Carla Lonzi, Pensiero della Differenza



Info tratte da


In Italia il Femminismo nasce soprattutto nel 1968, separandosi dal movimento giovanile e dai tradizionali partiti e sindacati.
Si sviluppa a Roma e a Milano e si farà notare, soprattutto agli inizi, per l'impegno nella lotta piuttosto che non per elaborazioni teoriche.
Temi trattati dal Femminismo italiano sono stati: aborto legalizzato e assistito, contraccezione, divorzio (e anche contro lo stupro e l'abominio del "sposare il proprio stupratore" Nota di Lunaria)
Il Femminismo italiano delle origini utilizzava soprattutto "i gruppi di autocoscienza" organizzando librerie e case editrici, centri di documentazione e riviste.


La Pensatrice italiana che più sente l'esigenza dell'elaborazione teorica è Carla Lonzi (1931-1982)
[Nota di Lunaria: è morta troppo giovane, Carla Lonzi... e questo mi rattrista, considerato il fatto che in Italia la maggior parte delle femministe ha sempre cercato di "salvare il salvabile" del cristianesimo, Carla Lonzi invece è stata tra le prime ad affermare che non c'era bisogno di "venire a patti" con le ideologie maschili, visto che tutte erano colonizzazione mentale]


Carla Lonzi fece parte del gruppo Rivolta Femminile e nel 1970 scrive "Sputiamo su Hegel" seguito da "La donna clitoridea e la donna vaginale"
(Nota di Lunaria: pensatrice analoga che scrisse sullo stesso tema fu Anne Koedt con "Il mito dell'orgasmo vaginale")
Carla Lonzi anticipa il separatismo radicale nel movimento femminista.

In sintesi, Carla Lonzi è contro "l'uguaglianza formale" fra donne e uomini e crede nella necessità, per le donne, di partire dalla disuguaglianza e dalla differenza, per pensare ad obiettivi specifici per le donne: l'uguaglianza è un falso obiettivo ed è "il mondo della sopraffazione legalizzata contro le donne".

Per Carla, la maternità legata al sistema patriarcale ha reso schiave le donne: "Non è il figlio che ci ha fatto schiave, ma il padre".
La famiglia patriarcale è il nucleo del sistema di dominio sulle donne
(Nota di Lunaria: in tal senso, Mary Daly e Kate Millet vanno poi a rivedere la figura del marito-capo della moglie non solo come ruolo codificato dagli "scritti sacri", ma anche come immagine terrena dell'immagine simbolica di dio padre. Rosemary Radford Ruether faceva notare che la figura di dio è anche la quintessenza dell'egoismo maschile: "L'umanità può essere riconciliata con Dio, solo se Dio cessa di essere un Dio maschile e diventa fondamento di reciprocità nella creazione. La morte del Dio-Padre diventa allora la distruzione dell'immagine alienata dell'egoismo maschile nel cielo, che santifica tutti i rapporti di dominio e sottomissione nel mondo.")


Per ulteriori approfondimenti, vedi questi libri:


Per Carla Lonzi, il dominio dell'uomo sulla donna si esprime anche nel rapporto sessuale imposto dall'uomo: la penetrazione vaginale, che serve per obbligare la donna alla gravidanza e per il piacere maschile. Non a caso freud e il patriarcato ha sempre condannato e anche mutilato la clitoride, (*) perché questo tipo di piacere femminile non necessita del fallo.
Il tipo di rapporto sessuale imposto dal maschio patriarcale ha in sé l'impronta della violenza: "Il piacere vaginale non è per la donna il piacere più profondo e completo, ma è il piacere ufficiale della cultura sessuale patriarcale".

Carla Lonzi divide quindi le donne in due categorie: le donne vaginali, che accettano l'imposizione sessuale del maschio, sforzandosi di trovare piacevole la penetrazione vaginale e "dimenticandosi" di avere una clitoride, e le donne clitoridee, che cercano altre forme di piacere sessuale.
Per Carla Lonzi "le donne vaginali" sono donne oppresse che devono prendere consapevolezza di tale oppressione per poi "rinegoziare" con l'uomo le modalità del rapporto sessuale.

Nota di Lunaria: ovviamente questo pensiero di Carla Lonzi è oggi (nell'Occidente del 2020) anacronistico, visto che negli ultimi decenni c'è stata, per fortuna, una maggiore libertà sessuale della donna, non più obbligata a sposarsi su obbligo\a figliare di continuo, come è stato per secoli e almeno fino agli anni Settanta: si pensi solo al valore che veniva dato alla verginità in certi paesini del Sud Italia e lo stigma che colpiva le donne "non vergini"  incluse le donne stuprate: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/07/verginita-e-patriarcato.html)

Per approfondimenti, vedi anche questo libro


Avevo già parlato di come certe donne sopravvissute agli stupri si suicidavano proprio perché "non sarebbero più state accettate e volute da nessuno" https://intervistemetal.blogspot.com/2019/12/kosovo.html
e in quelle culture "non essere volute da nessun uomo era come essere condannate a morte"
(in altre culture la donna veniva direttamente "fatta suicidare" alla morte del marito: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/il-sati.html)
e di cosa subiscano ancora le donne africane, che vengono mutilate della loro clitoride: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/blog-post.html

Progressivamente qui in Occidente è anche caduto il concetto di "si fa sesso solo per fare figli e non per piacere" e quindi sono state via via sdoganate e accettate tante pratiche sessuali non più "esclusivamente genitali penetrative a scopo procreativo", come il fetish o il sesso orale. 
Già ho detto che fenomeni come "Calendar Girl" parlano ampiamente e senza tabù del piacere sessuale femminile non più demonizzato e vietato, da viversi come "gioco" col proprio partner.

