Il Dio Mantide dei Boscimani

Non tutti sanno che in Africa hanno divinizzato questo animaletto delizioso! ^-^



anche se il ragno sta sempre in cima alle mie preferenze!

Info tratte da


(libro che ho fatto una gran fatica a restituire alla biblioteca :P me lo sarei tenuta volentieri, da tanto era bello e pieno zeppo di roba interessante!)

Le forme più arcaiche dell'ordinamento sociale e religioso africano sono quelle sopravvissute tra i boscimani, un gruppo di cacciatori dell'Africa meridionale.
Tra il XVII e XIX secolo le colonizzazioni olandese-boera e britannica hanno portato alla distruzione e alla scomparsa della maggior parte delle tribù dei boscimani. Oggi pertanto disponiamo soltanto di descrizioni frammentarie sulla cultura dei boscimani raccolte da viaggiatori, missionari e altri studiosi (Lichtenstein, Fritsch, Passarge, Bleek, Stow e altri). In epoca recente i residui dell'antico folklore, della mitologia e delle credenze boscimani sono stati studiati da Viktor Ellenberger, il figlio di un missionario che è nato e vissuto a lungo in mezzo alla popolazione autoctona dell'Africa meridionale.

Le tribù dei boscimani si dividevano in famiglie gentilizie autonome, che in origine erano probabilmente matrilineari e totemiche. Tracce di totemismo sono riconoscibili nel fatto che le famiglie sono contraddistinte da nomi di animali, oltre che nelle raffigurazioni rupestri di personaggi per metà umani e per metà animaleschi, e nei miti su animali che in passato erano simili all'uomo o su animali trasformati in esseri umani.
I boscimani credevano in una vita d'oltretomba e avevano una grande paura dei morti. Le tribù boscimane seguivano particolari riti per la sepoltura (inumazione) dei defunti, ma ignoravano il culto degli antenati che era presente tra le popolazioni africane più evolute.
L'aspetto più caratteristico presente nella religione dei boscimani, in quanto popolazione cacciatrice, era il culto venatorio. Essi rivolgevano a vari fenomeni della natura (Sole, Luna, Stelle) e ad esseri soprannaturali preghiere mediante le quali invocavano il successo nella caccia. Ecco un esempio di tali preghiere:

"Luna, tu che stai in alto, aiutami domani a uccidere una gazzella. Concedimi di mangiare carne di gazzella. Aiutami a colpire con questa freccia una gazzella, con questa freccia. Fammi saziare di carne di gazzella. Aiutami a riempire lo stomaco questa notte. Aiutami a riempire il ventre. Luna! tu che stai in alto! Io frugo nella terra, per trovare le formiche, dammi da mangiare..."
Le medesime preghiere venivano rivolte anche alla mantide religiosa, che era chiamata Ngo oppure Tsg'aang (Ts'agn, Tsg'aagen) vale a dire "signore".
"Signore, forse tu non mi ami? Signore, conduci davanti a me un maschio di gnu. Mi piace quando ho lo stomaco sazio. Anche al mio figlio maggiore, alla mia figlia maggiore, piace essere sazi. Signore, mandami un maschio di gnu!"

