Giovanni Verga: i Romanzi, Vita dei Campi, Novelle Rusticane

Pensi ai racconti di Verga e ti vengono in mente i contadini nei campi sotto il sole cocente, le falci, i fichidindia, i limoni e le arance, i "delitti d'onore", carretti & asini, i poveri pescatori travagliati che perdono il carico di lupini durante la tempesta, le donne dal fascino alla "Maria Grazia Cucinotta" 



ma anche le consunte malate malariche, vedove o zitelle a vita, eternamente recitanti i rosari.





Ma se ti piace il Black Metal, quando leggi Verga, ti vengono in mente anche gli Inchiuvatu, eh eh! 




Una delle più geniali, innovative e particolari band non solo italiane, ma anche mondiali! Che hanno avuto il merito e il talento di dimostrare che l'equazione "Black Metal = Norvegia e freddo" NON è decisamente "sempre vera".

E così, riporto qui alcuni commenti critici dedicati a Verga, uno dei miei scrittori preferiti, corredato da qualche canzone degli Inchiuvatu o dei La Caruta Di Li Dei. Strano a dirsi, Verga mi piacque immensamente fin da quando lo studiai a scuola, forse perché è davvero l'unico autore che ci fecero fare bene. Ma forse anche perché essendo nata in una zona d'Italia senza il mare e piuttosto fredda, i racconti di Verga mi hanno sempre fatto sentire il mare e il sole "quasi sulla pelle", mentre li leggo.

Ecco qui un commento alla prima fase letteraria di Verga, quella dei romanzi romantici, che è anche la meno conosciuta e amata (anche per via del fatto che l'originalità non è molta, essendo personaggi fissi tipici dei romanzi romantici ottocenteschi); e poi i grandi capolavori di Verga, la sua fase verista, i grandi personaggi immortali come "Rosso Malpelo" o Mazzarò.

Info tratte da




sì, i cuoricini li disegnai quando andavo a scuola e avevo 13 o 14 anni, ah aha!




"Se il teatro e la novella, col descrivere la vita qual è, compiono una missione umanitaria, io ho fatto la mia parte in pro degli umili e dei diseredati da un pezzo, senza bisogno di predicar l'odio e di negare la patria in nome dell'umanità" (Verga)


La produzione rusticana, dalle "Novelle" al ciclo dei "Vinti" assicura a Giovanni Verga un posto di grande rilievo nella narrativa dell'Ottocento europeo.



Il corpus della produzione verghiana comprende numerosi romanzi, novelle, drammi e si è soliti dividerlo in scritti giovanili, della maturità e della vecchiaia. Più indicativo sarebbe distinguere da una parte la produzione "urbana", dall'altra la produzione "rusticana".
La seconda, la più importante, si situa nel decennio 1880-1889 e ha per sfondo la Sicilia del proletariato e del sottoproletariato contadino.
L'altra, che è precedente, indaga gli ambienti borghesi e piccolo borghesi urbani.


INTRODUZIONE AI ROMANZI

Il Verga esordì con il romanzo "I Carbonari della montagna"; la scena si svolge in Sicilia attorno al 1810-1812. Per combattere l'usurpatore Murat, i Borboni raggruppano nella Carboneria uomini valorosi sotto il comando di Corrado. Il "Gran Maestro" è amato da Giustina: questa scopre il nascondiglio del suo eroe e vi trova il diario "Memorie di un carbonaro"; in questo modo veniamo a conoscenza dei precedenti del giovane: la dolorosa fanciullezza, la fede, poi delusa, in Napoleone; il sogno anacronistico di un'Italia unita; e tutti i suoi eroismi, amori, delitti, rinunce impossibili. Tradito dai Borboni, come lo era stato da Carolina, l'unica donna amata, Corrado viene condannato a morte.

Il romanzo ebbe un discreto successo; subito Verga fa uscire il secondo romanzo "Sulle lagune", ambientato a Venezia.
Questa la trama: Stefano Keller ama una giovane veneziana, Giulia Contini. Padre e fratello di lei sono perseguitati dall'Austria per i loro sentimenti italiani. La fanciulla viene affidata alla protezione di un nobile austriaco, il conte Kruenn. Ma questi, vuole sposare Giulia... Ansie, duelli, sospetti, alla fine, tutto si chiarisce.