Quindi è vero, il sesso penetrativo eterosessuale per moltissimi secoli è stato usato per umiliare le donne, per punirle. Attualmente, ormai da decenni, lo si è "liberato" e oggi resta una delle possibilità di piacere sessuale da viversi tra uomo e donna, ma non l'unico (e men che meno imposto per obbligo). Certo, anche oggigiorno c'è la piaga dello stupro coniugale, ma per fortuna ormai è reato in tutti i paesi occidentali obbligare qualcuno ad atti sessuali non voluti, e quindi la violenza sessuale non è più approvata né giustificata (almeno, dalla maggioranza di persone; che poi i soliti monoteisti dicano che "le donne stuprate se lo sono meritato, perché erano provocanti e scollacciate!" lo sappiamo bene...)

La differenza sessuale tra uomo e donna non è considerata negativamente ma positivamente e viene usata per creare valori nuovi e diversi rispetto a quegli degli uomini. Anticipato dallo scritto collettivo "Più donne che uomini" (1983) il pensiero della differenza trova la sua esposizione in "Non credere di avere dei diritti".


Oltre a rimarcare la differenza, si trova anche la "teoria dell'affidamento": in una società dominata dai maschi (**) le donne più deboli dovrebbero affidarsi alle donne più forti per accelerare la loro liberazione: "Il rapporto sociale di affidamento tra donne è insieme un contenuto e uno strumento di questa liberazione".
Spesso nel femminismo della differenza si è proposto "l'ordine simbolico della madre" con pari valore, se non addirittura superiore, a quello del padre.
La figura della madre, caricata dal maschilismo con simboli patriarcali, deve essere liberata (***) e ricostruita in modo indipendente dalla tradizione patriarcale, deve cioè trovare "il modo appropriato di esprimersi e di esercitarsi"

In Italia è importante ricordare anche il gruppo Diotima e libri molto importanti come "Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica", "Corpo in figure", "Tu che mi guardi, tu che mi racconti" e "Diotima: il pensiero della differenza sessuale".


(Nota di Lunaria: pensatrice che mi dispiace molto di non avere ancora letto per integrale, ma solo alcuni suoi stralci pubblicati su un'antologia teologica; comunque quel poco che ho letto di lei mi era piaciuto)

"Ciò che è d’importanza fondamentale per il nostro discorso è che Dio viene identificato col polo maschile di queste dualità. Così dal lato positivo e superiore abbiamo Dio, spirito, ragione, storia, uomo e dal lato negativo e inferiore  mondo, natura, corpo, caducità, donna [...] Dorothee Soelle afferma che la distanza tra Creatore e creatura è stato tradotta nei termini della dicotomia sessuale in modo che al maschio vengono attribuite caratteristiche “divine” e alla femmina caratteristiche “del mondo”. Ovvero “il concetto ontologico è utilizzato in modo sessista”.
Questo significa che tutto ciò che appartiene alla sfera del divino è declinato al maschile e tutto ciò che appartiene alla sfera del creato, la terra, la natura, il popolo di Dio, la chiesa, viene declinata al femminile. "
“L’ordine simbolico patriarcale si fonda su una logica assai singolare che, a dispetto del fatto che gli esseri umani sono dell’uno o dell’altro sesso, assume il solo sesso maschile come paradigma dell’intero genero umano” 
Il linguaggio non è neutro, ma sessuato al maschile. è nato dal "produttore-soggetto di sesso maschile" che assume se stesso come universale (****) (pretendendo di andar bene anche per le donne. Nota di Lunaria)
Tutto ciò che riguarda la donna è stato detto in un linguaggio, in un pensiero, che sono sessuati al maschile. La donna non possiede un suo linguaggio, per cui "pensare la differenza sessuale a partire dall'universale uomo significa pensarla come già pensata" attraverso un pensiero che è monosessuale e virato solo al maschile e non include la differenza uomo-donna.
La donna, quindi, parla di sé attraverso il linguaggio dell'uomo: "essa non si autorappresenta nel linguaggio, ma accoglie con questo le rappresentazioni di lei prodotte dall'uomo"
Il linguaggio filosofico (e soprattutto teologico. Nota di Lunaria) rivela la condizione tragica della donna di non poter rappresentare se stessa in maniera autonoma dal linguaggio e dal pensiero dell'uomo. Il linguaggio poetico e quello narrante, però, lasciano qualche spiraglio all'espressione diretta della donna e non a caso in questi settori ci sono state tantissime autrici.
Spetta alle donne prendere consapevolezza di questo, costruire elementi linguisti e concettuali che consentano di pensare la differenza sessuale.

(*) Vedi questo approfondimento sulle mutilazioni genitali femminili in campo "medico":


Le mutilazioni genitali femminili (clitoridectomia) venivano già realizzate nel 1863. Il medico viennese Gustav Braun la sostiene nel suo "Compendio delle malattie delle donne". Anche Isaac Baker-Brown la raccomanda come rimedio "per debellare la masturbazione", uno dei sommi peccati nella rigida morale cattolica (per una volta, par condicio: sia per gli uomini, che per le donne). Brown era così convinto dell'utilità di questa pratica, che fonda addirittura un istituto, il London Surgical Home.
1882: il medico Demetrius Zambaco scrive nel suo trattato "Onanismo e disturbi psichici di due giovani ragazze":
"è ragionevole ammettere che la cauterizzazione con un ferro incandescente elimina la sensibilità del clitoride e con bruciature ripetute si è anzi in grado di rimuoverlo completamente... si comprende facilmente che le ragazze, dopo che hanno perso con la cauterizzazione la sensibilità, sono meno eccitabili e meno inclini a toccarsi."
Padre Debreyne si pronuncia favorevole a questo modo nei confronti della mutilazione al clitoride "Non necessario alla procreazione e utile solo per il piacere femminile". (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/blog-post.html

(**) Nota di Lunaria: Più che non "società dominata dai maschi" a mio parere andrebbe detto "società dominata da ideologie maschili", questo perché:

