Hume, Goethe, Cioran e il Depressive Suicidal Black Metal

Certo, uno scritto che solo Lunaria può pensare di fare. Non è "argomento da università, da ateneo e da accademia" il Depressive Suicidal Black Metal, ma noi ce ne f*ttiamo dei perbenismi moralistici bon ton e lo trattiamo corredando il tutto con roba letteraria che ci gusta.
Non andrà tutto bene e niente sta andando per il meglio, quindi rispetto alla melassa da mainstream che vi racconta che "tutto andrà bene e tutto sta andando bene" noi rivendichiamo il piacere nichilista e cioraniano di demolire il buonismo e proclamare che le cose andranno sempre peggio, come sempre sono andate anche prima del Covid-19 (*) 
e noi ci facciamo trovare già preparate ad affrontare la desolazione esistenziale con una bella soundtrack a tema DSBM, ché i libri Cioran ce li ho fissi a stazionare sul comodino sin dal 2004, e a quelli mi sono sempre attenuta.

Un mucchio di tempo, insomma, e l'unico modo per trascinarsi sfiancati ma stazionari.


***

David Hume e la difesa al diritto di suicidarsi

Il suicidio è sempre stato visto come un attentato e un'offesa
a Dio (1) alla società e allo stesso individuo che lo commetteva.
David Hume (1711-1776) fu tra i primi a difendere il diritto al suicidio, se la vita non meritava di essere vissuta.



Per Hume la condanna al suicidio era una superstizione che impediva agli uomini di sfuggire al giogo del dolore e della pena che ci mantengono incatenati a un'esistenza odiosa (per usare le parole di Hume stesso).
Se era vero che solo Dio poteva disporre della vita, "era criminale agire tanto per la sua conservazione quanto per la sua distruzione". Per Hume sia la prudenza sia il coraggio permettevano all'uomo di disfarsi della sua esistenza quando questa diveniva un peso.


(1) e la virilità ipostatica del dio cristiano così celebrata dai tanti tommasi d'aquini in 2000 anni di cristianesimo è un'offesa a Lunaria, ovviamente. Comunque, Io non perdonerò settanta volte sette lo spregevole tiranno sessista adorato dai monoteisti e torno a ribadire che NON SERVIAM.
 

Commento a "I Dolori del Giovane Werther", tratto da




Nel 1772 all'età di 23 anni, Goethe si recò a Wetzlar, secondo la volontà paterna, per studiarvi il funzionamento del tribunale supremo dell'Impero. Fu una breve parentesi, interrotta da un brusco rientro a Francoforte: Goethe si era innamorato di Charlotte Buff, allora fidanzata dell'amico Johann Christoph Kestner. La storia di questo amore infelice dovette formare un primo nucleo ideale di composizione. Ma un particolare drammatico si aggiunse a delineare un quadro con somiglianze e richiami troppo profondi alla realtà autobiografica: attraverso una lettera di Kestner, Goethe ebbe notizia della morte di un certo Jerusalem, segretario di legazione, suicidatosi con le pistole dello stesso Kestner. In quell'istante si configurò chiaro il piano del "Werther": tre amici, Lotte, il fidanzato Alberto e il giovane Werther (nel quale Goethe adombrò se stesso e lo sfortunato Jerusalem).
Scritto di getto in quattro settimane, la forma è quella di un romanzo epistolare, sul modello di Richardson e della "Nouvelle Heloise". Nell'attenzione dedicata a un certo stile e tono sentimentale, a certe cadenze ritmiche e spezzettate della frase, che già fanno preavvertire gli esiti più maturi della corrente preromantica, si avverte l'eco delle recenti letture suggerite dall'amico Herder (Omero, Ossian). Lo studio psicologico del protagonista, l'analisi intimistica della passione nel suo svolgimento sono poi talmente profondi e complessi che, in senso più ampio, come si è detto,  l'opera pone le premesse del romanzo moderno.
Il "Werther" ebbe una risonanza a livello europeo (si pensi soltanto all'influenza esercitata su Foscolo e Leopardi) 



e una vera e propria valanga di traduzioni e imitazioni. Non mancarono crociate anti-wertheriane e ordini di sequestro a carattere censorio per il suo contenuto giudicato antieducativo e persino istigatorio (la febbre wertheriana contò in effetti alcuni suicidi).
Ciò che di deviante, a parte il tragico gesto finale, poteva esserci in questa vicenda era un larvato attacco alla tradizione, alle istituzioni: l'amore infelice di Werther per Lotte, promessa ad Alberto, rappresentava un pericolo potenziale, l'elemento scardinatore di un sistema borghese di certezze convenzionali, di valori centrati sull'onestà, sulla legittimità, la rettitudine. Proiettato nella storia politica-culturale del tempo, il dissidio di Werther era l'inutile, vano tentativo individualistico e intellettuale di una rivolta antiborghese, contro quanto di arretrato e contradditorio continuava a persistere proprio in seno a quella classe che aveva assunto il compito storico di abbattere l'aristocrazia feudale. "Se dovessi dire quello che fui per i giovani tedeschi, direi che sono stato il loro liberatore", disse semplicemente Goethe di se stesso.
Nel suo libro non solo i giovani tedeschi, ma un intero secolo, il Settecento, si era specchiato e riconosciuto (Napoleone portava con sé ovunque il "Werther").


Tutto ciò che sono riuscito a sapere della storia del povero Werther, l'ho raccolto con cura e ora ve lo presento, sicuro che me ne sarete grati. Non potrete rifiutare la vostra ammirazione e il vostro amore al suo spirito e al suo carattere, né le vostre lacrime alla sua sorte.
E tu, anima tormentata, che soffri le sue stesse pene, trova conforto nella sua sofferenza e fa di questo libretto un amico, se per destino o per tua colpa non ne trovi altri.


4 maggio 1771

Sono proprio contento di essere partito! Mio carissimo amico, che cosa è mai il cuore dell'uomo? Eravamo inseparabili, eppure ti ho abbandonato e sono contento! So che mi perdonerai. Non pareva che il destino avesse scelto di proposito tutti gli altri miei legami, per angosciare un cuore come il mio? Povera Eleonora! Eppure io ero innocente. Che colpa potevo averne se mentre le eccezionali grazie di sua sorella mi procuravano una piacevole distrazione, una passione andava sorgendo nel suo povero cuore? Sono proprio veramente innocente? Non ho forse alimentato io stesso i suoi sentimenti? Non mi deliziavo io stesso delle spontanee espressioni della sua natura che sovente ci facevano ridere, anche se erano tutt'altro che ridicole? Non ho io forse... Oh, che cosa è mai l'uomo che può lagnarsi di tutto! Cercherò di correggermi, amico caro, te lo prometto, non voglio più stare a rimuginare quel tanto di male che il destino ci manda, come ho sempre fatto; voglio godere del presente e tralasciare il passato. Certo, tu hai ragione, mio caro, i dolori tra gli uomini sarebbero minori se essi non lavorassero tanto di fantasia - e Dio solo sa perché sono fatti così - nel richiamare alla memoria i mali passati, piuttosto che accettare un noioso presente. [...] Per il resto qui mi trovo benissimo, la solitudine di questo paesaggio paradisiaco è un balsamo prezioso per la mia anima e la stagione della giovinezza scalda il mio cuore che troppo spesso trema di freddo. Ogni albero, ogni siepe è per me un mazzo di fiori, vorrei diventare un maggiolino per tuffarmi in questo mare di profumi e assorbire ogni nutrimento. [...]

10 maggio

Una meravigliosa serenità ha pervaso la mia anima, come questo dolce mattino primaverile che assaporo con tutto il cuore. Sono solo, felice della mia vita in questo panorama creato apposta per anime come la mia. Sono così lieto, mio caro, così totalmente assorbito da questo sentimento di esistenza tranquilla, che la mia arte ne patisce. Ora non vorrei disegnare nulla, neppure una linea, eppure in simili momenti mi sento un pittore grande come non mai. Quando gli effluvi della bella valle si diffondono intorno a me e il sole alto penetra e fuga la tenebra di questo bosco penetrando solo qua e là all'interno del sacrario, allora mi stendo nell'erba alta vicino il ruscello scrosciante e, stando così presso la terra, osservo più da vicino nella loro realtà mille strane erbe, che mi empiono di meraviglia; quando sento vicino al mio cuore il brusio in mezzo agli steli di questo piccolo mondo, quando vedo le numerose, incomprensibili forme di bruchi, dei moscerini e avverto la presenza dell'Onnipotente, che ci fece a Sua immagine, e insieme l'alito del Supremo Amore che ci porta e ci sostiene in una perenne delizia e... oh, amico mio caro! quando il mondo che mi sta intorno con l'intero cielo riposano nella mia anima, quando l'ombra scende sui miei occhi, come la figura dell'amata... allora spesso mi coglie una nostalgia e penso: "Oh se tu potessi esprimere tutto questo, se tu potessi trasferire sulla carta quello che vive in te con tanta pienezza, con tanto ardore, così da farne lo specchio della tua anima, come la tua anima è lo specchio dell'infinità di Dio!" Amico mio, io non resisto, sono travolto e vinto dalla meravigliosa potenza di questo piccolo mondo.

