Il Brigantaggio

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L'Unità d'Italia è la più importante conquista storico-politica italiana.
L'idea dell'Unità d'Italia nasce come progetto politico e sociale sul finire del Settecento. Già nei secoli precedenti le diverse regioni del territorio, nonostante le problematiche, venivano considerate come un'unità, anche se la divisione politica era molto netta.
Nei secoli successivi al Rinascimento, diverse zone d'Italia erano diventate vittime di occupazioni stranieri; nel Settecento la situazione italiana diventa via via più pressante: il Regno delle Due Sicilie era di "giurisdizione" spagnola, i Savoia al al nord, Venezia era una realtà a sé.
è dopo la Rivoluzione Francese che nello "Stivale" politici, filosofi, legislatori da Milano a Napoli, da Torino a Venezia, cominciano a parlare di Italia unita: è questo clima culturale che dà vita al pre-Risorgimento.

Dal 1815 in poi in tutte le zone d'Italia viene trattato il tema dell'Unità: con libri ma anche con lotte e rivolte (soffocate sulle forche, in carcere e con le fucilazioni): questi pensatori e attivisti (soprattutto di estrazione borghese e nobile), dal 1820 al 1857 si batterono per l'Unità d'Italia, ispirandosi a quanto avveniva in Francia e in Inghilterra; tuttavia, in Italia, la piaga dell'analfabetismo allontanava il mondo contadino, che non riusciva a stare dietro alle istanze unitarie.
è a conclusione della Seconda Guerra d'Indipendenza che diventa chiaro che l'unità d'Italia può passare solo per il Piemonte (sabaudo, cioè Regno di Sardegna), l'unico Stato italiano che può portare avanti un'azione diplomatica e politica, tenendo testa al dominio austriaco.
Nel 1860 il Piemonte comprendeva nel suo dominio quasi tutta la Lombardia, la Toscana, la Romagna, Modena e Parma, che erano state annesse con dei plebisciti; mancavano, però, la parte della Lombardia ancora sotto il dominio austriaco, il Veneto, lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, che però vedeva contrapposti per motivi di rivalità, Napoli e Palermo. Agli splendori moderni di certe zone urbane di Napoli si alternavano aree di degrado di zone montuose e isolate, campagne e strade arretrate, povertà e analfabetismo dilagante; in più, le difficoltà di vita dei contadini (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/10/i-contadini-e-le-contadine-che-hanno.html) facevano sì che i più poveri simpatizzassero per i sovrani più che non per i borghesi: nel sud italiano, la nuova classe sociale dei proprietari "non nobili" soprannominati "galantuomini", nati a seguito delle riforme dei Borbone, tiranneggiavano sui più poveri, rivelandosi peggiori degli antichi feudatari e dei baroni.
è in questo contesto storico che viene avviata la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi, che ritiene che la liberazione d'Italia debba essere portata da un'insurrezione.
Il 6 maggio 1860 i Mille salpono da Quarto su piroscafi: sono volontari, soprattutto dal Nord, ma anche meridionali che avevano scelto di andare in esilio pur di sfuggire alla tirannia borbonica.

La conquista dell'Unità italiana fu voluta e ottenuta da una minoranza e rimase a lungo incompiuta per diversi strati popolari: l'Italia non aveva una struttura sociale, economica e culturale omogenea prima del 1860 (e anche dopo).
L'unione tra Nord e Sud fu particolarmente difficile: si combattè una vera e propria guerra civile; è in questo scenario che nacque il brigantaggio meridionale. (1)
I contadini, più che l'Unità, chiedevano la terra e il moto antiborbonico non tardò a trasformarsi in agitazione sociale: la repressione armata di Bronte, in Sicilia, fu l'episodio più famoso, guidato da Nino Bixio, alleato di Garibaldi.

Il potere statale sabaudo era appoggiato da una minoranza di popolazione, quella più ricca e colta; i contadini del Sud Italia, obbligati a combattere nelle regioni del Nord (che neanche conoscevano), preferirono disertare l'obbligo di leva e allearsi ai briganti in montagna e nei boschi, sostenendo la classe dirigente borbonica.
Molto spesso i briganti colpivano i proprietari considerati nemici massacrando il loro bestiame e consegnando la carne degli animali macellati ai contadini poveri:
si creavano così dei sostenitori che vedevano in loro dei combattenti generosi e giusti.
Tutta l'economia del Sud era arretrata perché i sovrani borbonici avevano puntato sull'isolamento e sull'autarchia.