"Una peccatrice" fu il vero esordio del Verga sulla scena letteraria nazionale, anche se in seguito l'autore ripudiò l'opera e tentò di vietare le ristampe. "Dissotterrare simili peccati e simili peccatrici è un brutto tiro che si fa al pubblico e agli autori!"
Il narratore si imbatte per caso nel corteo funebre della contessa da Prato e si propone di ricostruire le vicende della donna.
Pietro Brusio, giovane catanese aspirante scrittore, impazzisce a prima vista per una bella di lusso, Narcisa Valderi, moglie del conte da Prato. La perseguita con una corte assidua ma silenziosa, non corrisposto.
La delusione trascina il giovane a una "vita indegna ed abbietta". D'improvviso il riscatto e la vittoria in amore: la sua esperienza personale gli ispira un dramma, "Gilberto", che ottiene a Napoli un successo clamoroso. Narcisa sente di amare quel giovane divenuto poeta per colpa e merito suo. è l'amore folle che porta con sé l'immancabile duello: Pietro, tiratore infallibile, risparmia il conte per non turbare con un lutto il tenero cuore dell'amante. Poi, altrettanto improvviso, il terzo atto: "è forse meglio che ci separiamo, Narcisa", dice Pietro. Per la donna che ha amato "di un amore sfrenato" è la fine. Rimpianti, rimorsi e l'oppio che la finisce. Pietro, invece, continuerà a vivere un'esistenza perfettamente mediocre.

"Storia di una capinera" (pubblicato a Milano nel 1871) diede al giovane Verga fama. Lo scrittore vede una capinera morire prigioniera in gabbia, uccisa dall'amore dei fanciulli che l'avevano rinchiusa; e quando gli narrano la storia di una suora prigioniera pensa "alla povera capinera" e ne trae il titolo per un racconto (uno dei miei preferiti. Nota di Lunaria)

è un romanzo epistolare, basato sulle lettere che Maria, la protagonista, scrive all'amica Marianna, dal 1854 al 1856, più due lettere senza data e, nella chiusura, l'annuncio della morte di Maria firmato da suor Filomena. Il colera tiene Maria e la famiglia lontani da Catania e dal convento dove, cessati i pericoli del contagio, la fanciulla sarà di nuovo rinchiusa. Per Maria è una parentesi di felicità. Conosce Nino, destinato alla sorellastra Giuditta. Nasce l'amore, ma bisogna partire per Catania, per la clausura. Maria impazzisce e muore, tormentata dalla segregazione e lontana da Nino.

Nota di Lunaria: lessi "Storia di una capinera" parecchi anni fa, avrò avuto 16 anni e mi commosse fino alle lacrime. Penso che lo tratterò più nel dettaglio nei mesi a venire, riportando un commento critico molto più esteso.

"Eva" (1873) è considerata da molti la cosa migliore del primo Verga. L'autore-narratore è ad un veglione in maschera da Eva, la prima ballerina della Pergola, "donna non... più bella di tutte le altre, né più elegante, ma non somigliante a nessun'altra."
Un arlecchino pazzerello che segue Eva con insistenza si impegna in una scommessa con il conte Silvani, amante ufficiale della donna: darà un bacio alla ballerina prima che la festa termini. La maschera nasconde Enrico, pittore emigrato; il giovane siciliano racconta all'amico casualmente incontrato la sua storia: un po' di tempo prima aveva assistito a uno spettacolo della Pergola e scritto alcune pagine vive e ardenti sulla prima ballerina, Eva, che lo aveva sconvolto. Il suo racconto viene pubblicato e fa furore. è l'occasione per l'incontro con la ballerina, e nasce l'amore. Per Eva è un'avventura, per Enrico il rapporto è una passione esistenziale. Ma poi scopre l'esistenza di un rivale, il conte Silvani. Chiede ala donna di abbandonare il teatro e di seguirlo: Eva accetta. Ma la miseria e la convivenza uccidono l'amore e così Eva se ne va. Enrico riesce per un poco a sopportare il dolore, ma la ferita sanguina e il sangue trasuda: subisce una febbre di tisi e di follia.
La scena ritorna alla sala da ballo e alla scommessa. Enrico vince, il conte lo sfida a duello. Silvani resta sul terreno, Enrico, ferito e malato, andrà a morire presso i familiari, nella sua terra.