A) Qualcuno potrebbe far notare che non tutti i maschi dominano; gli operai per esempio non dominano gli industriali, i disoccupati non dominano gli avvocati e via dicendo.
B) Ancora più importante è far notare che anche le donne possono essere misogine e a favore delle ideologie maschili e "remare contro" le donne che propongono di abiurare tali ideologie. 
Ad ogni modo è chiaro che non si sta combattendo contro il singolo individuo, ma contro le ideologie; perciò ecco perché secondo me bisogna usare espressioni come "società dominata da ideologie maschili" (a cui aderiscono anche le stesse donne: le donne cristiane, le donne islamiche, le donne buddhiste ecc.) piuttosto che non "società dominata dai maschi" perché questa espressione lascerebbe intendere che solo i maschi seguano le ideologie maschili, il che è falso.


(***) è inevitabile che femministe di ispirazione cristiana vedano la donna ancora e soprattutto come madre.
Personalmente trovo queste celebrazioni della maternità troppo "cristianoidi": non è elevando la maternità, anche sopra la paternità, che si libera o si esalta la donna come individuo, perché ancora la si confina nel ruolo di madre (ruolo che peraltro i monoteisti non hanno mai messo in dubbio!)
Certo, la donna può essere madre; ma può anche non esserlo.  (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/03/la-donna-moglie-e-madre.html)
E non esserlo non significa essere "meno donna" o "meno elevata" rispetto a chi sceglie di esserlo.
Per questo, un tipo di femminismo che ragiona ancora sempre e solo sulla maternità o si focalizza solo su questo mi pare ancora troppo "dalle parti del monoteismo".
Personalmente, credo che abbia molto più senso, più che non continuare a parlare di ruoli fissisti della donna (la madre\la velina) che prevedono comunque "un osservatore" con cui relazionarsi in questo ruolo fisso (il figlio, il marito, lo spettatore maschile), iniziare a parlare dell'Ego della donna, che sussiste a prescindere che qualcuno guardi e a prescindere dal ruolo che poi tale donna assumerà. E con questo approccio la donna è realmente liberata perché cade anche il presupposto che debba "stare in relazione" con qualcuno per esistere in un qualche ruolo: esiste già da se stessa, senza bisogno dello Sguardo dell'Altro e potenzialmente le si aprono tutti i ruoli perché è sempre e solo lei stessa che è in relazione con se stessa senza bisogno di "mediatore alcuno" ed è sempre lei stessa a prendere l'iniziativa.

https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/i-capolavori-di-mary-daly.html

"Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo."  (Mary Daly)

(****) Questo tema, il linguaggio androcentrico, è stato trattato molto anche da Mary Daly, prima di morire.  Mary Daly stava iniziando a creare neologismi, per parlare della nostra realtà femminile; termini come "ginergia", per indicare la nostra energia femminile, o "Dia", termine proposto da altre, da usare al posto di "dio".


APPROFONDIMENTO SU CARLA LONZI


Info tratte da


Questo libro non porta esplicitamente in primo piano la mia pratica femminista. è tuttavia un dialogo serrato, attraverso testi "da donna a donna". Ciò che lo ha reso possibile è la condivisione di un evento, il neofemminismo, e del significato che ha avuto, in primo luogo sul terreno esistenziale, nella vita e nel pensiero di due donne. In modo diverso da Carla Lonzi anche per me il femminismo ha significato ridefinire radicalmente il senso del mio essere e del mio agire. O meglio ha costituito la possibilità di dare un mio senso all'agire e al pensare; mio perché di donna. Questo essere donna si è presentato innanzitutto, ed essenzialmente, come possibilità di dire "io". 




Questa è la qualità del femminismo che riconosco comune alla mia esperienza e a quella di Carla Lonzi (...) che parla esplicitamente di scrittura autocoscienziale per tutti i suoi testi. Basta del resto aprire uno dei suoi libri per convincersi che il valore è tutto in questo "pensarsi e dirsi" di una donna (...) Ho tentato di evidenziare come attraverso la presa di coscienza della donna si esprima non solo un'identità di genere, ma una forma di pensiero sessuato. La mia tesi è che questo può avvenire solo tramite la singolarità quando, appunto, l'essere donna si costituisce in un "io".

Di fronte alla pagina, Carla Lonzi resta fedele ai due presupposti essenziali dell'autocoscienza: il partire da sé ed il rivolgersi a una donna. La sua parola scritta restituisce insomma ciò che era garantito nella comunicazione verbale dentro i collettivi dalla presenza del corpo femminile: il suo essere discorso di una donna rivolto ad un'altra (altre) donna.
Nel pensiero femminista attuale quel "sé" rinvia essenzialmente all'essere donna, ed ha dunque valore ontologico e simbolico (Nota di Lunaria: nel monoteismo il senso del sé maschile viene proiettato nel concetto di dio e ne riceve un'eco di tronfia esaltazione, perché dopo aver postulato che dio è maschio, è possibile pensarsi come sesso di dio, anzi, è possibile pensarsi come dio stesso)
Come Carla Lonzi vide bene, non vi può essere un pensiero libero ed autonomo di donna, se il corpo femminile resta luogo muto e consenziente del piacere maschile. 
All'interrogativo su dove una donna si fa dimentica della sua inferiorizzazione, mettendosi a servizio di altro e confermando in tal modo il "venir meno" del problema della libertà femminile, non vi è modo di dare una risposta univoca generale. Ogni donna dovrà rispondere misurando la corposità del proprio coinvolgimento con il "maschile" e la profondità del proprio disagio a viverlo. Per farlo non serve negare, questo ha inteso Carla Lonzi, i rapporti che intratteniamo con gli uomini e con il mondo che essi hanno definito e regolato a loro misura.