30 Agosto

E... quando talvolta il dolore mi sopraffà e Lotte non mi concede la misera consolazione di bagnarle la mano col mio pianto desolato... allora devo fuggire, fuori! a grandi passi erro per i campi intorno; allora la mia gioia è scalare un erto monte o aprirmi un varco nell'intricato bosco, tra le siepi che mi feriscono, traverso i rovi che mi lacerano! Così mi sento alquanto meglio! Alquanto! E quando stanchezza e sete mi fermano per strada, giaccio a volte nella notte profonda, e su di me pende la luna piena; o mi seggo nella foresta solinga su un tronco curvo per accordare un po' di sollievo ai miei piedi sanguinanti, e poi m'assopisco nell'incerta luce di un sonno faticoso! O Guglielmo! La cella solitaria, il cilicio, e la cintura di spine sarebbero delizie, verso cui l'anima mia sospira. Addio! non vedo altro termine a questi tormenti che la tomba.

10 Settembre

Alberto mi aveva promesso di farsi trovare in giardino con Lotte subito dopo cena. Stavo sotto i grandi castagni della terrazza,  guardavo il sole che per l'ultima volta vedevo tramontare di là della valle amata, di là del mite ruscello.
Quante volte avevo di lassù contemplato insieme a lei il magnifico spettacolo... E ora! Camminavo su e giù per quel viale che mi era caro: una segreta simpatia mi aveva fermato qui, prima che io conoscessi Lotte; e qual piacere era stato per noi, al principio della nostra relazione, scoprire reciprocamente la nostra preferenza per quel luogo, uno dei più romantici creati dall'arte!
Anzitutto fra i castagni si gode di una bella vista... Ah, ricordo,
mi sembra di avertene spesso scritto: le alte pareti di faggi, che limitano il viale che diventa sempre più cupo a causa di un boschetto vicino, finché tutto finisce in una piazzetta chiusa intorno a cui sembrano alitare tutti i fremiti della solitudine.
Risento ancora il senso di mistero che mi prese entrandovi la prima volta in pieno pomeriggio; segretamente presentii che stava per diventar teatro, e che teatro, di beatitudine e di dolore.
Avevo già trascorso una mezz'ora immerso nei tristi e dolci pensieri della separazione e del commiato, quando li sentii salire sulla terrazza. Corsi loro incontro e, con un fremito, le afferrai la mano e la baciai.
Eravamo appena risaliti, che la luna si levò su dalla selvosa collina; conversammo un poco e senza avvedercene ci avvicinammo allo scuro recesso.
Lotte vi entrò e sedette, Alberto si mise accanto a lei e io pure;
ma la mia inquietudine non mi lasciò a lungo in pace;
mi alzai, stetti in piedi davanti a loro; camminai su e giù, mi sedetti di nuovo: era uno stato di angoscia.
Lei ci fece osservare il bell'effetto del lume di luna che dal fondo del viale dei faggi rischiarava tutta la terrazza; splendida vista, che il buio circostante faceva anche più luminosa.
Eravamo silenziosi e, dopo qualche tempo, Lotte cominciò a dire:
"Non passeggio mai al chiaro di luna senza pensare a tutti i miei morti, senza esser presa dal sentimento della morte e dell'avvenire.
Noi sopravviveremo!", continuò con una splendida certezza nella voce, "ma, Werther, ci incontreremo ancora? ci riconosceremo? cosa crede? cosa dice?"
"Lotte", disse porgendole la mano, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime - "ci rivedremo! Quaggiù e lassù ci rivedremo!"




  
Il dottor Mark Harrison mentre tenta di suicidarsi in "Pericolo Medico" https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/recensione-pericolo-medico.html


"Infelice e frustato, Mark guidò sino al parco prospiciente il fiume, quello che aveva imparato ad amare durante le corse mattutine, lo stesso in cui aveva spartito la colazione con Alexa, poco più di un mese prima. Lì, metodicamente infilò un ago a farfalla nella vena di una mano, lo assicurò per mezzo delle flange consone allo scopo, e cominciò ad iniettarsi le fiale di Demerol, ciascuna contenente cento milligrammi del potente e anche letale stupefacente. A metà della quarta crollò incosciente sul sedile dell'auto, senza badare che, quando la siringa che stava usando gli era caduta dalla mano, si era staccata dall'ago e che il sangue rifluiva gocciolando sul pianale dell'auto"


Depressive Suicidal Black Metal






Band fondamentali del genere:

Shining
Forgotten Tomb
Xasthur
Happy Days
Lifelover
Thy Light
Silencer
Trist
Nocturnal Depression
Hypothermia

Dusk (Italiani)

Nota di Lunaria: i miei preferiti sono Forgotten Tomb e Happy Days.

DSBM compilation:




Happy Days:




Dusk:



Forgotten Tomb: 



Xasthur





Abbiamo parlato a lungo di Eutanasia e Suicidio anche qui:

https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/eutanasia-e-suicidio-assistito-due.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/03/i-teologi-dellanti-dio-e-il-caos.html




Infine, gli aforismi di Cioran, che non mi stancherò mai di postare ovunque:


Brano tratto da "Lettere al Culmine della Disperazione"  

Negli stati depressivi l'uomo si sente essenzialmente come separato dal mondo, come se formasse insieme a quell'astro una dualità irriducibile. Non è forse qui la fonte di quel senso di solitudine, quella sensazione di gettatezza e di abbandono alla morte? Ma prima di tutto perchè esiste il dolore? Sarebbe assurdo rispondere che gli uomini soffrono per comprendere il mondo, come se la sofferenza giustificasse la sua comparsa, la sua esistenza, in forza del suo potere di disvelamento del mondo. Se il cammino che conduce alla conoscenza è così doloroso, chiunque rinuncerebbe ad esso. Il dolore del mondo esiste a causa del carattere irrazionale, bestiale e demoniaco della vita, questa specie di vortice che divora se stesso nella propria tensione. La sofferenza è una negazione della vita racchiusa nella sua struttura immanente. Nel carattere demoniaco della vita è implicata una tendenza verso la negatività, la distruzione, che ostacola ed esaurisce lo slancio dell'imperialismo vitale. Contrariamente ad altre forme inconsce di autodistruzione della vita, quello che avviene attraverso il dolore è il notevole sviluppo della coscienza, il cui intensificarsi è inseparabile dal fenomeno della sofferenza. Poiché il principio demoniaco le è immanente, la vita annulla radicalmente qualsiasi speranza di purificazione possibile, qualsiasi spiritualizzazione in grado di convertire i suoi orientamenti in direzione di un piano ideale. Se la vita è un'immensa tragedia, lo si deve solo a questa immanenza demoniaca. Coloro che la negano e vivono come inebriati dall'aroma delle visioni paradisiache mostrano di essere organicamente incapaci di avvicinarsi consciamente alle radici della vita o al contrario sembrano essersene distolti per privarsi della prospettiva abissale del dramma. Nel dolore l'uomo passa attraverso i sensi.