"Tigre Reale" (1873) è un altro romanzo d'amore. Il protagonista è Giorgio La Ferlita: "A vent'anni aveva pubblicato un volume di versi che posarono un'aureola precoce sui suoi capelli biondi; a trenta correva per le capitali e le alcove a spese dello Stato." Lei, Nata, una contessa russa: a Firenze è venuta a curare la tisi. Inizialmente, il loro è un rapporto d'amicizia più che d'amore. La Ferlita sa di dover recitare una parte, e lo fa. Sa che bisogna compiere delle pazzie e le cerca. La carriera diplomatica vuole Giorgio a Lisbona. Per rimanere vicino all'amata sta per rinunciare al viaggio ma la contessa deve ritornarsene in Russia con il riesumato marito. Giorgio si consola sposando la ricca Erminia. Ha un figlio, è quasi felice. Ma presto ricompare il fantasma di Nata: fantasma, perché la donna è quasi morente.
I due si rivedono, si amano: per Nata Giorgio è un ultimo appiglio alla vita che se ne va.  Ma il figlio di Giorgio ha una grave crisi; il pericolo è scongiurato, ma qualcosa ha staccato Giorgio da Erminia, che si consuma. Nasce una sofferta simpatia tra lei e il cugino Carlo. Erminia confessa a Giorgio di aver amato il cugino, e chiede il perdono al marito. I due sposi partono per la campagna: sulla loro via è il treno funebre che riporta in patria il corpo di Nata. 

"Eros" (1875) Il marchese Alberto Alberti ama la cugina Adele: giovane, serena, pura, lo affascina e lo scontenta. A lui occorre una donna più matura ed esperta. La trova in un'amica di Adele, Velleda; per poco, perché va in sposa ad un uomo indesiderabile ma ricchissimo, il principe Metelliani. Alberti supera il trauma dell'abbandono. Accetta una donna sposata, la contessa Armandi. Sempre vittima del fascino femminile, Alberto è un uomo finito; ma incontra Adele che lo ha atteso. Distrutto ed indebitato, la sposa. Ma non può rimanerle fedele: rivede Velleda e vuole prendersi la sua rivincita. Adele, per questo dispiacere, ne muore. Ad Alberto non resta che il suicidio.

INTRODUZIONE AI "MALAVOGLIA"


Nel 1875, in una lettera del Verga al Treves, suo editore, c'è un nome: Padron 'Ntoni. è presentato come il protagonista di un "bozzetto marinaresco". Il 22 aprile 1878, in una lettera all'amico Salvatore Paola, lo scrittore accenna ad una serie di romanzi organizzati in una struttura ciclica: "... i racconti sono cinque, tutti sotto il titolo complessivo della "Marea" e saranno 1) Padron 'Ntoni; 2) Mastro don Gesualdo; 3) La duchessa delle Gargantas; 4) L'Onorevole Scipioni; 5) L'uomo di lusso"

Pochi giorni dopo, scriveva all'amico Capuana: "Hai trovato una 'ngiuria che si adatti al mio titolo? Che ti sembra di I Malavoglia?"

Il romanzo apparve nel 1881, come primo volume di un ciclo che avrebbe dovuto comprendere i cinque volumi indicati riuniti sotto il titolo complessivo di "I Vinti". L'elaborazione fu lunga e faticosa, lo dimostrano le quattro stesure manoscritte e superstiti, e gli espliciti accenni a correzioni sulle bozze, ma ne uscì una scrittura nuova. 
Nella prefazione al romanzo e al ciclo troviamo le premesse ideologiche del Verga. è una dichiarazione-manifesto sulla società e sul significato e la possibilità dell'arte: nel progresso dell'umanità, si contano, a tutti i livelli, delle vittime ma la storia guarda solo ai risultati finali e positivi, non alle anonime e private sconfitte, ai vinti.
Ad essi l'autore rivolgerà la sua attenzione obiettiva, per descrivere il meccanismo che li spinge e li imprigiona nel flusso progrediente e la fatalità incidentale che decreta la loro sconfitta.
Verga da questo punto di vista pensa e scrive sotto l'influsso di una scuola letteraria che in Francia va sotto il nome di Naturalismo e da noi venne chiamata Verismo.
è con "I Malavoglia" che il Verismo nasce. Le pagine del romanzo conquistano il lettore con il fascino poetico che nasce dalla pietas verso i vinti.