Infine, più nello specifico della Wicca Dianica (ovvero culto della Dea, Supremo Archetipo Femminile), bisognerebbe trattare il tema dell'Autocoscienza e dell'Autoriflessione collettiva e in base a come la Wicca Dianica e le sue Autrici contribuiscono alla Coscienza Collettiva delle Donne.
(https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/wicca-le-frasi-piu-belle.html)


"Soggetto femminile" vuol dire "soggetto, donna, che è in grado di costruire una propria teoria su se stessa in relazione alla realtà [ancora androcentrica monoteista] e sulla realtà [come i monoteisti ci trattano] in relazione con se stessa [come reagisco? combatto o subisco?]". Come ogni teoria ha bisogno di una capacità di astrazione e generalizzazione che affonda le sue radici in una esperienza e una pratica. Se la pratica delle prime femministe è stata quella dell'Autocoscienza, e del riunirsi tra donne, trattando soprattutto temi politici, nel 2020, che ruolo ha la Sorellanza di tipo Wiccan Dianico in tutto questo? La possiamo considerare evoluzione (se non conseguenza!) di quel modo di agire?   


Mary Daly definiva la Sorellanza come l'unione di coloro che sono oppresse; è chiaro che siamo tutte oppresse, in quanto donne, dal concetto di redentore e dio maschile; è altrettanto palese, purtroppo, che solo una minoranza di donne se ne rende conto e, di conseguenza, abiura a questo tiranno ginofago ("mangiatore di donne"). Atto di coscienza, almeno il primo da fare, che passa nella comprensione dello scandalo teologico di quel dio-fattosi-solo-maschio e impostosi come "salvatore universale" di tutti, maschi e femmine, pur restando solo maschio.

Ripetere ancora (e ancora, e ancora, e ogni volta che ce ne sarà bisogno) le parole di Mary Daly è utile per focalizzare il problema:


"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."
"L'ideologia cristiana presenta una distorsione prodotta dalla gerarchia sessuale e che la convalida, palese non solo nelle dottrine relative a Dio e alla Caduta ma anche in quelle relative a Gesù [...] Una logica conseguenza della liberazione della donna sarà la perdita di credibilità delle formule cristologiche che riflettono ed incoraggiano l'idolatria verso la persona di Gesù [...] Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile.
(Nota di Lunaria: si vedano Sprenger e Kramer nel "Malleus Maleficarum": "E sia benedetto l'Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello [la stregoneria]. Egli ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato")

"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità [...] La premessa basilare di questo tipo di ortodossia è che "Dio venne" nell'uomo (maschio) Gesù, e solo in Gesù - donde l'ostacolo che viene descritto dai suoi difensori come lo "scandalo della particolarità".

"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."

"Io ritengo che un altro ribaltamento sia l'idea dell'incarnazione redentrice unica nella forma di un salvatore maschio perché questo è precisamente impossibile. Una divinità patriarcale, o suo figlio, non è in grado di salvarci dagli orrori di un mondo patriarcale."
Mi pare significativo concludere con questo commento:

"è ovvio che tutte queste ideologie hanno non solo la funzione di conciliare le donne con il loro ruolo subordinato sostenendo che è inalterabile, ma anche di far credere che esso rappresenti l'appagamento dei loro desideri, o un ideale che è lodevole cercare di raggiungere" (Horney)

Appunto: è la donna reale, che si autodetermina, ad avere orgoglio e stima di sé, ad avanzare rivendicazioni, a soddisfare le sue personali ambizioni che possono anche non essere incentrate sulla maternità.


PARTE I: ESSERE DONNA

"Sono una donna, faccio il femminismo"; "sono nata donna e ho sofferto anche molto ma almeno non avevo da pensare ad altro": con affermazioni secche e semplici quali queste, Carla Lonzi definisce nel suo diario la coincidenza tra la sua scelta femminista e l'essere donna. Se a questo essere si appartiene per nascere naturale, il femminismo è quella seconda nascita, per cui una donna può dire "adesso so chi sono e posso essere coscientemente me stessa... adesso esisto, questa certezza mi giustifica e mi conferisce quella libertà in cui ho creduto da sola e che ho trovato il mezzo di ottenere". Dunque, il fatto di essere nata donna, se è in sé talmente determinante da far dire che non si ha "da pensare ad altro", che in esso e attorno ad esso può e deve addensarsi il senso stesso della vita e della coscienza di sé [soprattutto perché siamo state negate nella storia del patriarcato], tuttavia questo fatto appare anche insufficiente, mancante, poiché occorre un ulteriore evento, per poter esclamare "adesso esisto!". Prima di ciò c'è "un essere in perdita", "sperduto nella sua autenticità". 
Un essere che proprio perché nato donna (1), non conosce certezze del proprio esistere, non sperimenta il percorso che porta a compimento la sua venuta al mondo: da mero ente a coscienza, soggetto.
Nascere donna non fornisce alcunché di significativo a questa ricerca di senso, se non forse nel momento in cui su quel corpo di donna si riaddensa tutto il mistero della nascita. Mentre un uomo, come soggetto, come coscienza di sé, normalmente ad un certo punto è, si sa e si manifesta, si riconosce e si rende riconoscibile, sia pure precariamente e contradditoriamente, per una donna questo momento può non sopraggiungere e la sua vita può trascorrere senza che in essa prenda forma quell'"adesso so chi sono, posso essere coscientemente me stessa" in cui si compie la propria venuta al mondo. Perché per essere se stessa deve dare senso all'essere nata donna e farlo valere nel mondo. è diverso o no un mondo vissuto, pensato e nominato da una donna? è diverso o no avere una coscienza di donna?
Era una domanda tutt'altro che legittima quando Carla Lonzi e alcune altre donne hanno cominciato a porsela. La necessità di interrogarsi sul proprio essere donna; la percezione di perdita e di inautenticità provata; la volontà insopprimibile di voler portare a coscienza, di voler sottrarre all'insignificanza quello stesso disagio, quel bisogno di dare senso a un dato dentro del sé; tutto questo è stato vissuto, ancor prima che pensato.
La coincidenza tra "nascere donna" e "fare femminismo" serve dunque innanzitutto a definire qual è per Carla Lonzi il tratto essenziale e distintivo del femminismo che 20 anni fa insorgeva come evento mondiale: la natura esistenziale dell'agire e del pensare, sperimentato da donne attorno al proprio essere donne, e non uomini [Aristotele, Tommaso d'Aquino, Freud avevano definito le donne "maschi malriusciti, maschi difettosi"]



