Basilicata: origini pagane e curiosità!

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Nota di Lunaria: la Basilicata mi ispira un sacco come regione, forse perché non ho mai conosciuto nessuno che provenisse da lì o per il suo essere così sconosciuta, con paesaggi aspri, sassosi, selvaggi (i Calanchi lucani sembrano quasi un paesaggio lunare)...
è una regione che si conosce pochissimo, che non viene quasi mai citata (che fatti di cronaca vi vengono in mente parlando di Basilicata?!), che per lungo tempo venne considerata "tra gli ultimi posti in Italia", l'ultima regione del Mezzogiorno, sinonimo di "miseria e contadini analfabeti" ma anche di "esilio forzato, di confino" proprio per il suo essere così inaccessibile. Così mi sono noleggiata una guida turistica e ho scoperto parecchie cose interessanti...



ORIGINI DELLA BASILICATA

La Basilicata è un mosaico di popoli: i lucani, i greci (nel VII-VI secolo avevano già fondato le prime colonie sulla costa ionica), i romani, bizantini e longobardi, pirati saraceni, albanesi, normanni, svevi, aragonesi, francesi, spagnoli...
La Lucania era già popolata durante il Paleolitico Inferiore: Venosa, Matera, Materano, Murgecchia, Tirlecchia, Murgia Timone; nei profondi valloni segnati dai corsi d'acqua (gravine) si sono ritrovati resti di villaggi e trincee scavate nella roccia. A Filiano sono state rinvenute pitture preistoriche, con scene di caccia dipinte su roccia con ocra rossa.
è con l'età dei Metalli che la Basilicata si rende terra di collegamento tra il mar Ionio e il Tirreno e si sviluppa la civiltà appenninica. Tra il XIV e XIII secolo arrivano i Lyki (originari dell'Anatolia) che si stanziano alle sorgenti del Bradano e nella valle del Basento; la regione si chiamerà appunto "Lucania". I Lucani estendono i loro possedimenti, scontrandosi con greci (le colonie di Metaponto Siris, Heraklea sono del VII sec. a.c) romani, visigoti, ostrogoti, saraceni, longobardi e bizantini.
Attorno a Banzi sono state trovate molte tracce di insediamenti romani e pre-romani e sul monte Montrone venne ritrovata la "Tabula Bantina", una lastra bronzea del II secolo a.c, incisa in lingua osca.
Genzano di Lucania fu in origine un insediamento romano: la fontana Cavallina sulla sommità ospita una copia dell'originale statua acefala della Dea Cerere (I sec. a.c)
Nei pressi del torrente Sciaura e Agri ci sono i ruderi dell'antica Grumentum, fondata dai romani nella prima metà del III sec.a.c: l'abitato è racchiuso in una cerchia di mura; si vedono ancora i resti dell'acquedotto e della città, con le vestigia del teatro; si pensa che il "tempio A" fosse dedicato al dio egizio Arpocrate; ci sono poi i resti del "tempio B" e delle terme, il foro e il "tempio C" dedicato al culto dell'imperatore.


LA STONEHENGE LUCANA

Fra Accettura e Oliveto Lucano, sulla cima del monte Croccia, sono stati ritrovati i resti dell'antica città fortificata Croccia Cognato, fondata dai Sanniti fra il VI e IV secolo a.c
La cinta muraria è realizzata con grossi blocchi di pietra squadrata; fuori dalle mura della città è visibile la grotta di Pietra della Mola, dove sono stati rinvenuti reperti risalenti al Neolitico e complessi megalitici definiti "la Stonehenge Lucana": questi grandi massi si trovano allineati alla posizione del sole a mezzogiorno e al tramonto nel solstizio d'inverno e segnano con esattezza solstizio d'estate ed equinozi. Probabilmente questo complesso megalitico veniva utilizzato come "calendario di pietra".
Ad Alianello sono state trovate le necropoli con sepolture maschili (corredi di armi) e femminili (gioielli e ambra). Infine, segnaliamo il borgo fantasma di Craco Vecchia, che sorge su una rupe immersa nella vegetazione; la torre normanna è a picco su un profondo precipizio.