I fatti narrati nei "Malavoglia" abbracciano un periodo di 12 anni, dal 1864 al 1876 e sono distribuiti in 15 capitoli.
Siamo a Trezza (https://intervistemetal.blogspot.com/2022/02/la-leggenda-di-aci-trezza.html): nella famiglia Malavoglia domina il vecchio padron 'Ntoni, suo figlio Bastianazzo, sua nuore Maruzza La Longa e i nipoti 'Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia.
Il nipote più grande, l'unico che può dare una mano nel governo della barca "La provvidenza" è soldato. Per mettere su qualche soldo, padron 'Ntoni tenta una piccola speculazione su una partita di lupini: se li ingoia il mare, con Bastianazzo e un garzone. E bisogna pure pagare il carico perduto. I Malavoglia, che erano padroni, diventano poveri e perdono tutti gli amici.
Il giovane 'Ntoni torna dal servizio militare: lo sostituisce Luca. La barca è rimessa in sesto, si potrà almeno lavorare sul mare. Ma 'Ntoni non si adatta alla fatica, è svogliato; corteggia una ragazza per sposarla mentre Mena prova un amore segreto per Alfio Mosca, il carrettiere; ma Compare Alfio lascia il paese e Mena si fidanza con Brasi Cipolla. Durante una festa, arriva la notizia che Luca è morto a Lissa. Il debito dei lupini è ancora da pagare e quindi non resta che cedere la casa, soprannominata "La casa del nespolo", al creditore Tino Piedipapera. Sia 'Ntoni sia Mena devono dire addio all'amore. Ma non è finita la sventura per i Malavoglia: un uragano sorprende padron 'Ntoni e i due nipoti in mare: si salvano a stento; la famiglia sembra riprendersi con la forza e l'orgoglio degli umili. Il giovane 'Ntoni è però stanco di quella vita, vuole andarsene, si trattiene solo perché la madre lo supplica di non abbandonarla. Quando il colera se la porta via, nulla più lo trattiene in paese. Don Michele, il brigadiere, si accorge che Lia sta diventando una bella ragazza: la corteggia e avverte lei e Mena di stare in guardia per il fratello maggiore: 'Ntoni infatti è tornato e si è messo in una brutta compagnia di contrabbandieri. E una sera, sorpreso in flagrante delitto, il giovane ferisce don Michele.
Al processo, il cuore di padron 'Ntoni cede alla vergogna quando sente che Lia se la intendeva con Michele. 'Ntoni è condannato a cinque anni; Lia invece se ne va di casa e "nessuno la vide più".
Sono rimasti in pochi, i Malavoglia: Alessi lavora per riscattare la casa; padron 'Ntoni vuole andare all'ospedale per non gravare sulle spalle dei nipoti. Alessi sposerà la Nunziata; Alfio Mosca riparla di matrimonio a Mena, ma lei dice che ormai è troppo vecchia. La casa del nespolo viene riscattata, e una sera viene a bussare 'Ntoni: viene a chiedere perdono, ma ora che la casa è stata riscattata dai puri, lui che l'ha infangata non può rimanere; se ne va e nessuno lo ferma. 

I PERSONAGGI DI "VITA DEI CAMPI"


"Vita dei campi", 1880, apre il decennio dei capolavori verghiani. Comprende nove racconti.

Fantasticheria: la presentazione del mondo rusticano dei Malavoglia a una distratta viaggiatrice che ha trascorso 48 ore ad Aci Trezzi.

Jeli il pastore: Jeli si sposa la Mara di massaro Agrippino, dopo che il figlio di massaro Neri l'aveva lasciata perché "se la intendeva con don Alfonso il signorino". La tresca non finisce dopo le nozze. A Jeli gliela cantano in tutte le musiche e lui zitto. Ma un giorno in cui vede don Alfonso ballare con la moglie, gli taglia la gola: "Solo allora, come vide che la toccava, si slanciò su di lui, e gli tagliò la gola di un sol colpo, proprio come un capretto [...] Come! - diceva - Non dovevo ucciderlo nemmeno?... Se mi aveva preso la Mara!..."