"Al Culmine della Disperazione" pagina 36

Colui che non ha mai avuto il sentimento di questa terribile agonia in cui la morte cresce in te per invaderti come un afflusso di sangue, come una forza interiore invincibile che ti soffoca e ti si avvinghia come un serpente provocando orribili allucinazioni, costui ignora il carattere demoniaco della vita e le effervescenze interiori artefici di grandi trasfigurazioni. Solo una cupa ebbrezza può far comprendere perchè si desidera che un simile mondo finisca al più presto. Non l'ebbrezza luminosa dell'estasi, in cui, conquistati da visioni paradisiache, ci si eleva verso una sfera di purezza, dove l'elemento vitale si sublima nell'immaterialità: una tortura folle, pericolosa e distruttiva caratterizza questa ebbrezza cupa, in cui la morte appare in tutta la tremenda seduzione degli occhi di serpente che popolano incubi. Queste sensazioni e queste visioni legano a tal punto all'essenza della realtà, che le illusioni della vita e della morte lasciano cadere la maschera. Un'agonia esaltata mescolerà, in una vertigine spaventosa, la vita alla morte, mentre un satanismo bestiale presterà lacrime al piacere. La vita come agonia prolungata e cammino verso la morte non è che una formulazione diversa della dialettica demoniaca che le fa partorire forme al solo fine di distruggerle con un accanimento cieco. La molteplicità delle forme vitali non converge in un'intenzionalità trascendente, ma genera una folle dinamica in cui si riconosce soltanto il demonismo del divenire e della distruzione. L'irrazionalità della vita si manifesta in questo traboccare di forme e di contenuti, in questo desiderio frenetico di rinnovare aspetti logori senza che ciò significhi un mutamento apprezzabile. Una relativa felicità potrebbe toccare a chi si abbandonasse a questo divenire e cercasse, al di là di ogni problematica torturante, di assaporare tutte le potenzialità dell'attimo senza quel perpetuo confronto che rivela un'insormontabile relatività. L'esperienza dell'ingenuità è la sola salvezza. Ma per coloro che sentono e concepiscono la vita come una prolungata agonia, il problema della salvezza resta un semplice problema. Su questa via non ci sarà salvezza. La rivelazione dell'immanenza della morte sopravviene in genere con la malattia e gli stati depressivi. Certamente, vi sono anche altre vie, ma del tutto accidentali e individuali, con un potere di rivelazione assai minore. Se le malattie hanno una missione filosofica, non può essere che quella di mostrare quanto sia illusorio il sentimento dell'eternità dell'esistenza, e quanto fragile il sogno di un compimento della vita. Le sofferenze ci legano a realtà metafisiche che un uomo normale e in perfetta salute non capirà mai.     

La Bellezza del Fuoco, pagina 103

Il fascino delle fiamme sta nel loro potere di conquistare attraverso uno strano gioco al di là dell'armonia, delle proporzioni e della misura. Il loro impalpabile slancio non simboleggia la grazia e la tragedia, l'ingenuità e la disperazione, il piacere e la tristezza? Non ci sono, nella loro divorante trasparenza, nella loro bruciante immaterialità, la leggerezza e il volo delle grandi purificazioni e dei grandi incendi interiori? Vorrei essere sollevato dalla loro trascendenza, sospinto dal loro impulso delicato e insinuante, vorrei galleggiare su un mare di fuoco, consumarmi in una morte eterea, in una morte irreale. La loro strana bellezza dà l'illusione di una morte pura e sublime, simile a un azzurro aurorale. Non è significativo che attribuiamo una tale  morte solo alle creature alate e leggiadre? La immaginiamo come un incendio di ali, come una morte immateriale. Solo le farfalle muoiono così? E coloro che muoiono delle loro stesse fiamme!?

Pagina 122

Sarà il mio vuoto interiore a inghiottirmi, il mio stesso vuoto. Sentirsi crollare dentro di sé, nel proprio nulla, sentire quanto è rischioso pensare a se stessi, sentirsi cadere nel proprio caos interno! La sensazione di precipitare davvero nel vuoto è assai meno complessa di questa sensazione folle. Rendersi conto delle proprie infinite profondità, da cui risuonano richiami dal demoniaco sortilegio, significa pervenire a una forma insolita di espansione centripeta, in cui il centro dell'essere si sposta, in un gioco indefinito, verso un nulla soggettivo. L'angoscia del crollo fisico non ha il fascino morboso dell'angoscia del crollo interiore. Perchè a quest'ultima si aggiunge la soddisfazione di morire in se stessi, di trovare la morte nel proprio nulla. 
Non c'è nessuno che, uscendo da un dolore o da una malattia, non avverta nel fondo dell'anima un rimpianto, per pallido e vago che sia. Coloro che soffrono intensamente e a lungo, sebbene desiderino ristabilirsi, non riescono a non pensare alla loro eventuale guarigione come a una fatale perdita. Quando il dolore è parte integrante del proprio essere, il suo superamento corrisponde inesorabilmente a una perdita, e non può non provocare rimpianto. Ciò che ho di meglio in me lo devo alla sofferenza; ma le devo anche ciò che perduto. Così non si può amarla nè maledirla.
Se tuttavia si continua a vivere, è solo grazie alla scrittura, che ci sgrava, oggettivandola, di questa tensione infinita. La creazione è una temporanea salvezza dagli artigli della morte. Mi sento sul punto di esplodere di tutto ciò che mi offrono la vita e la prospettiva della morte. Mi sento morire di solitudine, d'amore,  di disperazione, di odio e di tutto quanto il mondo può darmi. Come se ogni cosa che vivo mi dilatasse al pari di un pallone pronto a scoppiare. In queste condizioni esasperate si compie una conversazione al niente. Ci si espande interiormente fino alla follia, di là da tutte le frontiere, ai margini della luce, là dove questa è strappata alla notte, e da tale eccesso di pienezza, come in un turbine selvaggio, si è scaraventati dritti nel niente.La vita crea la pienezza e il vuoto, l'esuberanza e la depressione; che cosa siamo davanti alla vertigine interiore che ci consuma fino all'assurdo? Sento la vita scricchiolare in me per eccesso di intensità, ma anche di squilibrio. è come un'esplosione incontrollabile, che può far saltare irrimediabilmente in aria anche te. All'estremo della vita senti che essa ti sfugge, che la soggettività è un'illusione, e che in te si agitano forze di cui non sei responsabile, sottoposte a un dinamismo estraneo a ogni ritmo definito. Ai confini della vita c'è qualcosa che non sia occasione di morte? Si muore di tutto ciò che è come di tutto ciò che non è. Ogni esperienza diventa quindi un salto nel nulla. Quando hai vissuto fino al parossismo, fino alla suprema tensione tutte le cose che ti ha offerto la vita, sei pervenuto a quello stato in cui non c'è più niente che si possa ancora vivere. Anche senza aver dato fondo a tutte le esperienze: basta aver esaurito le principali. E quando ci si sente morire di solitudine, di disperazione o d'amore, le altre emozioni non fanno che prolungare questo amaro corteggio. La sensazione di non poter più vivere dopo tali vertigini deriva anche da una consunzione puramente interiore. Le fiamme della vita bruciano in un crogiolo da cui il calore non può uscire.
Tutti i mistici non ebbero forse, dopo le grandi estasi, il sentimento di non poter più vivere?
Non c'è nulla che giustifichi il fatto di vivere. Dopo essersi spinti al limite di se stessi si possono ancora invocare argomenti, cause, effetti, considerazioni morali ecc? Certamente no. Per vivere non restano allora che ragioni destituite di fondamento. Al culmine della disperazione, solo la passione dell'assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos.

pagina 55

Ora, ognuno porta con sé non solo la propria vita, ma anche la propria morte. La vita non è che una prolungata agonia. La tristezza mi sembra rispecchi qualcosa di questa agonia. Il contrarsi del volto che essa provoca non è un riflesso? Il viso di chi è colpito da un'intensa tristezza mostra dei segni che sembrano scavare nell'essenza stessa dell'essere. In tali segni, negazioni evidenti della bellezza, si legge tanta solitudine e tanto abbandono che ci si chiede se la fisionomia della tristezza non sia una forma sotto la quale la morte si oggettiva. La profondità e la gravità che il volto esprime sono dovute al fatto che queste rughe incidono tanto a fondo da simboleggiare il turbamento e il dramma infinito dell'uomo. Nella tristezza il volto emana una tale inferiorità che il visibile apre una porta sull'anima (Fenomeno che si manifesta anche nelle grandi gioie). La tristezza rende accessibile il mistero. Il mistero della tristezza è tuttavia così inesauribile e ricco, che essa non finisce mai di essere enigmatica. Se si stabilisse una gerarchia dei misteri, la tristezza entrerebbe nella categoria dei misteri inesauribili, senza fine.