Nota di Lunaria: evidente forma di litolatria (adorazione delle pietre). Per approfondimenti vedi questo libro



LA DEA DEL MARE DI MARATEA & LE ALTRE DIVINITà PAGANE

Maratea è caratterizzata da scogliere e vette ricoperte di boschi e la costa si incunea nel golfo di Policastro tra la Campania e la Calabria; il paesaggio in questa zona spazia dalle vedute marine ai paesaggi montani con panorami mozzafiato.

A Massa e Brefaro e nelle grotte costiere di Fiumicello sono stati rinvenuti utensili in pietra risalenti a 40000 anni fa. A Timpa, una collina nei pressi del porto, sono stati ritrovati i resti di un insediamento del 1500 a.c.
Maratea, in passato, era chiamata Thea Maris, Dea del Mare e oggi è definita "la perla del Tirreno". Tutta questa zona era, fin dall'antichità, un luogo di sosta per i rifornimenti di acqua e cibo per le navi che attraversavano il Mediterraneo. Nelle grotte della zona di Fiumicello sono stati ritrovati resti di animali preistorici e reperti litici risalenti a 40000 anni fa. Sulla spiaggia di Porticello si apre una fenditura che porta alla Grotta del Dragone, che si snoda per chilometri di gallerie e cunicoli. Per queste sue caratteristiche (e per la fauna marina, che consta di granchi, stelle marine, polpi, ricci)
questa zona è molto apprezzata dagli appassionati di speleologia e di immersioni.

Nota di Lunaria: purtroppo non ci dice niente di più; ma forse, dato il nome suggestivo "Grotta del Dragone", si può ipotizzare che fosse un luogo adibito a qualche rito di litolatria (adorazione delle rocce); il drago, o meglio, il serpente, è sempre stato associato alle divinità femminili; la grotta idem, simboleggiante il ventre della Grande Madre. Non ho prove certe (e non so neanche se effettivamente ci siano stati studi sull'argomento) ma ipotizzerei che anche qui, similmente ad altre zone (per esempio la Slovenia o a Balzi Rossi) ci furono riti pagani antichissimi dedicati ad una qualche Dea della roccia e della fecondità, forse associata ai serpenti (da qui il nome della grotta). Il drago, prima che il cristianesimo lo demonizzasse come simbolo "del diavolo" (vedi "il santo paladino Giorgio" che ammazza il drago) era considerata una creatura simbolo di forza e di potere, https://intervistemetal.blogspot.com/2018/10/draghi.html
non solo militare (troneggiava sui vessilli degli eserciti) ma anche legata agli Elementi (Acqua, Fuoco); regnava nel Cielo, portava nuvole e temporali; custode dei tesori, si legava anche, con qualche valenza erotica simbolica, alla fanciulla vergine e pura (probabilmente quanto restava, in forma "annacquata" dell'Antica Dea che si accompagnava al serpente)

Nel parco archeologico del Metaponto si possono ammirare i resti del tempio di Era: 15 colonne doriche, innalzate nel VI secolo a.c.
Ma prima che quel luogo fosse dedicato alla Dea, già esisteva un santuario (almeno a partire dal VII secolo a.c)
Sono ancora visibili anche i resti dei templi di Atena, di Artemide e di Apollo Lykaios.
Policoro sorge sul sito di Heraclea, fondato sulla più antica colonia greca di Siris.
Qui era praticato il culto a Demetra, attestato con reperti dal VII all'IV secolo a.c.
Infine, è probabile che sul massiccio del Pollino (simbolo del luogo è il pino loricato) si svolgessero dei riti pagani; il nome deriverebbe da "Apollineus" o "Mons Apollineum", con riferimento ai poteri terapeutici di alcune piante e di Apollo. Gli ettari del Parco Nazionale del Pollino sono ripartiti tra Basilicata e Calabria. (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/03/calabria-le-origini-pagane.html)