Rosso Malpelo: suo padre è morto nella cava di rena. Lui, un ragazzino, continua a lavorarci, picchiato ed insultato da tutti perché ha i capelli rossi e quindi è "un birbone": "Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone [...] Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vedersi davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro."
E ci lascerà anche la pelle: nessuno vuole andare ad esplorare un passaggio nella cava, è troppo pericoloso. Ci mandano Rosso Malpelo che "prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane e il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui [...] Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzini della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi."

Cavalleria rusticana: Turiddu Macca, il figlio di gnà Nunzia, torna da militare, ma la Lola non l'ha aspettato, è già promessa e sposa il ricco compare Alfio. Turiddu lo fa becco e Alfio lo scanna in un duello rusticano.

La Lupa: "Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna... era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai - di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia... ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti": la Lupa fa sposare Nanni alla figlia Maricchia, per poterci andare lei insieme. Nanni ci casca; ha un bel pregare di tenerlo lontano da quella; e alla fine l'ammazza con la scure: "Ei come la scorse da lontano, in mezzo a' seminati verdi, lasciò di zappare la vigna, e andò a staccare la scure [...] La Lupa... seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi e mangiandoselo con gli occhi neri."

L'amante di Gramigna: Peppa è sedotta dal mito del bandito Gramigna. Rinuncia al fidanzato, un "signore", e raggiunge il fuggiasco. Saranno catturati. Per lui la prigione, lei sola a casa con un figlio. Poi se ne va a vivere all'ombra dei carceri, sguattera di carcerieri e militi, ma in quell'atmosfera dove, lontano e dimentico di lei, viveva forse Gramigna.

Guerra di santi: due quartieri parteggiano per due santi: i conciapelli per san Pasquale, i contadini per san Rocco. è un tifo che sfocia in disordini e manda all'aria i matrimoni. Per mettere un po' di pace non bastano autorità civili e religiose. Ci vorrà il colera a sopire l'astio tra le fazioni.

Pentolaccia: "è un bello originale anche lui, e ci fa la sua figura tra tante bestie che sono alla fiera". Sua moglie fa la civetta con don Liborio, il medico, ma Pentolaccia tace e lavora. Finché un giorno sentì chiamarsi becco e non si nasconde più la verità: "Stavolta parve proprio che il diavolo andasse a stuzzicare Pentolaccia, il quale dormiva, e gli soffiasse nell'orecchio gl'improperi che dicevano di lui"
La prima volta che don Liborio varca la soglia della casa non sua, Pentolaccia l'ammazza come un bue, senza bisogno di medico né di speziale.

Il come, il quando e il perché: si torna in un centro urbano e il livello sociale si eleva. Un abile dongiovanni, tale Polidori, corteggia una borghesotta lombarda, Maria Rinaldi. Lui è un professionista, lei vuole solo provare i brividi del tradimento. Un'amica la devia su Roma, in tempo per strappare il marito al suicidio per fallimento. La donna quindi dimentica tutto. 


I PERSONAGGI DI "NOVELLE RUSTICANE"

Dodici racconti:

Il Reverendo: un povero che per la scalata alla ricchezza sceglie l'abito talare.

Cos'è il re: compare Cosimo, il lettighiere, ha l'onore di trasportare la regina: e se una mula mette un piede in fallo? Il re è capace di fargli tagliare la testa! Il viaggio è lungo, le giaculatorie tante e Cosimo torna a casa con la testa sule spalle ma ammalato per l'ansia. Passano gli anni, vengono le strade e la sua lettiga è inutile. Il re e la regina le hanno volute in nome del progresso. E a lui gli portano via le mule perché non hanno i soldi per pagare i debiti. Ma se il re fosse stato lì, lui gli avrebbe parlato: l'aveva conosciuto. E non voleva capirlo che adesso il re era un'altro.

Don Licciu Papa: è la guardia giurata del paese. Viene avanti gridando: "Largo alla giustizia!" Ma la sua giustizia è quella dei ricchi, come gli urlava compare Vito quando gli pignorarono la mula: "La giustizia è fatta per quelli che hanno da spendere." Così capita a curatolo Arcangelo, che il Barone e il Reverendo scacciano di casa per allargarsi. E finisce che lui spacca la testa al signorino che gli rubava la figlia, in barba a don Licciu. Gli diedero l'avvocato gratis e solo cinque anni.