Il fatto che la mantide sia oggetto di adorazione religiosa merita particolarmente approfondimento: la questione non è del tutto chiara. Da una parte, si tratta di un insetto realmente esistente, benché gli si attribuiscano proprietà soprannaturali: i boscimani credevano, ad esempio, che se Ngo rispondeva alla preghiera facendo un movimento rotatorio con la testa, la caccia sarebbe stata buona. Questo insetto, d'altra parte, veniva in qualche modo collegato con uno spirito celeste invisibile che i boscimani chiamavano con lo stesso nome, Ts'agn, Tsg'aang, e consideravano creatore della terra e degli uomini. Questo Ts'agn compare molto spesso nei miti boscimani; gli viene attribuita anche una funzione di diavoletto burlone. è probabile che questa figura di essere celeste sia complessa: si tratta nello stesso tempo di un eroe culturale, di un demiurgo, e, a quanto pare, di un antico totem. I suoi aspetti totemici sono rivelati, oltre che dal legame diretto con la mantide, anche dai suoi rapporti mitologici con altri animali: la moglie di Ts'agn è una marmotta, sua sorella un airone, la figlia adottiva un porcospino e così via. Uno degli elementi costitutivi del personaggio di Ts'agn, e forse addirittura il più importante, è comunque il fatto che esso sia il patrono delle iniziazioni tribali, analogamente agli esseri celesti affini dell'Australia, quali Atnatu, Daramulun, ecc.
Delle usanze iniziatiche dei boscimani sono sopravvissuti soltanto deboli ricordi, ma il giovane boscimano Tsging, informatore di J. Orpen, ha riferito che "Ts'agn ci diede i canti e ci ordinò di danzare il mokoma" e questo ballo rituale era indubbiamente connesso con i riti di iniziazione degli adolescenti. Lo stesso Tsging riferì a Orpen che gli iniziati ne sanno di più su Ts'agn (era rimasto non iniziato, perché la sua tribù si era estinta)
Lo studioso padre Schmidt si è sforzato di trasformare Ts'agn in un unico dio creatore, e ha cercato di individuare tracce di monoteismo primitivo o protomonoteismo (*), scartando però le testimonianze contrarie.
I ricercatori hanno individuato tra i boscimani tracce di una fede sulla magia nera o nociva (di tipo affine a quella australiana), di proibizioni alimentari dall'origine incerta, di una fede nei sogni e nei presagi, di una superstiziosa paura della tempesta. (**)


(*) Nota di Lunaria: in Africa il concetto di "Dio" era diverso dal concetto monoteista (o pagano). Gli africani preferivano rivolgersi agli Antenati e agli Spiriti, perché il Dio creatore veniva considerato troppo "distante", anzi, del tutto disinteressato alla sua creazione, un vero e proprio dio assente, pigro, ozioso.
Curiosamente, anche nel cristianesimo in salsa africana (sincretismo), gli africani si sentono più attratti non dal dio padre o dal dio figlio ma dallo spirito santo (vedi i culti pentecostali e carismatici africani)




Per approfondimenti sulle religioni africane, vedi Ernst Dammann "Religioni africane"; sul Dio supremo africano (nei suoi vari nomi) ne parla soprattutto Mircea Eliade in "Trattato di storia delle religioni"




(**) C'è una storia a tinte horror che trovai in un libro sulla Namibia. La riporto anche qui.