RITO ARBOREO

Il "Maggio di Accettura" che si svolge fra la Pasqua e il Corpus Domini in origine era un rito arboreo pagano: era un rituale propiziatorio che celebrava l'unione di due alberi, l'enorme faggio (il "Maggio" che rappresentava il maschio) e una "Cima" (agrifoglio, simbolo di fertilità). I due alberi venivano abbattuti, trasportati con buoi nel paese, innestati l'uno all'altro e innalzati in una sorta di sposalizio allegorico, inno di fecondità. Riti simili si celebravano anche in altre zone della Lucania.

Nota di Lunaria: e si celebravano anche in Africa, come sa chiunque abbia letto Mircea Eliade in "Trattato di storia delle religioni" o il Frazer del "Ramo d'Oro".




I BRIGANTI

Il Vulture fu uno dei centri più noti del brigantaggio postunitario, un movimento di rivolta delle masse nel Mezzogiorno contro il governo. Solo nel 1861, dopo decenni di scontri e fucilazioni il brigantaggio venne debellato. Il brigante più famoso fu Carmine Crocco (1830-1905), che divenne capo di un esercito di briganti. https://intervistemetal.blogspot.com/2020/02/il-brigantaggio.html
Nota di Lunaria: dici "briganti" e ti vengono in mente i Masnadieri di Schiller...


ma anche Ronja era figlia di un brigante...




LA NOTTE DEI CUCIBOCCA

è un corteo popolato da creature mostruose, probabilmente una rivisitazione della processione delle anime del Purgatorio

(nota di Lunaria: in realtà, ha quasi sicuramente un origine pagana, perché anche in Svizzera, Slovenia e Croazia organizzano processioni di personaggi mascherati con forme mostruose, come avevo già fatto notare parlando di questi paesi; https://intervistemetal.blogspot.com/2018/03/croazia-il-poklad-thana-poesia-e-tanto.html
sono riti che sostituiscono "il sacrificio umano del capro espiatorio", che si addossava la colpa di tutte le calamità e veniva sacrificato dal gruppo, "trasferendo" il sacrificio umano su un "sostituto" di esso: un fantoccio dalle fattezze mostruose, che molto spesso viene rincorso, battuto e\o bruciato)

In Basilicata si festeggiano altre celebrazioni carnevalesche, rievocazione del tema della transumanza: il Carnevale Montese di Montescaglioso (il suono dei campanacci scaccia il malanno e propizia il ritorno delle greggi); a Tricarico vengono indossate maschere zoomorfe di tori e mucche; ad Aliano le maschere hanno le corna (*), sono colorate di tonalità sgargianti e hanno significati magici.
A San Giorgio Lucano il 16 agosto ("San Rocco") si svolge la "Danza del Falcetto", antica festa del folclore contadino: un tempo si danzava nei campi di grano alla fine della mietitura e simboleggiava la lotta del contadino nell'intento di "spogliare il padrone": un malcapitato veniva posto al centro e spogliato con la punta delle falci, mentre le persone tutto intorno danzavano e bevevano. (**)

(*) Nota di Lunaria: ulteriore prova che hanno tutte origini pagane; le corna, prima che il cristianesimo le demonizzasse, erano un simbolo di potenza, associate in principio alle Dee (la Venere di Laussel ha in mano un corno con 13 tacche), poi "esemplificate" dal crescente lunare (Astarte portava in testa una mezzaluna) e associate anche agli Dei maschili della tempesta o della guerra o "Signori degli Animali" (Cernunnos, Prasupati).
In Africa si possono ancora vedere delle maschere in legno con le corna; il corno era anche simbolo di prosperità e abbondanza (la cornucopia, la Dea Rosmerta)
Il cristianesimo demonizzò il simbolo associandolo, come il tridente, al "diavolo".