Il Mistero: don Angelino fa rappresentare la Fuga in Egitto: per attori e spettatori ogni scena è uno spiraglio che si apre sui dolori e sulle speranze della propria misera esistenza. Comare Filippa, a vedere i malandrini che inseguono il gesù bambino, pensa al marito assassino "quando gli era arrivato alla capannuccia della vigna tutto trafelato, coi gendarmi alle calcagna..." I ladri del mistero sono Janu e mastro Cola: entrambi tengono compagnia a una vedova, comare Venera. A Janu "quelle cose in testa" non piacevano. E con una fucilata nella schiena di mastro Cola dirime la questione. "Gli fecero un processo e se lo portarono al di là del mare, col marito di comare Filippa".

Gli orfani: un coro di donne accompagna la fine di comare Nunzia, il pianto della bimba, il dolore del marito: è la seconda figlia di curatolo Nino che sposa e gli muore.
Comare Sidora dice che deve risposarsi, per la piccina, ci penserà lei a persuadere la cugina Alfia. In sintonia con queste lacrime, quelle della vicina Angela, che perde l'asino e lo deve piangere come e più di un cristiano: "non possiede altro! Quella sì che dovrà pensarci sempre"

Storia dell'asino di San Giuseppe: un asino col pelame bianco e nero, passa da un padrone all'altro scontando sulla sua povera pelle le loro miserie e sfortune.

Pane Nero: "Il guaio è che non siamo ricchi per volerci bene" dice Santo di sé e della moglie, la Rossa.
Così è per sua sorella Lucia e per Brasi. Brasi lascerà che don Venerando, il padrone, se la intenda con Lucia e le faccia la dote, che anche lui si godrà.

I galantuomini: "Anche i galantuomini hanno i loro guai" Così don Marco, al quale la lava distrugge tutto. E don Piddu, che sembra scomunicato da Dio. Cade in rovina e pazienza; ma una sua figlia va a perdersi con il ragazzo di stalla.

Altre novelle completano la raccolta: "Malaria", "La roba", "Libertà", "Di là dal mare".

Nota di Lunaria: un commento per "La roba", la mia novella preferita, incentrata sulla vita di un egoista avaro, Mazzarò, contadino arricchitosi col duro lavoro (e privazioni varie) ed incapace di staccarsi dalla sua "roba" (campi, animali nella fattoria).

Amo profondamente l'Opera verghiana, prima fra tutte, "Storia di una Capinera"; i personaggi descritti da Verga nelle sue novelle sono davvero indimenticabili. Piccoli pulviscoli di argilla in balia delle miserie dell'esistenza che s'affannano per niente.
Come dimenticare Mazzarò, il protagonista che incarna la pura avarizia nella novella "La roba"?

"Era il 1883, quando Verga pubblicava questa e le altre "Novelle Rusticane" presso l'editore torinese Casanova. Nel racconto appena evocato si condensava già in germe quell'albero narrativo grandioso che lo scrittore catanese avrebbe offerto al suo pubblico nel 1889, il capolavoro "Mastro don Gesualdo" [...] In esso il secondo peccato capitale, l'avarizia, acquistava un altro profilo, più umano: infatti, nella storia di questo operaio indefesso, anch'egli creatore di "roba" dall'alba al tramonto, l'accento cadeva più sul lavoro come religione esigente che richiede una consacrazione assoluta. [...] Mai l'amore avrebbe attraversato quell'esistenza. Anche la triste sposa Bianca Trao, fiore evanescente e sacrificale di una famiglia aristocratica decaduta, anche la fedele serva e amante Diodata ("Ci hai lavorato, anche tu, nella roba del tuo padrone!"), anche la dissipata figlia adulterina Isabella non incideranno mai nell'anima di Mastro don Gesualdo se non in funzione e alla luce dei suoi amati e preziosi averi. Roso dall'insaziabilità della sua avidità, dal cancro e dal fiele della paura, egli vedrà calare il sipario sui suoi beni e possessi in una stanza appartata del palazzo allestito per la figlia duchessa, nella città di Palermo a lui estranea, lontano dai suoi tesori, dai suoi campi, dalle sue case e dalla sue cose. Come atto estremo Gesualdo implorerà vanamente la figlia perché difenda, protegga, ami la "roba", intuendo però con orrore che questa preghiera non sarebbe mai stata esaudita." 


