile questo luogo! altro non è che la casa di Dio e la porta del cielo’. Alzatosi dunque al mattino, Giacobbe prese la pietra sulla quale aveva posato il capo e la alzò in memoria, versandovi olio sopra. E mise nome Bethel a quel luogo.


Epifanie e simbolismi litici.

Zimmern ha mostrato che "Beth-el", ‘casa di Dio’, è insieme nome divino e appellativo della pietra sacra, del betilo. Giacobbe s'è addormentato sopra una pietra, nel punto dove il Cielo e la Terra sono in comunicazione; era un ‘centro’ corrispondente alla ‘Porta dei Cieli’. Ma il Dio che appare in sogno a Giacobbe è il Dio di Abramo, come rileva il testo biblico, o è una divinità locale, il dio di Bethel, come credeva nel 1921 il Dussaud? I testi di Ras Shamra, che sono preziosi documenti per la vita religiosa dei Semiti premosaici, dimostrano che "El" e "Bethel" sono i nomi equivalenti di una stessa divinità. In altri termini, Giacobbe nel suo sogno ha visto il Dio dei padri e non una divinità locale. Per consacrare il luogo ha eretto un betilo, venerato in seguito dagli indigeni come una certa divinità, Bethel. Le "élites" monoteiste fedeli al messaggio di Mosè hanno sostenuto lunghe lotte contro quel ‘dio’, quelle lotte che Geremia ricorda. ‘Si può tenere per dimostrato che, nel famoso racconto della Visione di Giacobbe,... il dio di Bethel non era ancora il dio Bethel. Ma l'identificazione e la confusione poterono avvenire piuttosto rapidamente negli ambienti popolari’. Dove Giacobbe vide secondo la tradizione  -  la SCALA degli angeli e la casa di Dio, i contadini palestinesi vedevano IL DIO BETHEL.
Ma è bene ricordare che, quale che fosse il dio riconosciuto in Bethel dalle popolazioni autoctone, la PIETRA rappresentava tuttavia soltanto un SEGNO, una casa, una teofania. La divinità si MANIFESTAVA per il tramite della pietra, oppure  -  in alcuni rituali  -  doveva ATTESTARE e santificare un patto concluso nelle sue vicinanze. Questa TESTIMONIANZA consisteva, per la coscienza popolare, nell'incarnazione della divinità in un sasso, e per le "élites", in una trasfigurazione del sasso mediante la presenza divina. Dopo aver concluso il patto fra Jahvè e il suo popolo, Giosuè ‘prese una grossissima pietra, la collocò sotto la quercia che era nel santuario del Signore, e disse a tutto il popolo: ‘Questa pietra sarà in testimonianza per voi, che avete udito tutte le parole dettevi dal Signore, affinché non avvenga che voi vogliate negare...’ . Dio è ‘testimonio’ anche nelle pietre erette da Labano in occasione del suo patto di amicizia con Giacobbe. Simili pietre-testimoni furono probabilmente adorate dalle popolazioni
cananee in quanto manifestazioni della divinità.
La lotta delle "élites" monoteiste mosaiche era condotta contro la confusione frequente fra il SEGNO della presenza divina e l'INCORPORAZIONE della divinità in un qualsiasi ricettacolo. ‘Non vi farete idolo né scultura, non erigerete pilastri ("masseba", ‘pietra sacra’), né porrete nella vostra terra segnali cospicui ("maskit", ‘pietra figurata’) per adorarli’. E nei "Numeri" (33, 52) Dio ordina a Mosè di distruggere le pietre cultuali che avrebbe incontrato in Canaan:
‘Spezzate i pilastri scolpiti ("maskitim"), fate in bricioli le statue, distruggete tutti gli altari dei luoghi alti’. Qui assistiamo non a un conflitto fra la fede e l'idolatria, ma al combattimento di due teofanie, di due momenti dell'esperienza religiosa: da una parte la concezione arcaica, che identificava la divinità con la materia e la adorava, quale che fosse il luogo o la forma dell'apparizione divina; d'altra parte una concezione sorta dall'esperienza di un'"élite", che riconosceva la presenza divina soltanto nei luoghi consacrati (l'arca, il tempio, eccetera) e in certi riti mosaici, e cercava di confermare questa presenza nella coscienza stessa del credente.