(**) Forse, in tempi remotissimi, il malcapitato fungeva da capro espiatorio e veniva ritualmente ucciso; tutta la celebrazione rimanda infatti a quelle feste slovene e croate dove suppergiù si fa la stessa cosa ad un personaggio o fantoccio travestito con maschere o muschio che rappresenta "il capro espiatorio" e la personificazione della malasorte. La sua "uccisione" serve per sconfiggere la sfortuna. 


Lagonegro è legato alla pastorizia e all'industria dei cappelli di paglia: sorsero filande e tintorie; tipiche costruzioni legate ai sistemi di coltura e alle forme di proprietà sono le masserie e i casini di villeggiatura. Sul monte Sirino è stato edificato il Santuario della Madonna della Neve, ove si venera la Madonna del Sirino. In un canto popolare si accenna alla visita che la Madonna del Sirino fa alla Madonna di Viggiano:

Si parti la Maronna ri Sirinu,
vai a truvani a chedda ri Viggianu:
pi cumpagnia si porta la luna
li stelli ri lu cielu a manu a manu

(Parte la Madonna di Sirino\va a trovare quella di Viggiano\per compagnia si porta la luna\le stelle del cielo a mano a mano)

A Barile si venera la Madonna di Costantinopoli e in occasione di una festa che si celebra il settimo martedì dopo Pasqua si pratica un'antica usanza detta il "compare della spina", scegliendo un lungo tralcio di rovo nelle siepi.

Altre superstizioni tipiche dei contadini lucani erano legate ai bambini: a Venosa si credeva che il bambino appena nato guardasse in alto per osservare la casa e capire se fosse ricca o povera; per questo motivo si addobbavano le pareti, per dare una buona impressione e scongiurare il pericolo di "nascita sventurata".
Il folklore melfitano è ricco di canti, indovinelli, proverbi, feste: la festa di S. Antonio di Padova è caratterizzata dal gioco dello "scaricavascio" o "pizzic' Antò": una decina di contadini si tengono stretti con le braccia, formando un cerchio: sulle loro spalle montano dei compagni e girando in tondo cantano:

E vui ca state da sopa,
stàteve attente ancora cadite.
Lu viì lu scaricavasciu
pizzicandò, pizzicandò.

(E voi che state di sopra\statevi attenti a non cadere\lo vedi lo scaricavascio\Pizzic'Antò Pizzic'Antò)

Quelli di sopra rispondono con la stessa strofa, variando solo il primo verso: "E vui ca state da sotto..."

Il gioco è l'adattamento infantile di una danza a carattere magico, detta "Torre vivente" per la disposizione a piramide dei danzatori, eseguita in alcuni paesi della Calabria a scopo propiziatorio.
A Melfi, però, ha assunto un significato di satira politica contro i maggiorenti melfitani che nel 1799 aprirono le porte del paese al cardinale Ruffo, ed è in riferimento a tutti gli uomini che cambiano facilmente partito per ottenere favori.
 
"La morte di Carnevale" era un vero e proprio rito del capro espiatorio: si celebrava come un vero funerale e Carnevale, rappresentato da un fantoccio ripieno di paglia, talvolta da un giovane, viene portato a spalla, disteso sopra una scala a pioli e in giro per il paese: la bara è seguita dalla moglie (Quarantana), un uomo vestito da donna, che piange e dispera: le sono a fianco i parenti.

Colobraro, che si nomina come "quel paese" (all'origine del "vai a quel paese") perché si ritiene che porti sfortuna, attirando influssi malefici e fatture, si trova sulla Valle del Sinni.
Si ritiene che l'origine della superstizione contro Colobraro derivi dal suo antico passato legato alle streghe.