Il poeta mistico persiano Farid ad-din 'Attar (XII-XIII secolo) ripeterà: "L'uomo suda sangue per accumulare oro, ma quando va a prenderlo, la morte glielo strappa di mano."

L'avaro, morendo, non vorrebbe, ma deve separarsi da quella realtà che è un avere divenuto il suo stesso essere, la sorgente della sua sussistenza.
E secondo questa chiave di interpretazione, e l'attenta analisi psicologica di Mazzarò, la conclusione alla novella di Verga non poteva che essere: "Quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava amazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava << Roba mia, vientene con me! >> "



I personaggi vinti e offesi di Verga

I protagonisti delle novelle e dei romanzi di Verga sono sempre dei vinti, degli umiliati e degli offesi. Perché? C'è forse nello scrittore siciliano una precisa polemica sociale, tesa a identificare i colpevoli, a proporre terapie risanatrici?
Forse. Ma subito si rileva che l'antagonista negativo, il nemico da distruggere, quasi non presenta fisionomia, è confuso nelle sfumature delle vicende.
Chi vuole scoprire e dare un volto agli oppressori, ai malvagi, deve leggere tra le righe, coglierli di sorpresa. Hanno nomi neutri: soprastanti, fattori, gentiluomini, guardie e tutto il nostro prossimo; sono le bestie, il mare, la roba, la malaria, la giustizia. E la roba, la terra e la giustizia sono del padrone.
Possesso assoluto, il suo. Questo principio nessuno osa respingerlo, nessuno le mette in dubbio, neppure chi ne è vittima rassegnata. Il fattore maltratta Jeli perché lo stellato è finito giù nel burrone: "Non so chi mi tenga dallo stenderti per terra accanto a quel puledro che valeva assai più di te, con tutto il battesimo porco che ti diede quel prete ladro".
E a pasqua, quel fattore manda "tutti gli uomini della fattoria a confessarsi, nella speranza che pel timor di Dio non rubassero più."
A Rosso Malpelo il padrone della cava dà due soldi per tanta fatica "e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti." I compagni di fatica lo angariano, lo insultano, ma a lui sembra tutto naturale. Per i poveracci, come per gli asini, non c'è molta scelta: o non venire al mondo ("ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio") oppure tirare avanti a badilate. Questa è la morale che Rosso Malpelo rifila a Ranocchio, un disgraziato che sta peggio di lui, suo amico e vittima: come le bestie da soma, appunto, che l'uomo di fatica accarezza e bastona ("gli faceva animo alla sua maniera, sgridandolo e picchiandolo").
A don Liborio, medico, non rimorde la coscienza nel godersi la moglie di un altro, anzi costui "ci aveva il suo vantaggio", avrebbe dovuto considerarsi un beneficiato.


I vinti nei "Malavoglia"