Come per solito avviene, le antiche forme e oggetti cultuali, una volta modificato il loro significato e il loro valore religioso, furono adottati dalla riforma religiosa. Nell'Arca dell'Alleanza, ove secondo la tradizione si conservavano le Tavole della Legge, erano state forse racchiuse in origine certe pietre cultuali consacrate dalla presenza divina. I riformatori accettavano questi oggetti, valorizzandoli entro un complesso religioso diverso, conferendo loro un contenuto completamente differente. Ogni riforma, insomma, viene fatta contro una degradazione dell'esperienza originaria; la confusione fra SEGNO e DIVINITA' si era aggravata negli ambienti popolari, e appunto
per eliminare il pericolo di tali confusioni, le "élites" mosaiche distruggevano I SEGNI (le pietre figurate, le immagini scolpite, eccetera) o ne trasformavano il significato (‘Arca dell'Alleanza’). La confusione che rapidamente ricompariva sotto altre forme, determinava nuove riforme, vale a dire una nuova proclamazione del significato originario.


Pietra sacra, "omphalos", ‘Centro del Mondo’.

La pietra su cui si era addormentato Giacobbe non era soltanto la ‘casa di Dio’, era anche il luogo dove, per mezzo della ‘scala degli angeli’, Cielo e Terra venivano posti in comunicazione. Di conseguenza il betilo era un ‘centro del Mondo’, come la Ka'ba della Mecca o il Monte Sinai, come tutti i templi, palazzi e a centri’ consacrati ritualmente. La qualità di ‘scala’ che unisce il Cielo e la Terra derivava da una teofania effettuatasi in quel punto; la divinità che si mostrò a Giacobbe sul betilo rivelava, in quel momento, il luogo ove poteva scendere in terra, il punto ove il trascendente poteva manifestarsi nell'immanente. Vedremo più oltre che simili scale fra Cielo e Terra non sono
necessariamente localizzabili in una geografia concreta, profana; che il ‘centro del Mondo’ può venir consacrato ritualmente su infiniti punti geografici, senza che l'autenticità di ciascuno leda quella degli altri.
Ci contenteremo, per ora, di ricordare alcune credenze intorno all'"omphalos" (‘ombelico’) del quale Pausania dice: ‘Quel che gli abitanti di Dodona chiamano "omphalos" è fatto di pietra bianca e si ritiene che occupi il centro della terra, e Pindaro, in una delle sue odi, conferma questa opinione’. Molti lavori sono stati pubblicati sull'argomento. Rohde e la Harrison credono che l'"omphalos" rappresentasse in origine la pietra funebre posta sulla tomba. Il Roscher, che ha dedicato tre monografie al problema, afferma che l'"omphalos" fu concepito fin dall'inizio come ‘centro della terra’. Nilsson non sembra soddisfatto di queste interpretazioni e considera i due concetti della pietra tombale e del ‘centro del mondo’ recenti e sostituiti a una credenza più ‘primitiva’.