pagina 61, 62, 63

Non so che cosa è bene e che cosa è male; ciò che è permesso e ciò che non lo è;
In questo momento, non credo assolutamente a nulla e non ho alcuna speranza. Tutte le manifestazioni e tutte le realtà che conferiscono fascino alla vita mi sembrano prive di senso. Non ho nè il sentimento del passato nè quello del futuro, e quanto al presente, mi sembra un veleno. Non so se sono disperato, perchè la mancanza di ogni speranza può essere anche altro che la disperazione. Nessun aggettivo potrebbe urtarmi, perchè non ho più niente da perdere. Ho perduto tutto!
Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al mondo e avvertire la solitudine del mondo.
Attesto qui, per tutti coloro che verranno dopo di me,che non ho niente in cui credere su questa terra, e che l'unica salvezza risiede nell'oblio. Vorrei scordare tutto, dimenticare completamente me stesso, non sapere più niente di me nè del mondo. Le vere confessioni non si scrivono che con le lacrime. Ma le mie basterebbero ad annegare il mondo, come il mio fuoco interiore a incendiarlo. Non ho bisogno di alcun appoggio, di alcun incoraggiamento, nè di alcuna compassione, perchè, per quanto io sia il più decaduto degli uomini, mi sento forte, duro e feroce! Sono infatti il solo a vivere senza speranza. Questo è il vertice dell'eroismo, il suo parossismo e il suo paradosso. La follia suprema! Dovrei incanalare tutta la passione caotica e confusa che è in me per dimenticare tutto, per non essere più niente, per sfuggire allo spirito e alla coscienza. Se ho una speranza, è quella dell'oblio assoluto. Ma non si tratta piuttosto di una disperazione? Questa speranza non è la negazione di tutte le speranze a venire? Non voglio sapere niente, neppure il fatto di non sapere niente. Perchè tanti problemi, discussioni e dispiaceri? Perchè una tale coscienza della morte? Fino a quando tutta questa filosofia e tutto questo pensiero? 

pagina 70

Sento che dovrebbe spalancarsi sotto di me un vuoto grande e oscuro che m'inghiottisse per sempre in una notte eterna. E mi stupisco che non accada davvero. In questi momenti, infatti, niente mi sembrerebbe più naturale che sprofondare negli abissi delle tenebre, dove non giungerebbe il più pallido riflesso dell'insulso chiarore del mondo. Non intendo cercare una spiegazione organica a questa mia passione per l'oscurità, giacchè non so trovarne una neppure per l'ebbrezza della luce. Mi domando tuttavia con perplessità quale senso possa esserci in quest'alternanza tra l'esperienza della luce e quella delle tenebre. L'intera concezione della polarità mi sembra insufficiente, perchè nell'inclinazione verso le regioni della notte vi è un'inquietudine ben più profonda, che non può sorgere da uno schema dell'essere, da una geometria dell'esistenza. Il sentimento di essere inghiottito dalla notte, una notte che si spalanca sotto i tuoi piedi, è possibile solo dal momento in cui senti qualcosa gravarti il cervello, un peso in tutto l'organismo che preme con la forza di un'immensità notturna. Come mi inghiotteranno le tenebre sconfinate di questo mondo!

Pagina 96

Come l'estasi purifica dall'individuale e dal contingente, per non lasciare che luce e tenebre quali elementi essenziali, così, nelle notti bianche, di tutta la molteplicità e la varietà del mondo non resta che un motivo ossessivo o un elemento intimo, quando non è la presenza viva di qualcuno. Quale strano sortilegio in queste melodie che durante le notti insonni sorgono da noi stessi, per dispiegarsi simili a un flusso ed estinguersi in un riflusso che non è simbolo di abbandono, ma ricorda piuttosto la leggerezza di un passo indietro di non so quale danza! Il ritmo e l'evoluzione sinuosa di una melodia interiore s'impadroniscono di te, in un incantesimo che non potrebbe essere estatico, perchè in questo frangersi melodico vi è troppo rimpianto. Rimpianto di che cosa? Difficile dare una risposta, giacchè le insonnie sono troppo complicate perchè ci si possa rendere conto di ciò che si è perduto. Forse perchè la perdita è infinita... durante l'insonnia prendono corpo le nostre ossessioni. Solo allora, infatti, si è prigionieri di un pensiero o di un sentimento che s'impongono con prepotenza. Tutto si compie melodicamente, con una modulazione misteriosa. L'essere amato si purifica nell'immaterialità, come si dileguasse in una melodia. Non si è più certi se si tratti di sogno o realtà. Il carattere impalpabile accordato alla realtà da questa conversione melodica provoca nell'anima un'inquietudine e un turbamento che, non abbastanza intensi per sfociare in un'ansietà universale, mantengono un'impronta di carattere musicale. Persino la morte, senza cessare di essere orrenda, appare in questa universalità notturna la cui diafana trasparenza, per quanto illusoria, non è meno musicale. Ma la tristezza di questa notte universale ricorda in tutto e per tutto la tristezza della musica orientale, in cui il mistero della morte prevale su quello dell'amore.   

Pagina 101

Mi sento un uomo senza senso, e non mi dispiace di non averne. Perchè mai dovrebbe rincrescermi, quando il mio caos non mi consente che il caos?In me non c'è la minima velleità di forma, di cristallizzazione o di ideale. Perchè non volo, perchè non mi spuntano le ali? Non nasconde questo mio desiderio una fuga dall'esistenza? Non m'involerei con tutta l'esistenza, con tutto ciò che è essere? Avverto in me una tale fluidità che mi stupisco di non sciogliermi, di non scorrere. Vorrei trasformarmi in un fiume impetuoso che portasse il mio nome e scorresse come una minaccia apocalittica. Riuscirei allora a spegnere il fuoco che mi divora? O le mie fiamme mi prosciugherebbero? In me non vi sono che vapori e scintille, inondazioni di fuoco e incendi d'acqua.
Ho dentro di me una confusione e un caos tali da non sapere come l'animo umano possa sopportarli. Troverete in me tutto ciò che vorrete, assolutamente tutto. Sono un essere degli albori del mondo, in cui il caos primigenio è alle prese col suo folle turbinio. Sono la contraddizione assoluta, il parossismo delle antinomine e il limite delle tensioni; in me tutto è possibile, perchè sono l'uomo che riderà nel momento supremo, davanti al nulla, nell'agonia della fine, nell'istante dell'ultima tristezza.

Pagina 106

Quanto terrore e quanta gioia provo al pensiero di essere bruscamente afferrato nel vorticoso caos degli inizi, nella sua confusione e nella sua paradossale simmetria - la sola simmetria caotica, priva di un'eccellenza forma e di un senso geometrico.
Ma in ogni vertigine c'è una potenzialità di forma, come nel caos ne esiste una di cosmo. Vorrei vivere agli albori del mondo, nel turbinio demoniaco del caos originario. Che niente di ciò che è in me è velleità di forma si realizzi. Che tutto vibri di una primigenia agitazione universale, come un risveglio dal nulla. Non posso vivere che al cominciamento o alla fine del mondo.


Pagina 117

Provo una strana inquietudine, che s'insinua in tutto il mio corpo, cresce come un rimpianto, per mutarsi poi in tristezza. è il timore del futuro della mia esistenza problematica, o la paura indotta dalla mia stessa inquietudine? Giacchè sono afferrato dall'angoscia per la fatalità del mio essere. Potrò continuare a vivere con questi problemi, con questi stati d'animo? Ciò che provo è la vita o un sogno assurdo, un'esaltazione irreale ammantata di impercettibili melodie trascendenti? Non si tesse in me la fantasia grottesca e bestiale di un demone? La mia inquietudine non ricorda un fiore nato nel giardino di una creatura apocalittica? La demonicità del mondo pare essersi concentrata tutta nella mia inquietudine - miscuglio di rimpianti, visioni crepuscolari, tristezze e irrealtà. Ed essa non mi farà spargere una fragranza di fiori sull'universo, ma il fumo e la polvere di un crollo totale. Giacchè tutta la mia esistenza non è che un interminabile crollo.

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La disciplina dell'infelicità diminuisce le inquietudine, le sorprese dolorose, attenua il tormento e controlla la sofferenza. Un mascheramento aristocratico del logorio interiore, una discrezione dell'agonia sono i requisiti di questa disciplina dell'infelicità, la quale apparentemente scalfisce appena la coscienza nei momenti supremi, affinchè la tragedia sia più dolorosa nel profondo.
Grottesco e disperazione
Tra le numerose forme del grottesco, la più bizzarra, la più complessa, mi sembra quella che affonda le sue radici nella disperazione. Le altre riguardano un parossismo secondario. Comunque - questo è importante - il grottesco è inconcepibile senza un parossismo. Ma c'è un parossismo più profondo, più organico di quello della disperazione? Il grottesco appare solo nel parossismo degli stati negativi, quando una carenza di vita provoca grandi tormenti; e un'esaltazione della negatività.
Non c'è forse un impulso incontenibile verso la negatività in questa smorfia bestiale e paradossale che deforma i tratti del viso per conferire loro una strana espressività, in questo sguardo rapito da luci e ombre lontane, mentre il pensiero segue i contorcimenti di un tale spasmo? La disperazione intensa e irrimedibile non può oggettivarsi che nelle espressioni grottesche. Il grottesco è infatti la negazione assoluta della serenità - stato di purezza, di trasparenza e di lucidità, così lontano dalla disperazione, da cui invece non possono scaturire che il nulla e il caos.