"Mentre me ne stavo seduto sulla veranda del Cardboard Box Bar di Windhoek, trangugiando una Windhoek Lager e osservando uno dei migliori tramonti africani, mi capitò di rivedere un amico - uomo dalla spiritualità molto marcata - che era appena ritornato da Oshakati, nell'Owambo. Nessuno di voi aveva tanta voglia di
parlare e rimanemmo quindi seduti in silenzio a guardare gli ultimi bagliori del tramonto che si spegnevano lentamente ad ovest. Quando comparvero le prime stelle, presi il coraggio a quattro mani e chiesi al mio amico la sua opinione in merito a un'esperienza che avevo vissuto anni addietro. Era la prima volta che ne parlavo. Dopo quella sera lo avrei fatto ancora, ma allora esitavo per timore di essere scambiato per matto.
A quel tempo guidavo i safari e conducevo quindi una vita normale. Una volta mi trovai ad accompagnare un gruppo dalle dune del Namib sferzate dalle tempeste di sabbia alla relativa calma di Naukluft. Cinque ore più tardi avevamo terminato di piantare le tende a Koedoesrus, all'ombra di antiche acacie e delle cime frastagliate dei monti Naukluft. Dopo cena, i turisti che accompagnavo si ritirarono nelle loro tende e io mi coricai accanto alle ceneri ardenti dei falò, addormentandomi sotto un cielo nero come l'inchiostro punteggiato di stelle. Alcune ore dopo, però, fui svegliato dal rombo di un tuono e mi affrettai quindi a coprirmi con la tela cerata per ripararmi dalla pioggia. Cercai di riaddormentarmi, ma di lì a poco un lampo illuminò le vette circostanti e iniziai a sentire il picchiettio della pioggia sul mio riparo improvvisato. Ora la mia unica preoccupazione era quella di mantenermi il più asciutto possibile, impresa che si rivelò estremamente ardua in quanto il temporale aumentava di intensità. Ben presto realizzai che il mio era uno sforzo inutile: pioveva a catinelle e tutto quello che potevo fare era cercare di ignorare l'umidità che filtrava nel mio sacco a pelo e calcolare le possibilità che avevo di rimanere schiacciato sotto un'acacia colpita da un fulmine. Improvvisamente con la coda dell'occhio captai un movimento nei cespugli. Uno sciacallo, pensai, che spera di trovare qualcosa da mangiare - tendevo ad escludere che un uomo potesse andarsene in giro in una notte come quella. Diedi una rapida occhiata alle tende per assicurarmi che i miei clienti fossero tutti chiusi dentro, al sicuro e all'asciutto, cercando di ignorare il tumulto che si scatenava al di fuori dei loro ripari. Ma ecco di nuovo quel movimento. Guardai in quella direzione e un lampo mi rivelò una figura che sembrava quella di un bambino, vestita di stracci e con un grande bastone nodoso in una mano. Mi chiesi se fosse il caso di chiamare aiuto, ma c'era qualcosa che non quadrava. Mentre la figura si avvicinava i lampi svelavano altri dettagli e, quando giunse a non più di 10 metri da me, un lampo più luminoso degli altri mi mostrò che non si trattava di un bambino bensì di un uomo vecchissimo, piegato in due e paurosamente claudicante. Il viso era coperto di stracci e si trascinava avanti col capo chino, appoggiandosi pesantemente al bastone. A un certo punto alzò lentamente lo sguardo su di me, seduto immobile sotto la pioggia, e mi colpì il fatto che la sua pelle era blu. Poi vidi gli occhi di un penetrante blu elettrico che scintillavano al buio e mi fissavano, carichi d'odio. Ebbi l'impressione di trovarmi di fronte al male in persona e tremai, terrorizzato, tenendo lo sguardo fisso su di lui finché non si girò lentamente allontanandosi nella tempesta. Sparito che fu il vecchio, il tempo cambiò e uno dei più violenti temporali che abbia mai visto si allontanò così come era venuto. Per un bel po' rimasi
seduto, bagnato e sconvolto, poi ritornai in me e mi misi ad attizzare il fuoco. Non riuscii più a riaddormentarmi e trascorsi il resto della notte cercando di fare il possibile per asciugarmi.
La veranda ora era immersa nella quiete e nell'oscurità, smorzate appena dalla fioca luce e dal sussurro delle voci provenienti dal bar. "Be', cosa ne pensi?", chiesi. Mentre il mio amico rifletteva sul mio racconto, una donna herero, che era seduta al tavolo vicino e intrecciava i capelli a un'amica, si avvicinò. Era molto nervosa e continuava a guardarsi i piedi e mormorare la parola "Oshilulu".
"Oshilulu?", chiesi. "Sì", disse dopo un momento di esitazione. "Oshilulu è uno spirito maligno conosciuto in tutta l'Africa meridionale sotto diversi nomi: alcuni lo chiamano Tokoloshi", mi disse, "ma è sempre blu", e io dovevo ritenermi molto fortunato che nulla di orribile mi fosse successo in quella notte tempestosa. Ancora oggi quando vedo una tempesta incombere sugli immensi spazi di questo paese, mi chiedo quali malvagità stia escogitando quell'essere, e se mai avrò la sfortuna di rivederlo." (Sam McConnell)

APPROFONDIMENTO SUI BOSCIMANI

Info tratte da


I Boscimani, come popolo, sono considerati un "fossile vivente", cioè un popolo che in nulla o quasi ha modificato la propria vita dai tempi preistorici. Roberto Bosi, scrittore ed etnologo, ha condotto un'approfondita ricerca su questa gente orgogliosa, amante della libertà, che usa ancora armi e strumenti antichi per sopravvivere nell'arido deserto del Kalahari, nell'Africa meridionale, dove la ricerca del cibo e dell'acqua richiede un'abilità sorprendente e una grande fatica.

Non è mai stato facile raggiungere i Boscimani nel loro territorio; né ai tempi delle prime avventure dell'uomo bianco, quando erano molto numerosi, né oggi, quando ormai si sono fatti scarsissimi e vivono una vita di estremo isolamento in uno dei territori più inospitali dell'Africa.

Quello che rimane del popolo ricco di tradizioni, di miti, di favole è ormai sparso nei grandi spazi sabbiosi del Kalahari o nelle boscaglie di arbusti spinosi popolati di insidie.