Quando Carla Lonzi scrive "ho vissuto la nascita della donna come soggetto", parla di sé, della propria nascita come "donna autonoma". Precisa infatti che a fondamento del suo pensiero, di ogni cosa da lei detta e scritta, non c'è niente altro che se stessa. La nascita della donna a coscienza, della donna come soggetto, è stata da lei vissuta, resa possibile: "facendo partire da e tutti i motivi dell'origine di essa" grazie al "distacco dell'uomo che io ho fatto tirando fuori dal nulla, insisto dal nulla, i termini dell'identificazione a me".
[Se vogliamo, un atteggiamento quasi stirneriano, nel proclamarsi Unica e nell'aver fondato la Mia Causa su Me Stessa, in quanto Donna]
Senza questo radicamento nell'esistenza di singole donne, l'idea femminista non avrebbe mai potuto attingere l'universalità che invece possiede, ovvero la sua capacità di esprimere ciò che è di una donna, poiché è di tutte le donne.
Il femminismo, formulando la domanda "chi sono io donna", cerca di connettere l'esperienza singola a quella generale: parla di tutte, solo parlando di ognuna e ad ognuna. La dimensione più problematica per il femminismo è proprio quella dell'identità collettiva, della condizione comune.
è importante riflettere su come in realtà ogni donna, fin dalla sua nascita, trova già preparate dai maschi immagini di femmina a cui deve assomigliare.
Non deve fare altro che adottarle. Avviene però di provare "dissenso sull'immagine in cui mi sentivo costretta ad essere vista dagli altri: inespressa e felice di rappresentare qualcosa, non me stessa". Quindi il femminismo è la situazione con cui una donna fa esistere l'altra, la suscita, la porta allo scoperto. Ciò le è possibile perché si espone. Solo chi ha dato segno di sé, può sperare di trovare ascolto, rendendo credibile per un'altra donna il vantaggio di manifestarsi. è un gesto unilaterale, insomma, quello da cui può nascere la reciprocità che sola ci dà conferma della nostra soggettività. Ma è un gesto che si rivolge fuori di sé, ed ha nell'esistenza dell'altro la condizione del proprio porsi.
Così Carla definisce il suo rapporto con l'altra: "A me piace essere lo strumento della liberazione di un'altra (2) e mi commuove saperlo mentre lei ancora non lo sa. Sentire quel passaggio che si compie in lei, poterne essere testimone e diligente esecutrice mi rende felice... avverto che si valuta meno perché è stata valuta meno, allora voglio essere quell'eccezione che le può permettere di avere un senso di sé più consono a come l'avrebbe avuto se altri non l'avessero avvilita. A me piace questa fase, può essere una gioia stabile della mia vita"


(1) è qui che entra in gioco anche la Wicca Dianica https://intervistemetal.blogspot.com/2019/10/wicca-le-frasi-piu-belle.html


(2) Carla Lonzi, con il suo pensiero, diviene strumento di liberazione per le donne.

In fondo, si potrebbe riassumere la sostanza del femminismo di Carla Lonzi, e della sua vita, nell'affermazione del diritto/dovere primario per una donna di essere fedele a se stessa. è ciò per cui le femministe sono spesso accusate di propugnare l'egoismo femminile quale comportamento sociale diffuso. Per questo il diritto-dovere di essere fedele a se stessa che Carla Lonzi rivendica è un gesto che dichiara una pretesa di tutto il genere femminile. Alla domanda "cosa posso fare per mutare un destino plurisecolare", Carla Lonzi risponde, e invita a rispondere, "Pensare e vivere da donna libera; far vivere una donna, me stessa, quale coscienza". La sua posizione è prossima a quella dell'Io sartriano [Sartre ha sviluppato anche l'idea di "Sguardo dell'Altro che ci reifica"] che scegliendo per sé, sceglie l'uomo non per ciò che è, ma per ciò che deve essere, per cui la massima responsabilità verso se stessi esprime anche il massimo impegno verso gli altri e nel mondo. [ed è per questo che il femminismo del '900 nasce dal movimento esistenzialista e dal quel modo di pensare. Vedi Simone de Beauvoir]

 

PARTE II: IL DISTACCO DALLA CULTURA ANDROCENTRICA

Carla Lonzi, meglio di tante altre pensatrici, ha colto benissimo il grande dramma che ci riguarda tutte: come essere libere (e libere di scegliere) se tutti gli ambiti della cultura sono maschili, se l'impronta maschile (spesso misogina) c'è in ogni cosa, se tutto è stato in mano ai profeti e redentori maschili, e da loro è stata plasmata la realtà, intesa anche e soprattutto come simboli. Voglio ricordare che: "Il simbolo non ha in se stesso il proprio significato bensì rimanda a qualcosa che è al di là [...] Dal punto di vista della storia salvifica il simbolo è l'espressione del legame non reciso tra il Creatore e la creazione [...] Il simbolo nasconde e rivela allo stesso tempo"

Animata da una profonda sensibilità esistenzialistica, nel senso più vero, Carla avvertiva tutta l'alienazione e il logoramento del continuare a "dover stare dentro" ad una cultura completamente e totalmente maschile (e sorvoliamo su quelle figure (finto)"femminili" come le caterina da siena che l'avvaloravano in pieno, questa cultura androcentrica basata sui sogni di gloria virile!).
Uno dei primi testi di Rivolta Femminile, da lei stessa scritto, annuncia "L'Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile".
Alla donna - vi si afferma - in quanto essere umano sussidiario, viene negato ogni intervento che ne implichi il riconoscimento di soggetto: per lei non viene prevista alcuna liberazione.