Alcuni Aforismi di Cioran, tratti da "La Caduta nel Tempo".

* Non siamo realmente noi se non quando mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità.
* Non coltiviamo il brivido in sé, vagheggiamo ciò che è nocivo.
* Liberarsi dell'ossessione di sé. Nessun imperativo è più urgente.
* Promossi al rango di incurabili, siamo materia dolente, carne urlante, ossa rose da grida, e i nostri stessi silenzi non sono che lamenti strozzati.
* Distruggere significa esercitarsi a non essere niente.
* Il tale è dominato dalla cupidigia, dalla gelosia, dalla vanità? Lungi dal biasimarlo si deve invece lodarlo. Che cosa sarebbe senza di esse? Quasi nulla, vale a dire puro spirito, più precisamente angelo (sterile e inefficace quanto la luce in cui vegeta).
* L'automatismo della malattia è tale che essa non può concepire niente al di fuori di se stessa. A lungo andare, essa non dà più nulla a colui che soffre se non la conferma quotidiana della sua impossibilità di non soffrire.
* Finchè si sta bene non si esiste, più esattamente: non si sa di esistere.
* Non possiamo immaginarci senza di esso né separarlo da noi stessi, dal nostro essere, di cui è la sostanza, anzi la causa.
* L'inferno è quel presente che non si muove, quella tensione nella monotonia, quell'eternità rovesciata che non si apre su niente, nemmeno sulla morte, mentre il tempo che scorreva, che si svolgeva, offriva almeno la consolazione di un'attesa, sia pure funebre.
* Colui che non ne distoglie mai la mente dà prova di egoismo e di vanità; vive in funzione dell'immagine che gli altri si fanno di lui, non può accettare l'idea che un giorno non sarà più niente; poichè l'oblio è il suo incubo di ogni istante.
* La vera vita comincia e finisce con l'agonia.
* Presto egli non sarà più niente. Non era niente neanche prima della malattia. Egli è soltanto nell'intervallo che intercorre tra il vuoto.
* Quell'essere che lui stesso ha demolito ora smania e si agita nella vana speranza di ricostituirlo, come quella di Macbeth, la sua coscienza è devastata, anche lui ha ucciso il sonno, il sonno ove riposavano le certezze... Dopo aver dubitato dei propri dubbi, finisce col dubitare di sé, con lo sminuirsi e con l'odiarsi, col non credere più alla propria missione di distruttore. Una volta reciso l'ultimo legame, quello che lo teneva attaccato a se stesso, e senza il quale perfino l'autodistruzione è impossibile, egli cercherà rifugio nel vuoto primordiale...
Non c'è più alcun argomento che lo attragga o che egli voglia innalzare alla dignità di problema, di flagello...
è ridotto a non potersi più rivolgere ad altri che al Non-Creatore, a cui assomiglia, con cui si identifica, e di cui il Tutto, indistinguibile dal Niente, è lo spazio dove, sterile e prostrato, egli trova compimento e riposo.

Mi abbandono allo spazio come la lacrima di un cieco. Di chi sono io la volontà, chi vuole in me? Mi piacerebbe che un demone concepisse una cospirazione contro l'uomo: sarei pronto ad associarmi. Stanco di ingarbugliarmi nelle esequie dei miei desideri, avrei finalmente un pretesto ideale, giacché la Noia è il martirio di quelli che non vivono e non muoiono per nessuna fede.

Dal commento introduttivo a "La Caduta nel Tempo"

Se Dio ha potuto affermare di essere "colui che è", l'uomo, al contrario, potrebbe definirsi "colui che non è". E proprio questa mancanza, questo deficit di esistenza, risvegliando per reazione la sua tracotanza, lo incita alla sfida o alla ferocia. Avendo disertato le sue origini, barattato l'eternità con il divenire, maltrattato la vita proiettando in essa la propria giovane demenza, egli emerge dall'anonimato tramite un susseguirsi di rinnegamenti che fanno di lui il grande transfuga dell'essere.

Da "Storia e Utopia" (1960)


* Esistere significa accondiscendere alla sensazione, dunque all'affermazione di sé.
* Creare significa trasmettere le proprie sofferenze.

Da "Squartamento"


* Beati tutti coloro che nati prima della scienza, avevano il privilegio di morire alla loro prima malattia.
* Anche quando non accade niente, tutto sembra di troppo.
Che dire allora in presenza di un avvenimento?

* è consolante potersi dire: "La mia vita corrisponde esattamente al genere di arenamento che mi auguravo".
* L'uomo è un Nulla conscio di sé.
* Quando si è votati al tormentarsi, i propri tormenti, per quanto grandi siano, non bastano, ci gettiamo anche su quelli degli altri, ce li appropriamo.
* Lo stato di salute è uno stato di non sensazione, anzi, di non realtà. Non appena si cessa di soffrire, si cessa di esistere.
* L'essere certi che non c'è salvezza è una forma di salvezza. A partire da lì si può organizzare la propria vita come pure costruire una Filosofia della Storia. L'Insolubile come soluzione,
come sola via d'uscita.

* Sopprimevo dal mio vocabolario una parola dopo l'altra. Finito il massacro, una sola superstite: Solitudine.   

Da "La Tentazione di Esistere"


* "Contro che cosa reagire?" Il Nulla era la mia Ostia: tutto in me e fuori di me si transustanziava in spettro.
* Soffrire: il solo modo d'acquisire la sensazione di esistere.
* Più nulla da rovesciare se non se stesso, ultimo idolo da abbattere... le proprie rovine lo attirano.
* Non si distrugge. Ci si distrugge. Mi sono odiato in tutti gli oggetti dei miei odii, ho immaginato miracoli di annientamento...
* Più nulla da cercare se non la ricerca del Nulla.
* Che tutto si fermi dal momento che non riesco a concepire né a fare un passo di più verso un orizzonte qualsiasi. 

Da "Lacrime e Santi"


* Dio ha sfruttato tutti i nostri complessi di inferiorità, a cominciare da quello che ci impedisce di crederci Dèi.
* Dio ha creato il mondo per paura della solitudine. è questa l'unica spiegazione possibile della Creazione. La sola ragione di essere di noi creature è di distrarre il Creatore...
* Poichè non esiste soluzione ad alcun problema, né via d'uscita ad alcuna situazione, non ci rimane che girare a vuoto. Nutriti di sofferenza, i pensieri prendono la forma di aporie, questo chiaroscuro della mente, la somma degli insolubili proietta una tremula ombra sulle cose. La serietà incurabile del Crepuscolo...
* Tutti i declini sono qui con me, per sostenermi...
* Non si vede più niente all'infuori del Niente e questo Niente è Tutto.
* Tutti i Nichilisti hanno avuto a che fare con Dio. Prova supplementare della sua vicinanza al Niente. Dopo aver calpestato tutto, altro non vi resta da distruggere se non quest'ultima riserva del Nulla.
* Credo di non aver mai perso un'occasione di essere triste. (La mia vocazione d'uomo)
* I nostri occhi sanno tutto, imbevuti del Nulla ci assicurano che niente ci può più accadere.
* Questo bisogno di profanare le tombe, di animare i cimiteri, in un'Apocalisse primaverile!
* La non aderenza alla vita genera una voglia di fissità. Si comincia a vedere il mondo in forme rigide, linee definite, contorni morti; quando non provate più quella gioia che nutre il divenire, tutto sfocia in simmetrie; quello che tra i vari tipi di follia, è stato chiamato "Geomatrismo", non sarebbe dunque altro che un eccesso di questa predisposizone all'immobilità che accompagna tutte le depressioni. Il gusto delle forme tradisce una tendenza segreta alla morte. Più siete depressi, più le cose si fissano, nell'attesa di farsi ghiaccio.
 

Da "Sillogismi dell'amarezza"

* è facile essere "profondi": basta lasciarsi sommergere dalle proprie tare.
* Un libro che, dopo aver demolito tutto, non demolisca anche se stesso, ci avrà esasperato invano.
* Se posso lottare contro un accesso di depressione, in nome di quale vitalità dovrei accanirmi contro un'ossessione che mi appartiene, che mi precede? Se sto bene, prendo la via che desidero.
"Malato" non sono più io a decidere: è la mia malattia.