A Valsinni, nelle vicinanze di Colobraro, fu rinchiusa, nel castello, la sfortunata poetessa Isabella Morra, trucidata dai suoi fratelli per essersi innamorata di un barone spagnolo. Si pensa che il suo fantasma vaghi ancora per le stanze del castello.



STATUETTE DI DEE E DONNE:


















FESTE CON ELEMENTI MAGICI E PAGANI:

Nota di Lunaria: non sono sicura che queste feste siano ancora festeggiate in Basilicata... probabilmente alcune cose sono andate perdute. La fonte è del 1965.

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A Tricarico, il Carnevale si svolge in modo molto particolare: diverse "compagnie" si recano nella chiesa di S. Maria dell'Ulivo, dove si venera S.Antonio Abate, protettore degli animali: assistono alla messa e alla benedizione degli animali; poi tornano in paese e vanno di casa in casa chiedendo e avendo doni (salumi, uova, galline, olio)
Ogni compagnia è formata dal Conte e dalla Contessa a cavallo, seguiti dai contadini coperti da camici bianchi con cappucci e nastri colorati, che si trascinano curvi agitando le campane delle mucche: uno di essi, vestito di nero, rappresenta il toro, dove si vuol, forse, identificare lo stesso Carnevale; altri due cavalieri rappresentano il massaro e il vaccaro; personaggi del ciclo di maggio (Conte e Contessa) (*), maschere animali e simboli del mondo infernale (camici e cappucci banchi, campane...) rivelano l'arcaicità misteriosa di questa mascherata, che per il suo carattere agrario propiziatorio, ha qualcosa in comune con la mascherata del cavalluccio di Muro Lucano.

L'antico culto degli alberi rivive nella processione agreste che si compie la prima domenica di maggio in occasione della festa della Madonna di Fonti, il cui santuario è nel bosco di querce e faggi di Tricarico.
I pellegrini, provenienti da Accettura, San Mauro Forte, Vaglio, San Chirico, Tolve, Potenza, Garaguso, giungono sui carri; le contadine, col capo velato di bianco, reggono con lunghi nastri un telaio adornato di ceri, portato sul capo da una di loro. (**)
Nel santuario alcuni appendono alle pareti vestiti e gioielli, alcuni strisciano la lingua a terra fino all'altare; a sera tutti tornano al paese, sollevando ramoscelli.
Alcuni si prendono per mano e fanno tre giri attorno alla chiesa, per rinforzare legami affettivi.

Le bimbe di Grassano personificano la luna nuova e chiedono quattro uova per fare i tagliolini, com'è detto in questa cantilena: 

"Luna, Luna nova, mìnime quatt'ova, e minamille 'nzine int'a lu sinalina, c'aggia fà li tagliuline, due a tte, due a mme, e dduie a lu figghie di lu re."

che significa:

"Luna, Luna nuova, lanciami quattro uova, e lanciamele in seno dentro il grembiulino, ché devo fare i tagliolini, due a te, due a me, e due al figlio del Re"

Il richiesto lancio delle uova, che sostituiscono l'argento, che compare in altre versioni della nenia, e posto in relazione con la Luna, proprio in seno dentro il grembiale, simboli terreni del possesso e lo scopo della richiesta ("fare i tagliolini") creano le condizioni nelle quali si attua la magia.

A Gròttole, con le sue caratteristiche cryptulae (grotticelle), si praticavano vari riti perché si credeva alla magia buona o cattiva: le donne incinte non dovevano accostarsi ad un falegname intento a segare o calpestare la segatura caduta a terra, altrimenti il neonato avrebbe avuto il segno della sega sulla sutura della calotta cranica; né deve bruciare rami di pero selvatico o di altra pianta ruvida e spinosa, perché il bimbo non abbia la pelle ruvida e spinosa; se ciò accadeva, le fasce del nascituro venivano bagnate e fatte asciugare al fuoco del perastro, in modo che col vapore andasse via la malignità.