In realtà, le due concezioni sono ‘primitive’ e non si escludono fra loro. Una tomba, considerata come punto d'interferenza del mondo dei morti, del mondo dei vivi e di quello degli dèi, può essere contemporaneamente un ‘centro’, un ‘"omphalos" della Terra’. Ad esempio, presso i Romani il "mundus" rappresentava il luogo di comunicazione fra i tre domini: ‘quando il "mundus" è aperto, è aperta anche la porta dei tristi dèi dell'Inferno’, scrive Varrone. Il "mundus" evidentemente non è una tomba, ma il suo simbolismo ci permette di capire meglio la funzione analoga dell'"omphalos": le sue eventuali origini funerarie non contraddicono alla sua qualità di ‘centro’. Il luogo ove poteva stabilirsi la comunicazione col mondo dei morti e con quello degli dèi sotterranei, era consacrato come un anello di congiunzione fra i vari piani cosmici, e un tal luogo poteva trovarsi unicamente in un ‘centro’. Sovrapponendosi all'antico culto ctonio di Delfo, Apollo si annetté l'"omphalos" e i suoi privilegi. Inseguito dalle Erinni, Oreste è purificato da Apollo accanto all'"omphalos", il luogo sacro per eccellenza, l'‘ombelico’ che col suo simbolismo garantisce una nuova nascita e una coscienza reintegrata. La polivalenza della ‘pietra centrale’ è conservata ancor meglio nelle tradizioni celtiche. Lia Fail, ‘la pietra di Fail’ (il nome è oscuro; Fail = Irlanda?) comincia a cantare appena vi si siede sopra l'uomo degno del trono; nelle ordalie, l'accusato che sale su quella pietra, se è innocente, diventa bianco; di fronte a una donna destinata a rimanere sterile, la pietra suda sangue, ma per una donna destinata alla maternità, trasuda latte. Lia Fail è una teofania della divinità del suolo, l'unica che riconosce il proprio padrone (il re d'Irlanda), la sola che dirige l'economia della fecondità e garantisce le ordalie. Esistono, ben inteso, anche varianti falliche, tardive, di questi "omphaloi" celtici: la fecondità è per eccellenza attributo del ‘centro’, e i suoi emblemi sono spesso sessuali. La valorizzazione religiosa (e implicitamente politica) del ‘centro’ da parte dei Celti è attestata da nomi come "medinemetum", "mediolanum", conservati fino a oggi nella toponimia francese. Considerando gli insegnamenti della Lia Fail e di alcune tradizioni conservate in Francia, possiamo identificare questi ‘centri’ con le pietre onfaliche. Nel villaggio di Amancy (cantone della Roche), ad esempio, esiste (prova sicura del ‘centro ) una PIETRA DEL MEZZO DEL MONDO. La "Pierra chevetta" (cantone di Moutiers) non è mai stata sommersa dalle inondazioni, vaga sopravvivenza del ‘centro’ che il diluvio non è riuscito a inghiottire.


Segni e forme.

In tutte le tradizioni l'"omphalos" è una pietra consacrata da una presenza sovrumana o da un qualsiasi simbolismo. Come i betili e i "masseba" o i megaliti preistorici, l'"omphalos" ATTESTA qualche cosa, e da questa testimonianza trae il suo valore o la sua funzione nel culto. Sia che PROTEGGANO i morti (come, ad esempio, i megaliti neolitici), sia che attestino un patto concluso fra uomo e Dio o fra uomo e uomo (presso i Semiti), sia che ricevano un carattere sacro dalla loro forma o dalla loro origine uranica (meteoriti, eccetera), sia finalmente che rappresentino teofanie o punti di intersezione delle zone cosmiche, o immagini del ‘centro’, le pietre traggono sempre il loro valore cultuale dalla presenza divina che le ha trasfigurate. dalle forze extra-umane (le anime dei morti) che vi si sono incarnate, o dal simbolismo (erotico, cosmologico, religioso, politico) che le inquadra. Le pietre cultuali sono SEGNI ed esprimono sempre una realtà trascendente. Dalla semplice ierofania elementare rappresentata da certe pietre e da certe rocce  -  che COLPISCONO lo spirito umano con la loro solidità, durezza e maestà  -  fino al simbolismo onfalico o meteorico, le pietre cultuali non cessano mai di SIGNIFICARE qualche cosa che va oltre l'uomo.