Nella prefazione a "I Malavoglia" e a tutto il ciclo dei Vinti, Verga dà un nome al male dei suoi eroi e degli uomini, un nome astratto, mitologico: "la conquista del benessere". è la speranza e la lotta per il meglio, cioè per la vita, che conduce tutti, i deboli come i forti. Perché i vincitori di oggi sono i vinti di domani. A Padron 'Ntoni e ai suoi il male appare sotto le spoglie di un prosaico carico di lupini, nel mare che li inghiotte, in una folla di mediocri o inetti o malvagi senza colpa.
La mano che ha mosso l'ingranaggio del destino è poi quella di un villano di paese, ricco quanto gretto, lo zio Crocifisso. Brav'uomo anche lui, che aiutava tutti, cominciando dai parenti: "Quando vado a giornata da lui (dice il figlio della Locca) mi dà mezza paga e senza vino, perché siam parenti."
Gli tien mano compare Tino Piedipapera, che però riesce a essere spiritoso quanto l'altro è piagnucoloso ("Lo fa per il tuo bene, per non farti ubriacare...") e tutta la schiera dell'autorità, i perni dell'ordine costituito, i brigadieri "che stanno a guardia della roba dei galantuomini".
Padron 'Ntoni non ce l'ha con alcuno, né con zio Crocifisso, né col compare, né col destino. Con nessuno: tutti fanno la loro parte, per vivere; e tutti, per mangiare, predano chi non può difendersi, il debole in agonia. Sono le leggi dell'esistenza, che anche i Malavoglia rispettano e temono. Alessi e Nunziata, i due scampati al naufragio, che hanno risalito a poco a poco la china, saranno i giudici implacabili di 'Ntoni: non gli allungano una mano per aiutarlo, lo guardano scomparire in silenzio, come all'esecuzione decisa da un re misterioso.
Nelle "Novelle Rusticane" e nel "Mastro-don Gesualdo" i centri del potere, le forze che ributtano a mare i deboli, che calpestano le mani che cercano l'appiglio, escono dalla luce mitica, si presentano al sole di tutti i giorni. Li introduce "il Reverendo" che è "tutt'uno col giudice e col capitan d'armi e il re Bomba gli mandava i capponi a Pasqua e a Natale"; la sua forza sta negli arnesi della confessione: "li teneva in mano e se cascava in peccato poteva darsi l'assoluzione da sé".
Varianti di questo signore feudale, con tanto di benedizione di Dio, e maledizione degli uomini, sono il canonico Lupi, don Gianmaria e anche Vito Scardo nella sua tenace e paziente scalata al saio cappuccino al "mestiere che fa per me".
Lo aveva scritto anche il Manzoni: la scelta dell'uomo è tra fare un torto e il subirlo. E la morale spicciola che lo zio Masi, l'accalappiaporci comunale, fa a comare Santa, che lo supplica di lasciarle la porcellina: "Questo è l'ordine del sindaco... Se vi lascio la porcellina, perdo il pane".
Come lui, don Licciu Papa, compari, guardie, notai, speziali e re.
Anche il sovrano, nonostante la corona, non è più bello o più buono degli altri. Si prende i ragazzini per la leva quando sono buoni a guadagnarsi il pane; caccia la gente in prigione o sulla forca o dove gli pare; o magari, con una sola parola, ti manda via contento. Poi da un giorno all'altro, lo cambiano, ma per i poveri tutto procede allo stesso modo. Ma qualche volta, la massa si scuote: forse quando si vergogna di chiudere gli occhi sui propri guai e decide di cancellare d'un colpo la vigliaccheria di sempre. Allora scoppia la rivoluzione. Mastro don Gesualdo ne sconta due, e tutti ce l'hanno con lui, e la roba lo fa diventare uno sporco borbonico. La terza rivoluzione è quella del 1860: la vivono e scontano i protagonisti di "Libertà". 
La folla fa giustizia degli affama-popolo, degli oppressori, galantuomini e dei loro lacchè: il barone, il prete, lo sbirro, il guardiaboschi, il figliolo del notaio, la baronessa e i suoi bambini, anche il lattante. Giustizia è fatta, e la libertà viene per tutti anche se qualcuno pretende di sostituirsi ai morti nelle prepotenze. Ma ecco arriva il generale a fare la sua, di giustizia. Tanto per chetare le acque "ordinò che gliene fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono. Il taglialegna, mentre lo facevano inginocchiare addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre...". Poi il processo, dopo tre anni di prigione e senza vedere il sole; sul banco degli accusati "la povera gente", sugli scanni della giustizia i soliti galantuomini. Lo scetticismo politico del Verga si delinea nitido e coerente in ogni sua pagina, nella continua, desolante sconfitta dell'uomo. La dialettica sociale, le guerre, le rivoluzioni sono il prezzo del progresso: lo pagano tutti.


Aggiungo delle foto sui luoghi narrati da Verga oltre che sulla sua vita personale e i personaggi dei suoi racconti

































Qualche pittore italiano dell'Ottocento








E se ti piace Verga, prova ascoltare gli Inchiuvatu o La Caruta Di Li Dei col loro Black Metal siciliano...
 

Per approfondire la magia in Sud Italia: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/sud-e-magia.html




E come canzone degli Inchiuvatu\La Caruta Di Li Dei, io apprezzo soprattutto queste:


 


Resta solo una domanda, che probabilmente solo io posso chiedermi: che ne penserebbe Verga degli Inchiuvatu??!!?


P.s per una storia della mafia vedi:
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/le-origini-della-mafia-dal-1861-ad-oggi.html
Per una storia del brigantaggio: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/02/il-brigantaggio.html
Per una storia della Sicilia: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/sicilia-storia-curiosita-letteratura.html