(*) Nota di Lunaria: probabilmente, in epoca pre-cristiana, in origine rappresentavano il Dio e la Dea, forse impersonati da sacerdoti e sacerdotesse.
(**) In diverse culture, la Dea era Tessitrice.


LETTERATURA:

Tra i poeti, ricordiamo Rocco Scotellaro, "il poeta dei poveri", che si battè per i diritti dei contadini che vivevano in condizioni disumane; a 23 anni divenne il sindaco di Tricarico e partecipò alle lotte socialiste, occupando le terre incolte dei latifondisti. Insieme a Carlo Levi fu tra i fautori della Riforma Agraria che interessò il Sud Italia. Morì a 30 anni.



Nota di Lunaria: Originari della Basilicata furono anche la poetessa Isabella Morra (1520-1546) e Luigi Tansillo (1510-1568). Tansillo, in particolar modo, anticipa, in alcuni versi, certe atmosfere proto-gotiche sviluppate poi da certa poesia Barocca e soprattutto sul finire del Settecento; riporto qui le loro poesie più belle.

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Luigi Tansillo

E freddo è il fonte, e chiare e crespe ha l'onde
e molli erbe verdeggian d'ogn'intorno (1),
e 'l platano coi rami e 'l salce, e l'orno
scaccian Febo (2), che il crin talor v'asconde:
e l'aura appena le più lievi fronde
scuote; sì dolce spira al bel soggiorno [...]
(1) Dappertutto, lungo le rive
(2) Il Sole

Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),
ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti;
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);
abbandonati a sterili deserti,
ov'han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),
vo piangendo io tra voi; e se partito (6)
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito (7)
(1) Senza vegetazione
(2) Possono
(3) Scavati
(4) Angoscia
(5) Lo porta
(6) E se non muta la sua decisione
(7) Defunti

"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."
Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte,
sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi,
precipitati sassi, alti dirupi,
ossa insepolte,
erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte
che temon d'ir fra voi serpenti e lupi
erme campagne, abbandonati lidi,
ove mai voce d'uom l'aria non freme,
Ombra son io dannata a pianto eterno,
ch'a piagner vengo la mia morte
fede e spero al suon de' disperati stridi,
se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.


Isabella di Morra

Ecco ch'un'altra volta, O valle inferna, (1)
O fiume (2) alpestro, O ruinati sassi,
O spirti ignudi di virtude e cassi (3),
udrete il pianto e la mia doglia eterna.
Ogni monte udirammi, ogni caverna,
ovunqu'io arresti, ovunque io muova i passi;
ché Fortuna, che mai salda non stassi,
cresce (4) ognora il mio male, ognor l'eterna.
Deh, mentre ch'io mi lagno e giorno e notte,
O fere, O sassi, O orride ruine,
O selve incolte, O solitarie grotte,
ulule (5), e voi (6) del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d'altro miserando fine.
(1) Infernale
(2) Il fiume Sinni
(3) Spogli
(4) Accresce
(5) Uccelli notturni degli Strigidi
(6) Anche voi

... misera! Io siedo nel mio duolo immersa, fra le lagrime mie, fra i miei sorrisi, ed attendo il mattino... Qui poserommi a' miei diletti accanto, lungo, il ruscel della sonante rupe, quando sul colle stenderà la notte le negre penne, quando il vento tace sul'erte cime, andrà 'l mio spirto errando per l'amato aere e dolorosamente piangerò i miei diletti.
Scorrete anni di tenebre, scorrete, ché gioia non mi reca il corso vostro.
S'apra ad ossiam la tomba, or che gli manca l'antica lena: già dal canto i figli riposan tutti.
Mormorar si ascolta sol la mia voce, come roco e lento mugghio di rupe che dall'onde è cinta, quando il vento cessò:
la marina erba colà sussurra, ed il nocchier da lunge gli alberi addita a la vicina terra.

 
BASILICATA E BLACK METAL!