Il nome Boscimano è la traduzione italiana dell'olandese Bosjeman, "uomo dei boschi". 
Il nome che invece i Boscimani danno a se stessi è San, plurale di Sab o Saab. Il significato di questa parola non è affatto chiaro. La spiegazione più semplice sembrerebbe "dispersi" o "perseguitati", che confermerebbe il fatto che i Boscimani vennero allontanati dal loro ambiente naturale; i popoli confinanti chiamano i Boscimani con un altro nome: Abatoa, "Uomini dell'Arco", che spiega il timore che i Boscimani incutevano ai nemici a causa del veleno micidiale in cui immergevano le frecce, visto che i popoli che circondavano i Boscimani preferivano combattere con lancia o mazza.
Furono individuati per la prima volta dagli Olandesi nel 1655: si stavano ritirando sulle montagne dell'interno, dormivano sotto paraventi di frasche, erano piccoli di statura, vivevano con quanto riuscivano a cacciare con archi e frecce, che maneggiavano con grande maestria, come riferiva un testimone olandese dell'epoca, dal quale sappiamo anche che erano nomadi e si cibavano di qualsiasi bestia morta di recente (abitudine che conservano anche oggi)

I Boscimani sono veri nomadi: non coltivano terra e come animali domestici tengono solo cani; conoscono molto bene le abitudini degli animali selvatici, che costituiscono il loro cibo, a cui aggiungono radici, fave, frutti (è compito delle donne raccoglierli)
La capanna che viene costruita è provvisoria, ed è la donna che si occupa di sistemare il campo e della preparazione dei cibi oltre che di occuparsi delle armi di riserva.
Quando il cibo scarseggia, la donna è la prima a privarsene.
A nove-dieci anni i bambini accompagnano il padre a caccia, usando frecce avvelenate (intinte in una miscela formata da una larva di un insetto e veleno di ragni, scorpioni, serpenti e piante), mentre le bambine seguono la madre che insegna loro la raccolta delle piante commestibili. 
Gli uomini, durante la caccia, si mimetizzano spargendosi sabbia sul corpo o coprendosi di rametti e arbusti. Riescono a resistere per ore immobili sotto il sole nell'attesa delle prede. Oltre alle frecce usano anche lacci e trappole.

I Boscimani non costruiscono case: cercano rifugio tra le spaccature delle rocce o nelle caverne, nelle buche abbandonate dai formichieri o nelle fosse dei letti asciutti o al massimo costruiscono ripari semicircolari aperti sul davanti con rami piantati nel terreno e ricoperti con foglie ed erbe.

Comunque, i Boscimani sono nomadi e riescono a riprodurre i suoni di molti uccelli e mammiferi per attirarli durante la caccia. Si camuffano da struzzo, travestendosi, per riuscire ad avvicinarsi ad un branco.
Resistono per giorni alla sete, sfruttando il succo di alcune radici. L'acqua si può trovare anche scavando in profondità e viene risucchiata con una cannuccia che ha una piccola penna di struzzo che funziona da filtro.
La provvista d'acqua viene conservata all'interno di uova di struzzo vuote.

La divinità adorata dai Boscimani è Kaggen, l'Essere Supremo, che dimora nel Cielo.
Invisibile, padrone di tutte le cose, creatore degli animali, signore della pioggia, amministra la vita e la morte. 
Da esso gli stregoni traggono il potere e da esso deriva la folgore.
La sua conoscenza di ogni cosa gli deriva dalla relazione con gli uccelli che gli riferiscono tutto ciò che avviene sulla Terra.
Kaggen assume la forma di una mantide, secondo i Boscimani dell'Africa nord-ovest e il profilo della mantide compare nelle maschere indossate dagli uomini danzanti delle antichissime pitture rupestri.

Una leggenda boscimana racconta che il vento era, un tempo, una persona, ma poi divenne un essere pennuto e volò, andando ad abitare presso una grotta sulle montagne.
Ogni tanto esce, vola, ritorna a casa per dormire. 
E così all'infinito. Così è ed è stato il Boscimano.