Qui è riassunto il rapporto tra uomo e donna: il maschio come protagonista esclusivo della cultura, la femmina come figura colonizzata dalla cultura.
Due sono le possibilità che la donna ha di sottrarsi ad una funzione meramente recettiva. La prima è quella di "raggiungere la parità sul piano creativo definito storicamente dal maschio". è una strada [per Carla Lonzi] alienante. La seconda è quella di recuperare "una sua [della donna] creatività alimentata dalla repressione imposta dai modelli del sesso dominante".

"Il vuoto culturale in cui identificarsi non è l'integrità originaria, ma un logorare continuamente i legami inconsci con il mondo maschile."

"Un certo numero di femministe post-cristiane, inclusa Mary Daly con il suo "Beyond God the Father" ("Al di là di Dio Padre" 1973) e Daphne Hampson in "Theology and Feminism" ("Teologia e femminismo", 1990) sostengono che il cristianesimo, con i suoi simboli maschili riferiti a Dio, la sua figura di salvatore maschile e la sua lunga storia di leader e teologi maschi, ha coltivato un forte pregiudizio contro le donne ed è incapace di redenzione (senza contare che non si capisce come un dio maschile possa riassumere in sé le donne).
Le donne, esse sostengono, dovrebbero abbandonare quel contesto oppressivo. Altre sostengono che le donne possono trovare la loro emancipazione religiosa riscoprendo le antiche religioni delle divinità femminili (o inventandone di nuove), e abbandonando del tutto il cristianesimo tradizionale.  

Lo scandalo principale della nostra cultura, nel Medioevo come oggigiorno, resta sempre la maschilità di Dio.
Il persistente uso di pronomi maschili in riferimento a Dio all'interno della tradizione cristiana è un obiettivo della critica di molte autrici femministe. Si è sostenuto che l'uso dei pronomi femminili è altrettanto logico quanto quello dei loro corrispondenti maschili, e che potrebbero porsi come correttivo ad un'eccessiva enfasi sui modelli di ruolo maschili di Dio. Nel suo "Sexism and God-Talk" ("Sessismo e parlare di Dio", 1983), Rosemary Radford Ruether sostiene che il termine God/ess (Dio/a) è una designazione "politically correct".
Ma se per il linguaggio mascolino su Dio ci si può sempre "scusare" (in modo goffo) sostenendo che "tanto il linguaggio è figurato, perché Dio Padre non ha corpo maschile, è puro spirito", lo scandalo della persona di Cristo resta. Un certo numero di autrici femministe, e fra queste Rosemary Radford Ruether in "Sexism and God-Talk", hanno sostenuto che la cristologia è la base fondante di gran parte del sessismo all'interno del cristianesimo. Diverse autrici hanno analizzato il modo in cui la maschilità di Gesù è stata causa di abuso teologico, proponendo i correttivi appropriati.
Si possono notare due settori di particolare importanza.

Primo: la maschilità di Cristo è stata spesso utilizzata come base teologica della convinzione che soltanto l'essere umano maschio possa essere l'immagine adeguata di Dio, o che solo i maschi possano costituire modelli di ruolo appropriati e analogie di Dio.

Secondo: la maschilità di Gesù è stata spesso utilizzata come fondamento di una rete di credenze riguardanti gli standard che valgono per l'intera umanità. Sulla base della maschilità di Gesù si è sostenuto che la norma dell'umanità è il maschio, per cui la donna è in qualche modo un essere umano di secondo livello, o quanto meno inferiore al modello ideale. Tommaso d'Aquino, che descrive le donne come maschi concepiti con un difetto (chiaramente sulla base di una obsoleta biologia aristotelica), è un chiaro esempio di questa concezione, che ha importanti implicazioni per i problemi della leadership all'interno della chiesa.

Per quanto alcune teologhe, nel reagire a questi argomenti, siano giunte alla conclusione che "nonostante tutto, va bene così, tanto a noi piace restare comunque cristiane", c'è da dire che alcune di esse hanno di fatto abbandonato il cristianesimo, dirigendosi verso il Neo Paganesimo.
Difatto, come si può sostenere che "la maschilità di Cristo è un aspetto contingente della sua identità, allo stesso livello del fatto di essere un ebreo. Si tratta di un elemento contingente della sua realtà storica, non di un aspetto essenziale della sua identità." quando è proprio a causa di questa maschilità divina che i maschi in questione hanno visto il fondamento stesso del dominio degli uomini sulle donne? Quando cristo viene adorato come dio e come uomo, anche oggi?" 

Dissolto l'equivoco che fuori dalla cultura vi sia uno spazio in cui la donna è integra, anche se oppressa e dominata, resta questa immagine del vuoto, della tabula rasa, che suscita qualche perplessità.
Cosa significa identificarsi nel vuoto?
La tabula rasa di cui Carla Lonzi parla non rappresenta una condizione di effettivo azzeramento, non è la terra bruciata da fare dentro di sé per poter finalmente veder affiorare il suolo originario. Il vuoto in cui identificarsi è la disposizione soggettiva da assumere per poter di volta in volta rivolgersi all'uno o all'altro apporto culturale, per poter discernere tra essi e non subirne alcuno come "idea ricevuta", come certezza assodata.
La disposizione di cui parla Carla Lonzi è quella di chi, donna, si dichiara e si scopre estranea alla cultura, non perché non ne è coinvolta - che anzi, se ne sente colonizzata - ma in quanto non ne è autrice, non è da lei che la cultura proviene.