Effettivamente parlando di Black Metal in Sud Italia, la prima regione che viene in mente è la Sicilia (con i leggendari Inchiuvatu https://intervistemetal.blogspot.com/2018/08/sicilia-storia-curiosita-letteratura.html); eppure anche la Basilicata ci ha regalato una band Black Metal, gli Infernal Angels, autori di un Black Metal ferale e bello roccioso, in ossequio ai paesaggi aspri della loro terra d'origine.




Aggiormento del 2023: ho scoperto anche un'altra band, gli Effess!

ABITI TIPICI!









Approfondimento: Feste primaverili-arboree e riti contro il malocchio in Basilicata

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[Al tempo in cui vennero scritti i due libri che ho consultato] 

la popolazione della Basilicata è in gran parte composta di contadini, pastori, artigiani; è una popolazione religiosa, abituata ai sacrifici, attaccata alle consuetudini; così, mentre nelle città alcune di esse sono state sostituite dal progresso della civiltà e della tecnologia, nelle campagne vibra ancora l'anima del passato e della tradizione. Talune usanze, che hanno del superstizioso e dello strano, riti che sono frantumi di civiltà tramontate o scomparse, restano ancora vivi quasi si temessero sciagure e malanni all'abbandonarli.

Come in altre regioni del Sud Italia, nel Potentino c'è l'usanza di accendere fuochi nelle vie e nelle piazze in certi giorni dell'anno; le fascine e legna sono raccolte dalle donne e quando il fuoco è in procinto di spegnersi ognuno prende un po' di brace e la conserva per devozione, credendo che le ceneri allontanino disgrazie e tempeste.
Durante il Corpus Domini, all'alba del giorno di festa, le ragazze vestono gli abiti più belli, vanno sui monti a scuotere i ginestreti e a cogliere le rose selvatiche e ritornano in città con i cesti ricolmi. Quando la processione arriva in certi posti, davanti al prete cade una pioggia di fiori di ginestra e rose, eco delle ancestrali feste primaverili che anticamente erano svolte per celebrare gli sponsali tra le vergini e i giovani. 
Nelle zone attorno a Potenza esiste la costumanza del "Cirio": alcune ragazze vanno in giro a raccogliere offerte con cui comprano candele di varia dimensione, per fabbricare il "Cirio" a forma di tempio. 


Il Matrimonio degli Alberi (Accettura, Matera)

Antichi culti agrari e pagani sincretizzati con la fede cattolica sono presenti nella cerimonia di fecondità e fertilità che si svolge a Maggio.
Si sposano due alberi: lui è il Maggio, il cerro più diritto e più alto del bosco Montepiano, lei è la Cima, la più bella e frondosa chioma di agrifoglio della foresta di Gallipoli.
Questo rito affonda le sue radici nella convinzione ancestrale che i sessi influenzino la vegetazione.
Per stimolare la crescita, l'uomo, secoli fa, accoppiava le divinità silvane con un rituale nuziale; da questo rito si faceva dipendere l'andamento di un anno di lavoro.
Oggi questo rito si festeggia così: all'alba della vigilia di Pentecoste, tra canti, grida e campanacci, dei boscaioli raggiungono i due boschi, distanti una ventina di chilometri.
Il Maggio, abbattuto all'Ascensione, viene portato in paese con un carro trainato dai buoi.
I due alberi vengono portati in una piazzetta: quando arrivano, inizia la festa, con bande e banchetti.
Il giorno dopo si preparano dei macchinari per far sì che il Maggio sia ben ritto ed eretto.
Poi inizia la processione, con i santi Giovanni e Paolo, la Madonna (anche Addolorata), San Giuliano, chiamato "San Giulianicchio" portati giù dal monte. 
Le fanciulle mettono corone di cera e fiori in testa.
Il giorno di Pentecoste, a mezzogiorno, san Giuliano parte dalla chiesa e arriva a largo San Vito; qui avviene l'accoppiamento del Maggio con la Cima: pioli di legno infissi tra i due tronchi sugellano l'amore, benedetto da S.Giuliano.
C'è poi una gara di arrampicata lungo il tronco, come parte finale della festa.