Già nel 1860 (poco tempo dopo l'incontro a Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele) sui muri dei paesi in Abruzzo, come nella zona di Avezzano, era stato affisso un manifesto piemontese in cui si condannava a morte mediante fucilazione "chiunque sarà colto con arma da fuoco, coltello, stili o altra arma qualunque da taglio o da punta, e non potrà giustificare di esserne autorizzato..."
Il 16 novembre 1860 ebbero inizio le prime fucilazioni (tutti i contadini giravano con coltelli, falcetti, fucili da caccia); ad Acquasanta vennero bruciati interi paesi: Vena Martello, San Vito, Pagese, San Martino.
Molti contadini fuggirono in montagna o nei boschi, formando bande guidati da personaggi che erano mossi da rancore e vendetta per vendicare dei torti che avevano subito; si stabilirono piani per assalire e le case e le proprietà dei grandi proprietari agrari.
Il 19 gennaio 1861 fu assalita Sgurgola Marsicana; a compiere l'assalto, fu la banda di Giorgi; la guarnigione di bersaglieri venne scacciata, ma presto ritornò con rinforzi e 130 uomini del paese vennero fucilati, a mo' di intimidazione.

Lo Stato appena unificato impiegò ben 120000 uomini nella repressione contro il brigantaggio, anche se i briganti aumentavano via via; in Calabria giungevano notizie sullo sbarco di volontari desiderosi di ricostruire il regno borbonico; questi uomini, guidati dal generale Borjes, trovarono subito la morte, mentre erano impegnati a sconfinare nello Stato Pontificio.
In Basilicata, insieme al Gargano, vennero proclamate piccole repubbliche indipendenti: la banda di Ciucciariello, di Carmine Crocco (in Basilicata), di Cosimo Giordano (nel Matese), Domenico Coja "Centrillo" sulle Mainarde, i fratelli Fiona e Cipriano La Grande sui Monti Taburni, Schiavone, Ninco Nanco, Mastronardi, Coppa, Michele Caruso, Nunzio di Paolo in Molise, Pasquale Romano a Bari, che infestarono i boschi dell'Aspromonte, di Lagopesole, della Foresta Umbra.
L'esercito formato da bersaglieri inviati a liberare queste zone si scontravano con l'omertà della popolazione locale e contro la ferocia dei briganti che non lasciavano quasi mai feriti; nel 1861 Ripacandida, Ginestra, Melfi, Venosa, Vico, Vieste, Lavello per breve tempo furono sotto controllo di un governo banditesco, che l'esercito dei Piemontesi spazzarono via.

I più gravi episodi di repressione avvennero a Pontelandolfo e Casalduni, nel Matese: nel 1861 i reazionari uccisero una quarantina di soldati; i bersaglieri fecero una strage di civili, come rappresaglia. A motivare i contadini del Sud contro lo Stato Italiano appena formatisi fu anche la politica repressiva: rappresaglie, fucilazioni, arresti in massa provocarono la rivolta dei giovani e dei contadini che avevano assistito agli atti cruenti dei soldati contro la popolazione civile.
Più le autorità e l'esercito reagiva alle rappresaglie dei ribelli, più aumentavano le reclute per i briganti.

è possibile suddividere due fasi nella storia del brigantaggio (o malandrinaggio, come era chiamato allora): la prima fase, dal 1860 al 1865, dove vi è una rivolta contro il nuovo Stato unitario, adducendo motivi politici e sociali; una seconda fase, dal 1869 in poi, dove prevale la rivolta anarcoide aizzata dal malessere contadino e dai criminali.
Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d'Italia ma fu solo nel 1865 che il fenomeno del brigantaggio venne debellato; in totale furono circa 400 le bande di briganti attive, formate in media dai 10 ai 15 membri.

(1) Per quanto riguarda la nascita della mafia, comincia a delinearsi nei primi decenni dell'Ottocento e anticipa le caratteristiche di quella che si fissa durante l'Unità. Il periodo è caratterizzato dalla crisi della feudalità: non ci sono più solo i grandi proprietari terrieri, ma anche una classe sociale intermedia tra i contadini e i latifondisti, cioè i borghesi avidi di terra, che usano la corruzione e la violenza per fare i loro affari, creando una rete di complicità e di doveri soprattutto all'interno del nucleo familiare, una società di tipo collettivo.
Nel 1838 Pietro Calà Ulloa scriveva: "Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz'altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di fare esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora di incolpare un innocente... Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile."
Quando scoppia la rivoluzione, la mafia è pronta a sostenere la battaglia unitaria: si batte per la rivoluzione liberale perché prevedono che andrà a sostituire la Sicilia borbonica: le squadre che sosterranno i garibaldini da Marsala a Napoli sono dirette da questi borghesi, con i loro "picciotti".


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