Per questo motivo se ne deduce che tutte le religioni che non siano state create dalle donne, e non provengano dalle donne, non vanno bene per le donne: non ne sono autrici, non proviene da loro.

PARTE III: LE ORIGINI DI "RIVOLTA FEMMINILE"


Nel luglio 1970 Carla Lonzi pubblica, con Carla Accardi ed Elvira Banotti, il "Manifesto di Rivolta Femminile". è l'atto costitutivo del gruppo ed è significativo che sia la stesura e la pubblicazione di uno scritto a dar vita al gruppo e alla sua pratica. Rivolta inizia con la parola scritta e non abbandonerà mai questa forma di espressione, anche se non tutte le donne di Rivolta scriveranno e la pratica del gruppo non dà necessariamente luogo a una scrittura. Ma il legame tra scrittura e autocoscienza è una peculiarità di Rivolta.
In un testo del 1974 Carla Lonzi ricostruisce la nascita di Rivolta: "L'emozione di quei giorni è indescrivibile: all'improvviso scoprivamo di avere diritto a parlare di noi e che l'inferiorità era un'oppressione."
Il Demau (sigla abbreviata di "Demistificazione Autoritarismo") è stato il primo gruppo in Italia ad affrontare l'analisi del problema femminile in una prospettiva critica rispetto all'emancipazione. Il gruppo nasce nel 1966 per iniziativa di Daniela Pellegrini.
"La donna dovrebbe in primo luogo astrarsi dal suo sesso che deve ed è secondario accidente del suo essere ed esistere in sé" (Nota di Lunaria: su questo non sono d'accordo, non è dimenticandosi di essere femmine che si esalta se stesse).
Le donne, definite "soggetti finalmente di maturazione autonoma-decisionale" non devono pensarsi a partire dal contesto che le ha condizionate ma devono sapere di poter condizionare se stesse a contrapporvisi, in quanto membri della storia esse fanno storia. Questa nuova storia, ed i valori su cui sarà costruita potranno instaurare una nuova era migliore per l'umanità tutta.

Nell'analisi del Demau al "maschile come valore dominante" si analizzano più diffusamente le due categorie di valori in cui la pienezza dell'umano si è scissa, dando corpo al maschile e al femminile. Non solo ciò ha prodotto due dimensioni cristalizzate e contrapposte di valori, di identità e ruoli, ma questa coppia di valori è sorretta e regolata da un rapporto di potere, che a sua volta origina una dialettica tra supremazia del maschile e dipendenza del femminile.
Per il Demau, il maschile e il femminile sono egualmente visti come determinazioni storiche, sociali e culturali, prodottesi entro un rapporto di dominio. Per questo la liberazione della donna avrà come sbocco la nascita di una nuova umanità. 
La prospettiva del Demau è quella di un superamento della differenza sessuale e di una costruzione di valori e di rapporti sociali comuni ai due sessi. Prospettiva che Carla Lonzi rifiuta (anche perché equiparare la donna a valori maschili significa rendere la femmina "un maschio onorario". L'emancipazione non è vegetare su valori creati da maschi, ma andare oltre quelli creandone di femminili)

Per Carla Lonzi, alla libertà delle donne manca l'atto di trascendenza femminile. "La presa di coscienza sarà soprattutto coscienza dell'oppressione patita e su questa base si operò la prima identificazione di sé con il sesso femminile"; difatti, già precedentemente, riportavo che "una mente di donna che non ha cancellato, rimosso il corpo sessuato che la contiene ma l'ha trasceso, lo ha mediato nel pensiero, ha saputo farsi libera, spezzarne la prigionia, vincerne l'insignificanza per il pensiero stesso, per la coscienza." 

In luogo di sondare questa realtà, le donne dei collettivi sorti nell'alveo del '68 preferirono cercare un fondamento alla loro inferiorizzazione che le dotasse di un'identità comune e legittimasse la rilevanza politica della loro ribellione. L'identità di oppresse offre infatti un'idea compiuta e soddisfacente del sesso femminile, nel senso che in essa le donne si riconoscono, che ad essa aderiscono, seppure in quanto sesso subordinato, dominato, vinto. 

"Il mio problema è capire come mai la donna non arriva al punto di soggettività che crei una duplicità di coscienza sul mondo. Siccome sento che le coscienze sono due, non è una, però di fatto, ce n'è solo una e quell'una va a ruota libera come se l'altra non ci fosse e l'altra si comporta come se non ci fosse davvero".

Nota di Lunaria: infatti le coscienze sono due: maschile e femminile; perché è il maschile che si impone e definisce il mondo e la donna, e costei si lascia agire e definire? Perché tutta la filosofia e la religione è al maschile, e le donne le seguono pedissequamente?
Difatti, Carla Lonzi faceva notare che: "L'uomo ha dunque prevaricato [assegnandosi la trascendenza, come sesso di dio, per esempio] (...) La donna deve solo porre la sua trascendenza [identificandosi con una Dea, e non più in un dio padre] I filosofi hanno davvero parlato troppo: su quale base hanno riconosciuto l'atto di trascendenza maschile, su quale base l'hanno negata alla donna?" 
Il punto di riferimento di Carla Lonzi è però esterno alla vie della filosofia. Arriverà ad affermare che i filosofi - ed Hegel in particolare che del pensiero filosofico segna il culmine - "hanno parlato troppo" negando alla donna la trascendenza.
La sua critica poggia infatti sulla propria corporeità di donna e porta nel pensiero la sua volontà di riconoscere come mente questo corpo di donna. è dunque ancorandosi al corpo che Carla Lonzi giunge a pensare la possibilità di spezzare il circolo dialettico, dando autonomia di soggetto e di coscienza di donna.
 