A Satriano di Lucania (Potenza) nell'ultima domenica di Carnevale si svolge la Festa del Romita, che ha le sue antiche origini nei Saturnali e con le feste dei cicli annuali dove si sacrificavano gli animali.
Di questo significato sono impregnate le maschere del Romita e dell'Orso, protagonisti di questo antico carnevale lucano. 


Il Romita è un personaggio arboreo, che incarna lo spirito silvestre e rappresenta il Bene e un mondo arcaico dei boschi.
L'Orso, il dominatore delle selve, raffigura il simbolo della natura avversa contro cui lottare quotidianamente.
In periodi ancestrali, quando la Lucania era ricoperta di foreste, entrambi servivano ad esorcizzare le avversità della natura.
Il Romita è un uomo travestito da albero che si avvolge con rami di edera, in modo che tutto il corpo ne venga rivestito. Poi gira di casa in casa insieme all'Orso, un uomo vestito di pelle di pecora, e chiede regali in natura. La gente offre vino, dolci, salsicce per trarre auspici favorevoli.

Antiche credenze nel Vulture

A Venosa si crede che il bambino, appena nato, guardi in alto per osservare se la casa in cui è venuto alla luce è ricca o povera; perciò molti addobbano le pareti per dare una buona impressione…
L'esperienza contadina quotidiana, in un ambiente ostile come quello dell'antica Basilicata, ha caratterizzato l'orizzonte di vita lucano con tinte cupe.
Era consuetudine proteggere il neonato dalle influenza malefiche del malocchio. Appena nato il bambino si inchiodavano sulla porta dei ferri di cavallo e corna di animali; per non fare entrare in casa le streghe, occorreva che uno di famiglia tenesse sempre le gambe incrociate l'una sull'altro e che dietro la porta d'ingresso ci sia la scopa con un poco di immondizia o dei fili di refe o una rete di pesca: la masciara (la strega) resterà impigliata.
Si credeva che le streghe potessero entrare per il buco della serratura, e che avrebbero fatto ingoiare al bimbo nodi di capelli che avrebbero causato vomiti e dolori alla pancia.
Contro il malocchio si usavano vari amuleti e anche le immagini dei santi.
Nelle campagne di Atella, il giovane metteva un ceppo sulla porta della ragazza prescelta: se il ceppo era ritirato, la domanda di fidanzamento era accolta; se era lasciato lì, respinta.  
Accettato il fidanzamento, il giovane consegnava una somma di soldi: se il fidanzato finiva per iniziativa del giovane, avrebbe perso i soldi, mentre se l'iniziativa era della ragazza, aveva diritto al doppio della somma.

"Li mal'vint'" erano gli spiriti dei deceduti di morte violenta che si attaccavano al passante per riposarti dopo aver errato. Chi è preso dal mal'vint' deve liberarsene al più presto, ma non deve andare in chiesa né passare dai crocicchi.
A Melfi si pensava che il "cattivo vento" venisse perché le anime di questi morti erano trasportate dal vento: quando qualcuno è preso nel vortice di un mulinello le anime dei morti si impossessano di lui, provocando chiazze rosse sul corpo.
Per guarire, bisognava versare vino su un piatto, aggiungere tre pezzetti di pane e mettere sopra una foglia di ulivo benedetta; poi si prendevano i pezzetti di pane e la foglia, passando sulle giunture e facendo il segno della croce, pronunciando: "Fuggi vento tristo\ti perseguita Gesù Cristo\vattene a quel lato\dove Dio ti ha condannato\in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo"
Questa formula andava letta la notte dello Spirito Santo per tre volte di seguito.
A Melfi, per scacciare il malocchio bisognava dire "A cavallo di una barca\a cavallo di un bove\schiatta il malocchio\a chi male mi vuole"