* Tutte le acque sono color dell'annegamento.
* Quando si impara ad attingere nel vuoto a piena mani, non si paventa più il domani.
* Non chiedetemi più il mio programma. Respirare, non ne è già uno?
* Senza la speranza di un dolore più grande non potrei sopportare quello del momento, fosse anche infinito.
* A che è dovuta la sua aria di sufficienza?
Sono riuscito a sopravvivere a molte notti durante le quali mi chiedevo: mi ucciderò all'alba?


Da "Esercizi d'ammirazione"


* Uno dei primi capitoli si intitolava "L'Antiprofeta". In realtà reagivo da profeta, mi attribuivo una missione, dissolvente se si vuole, ma pur sempre una missione. Attaccando i profeti, attaccavo me stesso e... Dio, in conformità col mio principio di allora secondo il quale ci si dovrebbe occupare soltanto di lui e di sé.
* Un'incoercibile voluttà di negare...
* Le ossessioni espresse sono affievolite e per metà superate. Un libro che esce è la tua vita o una parte della tua vita che non ti appartiene più, che ha cessato di opprimerti e logorarti.
* ... della scossa fortificante di uno spirito che ha costruito sull'abisso invece di lasciarvisi cadere, e di coltivarne le angosce.
* (Benjamin Fondane) Sulla sua persona, è vero, i segni della prosperità; solo che tutto in lui era al di là della salute e della malattia, come se l'una e l'altra fossero unicamente delle tappe che aveva superato.
* (Fitzgerald) Ecco l'orrore sopraggiungere come il temporale. E se questa notte prefigurasse quella che segue la morte. Se l'aldilà non fosse che un brivido senza fine sull'orlo di un abisso in cui ci spinge tutto quanto in noi è vile e corrotto, e nel quale ci precedono la viltà e la corruzione del mondo. Nessuna scappatoia, nessuna via d'uscita, nessuna speranza, null'altro che le perpetue ripetizioni del sordido e del semi tragico... O forse attendere indefinitamente ai confini della vita senza potere mai oltrepassare la soglia che ce ne separa. Quando l'orologio suona le 4 non sono più che uno spettro.
* Mi identificavo adesso con gli oggetti del mio orrore e della mia compassione.

Da "Confessioni e anatemi"


* Sono talmente appagato dalla solitudine che il minimo appuntamento è per me una crocifissione.
* Kant ha atteso l'estrema vecchiaia per scorgere i lati foschi dell'esistenza e segnalare "lo scacco di ogni teodicea razionale"
...Altri, più fortunati, se ne sono accorti ancora prima di incominciare a filosofare.

* Ho appena sfogliato una biografia. L'idea che tutti i personaggi che vi sono evocati esistano ormai solo in quel libro mi è parsa così insostenibile che mi sono dovuto stendere per evitare un mancamento.
* Settuagenaria, Lady Montagu confessava che da undici anni aveva smesso di guardarsi allo specchio. Eccentricità? Forse, ma solo per quelli che ignorano il calvario del quotidiano incontro con la propria faccia.
* Posso parlare solo di ciò che provo; orbene, in questo momento non provo niente. Tutto mi sembra annullato, tutto è sospeso per me. Cerco di non trarne né amarezza né vanità. "Nel corso delle numerose vite che abbiamo vissute", si legge nel "Tesoro della Vera Legge", "quante volte siamo nati invano, morti invano!"
* Il mal d'orecchie di cui soffriva Swift è in parte all'origine della sua misantropia. Se mi interesso tanto alle infermità degli altri, è per trovarmi subito dei punti in comune con loro. Talvolta ho l'impressione di aver condiviso tutti i supplizi di quelli che ho ammirato.
* è impossibile passare notti bianche ed esercitare un mestiere: se quando ero giovane i miei genitori non avessero finanziato le miei insonnie, mi sarei sicuramente ucciso.
* Ero in preda a un'angoscia di cui non vedevo come sarei riuscito a liberarmi. Suonano alla porta. Apro. Si palesa una signora di una certa età che davvero non aspettavo. Per tre ore mi inflisse una serie di sciocchezze tali che l'angoscia si trasformò in collera. Ero salvo.
* La tirannia distrugge o fortifica l'individuo; la libertà lo rammollisce e ne fa un fantoccio. L'uomo ha più possibilità di salvarsi con l'inferno che col paradiso.
* Aprendo in una libreria i "Sermoni" di Meister Eckhart, leggo che la sofferenza è intollerabile per chi soffre per sé, ma che è leggera per chi soffre per Dio, perché è Dio a portarne il fardello, fosse anche carico della sofferenza di tutti gli uomini.
Non per caso sono capitato su quel passo, giacché s'applica bene a chi non potrà mai scaricare su nessuno tutto ciò che pesa su di lui.

* Secondo la Qabbalah, Dio permette che il suo splendore si affievolisca perché angeli e uomini possano sopportarlo. Come dire che la creazione coincide con un indebolimento della luce divina, con uno sforzo verso l'ombra cui il Creatore ha consentito. L'ipotesi dell'offuscamento volontario di Dio ha il merito di farci aprire alle nostre proprie tenebre, responsabili della nostra irricettività a una certa luce.
* Abuso della parola Dio; la adopero spesso, troppo spesso. Lo faccio ogni volta che giungo a un estremo, e mi occorre un vocabolo per designare ciò che viene dopo. Preferisco Dio a Inconcepibile.
* Un patrimonio davvero nostro: le ore in cui non abbiamo fatto nulla... Sono loro che ci formano, che ci invidividuano, che ci rendono dissimili.
* Sarvam anityam = tutto è transitorio (buddha).
Formula che ci si dovrebbe ripetere ogni ora del giorno, a rischio - meraviglioso - di morirne.

* Bisognava lasciarlo parlare di tutto, e tentare d'isolare le parole folgoranti che gli sfuggivano. Era una eruzione verbale priva di senso, con gesticolamenti di santo istrionico e tocco. Per mettersi al suo livello si doveva farneticare come lui, proferire sentenze sublimi e incoerenti. Un faccia a faccia postumo, fra spettri appassionati.
* Quando si è usciti dal circolo di errori e di illusioni all'interno del quale si svolgono gli atti, prendere posizione è una quasi-impossibilità. Occorre un minimo di stupidità per tutto, per affermare e anche per negare.
* Per scorgere l'essenziale non bisogna esercitare alcun mestiere. Restare tutto il giorno distesi, e gemere...
* Tutto ciò che mi mette in disaccordo con il mondo mi è consustanziale. Ho imparato pochissimo per esperienza. Le mie delusioni mi hanno sempre preceduto.
* Esiste un innegabile piacere nel sapere che tutto quanto si fa non ha alcuna base reale, che è indifferente commettere un atto o non commetterlo. Ciò non toglie che nei nostri gesti quotidiani veniamo a patti con la Vacuità, vale a dire che di volta in volta, e talora nello stesso tempo, riteniamo questo mondo reale o irreale. Mescoliamo così verità pure e verità sordide, e questa mistura, vergogna del pensatore, è la rivincita del vivente.
* "Sento che sei giunto a detestare sia quello che pensano gli altri sia quello che pensi tu stesso", mi ha detto lei di primo acchito dopo tanto tempo che non ci vedevamo. Al momento di ripartire mi ha raccontato un apologo cinese da cui risultava che nulla eguaglia l'oblio di sé. Lei, l'essere più presente, il più carico di energia interiore e di energia in generale, il più attaccato al suo io, il più colmo di sé che si possa concepire - per quale equivoco vanta la cancellazione, al punto di credere di offrirne un esempio perfetto?
* Vive i suoi ultimi giorni da mesi, da anni, e parla della sua fine al passato. Un'esistenza postuma. Mi meraviglio che riesca a durare senza mangiare quasi nulla: "Il mio corpo e la mia anima ci hanno messo tanto tempo e accanimento a saldarsi che adesso non riescono a separarsi."
Se non ha la voce di un morente, è perché da molto tempo non è più in vita. "Sono una candela spenta" è la cosa più giusta che abbia detto sulla sua ultima metamorfosi. Quando evocavo la possibilità di un miracolo, "Ne occorrerebbero molti" fu la sua risposta.

* L'appellativo deicida è l'insulto più lusinghiero che si possa rivolgere a un individuo o a un popolo.
* Non aver realizzato nulla, e morire sfiniti.
* Più si detestano gli uomini, più si è maturi per Dio, per un dialogo con nessuno.
* Ho sbraitato così spesso contro ogni forma di atto che manifestarmi in qualsiasi modo, mi sembra un'impostura, anzi un tradimento. "Eppure Lei continua a respirare".
"Sì, faccio tutto quello che si deve fare. Ma..."