Molto saggiamente Carla faceva notare che la donna si trova a scegliere - e ad essere vittima anche inconsapevole - dell'aut aut: o il silenzio e la mancanza di simbolo o la parola paterna e perciò il simbolismo maschile)

"I luoghi e le forme in cui questa relazione femminile si rende possibile assumono il valore di una comunità, di dare vita insieme "all'essere insieme delle donne", e l'essere donna viene plasmato e inventato nuovamente, non scoperto come "pre-esistente" in concetti femminili inventati dai maschi.

Carla Lonzi faceva notare bene quei millenni di "assenza della donna" nella storia.
"Problema femminile significa rapporto tra ogni donna - priva di potere, di storia, di cultura, di ruolo e ogni uomo - il suo potere, la sua storia, la sua cultura, il suo ruolo assoluto", un ruolo assoluto che ha marchiato anche la donna, inglobandola nelle idee maschili.

D'altraparte, basta far notare che col termine "uomo" non si intende solo il maschio, ma anche "il genere femminile". E lo stesso si palesa anche per la parola "Dio", singolare maschile, che "deve far includere in sé la nozione di asessualità spirituale, perché Dio non è un padre bianco e barbuto, ma Spirito". Ci si potrebbe chiedere perché se tale Dio è così tanto asessuato, non gli si trovi un nuovo nome, o piuttosto, non lo si preghi anche con parole femminili. Paura cristiana ad "abbassare Dio e ad offenderlo" se si cominciasse a pregare tale loro Dio come "Madre" o "Signora", eh? 

Del resto, né Aristotele né l'Aquino definiscono la donna come "ente a sé"; piuttosto, la definiscono al maschile, in un maschile difettato rispetto al "maschile perfetto" (loro stessi): "maschio malriuscito/mas occasionatus", così è stata marchiata la femmina.


Poi, personalmente, sono convinta che il problema femminile non può essere "individuale", basato "su una singola donna", deve essere "tutte le donne", superando diversità come "il ceto, l'etnia" ecc., in nome di una comune appartenenza al genere donna. Mary Daly diceva, giustamente, che "La Sorellanza è l'unione di coloro che sono oppresse".  

Per quanto riguarda la sessualità, similmente ad Anne Koedt anche Carla Lonzi fa notare che, in quanto donna, occorre riconoscere il proprio principio di piacere, autonomo da quello dell'uomo: il piacere clitorideo non dipende dal fallo e non è giusto che una donna basi se stessa, e il rapporto con l'altro, solo sul "concedere la vagina" (questa sì vista come "necessaria" per il pene). Del resto, il piacere femminile è stato ingabbiato dalla pretesa maschile che fa coincidere il proprio piacere (l'emettere sperma nella vagina) con "il piacere femminile" (si suppone che una donna debba godere di ciò). Aver imposto questa coincidenza di piacere e fecondazione alla donna è il primo gesto di violenza maschile. L'uomo impone alla donna il proprio modello sessuale, il proprio modello di piacere e le inibisce così la scoperta della sua sessualità. In particolare, la sessualità clitoridea è una forma di autonomia. L'affermazione di tale piacere (autonomo, non causato dal pene, non procreativo) è un atto di ribellione al patriarcato.

Ci piace concludere questo scritto su Carla Lonzi con questa citazione:

"Il femminismo ha inizio quando una donna cerca la risonanza di sé nell'autenticità di un'altra donna perché capisce che l'unico modo di ritrovare se stessa è nella sua specie"
La ritorsione e l'odio che il sistema androcentrico veicola contro la donna è proprio la dimostrazione dell'incapacità e della frustrazione di tale sistema di accettare una donna autonoma e la sua autonomia di giudizio.
Sottrarsi alla reificazione che l'uomo mette in atto, sulla donna, significa rifiutare di "divenire umane" (perciò degne) tramite e per mezzo di quello che l'uomo dice e sotto la sua guida. In questa "logica" sembra che l'uomo patriarcale dica alla donna: "Renditi degna di me, visto che sei inferiore; sono io a guidarti verso la completezza dell'Umano. Divieni tramite me". Questa è anche l'idea che regge il postulato cristiano del "redentore universale": maschi e femmine si salvano in virtù e per il maschio divino gesù. Secondo Carla Lonzi, sono proprio quelle donne inferiorizzate che "accettano il meccanismo del patriarcato per godere una qualche risonanza", per vivere di luce riflessa, per risalire continuamente verso di lui per la valutazione di sé, come donna.  
Riconoscersi, tra donne, come esseri umani completi, non in funzione dell'altro sesso: nel momento in cui questa coscienza inizia a manifestarsi, il patriarcato viene messo in discussione e comincia a traballare. è in nome dell'"amore oblativo" che le donne sono state costrette ad accettare la loro subordinazione: la cultura millenaria monoteista ha consentito infatti agli uomini di chiedere alle donne conferma e legittimazione alla civiltà patriarcale in nome "dell'amore, dell'unione coniugale".
Ma non c'è vero amore se uno ordina, e l'altro obbedisce e subisce. Il vero amore deve essere visto come una relazione tra i  sessi in cui entrambi sono riconosciuti come soggetti coscienti. Solo l'autocoscienza femminile può strappare le donne alla condanna della sottomissione (e dell'abuso) alla quale sono condannate da secoli e secoli.
"Dandosi riconoscimento le une con le altre, esse sottraggono all'uomo il potere assoluto di definirle"
La solidarietà tra donne è difficile perché ancora per molte donne conta l'approvazione dell'uomo e/o del mondo maschile culturale. "Superiore" e "Inferiore" sono le due figure alle quali costantemente è ricondotta la differenziazione tra donne. Il sapore amaro della disparità tra donne è quello che Carla Lonzi è stata costretta ad assaggiare.