Evidentemente questi ‘significati’ si trasformano, si sostituiscono, talvolta si degradano o si rafforzano. Non si possono analizzare in poche pagine. Basti dire che vi sono forme del culto delle pietre che hanno i caratteri di una regressione all'infantilismo; altre che, in seguito a nuove esperienze religiose o per il fatto di integrarsi ad altri sistemi cosmologici, subiscono trasformazioni tanto radicali che diventano pressoché irriconoscibili. La STORIA modifica, trasforma, degrada o, grazie all'intervento di qualche vigorosa personalità religiosa, trasfigura qualsiasi teofania. Vedremo più oltre il significato delle modificazioni portate dalla STORIA nel campo della morfologia religiosa. Ricordiamo per ora un esempio di ‘trasfigurazione’ della pietra: il caso di alcuni Dèi greci.
‘Risalendo ancor più lontano nel tempo’, scrive Pausania (7, 22,4), ‘si vedono tutti i Greci rendere onori divini non a statue, ma a pietre non lavorate ("argoi lithoi")’. Il personaggio di Hermes è preceduto da una lunga e confusa preistoria: i sassi collocati ai lati delle strade per ‘proteggerle’ e conservarle si chiamavano "hermai"; soltanto più tardi una colonna itifallica, sormontata da una testa d'uomo, un "hermès", passò per immagine del dio. Così, prima di diventare nella religione e
nella mitologia postomerica la ‘persona’ che sapete, Hermes in principio era soltanto una teofania di pietra. Queste "hermai" significavano una presenza, incarnavano una forza, proteggevano e fecondavano insieme. L'antropomorfizzazione di Hermes nasce dall'azione corrosiva dell'immaginazione ellenica e dalla tendenza che la gente ebbe, abbastanza presto, a personalizzare sempre più le divinità e le forze sacre. Sicché assistiamo realmente a un'evoluzione, la quale non implica affatto una ‘purificazione’ e un ‘arricchimento’ della divinità, ma soltanto una modificazione della FORMULA mediante la quale l'uomo in principio esprimeva la propria esperienza religiosa e il proprio concetto della divinità. Il Greco ha raffigurato in modi diversi, nel corso del tempo, i concetti che si sviluppavano nella sua immaginazione. Gli orizzonti del suo spirito audace, plastico e fecondo si ampliavano, e le antiche teofanie, sulla nuova scena ove andava perduta la loro efficacia, perdevano anche il loro significato. Le "hermai" manifestavano una presenza divina soltanto a una coscienza capace di ricevere la rivelazione del sacro in modo immediato, in qualsiasi gesto creatore, per mezzo di qualsiasi ‘forma’ o ‘segno’. Hermes, per suo conto, si staccò dalla materia; la sua figura divenne umana, la sua teofania diventò un mito.
La teofania di Athena presenta la stessa evoluzione del SEGNO alla PERSONA: quale che sia la sua origine, il PALLADIUM, nei tempi preistorici, manifestava la forza immediata della Dea. Apollo Agyieo, in principio, era soltanto una colonna di pietra. Nel Ginnasio di Megara c'era una piccola pietra piramidale chiamata Apollon Karinos; a Malea, Apollon Lithesios sorgeva accanto a un sasso, e questo epiteto del dio è stato recentemente interpretato con "lithos", etimologia che
Nilsson crede soddisfacente né più né meno delle precedenti. In ogni modo è sicuro che nessun altro dio greco, neppure Hermes, era circondato da tante pietre quanto Apollo. Ma come Hermes non ‘è’ la pietra, così anche Apollo non sorge dalla pietra: le "hermai" ponevano in rilievo soltanto la solitudine delle strade, la notte paurosa, la protezione del viandante, della casa, dei campi. E appunto perché si era annessi gli antichi luoghi di culto, Apollo prese possesso anche dei loro segni distintivi, pietre, "omphaloi", altari, in massima parte dedicati in principio alla Grande Dea. Questo non significa affatto che una teofania apollinea a base di pietra non abbia avuto corso, nel periodo in cui il dio non aveva ancora ricevuto il suo aspetto classico: per la coscienza religiosa arcaica, la pietra grezza evocava la presenza divina in modo più sicuro che non le statue di Prassitele per i loro contemporanei.