* Mentre mi esponeva i suoi progetti, lo ascoltavo senza poter dimenticare che non avrebbe passato la settimana. Che follia da parte sua parlare di futuro, del suo futuro! Ma una volta fuori, come non pensare che dopotutto non era così grande la differenza fra un mortale e un moribondo? Nel secondo caso l'assurdità di fare progetti è solo un po' più evidente.
* Ci si agita tanto - perché? Per ridiventare ciò che si era prima di essere.
* X., che ha fallito in tutto, si lagnava davanti a me di non avere un destino. - E invece sì. La serie dei suoi insuccessi è così straordinaria che sembra rivelare un disegno provvidenziale.
* I soli avvenimenti notevoli di una vita sono le rotture. Sono anche quelle che svaniscono per ultime dalla nostra memoria.
* Dato che giorno dopo giorno sono vissuto in compagnia del suicidio, sarebbe ingiusto e ingrato da parte mia denigrarlo. Che cosa c'è di più sano, di più naturale? Non lo è invece la brama forsennata di esistere, tara grave, tara per eccellenza, la mia tara.
* Esiste, certo, una melanconia clinica, su cui a volte hanno effetto i rimedi; ma ne esiste un'altra, soggiacente alle nostre stesse esplosioni di allegria, e che ci accompagna ovunque, senza lasciarci soli un momento. Nulla ci permette di liberarci di quella malefica onnipresenza: è il nostro io per sempre di fronte a se stesso.
* [...] Solo ciò che invita al collasso merita di essere ascoltato.
* Ritirarsi indefinitamente in se stessi, come Dio dopo i sei giorni. Imitiamolo, almeno in questo.
* Una fiamma attraversa il sangue. Passare dall'altra parte, aggirando la morte.
* Siccome i nostri difetti non sono accidenti di superficie ma il fondamento stesso della nostra natura, non possiamo emendarcene senza deformarla, senza pervertirla ancora di più.
* A nessuna sorte avrei potuto adattarmi. Ero fatto per esistere prima della mia nascita e dopo la mia morte, ma non durante la mia esistenza.
* Quelle notti in cui ci si persuade che tutti hanno evacuato questo universo, anche i morti, e che si è l'ultimo vivente, l'ultimo fantasma.
* Da nessuna parte il vero; ovunque simulacri, da cui non ci si può aspettare nulla. Perché aggiungere allora a un disinganno iniziale tutti quelli che arrivano dopo e lo confermano con regolarità diabolica, giorno dopo giorno?
* Il puro passare del tempo, il tempo nudo, ridotto a essenza di scorrimento, senza la discontinuità degli istanti, si coglie nelle notti bianche. Tutto scompare. Il silenzio si insinua ovunque. Si rimane in ascolto, ma non si sente nulla. I sensi non si volgono più verso l'esterno. Verso quale esterno? Inabissarsi cui sopravvive quel puro passare attraverso di noi, e che è noi, e che finirà solo con il sonno o con il giorno.
* Ho notato che alla conclusione di qualsiasi scossa interiore le mie riflessioni, dopo un breve slancio, prendevano un andamento penoso e persino grottesco. è stato invariabilmente così nelle mie crisi, decisive o meno. Appena facciamo un balzo fuori della vita, la vita si vendica, e ci riconduce al suo livello.
* Mi è impossibile sapere se mi prendo sul serio o no. Il dramma del distacco sta nel non poterne misurare il progresso. Si avanza in un deserto, e non si sa mai a che punto si è.
* Ero andato lontano per cercare il sole; e il sole finalmente trovato, mi era ostile. E se andassi a gettarmi dall'alto della scogliera? Mentre facevo considerazioni piuttosto tetre, guardando quei pini, quelle rocce, quelle onde, sentii improvvisamente sino a che punto ero attaccato a quel bell'universo maledetto.
* Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove. Un rimedio miracoloso, per una volta.
* Il rimpianto, trasmigrazione in senso inverso, risuscitando a piacere la nostra vita ci dà l'illusione di averne vissute molte.
* Di tutto quello che ci fa soffrire, nulla come il disinganno ci dà la sensazione di raggiungere finalmente il Vero.
* Otteniamo quasi tutto, salvo ciò che speriamo in segreto. Probabilmente è giusto che ciò cui teniamo di più sia irraggiungibile, che l'essenziale di noi stessi e del nostro tragitto resti nascosto e irrealizzato. La Provvidenza ha fatto bene le cose: ciascuno tragga profitto e orgoglio dal prestigio legato alle intime disfatte.
* Quando si cade sotto l'incantesimo della morte, tutto avviene come se la si fosse conosciuta in un'esistenza precedente, e si fosse ora impazienti di ritrovarla al più presto.

Da "Cioran: un Angelo Sterminatore"


* Ho cominciato ad essere "io" grazie all'insonnia, a quella catastrofe alla quale devo tutto e che ha segnato così profondamente la mia gioventù.
* Distruggo me stesso e così voglio: intanto in questo clima asmatico che creano le convinzioni, in un mondo di oppressi, io respiro. Respiro a modo mio.
Chissà? Magari un giorno Lei conoscerà il piacere di puntare un'idea, di spararci contro, di vederla cadere, e poi di ricominciare questo esercizio con un'altra, con tutte.
Questo desiderio di chinarsi su un essere, di distoglierlo dai suoi antichi appetiti, dai suoi antichi vizi, per imporglierne altri nuovi, più nocivi, affinchè perisca a causa loro...
Rivolgersi poi contro se stesso, torturare i vostri ricordi, e le vostre ambizioni, e corrodendo il vostro stesso alito, rendere pestilenziale l'aria per asfissiarsi meglio...
Un giorno magari lei conoscerà questa forma di libertà,
questa forma di respirazione che libera da se stesso e da tutto.

* Ribelli contro Dio, astrazione suprema dell'uomo, il nostro secolo scopre che è l'uomo il vero obiettivo della nostra ribellione.
* Discernere che ciò che siete, non è voi, che quello che avete non è vostro, non essere più complice di niente, nemmeno della propria vita, questo è vedere giusto, questo è scendere fino al Nulla radice del Tutto.
* Anche se fosse un inganno, l'esperienza del vuoto meriterebbe sempre di essere fatta. Ciò che essa propone, ciò che tenta, è di ridurre a niente la vita e la morte al solo scopo di rendercele tollerabili.   

Da "Il Funesto Demiurgo"


* Per smettersi di tormentarsi, bisogna lasciarsi andare a un disinteresse profondo, smettere di preoccuparsi del quaggiù o del lassù, cadere nel menefreghismo dei morti. Come guardare un vivo senza immaginarlo cadavere, come guardare un cadavere senza mettersi al suo posto? Essere supera l'intendimento.
Essere fa paura.

* Come rinunciare a ciò che non ritroveremo mai, a quel niente inaudito e pietoso che porta il nostro nome?
* Soffrire è produrre Conoscenza.
* A furia d'insistere sulle mie miserie passate e future, ho trascurato quelle del presente. Ciò mi ha consentito di sopportarle più agevolmente che se avessi consacrato le mie riserve d'attenzione.
* Vi sono notti in cui l'avvenire si abolisce, e di tutti i suoi momenti sussiste soltanto quello che sceglieremo per più non essere.  

Se si eccettuano alcuni casi aberranti, l'uomo non è propenso al bene: quale dio ve lo spingerebbe? E’ costretto a vincersi, a farsi violenza, per poter compiere il sia pur minimo atto non inquinato dal male. Quando vi riesce, ogni volta egli provoca, umilia il suo creatore. E se gli succede d'essere buono non più per calcolo o sforzo, bensì per natura, lo deve a una inavvertenza dall'alto: va a situarsi fuori dall'ordine universale, nessun progetto divino lo aveva previsto. Non si capisce che posto occupi fra gli esseri, e nemmeno se ne sia uno. Sarà un fantasma?   
Il bene è ciò che fu o sarà, ciò che mai è.
Parassita del ricordo o del presentimento, preterito o possibile, non può essere attuale, né sussistere di per sé: fino a quando è, la coscienza lo ignora, se lo appropria soltanto quando è scomparso. Tutto prova la sua insostanzialità; è una grande
forza irreale, è il principio che abortì sul nascere: cedimento, fallimento immemoriale, i cui effetti spiccano a mano a mano che si dipana la storia. Agli inizi, nella promiscuità in cui si operò lo slittamento verso la vita, qualcosa di innominabile dovette
accadere, che si propaga nei nostri malesseri se non nei nostri ragionamenti. Che l'esistenza sia stata viziata alla sorgente, insieme agli elementi, chi potrebbe esimersi dal supporlo? Colui che non sia stato indotto a considerare questa ipotesi, come
minimo una volta; il giorno, avrà vissuto da sonnambulo.  

