Pensieri sul silenzio





Ascoltare il silenzio: il percorso del libro si apre con questo singolare invito, che si rivela via via ricco di conseguenze ed implicazioni sorprendenti. Anzitutto perché il silenzio non è affatto una neutrale assenza. C'è silenzio e silenzio e il silenzio custodisce in sé anime diverse e caratteristiche disperate. è così che il silenzio segna una differenza tra il mondo umano e il mondo animale, ma anche tra l'uomo e il divino. Ci sono infatti silenzi sapienti e silenzi ignari, silenzi sublimi e silenzi insignificanti, voci e ore silenziose che, come diceva Nietzsche, si annunciano con passi di colomba e portano la tempesta. Il libro ne presenta una galleria vana e suggestiva: le domande più profonde ed enigmatiche dell'esistenza; domande anch'esse emergenti dal silenzio: il maestoso silenzio del mondo.

La rugiada cade sull'erba, quando la notte è più silenziosa (F. Nietzsche)

La parola rompe il silenzio. Ma lo fa anche apparire. C'era già prima (si direbbe), ma solo ora, che non c'è più, in qualche modo lo si avverte. C'è il silenzio dell'essere umano che parla; c'è il silenzio dell'infante che non parla; e c'è il silenzio dell'animale che, direi, né parla né non parla: un silenzio difficile da considerare, anche perché siamo noi a parlarne.
Qualcuno potrebbe dire che l'uomo inventò il linguaggio perché, debole animale qual era, se non l'avesse fatto sarebbe morto. Ma, senza linguaggio, come sapeva che sarebbe morto? Non c'è "la morte", là dove c'è silenzio e il puro saper fare. In questo senso l'universo è eterno quanto Dio.
C'è un arte del silenzio? è il silenzio un'arte? Indubbiamente è una cosa doppia (ma cosa mai non lo è?) perché il silenzio è l'intorno e l'intervallo. Tutto ciò che c'è, infatti, accade nel silenzio che sta intorno da sempre: e dove se no? Il silenzio è prima di ogni cosa. Però è anche tra le cose: le separa. E così è anche dopo.  Il silenzio non è qualcosa, caso mai è la negazione di qualcosa. Il silenzio è un resto, ciò che resta quando il qualcosa non c'è più. Un resto che riconduce all'inizio: prima che quel qualcosa ci fosse. Prima che qualcosa, come si dice, "rompa il silenzio".
Il silenzio è uno, ma è anche due. Contiene il tutto, ma anche lo divide in ogni sua cosa o parte. è perché ogni cosa è fatta dal silenzio e di silenzio che anche è ed è quella cosa che è, separata da ogni altra, capisci?
Non c'è nulla di più rumoroso del silenzio di Dio. L'assenza della sua parola crea un vuoto che è per molti insostenibile, sicché ne parlano e ne argomentano di continuo, immaginandone innumerevoli ragioni e fantasiosi motivi. Alcuni gli prestano addirittura le parole, pretendendo che siano le sue. Ma lui non protesta. Tace. Taceva prima, tace poi, ancora tace, tace sempre senza rimedio. "Son forse gli occhi tuoi rivolti altrove?" Silenzio.
I nostri gesti quotidiani sono macerie del tempo del mito, ma silenziosa aleggia forse, in essi e su di essi, una presenza arcana; quella presenza che gli antichi "sentivano" e cui davano nome a partire dal gesto, divinizzandolo. Così per fare un esempio, i Romani invocavano la presenza della Dea Levana, quando un padre sollevava da terra il figlio o la figlia appena nati, riconoscendoli come propri e accogliendoli nella sua casa e nel suo destino.
Venne l'ora senza voce. L'ora più silenziosa invano spronava Zarathustra a parlare. "Mai", dice Zarathustra, "avevo udito un tale silenzio attorno a me: tanto che il mio cuore fu atterrito". Tutto allora, dice ancora, divenne silenzioso "in un silenzio duplice". Perché "duplice"? "Le parole più silenziose sono quelle che portano la tempesta. Pensieri che vengono con passi di colomba guidano il mondo". Zarathustra ancora tace. La notte stessa lascia dolente gli amici e si ritira un'altra volta sui monti in solitudine, a maturare una più dura umiltà, in grado di tollerare quei frutti già maturi per i quali non è pronto. "Che importa di te, Zarathustra! Di' la tua parola e infrangi te stesso!", lo apostrofa l'ora senza voce. Ma Zarathustra non è ancora in grado di infrangere se stesso, di tramontare: preferisce fuggire come un ladro nella notte.
Il gesto: ecco la via per risalire alla parola primordiale che rompe il silenzio del mondo. La parola infatti si intreccia col mondo, abita sin dall'inizio quelle cose che poi si sforzerà di dire, perché si intreccia anzitutto col corpo vivente ed espressivo del locutore. Atto del corpo e atto del linguaggio nel gesto fanno uno, ovvero mostrano una comune radice; sicché, come dice Merleau-Ponty "è il corpo a mostrare, è il corpo a parlare".
La parola non parla se non dal silenzio del mondo e del silenzio del mondo: quel silenzio che la parola custodisce e reca in sé; quel silenzio che è così raro e difficile saper ascoltare.
La parola del filosofo è la coscienza desta della vita che è in tutti e che in tutti aspira a farsi parola e a raggiungere l'espressione adeguata, come giusta eco del silenzio del mondo. In questa sua peculiarità, e in questo suo limite, la parola filosofica, che sembra talora, a una considerazione superficiale, la più lontana, la più distaccata e la più ostica per la comprensione media e comune, è in realtà la più concreta e alla mano: aspirazione silenziosa che vive nell'esperienza di tutti e che è cercata e detta per tutti.
Non possiamo rassegnarci all'idea della nostra solitudine in questo immenso universo dal quale non siamo in grado di immaginare i limiti, i confini e le distanze; distanze astrattamente calcolate in anni luce, vale a dire in relazione a qualcosa di totalmente estraneo a ogni nostra concepibile e comprensibile misura. Non  possiamo rassegnarci allo sconfinato silenzio che ci circonda: è mai possibile? è così scandagliamo la notte senza fine, in cerca di segnali.

Altro autore interessante: https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/un-cristiano-approvato-da-lunaria.html

e già che ci siamo, in tema di silenzio e Black Metal...