APPROFONDIMENTO SUL TOTEMISMO

 IL TOTEMISMO IN AUSTRALIA
 
Figurano generalmente come totem animali diversi, con frequenza nettamente minore le piante, e ancora più raramente altri oggetti. Se si compila un elenco dei totem delle diverse tribù si può notare una caratteristica tendenza regolare: la scelta dei totem da parte di ciascuna tribù è determinata dal carattere fisico-geografico della località e dall'orientamento predominante dell'attività economica. Un conteggio approssimativo delle singole specie di oggetti che figurano come totem nelle cinque principali regioni dell'Australia dimostra che quasi dovunque il gruppo predominante dei totem è costituito da animali terricoli e volatili: si tratta dello struzzo emu, del canguro, dell'opossum, del cane selvatico, del wombat (specie di marmotta con marsupio), del serpente, della lucertola, del corvo, del pipistrello e così via. Simili animali non sono assolutamente pericolosi per l'uomo e del resto in Australia mancano del tutto dei predatori capaci di minacciare la vita umana. Questa circostanza va sottolineata, perché alcuni ricercatori hanno tentato, a torto, di spiegare l'origine delle credenze totemiche con la paura dell'uomo di fronte agli animali possenti e feroci.
Nella parte centrale dell'Australia e in particolare della tribù degli Arunta, dove il totemismo in generale è più sviluppato e ogni tribù vanta numerosi totem, si incontrano invece totem che non appartengono alla natura organica: totem della pioggia, del sole, del vento caldo e così via.

Per approfondimenti, vedi





TOTEMISMO E ZOOLATRIA IN AFRICA


Fra i popoli allevatori dell'Africa meridionale ed orientale, i totem sono principalmente le varie specie di animali domestici. Tra i Beciuani si osservano particolari danze totemiche. Ogni stirpe ha la propria danza e pertanto i Beciuani, quando vogliono sapere a quale stirpe appartenga una certa persona, domandano: "che cosa danzi?". I Batoka spiegano la propria abitudine di spezzarsi i denti anteriori con il desiderio di assomigliare al toro, un animale totemico (in realtà l'abitudine di spezzarsi i denti è una sopravvivenza delle antiche iniziazioni)
Tra i popoli coltivatori, soprattutto in Africa occidentale, il totemismo gentilizio è sopravvissuto nella medesimo forma attenuata, ma in certe località si è trasformata in qualcosa di nuovo: in una adorazione locale, comunitaria, di singole specie di animali, presumibilmente antichi totem. Questo fenomeno si poteva osservare tra i popoli della Nigeria meridionale, nel Dahomey, tra i Bawenda sudafricani. Evidentemente questo passaggio dal totemismo gentilizio al culto locale degli animali è stato determinato dalla trasformazione della comunità gentilizia in comunità territoriale.
Tuttavia il culto degli animali (zoolatria) non sempre è connesso, nella propria origine, con il totemismo: tutt'altro. Nella maggioranza dei casi le sue radici sono palesemente più dirette ed immediate: il terrore superstizioso di animali feroci e pericolosi per l'uomo.
Di particolare venerazione gode in Africa il leopardo, uno degli animali più pericolosi; ma questo non impedisce a molte popolazioni di dare la caccia al leopardo.
Il culto del leopardo è legato al totemismo soltanto indirettamente; in alcuni luoghi, come nel Dahomey, il leopardo era considerato il totem del clan reale.
Molto diffuso è anche il culto dei serpenti: il missionario Unger scoprì nel 1864 un vero e proprio tempio dei serpenti che ne conteneva più di trenta (Nota di Lunaria: anche gli indù venerano i serpenti; la Dea dei serpenti è Manasa). Nella regione di Wida esisteva in epoca più remota un santuario di pitoni e altri serpenti, di cui si prendeva cura un apposito sacerdote che li nutriva, li prendeva in braccio e se li avvolgeva attorno al corpo. Per i popoli che adorano i serpenti è considerato delitto della massima gravità causare loro qualsiasi danno.
Le popolazioni coltivatrici dell'Africa attribuivano grande importanza al culto comunitario delle divinità protettrici agrarie, e in generale al culto degli spiriti e degli Dei comunitari locali. Questa circostanza è stata osservata da uno dei massimi studiosi di questioni africane, Carl Meinhof.
Questo culto era particolarmente diffuso nella Guinea superiore. Riferendosi alla Costa d'Oro, oggi Ghana, Ellis scriveva, nel 1887: "Ogni abitato, ogni villaggio, circondario, ha i suoi spiriti o dei locali, signori dei fiumi e dei ruscelli, delle colline, delle valli, delle rocce, delle foreste". Soltanto queste divinità locali, che si chiamano "Bohsum" vengono adorate dalla comunità. Gran parte di esse, tuttavia, sono considerate esseri cattivi ed ostili all'uomo a meno che non vengano propiziate con opportuni sacrifici. Il più delle volte ai Bohsum viene attribuita forma antropomorfica, ma non di rado assumono aspetto mostruoso; vivono nelle foreste, sulle colline e nei fiumi di cui sono signori.
In altre popolazioni della Nigeria è stato osservato un culto di divinità locali sotto forma di animali: ci troviamo di fronte a tradizioni totemiche. Le divinità con funzioni specializzate in particolare di protezione dell'agricoltura non erano certo note ad ogni popolazione. Uno degli esempi esistenti riguarda gli zulù dell'Africa meridionale, dei quali il missionario Bryant ha descritto il culto diffuso di una principessa celeste, la Dea Nomkubulwana, mitica inventrice dell'agricoltura che dona la fertilità ai campi. Le cerimonie e le preghiere in onore di questa Dea venivano compiute da ragazze e donne sposate, il che è comprensibile se si tiene presente che tra gli zulù tutta l'economia agricola rientrava nella sfera del lavoro femminile.