È difficile, è impossibile, credere che il dio buono, il « Padre », sia implicato nello scandalo della creazione. Tutto fa pensare che non vi abbia mai preso parte, che essa sia opera di un dio senza scrupoli, un dio tarato. La bontà non crea; manca
d'immaginazione; e per fabbricare un mondo, sia pure abborracciato, ce ne vuole. A rigore, è da un miscuglio di bontà e di cattiveria che può sorgere un atto, o un'opera. Oppure, un universo. A ogni modo, considerando il nostro, è ben più agevole risalire a un dio sospetto che a un dio rispettabile. Manifestamente, il dio buono non era attrezzato per creare: possiede tutto, fuorché l'onnipotenza.
Grande per le sue deficienze (bontà e anemia vanno
di pari passo), è il prototipo dell'inefficacia: non può
aiutare nessuno... Del resto, ci si aggrappa a lui solo quando ci siamo spogliati della nostra dimensione storica; se la reintegriamo ci è subito estraneo, incomprensibile: non ha niente che affascini, niente di un mostro. È a questo punto che ci volgiamo al creatore, dio inferiore e indaffarato, istigatore d'eventi. Per comprendere come abbia potuto creare dobbiamo figurarcelo preda del male, che è innovazione, e del bene, che è inerzia. Questa lotta fu probabilmente nefasta al male, che dovette subire in essa il contagio del bene: ciò spiega come mai la creazione non riesca a essere interamente cattiva.
Poiché il male presiede a tutto ciò che è corruttibile, ossia a tutto ciò che è vivente, è ridicolo il tentativo di voler dimostrare come, rispetto al bene, contenga meno essere, o addirittura non ne contenga affatto. Coloro che lo assimilano al nulla si figurano di salvare con ciò quel povero dio buono. Non è possibile salvarlo se non avendo il coraggio di disgiungere la sua causa da quella del demiurgo.

Per esservisi rifiutato, il cristianesimo fu costretto durante tutta la sua carriera, a ingegnarsi per imporre l'inevidenza d'un creatore misericordioso: impresa disperata, che ha esaurito il cristianesimo e compromesso il dio che voleva preservare.
Non possiamo impedirci di pensare che la creazione, rimasta allo stadio d'abbozzo, non poteva compiersi, né lo meritava, e che nel suo insieme essa è una colpa: il misfatto famoso commesso
dall'uomo appare quindi come la versione minore d'un misfatto di ben altra gravità. Di che siamo colpevoli, se non di avere seguito più o meno servilmente l'esempio del creatore? La fatalità che fu la sua, ben la riconosciamo in noi: non per nulla siamo venuti fuori dalle mani di un dio infelice e cattivo, un dio maledetto.  

Il bene è ciò che fu o sarà, ciò che mai è.
Parassita del ricordo o del presentimento, preterito o possibile, non può essere attuale, né sussistere di per sé: fino a quando è, la coscienza lo ignora, se lo appropria soltanto quando è scomparso.
Tutto prova la sua insostanzialità; è una grande forza irreale, è il principio che abortì sul nascere: cedimento, fallimento immemoriale, i cui effetti spiccano a mano a mano che si dipana la storia. Agli inizi, nella promiscuità in cui si operò lo slittamento verso la vita, qualcosa di innominabile dovette accadere, che si propaga nei nostri malesseri se non nei nostri ragionamenti. Che l'esistenza sia stata viziata alla sorgente, insieme agli elementi, chi potrebbe esimersi dal supporlo? Colui che non sia stato indotto a considerare questa ipotesi, come minimo una volta; il giorno, avrà vissuto da sonnambulo.
È difficile, è impossibile, credere che il dio buono, il « Padre», sia implicato nello scandalo della creazione. Tutto fa pensare che non vi abbia mai preso parte, che essa sia opera di un dio senza
scrupoli, un dio tarato. La bontà non crea; manca d'immaginazione; e per fabbricare un mondo, sia pure abborracciato, ce ne vuole. A rigore, è da un miscuglio di bontà e di cattiveria che può sorgere un atto, o un'opera. Oppure, un universo. A ogni modo, considerando il nostro, è ben più agevole risalire a un dio sospetto che a un dio rispettabile.
Manifestamente, il dio buono non era attrezzato per creare: possiede tutto, fuorché l'onnipotenza. Grande per le sue deficienze (bontà e anemia vanno di pari passo), è il prototipo dell'inefficacia: non può aiutare nessuno... Del resto, ci si aggrappa a lui solo quando ci siamo spogliati della nostra dimensione storica; se la reintegriamo ci è subito estraneo, incomprensibile: non ha niente che affascini, niente di un mostro. È a questo punto che ci volgiamo al creatore, dio inferiore e indaffarato, istigatore d'eventi. Per comprendere come abbia potuto creare dobbiamo figurarcelo preda del male, che è innovazione, e del bene, che è inerzia. Questa lotta fu probabilmente nefasta al male, che dovette subire in essa il contagio del bene: ciò spiega come mai la creazione non riesca a essere interamente cattiva. Poiché il male presiede a tutto ciò che è corruttibile, ossia a tutto ciò che è vivente, è ridicolo il tentativo di voler dimostrare come, rispetto al bene, contenga meno essere, o addirittura non ne contenga affatto.
Coloro che lo assimilano al nulla si figurano di salvare con ciò quel povero dio buono. Non è possibile salvarlo se non avendo il coraggio di disgiungere la sua causa da quella del demiurgo. Per
esservisi rifiutato, il cristianesimo fu costretto durante tutta la sua carriera, a ingegnarsi per imporre l'inevidenza d'un creatore misericordioso: impresa disperata, che ha esaurito il cristianesimo e compromesso il dio che voleva preservare.
Non possiamo impedirci di pensare che la creazione, rimasta allo stadio d'abbozzo, non poteva compiersi, né lo meritava, e che nel suo insieme essa è una colpa: il misfatto famoso commesso  dall'uomo appare quindi come la versione minore d'un misfatto di ben altra gravità. Di che siamo colpevoli, se non di avere seguito più o meno servilmente l'esempio del creatore? La fatalità che fu la sua, ben la riconosciamo in noi: non per nulla siamo venuti fuori dalle mani di un dio infelice e cattivo, un dio maledetto. Predestinati alcuni a credere nel dio supremo ma impotente, altri nel demiurgo, altri infine nel demonio, noi non scegliamo le nostre venerazioni, né le nostre blasfemie.
Il demonio è il rappresentante, il delegato del demiurgo, di cui
quaggiù gestisce gli affari. A dispetto del suo prestigio e del terrore inerente al suo nome, non è che un amministratore, un angelo preposto a un lavoro di basso rango, la storia.
Diversa è la portata del demiurgo: come affronteremmo, lui assente, le nostre prove? Se ne fossimo all'altezza, o semplicemente un poco degni di esse, potremmo astenerci dall'invocarlo. Ma di fronte alle nostre palesi insufficienze ci aggrappiamo a lui, lo imploriamo anzi di esistere: se si scoprisse che è una finzione, quali mai sarebbero l'avvilimento o la vergogna! Su chi altro sgravarci delle nostre lacune, delle nostre miserie, di noi stessi? Per nostro decreto istituito autore delle nostre carenze, ci serve di scusa per tutto ciò che non siamo potuti essere. Quando inoltre attribuiamo a lui la responsabilità di questo universo mancato, assaporiamo un po' di pace: non più incertezze sulle nostre origini o sulle nostre prospettive, bensì una totale sicurezza nell'insolubile, fuori dall'incubo della promessa.




(*) Comunque, al Covid-19 diciamo che NON SERVIAM è rivolto pure a lui (e non solo al dio monoteista) e che 
"Il Satanista decide sulla sua vita e sulla sua morte e preferisce andarsene con un sorriso sulle labbra quando ha raggiunto il picco nella sua vita, quando ha sistemato tutto e puntare a trascendere questa esistenza terrena.
Ma è completamente non-satanico suicidarsi perchè si è tristi o miserabili.
Il Satanista muore forte, non di vecchiaia, depressione o malattia e sceglie la morte prima del disonore!" 

(Jon Nödtveidt)