APPROFONDIMENTO TRATTO DA 




L'anima, secondo l'africano, è forza ed energia. Per citare la definizione di Senghor: "L'anima africana è una forza spirituale, un principio di vita intellettuale e morale che anima ogni essere, ogni pianta, ogni cosa provvista di carattere proprio, sia essa una montagna, una caverna, una roccia ocarnale.
Leone e leopardo, nella mente degli africani, costituiscono i simboli della forza, dell'astuzia e della potenza. Ogni giovane sogna di divenire uomo-leopardo o uomo-leone. La potenza sessuale di quest'ultimo affascina e stimola la fantasia degli africani. è forse per tale ragione che essi non amano vedere il leone morto, come se tale visione portasse scalogna.
Le sette degli uomini-leone hanno continuato a diffondersi in Africa anche in questi anni (1990). Gli adepti credono di essere la reincarnazione di un leone, potente sessualmente e feroce. Non esistono invece sette di donne-leonesse, forse per una sorta di atavico maschilismo.
E ciò può apparire un controsenso perché è la leonessa che attacca e uccide e istruisce nella caccia i leoncini, mentre al maschio è riservato il ruolo di riproduttore.
Nella savana vi sono tuttavia degli stregoni che detengono il segreto del talismano anti-leone. Chi viene protetto non sarà mai ucciso dal leone, ma se lo chiederà allo stregone, questi farà il sortilegio che provocherà la morte del suo nemico per opera del felino.
In certi villaggi esiste una figura tipica, il Re-Leone, che è un capo con prerogative stregonesche e la cui autorità è indiscutibile.
In Kenia, quando una donna desidera che suo figlio divenga uno stregone, lo abbandona nella foresta nella zona in cui si è certi della presenza dei leoni. Se il ragazzino dopo qualche giorno è ancora in vita, è certo che ha acquistato i poteri dello stregone, e viene additato come Uomo-Leone: verrà rispettato per tutta la vita.  
Il culto del coccodrillo è comune nelle regioni dove abbondano tali animali, come nello Zimbabwe e Somalia.
Esiste una strana leggenda che dice "Il coccodrillo era una volta una lucertola. Un giorno un uomo posseduto dai demoni cadde nell'acqua. Questi entrarono nel corpo delle lucertole e fecero in modo che esse crescessero enormemente, tali da diventare coccodrilli."
Nel Congo si crede ancora oggi (1990) che il coccodrillo è un buon animale e gli uomini che in esso si identificano si credono investiti di un potere magico superlativo.
Alcune parti di coccodrillo costituiscono la base per preparare un medicamento ("muti"): la pelle triturata e polverizzata è ritenuta un ottimo rimedio per la tosse e il suo grasso viene incorporato in un talismano che preserva dagli incidenti.
La magia ispirata dal coccodrillo riposa su alcune caratteristiche dell'animale, prima fra tutte la rigenerazione spontanea dei denti.
Nel Congo alcune tribù si identificano col gorilla e gli individui riproducono il comportamento di tali primati. Presso i Baluba si praticava il cannibalismo: il cervello del nemico veniva estratto e dato da mangiare all'aspirante capo del gruppo.


BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA: