Autostima!

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Chi viene negato nel corpo, chi si è sentito un peso per essere nato, chi ha patito l'umiliazione di essere zavorra, gravame, palla al piede per i suoi genitori, e, inizialmente, per la madre, non riesce ad amarsi, e soprattutto, non ama il suo corpo. Il corpo è topos, il luogo nel quale, come su un palcoscenico d'un teatro, si mette in scena, si esprime l'anima. Il corpo è scenario dell'anima e perciò il corpo di un bambino amato, gratificato dalle carezze di sua madre; un corpo piccino, contattato, accarezzato con affetto, nasce, nel senso del "sentire", proprio grazie a quel contatto primario e si sviluppa, cresce bene, in maniera armonica, contemporaneamente alla nascita e alla crescita della sua psiche, della sua "anima". Naturalmente, un genitore che non ama il suo corpo, che ha in sé la "ferita dei non amati", che non si riconosce poiché, anch'egli, non è stato desiderato, toccato, amato, non sarà in grado di aiutare un bambino a sentirsi, a nascere psicologicamente, ad accettare se stesso e il suo corpo. Anzi, senza volere, restituirà la frustrazione che ha patito, non toccando, non creando intimità fisica e psicologica col bambino, non carezzandolo o trasformando il contatto in una percossa. Non a caso le persone che hanno patito un simile trattamento rivolgono al proprio corpo inaudite aggressività, sottoponendolo a stress, a digiuni, a pericolosi esercizi di vario genere, a menomazioni e imbrattamenti, a operazioni spesso inutili di chirurgia plastica. Il corpo viene negato, dimenticato, offeso o colpito, maltrattato, bloccato, esposto al dolore e al disagio quasi a ripetere quel che è già avvenuto nella prima infanzia. Insomma, se non è stato amato e riconosciuto sin dal concepimento e dalla nascita, il corpo diverrà un involucro pesante da sopportare, verrà vissuto come "staccato", "separato" da sentimenti, affetti, desideri, considerato un nemico pericoloso perché non soltanto invecchia e muore ma costituisce anche un pesante fardello di quotidiani obblighi da assolvere e ai quali, tra l'altro, nessuno si può sottrarre. Bisogni fisiologici come bere, mangiare, mingere, defecare, dormire; e bisogni affettivi e sessuali che presiedono alla relazione con se stessi, con gli altri e allo scambio, dalla carezza al rapporto sessuale.

Le bambine cresciute con una ferita nel cuore
hanno come rivali soltanto se stesse
e il loro corpo è stato scenario per l'anima.
Le donne che sono oggi le bambine ferite di ieri
non hanno consigli da dare.
Nello specchio del lago,
a rimirarsi con loro,
c'è soltanto la Solitudine.
Nel vuoto dell'attesa di crescere
esse coltivano magiche erbe e progetti d'amore;
carezze del corpo e della mente
per lo scandalo della speranza.


NOI E IL NOSTRO CORPO: SCRITTO DALLE DONNE PER LE DONNE 

(Titolo originale: "Our Bodies, Ourselves", The Boston Women's Health Book Collective) 1974



Pagina 22: Riscopriamo la nostra rabbia.

A mano a mano che cambiavamo, andavamo scoprendo che spesso provavamo rabbia. Ne siamo sorprese e imbarazzate. Eravamo cresciute pensando di dover amare tutti. Se provavamo rabbia nei confronti di qualcuno avevamo la sensazione di aver fallito in qualcosa. Abbiamo messo in comune i ricordi del passato. Quasi tutte avevamo provato una grande difficoltà nell'esprimere rabbia verbalmente e fisicamente. Abbiamo messo in comune il modo in cui viviamo la nostra situazione di oggi. Abbiamo capito che molto spesso avevamo provato rabbia, ma che l'avevamo usata contro di noi per odiare noi stesse. Avevamo imparato molti modi per nascondere la nostra ira. L'avevamo costretta dentro di noi così a lungo che ora avevamo paura che esplodesse. Ci siamo rese conto che molti aspetti della nostra vita e dei nostri rapporti ci riempiono d'ira. Ora, finchè non conosciamo e percepiamo la nostra oppressione non siamo stimolate a cercare alternative costruttive. 

Pagina 25: il rapporto col nostro corpo

Col nostro corpo non abbiamo mai avuto un rapporto felice. [...] In altre parole, facciamo sempre dei paragoni, non siamo soddisfatte di come siamo: brutte, misere. E non c'è da stupirsi! La donna ideale è un modello in continua trasformazione, che cambia con la moda (ora si esalta il seno piccolo, ora quello prosperoso), ma che è sempre lì, a imporci di misurarci con lei. Questo modello non è il nostro ideale. Non l'abbiamo creato Noi. Eppure la famiglia, gli amici, la scuola, la chiesa, la televisione, il cinema, tutti ci chiedono di modificarci per corrispondere a questa immagine, di standardizzarci e di nascondere le nostre differenze individuali.

A pagina 28 e successive, il libro illustra spiegazioni anatomiche della vagina. Può sembrare strano, il realtà le Autrici fanno intendere chiaramente come negli anni '70 ancora la maggior parte delle donne non conoscesse nulla del loro corpo femminile, dal punto di vista medico, specialmente genitale. Far vivere le donne nell'ignoranza del loro corpo (i cambiamenti, i meccanismi, come funziona ecc.) è stato un colpo di genio del patriarcato: in questo modo, la donna ignorante di se stessa, del proprio corpo, è più controllabile e manipolabile, specialmente per quando si tratta di imporle la gravidanza. Oggigiorno -per fortuna- esistono donne medico, e sapere i meccanismi biologici del nostro corpo non è più così difficile. Per questo le Autrici del libro consigliano alle donne, come prima cosa, di stendersi e osservarsi bene i genitali, con l'aiuto di uno specchio, dentro e fuori, guardandoli e toccandoli, in modo da prendere consapevolezza con la parte del nostro corpo più colpita e annientata dal patriarcato: la nostra vagina. Nel libro riportano alcuni consigli, come infilarsi un dito in vagina, per cercare di capire come è fatta internamente. Comunque, viene sottolineato con vigore che una prima presa di consapevolezza del nostro corpo (il nostro corpo vero, non l'immagine che gli uomini ci hanno imposto culturalmente nei secoli dei secoli) passa proprio per l' "osare guardare e toccare" le nostre parti intime.
  

In ogni donna è presente un'eroina potenziale. è lei la padrona della propria esistenza, in un viaggio che inizia con la nascita e che prosegue per tutta la vita. Lungo il cammino indubbiamente incontrerà sofferenza, sentirà solitudine, vulnerabilità, incertezza; e conoscerà il limite. Ma potrà anche trovare significati, sviluppare il carattere, fare esperienza dell'amore e della grazia e apprendere la saggezza. 
La donna è plasmata dalle scelte che fa, dalla capacità di credere e di amare, di lasciarsi insegnare dall'esperienza e di impegnarsi. 
E se all'insorgere delle difficoltà riesce a valutare cosa può fare, a decidere cosa farà e ad agire in maniera coerente con i propri valori e sentimenti, si comporta come l'eroina protagonista del proprio mito personale. Benché la vita sia piena di avvenimenti che non abbiamo scelto, ci sono sempre momenti di decisione, punti nodali che determinano eventi o modificano il carattere. 
Per essere l'eroina del proprio viaggio eroico, la donna deve partire da un atteggiamento di considerazione per le proprie scelte (o addirittura, all'inizio, comportandosi "come se" quelle scelte fossero importanti). Vivendo sulla base di questa premessa, qualcosa accade; la donna diventa capace di scegliere, diventa l'eroina che plasma quella che lei diventerà. Quindi, ciò che fa o che non fa, gli atteggiamenti che assume, la fanno crescere o la sminuiscono.

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Le pazienti mi hanno insegnato che ciò che aveva fatto di loro quello che erano, ciò che aveva contato, non era soltanto quello che era accaduto a loro, ma quello che era accaduto in loro. Ciò che determinava il loro divenire erano i sentimenti e le reazioni interne ed esterne, molto più del livello di avversità in cui si imbattevano. 

Ho incontrato donne sopravvissute a un'infanzia piena di privazioni, crudeltà, percosse o violenza sessuale, che tuttavia non sono diventate (come era facile prevedere) simili agli adulti che avevano loro fatto violenza, e che, nonostante tutto il male di cui avevano fatto esperienza, sentivano tenerezza e compassione per gli altri, adesso come allora. 
L'esperienza traumatica aveva lasciato il segno, erano ferite, eppure sopravviveva in loro una fiducia di fondo, una capacità di amare e di sperare, un senso di sé. Quando me ne chiesi il perché, incominciai a capire la differenza fra l'eroina e la vittima. Ognuna di queste donne, da bambina, si era vista in qualche modo come la protagonista di un dramma terribile. Ognuna aveva un mito interno, una vita di fantasia o dei compagni immaginari. 
Una donna che veniva percossa e umiliata da un padre violento e che la madre non riusciva a proteggere perché depressa, ricordava di essersi detta, da bambina, di non avere niente a che fare con quella famiglia incolta e rozza, di essere in realtà una principessa, messa alla prova dagli eventi. Un'altra, che veniva battuta e violentata sessualmente, e che da adulta non ripeté lo stereotipo secondo cui i figli picchiati finiscono col picchiare i propri figli, si era rifugiata in una vivace vita di fantasia, dove tutto era assai diverso. Una terza si considerava una guerriera. 
Queste bambine previdero e pianificarono il modo per sfuggire alla famiglia, quando fossero state abbastanza grandi per farlo. E nel frattempo decisero un modo di reagire. Una disse: "Non ho mai permesso a nessuno di vedermi piangere" (in quei casi era solita andarsene sulla collina, dove poteva farlo lontana dalla vista di tutti). 
E un'altra ancora: "Penso che la mia mente abbandonasse il corpo. Ogni volta che incominciavano a toccarmi, me ne andavo da qualche altra parte." 
Queste bambine sono state eroine e persone capaci di scegliere. Hanno mantenuto il senso di sé separato dal modo in cui venivano trattate. Hanno valutato la situazione, deciso come reagire al presente e fatto piani per il futuro. Nella loro posizione di eroine, non erano semidivinità forti e potenti come Achille o Ercole, che nella mitologia greca erano più vigorosi e protetti dei comuni mortali. Queste bambine, giovani eroine in erba, assomigliavano assai più a Hansel e Gretel, che dovettero usare 
l'intelligenza quando furono abbandonati nella foresta o quando la strega mise Hansel ad ingrassare per mangiarselo. Erano come i conigli del romanzo "La collina dei conigli" (https://intervistemetal.blogspot.com/2018/09/la-collina-dei-conigli-i-fotogrammi-e.html)  guidati da una visione che li portava verso una nuova casa: erano piccole e impotenti, sostenute da un mito interno che diceva che se fossero riuscite a farcela e ad andare avanti, si sarebbero preparate un posto migliore per il futuro. 

Ayla, che un viaggio eroico conduce attraverso i romanzi  "Il clan dell'orso delle caverne" e "La valle dei cavalli", è un'eroina mitica dell'Europa dell'era glaciale.  (https://intervistemetal.blogspot.com/2020/11/ayla-figlia-della-terra.html)
L'epoca e i particolari sono diversi e drammatici, e tuttavia i temi sono assai simili a quelli che le eroine umane di oggi si trovano ad affrontare. Ayla deve continuamente decidere che cosa farà di fronte agli ostacoli o al pericolo. è un'orfana neolitica, cresciuta in una cultura Cro-Magnon che la svaluta e limita ciò che può fare perché è una donna. Il suo aspetto, la capacità di comunicare e di piangere, il coraggio e la capacità di pensare, tutto va contro di lei, in quella cultura. Ma il coraggio insorge come risposta a circostanze che non rappresentano una sua scelta. Ciò che nel romanzo "La valle dei cavalli" diventa un'odissea, non era iniziato come una ricerca eroica ma come un viaggio per trovare qualcuno come lei. 
Allo stesso modo, tanto nelle storie vere delle donne ordinarie, quanto nei miti delle eroine, i vincoli emotivi o affiliativi con gli altri sono gli elementi chiave. L'eroina è una donna che ama o che impara ad amare in viaggio con un altro o con altri, che nel suo andare, cerca l'unione o la riunione.

Le donne, quindi, devono diventare eroine capaci di scelte, e non esseri passivi o vittime-martiri, o pedine mosse dagli altri o dagli eventi. Diventare eroine, per donne che sono state governate internamente da Dee archetipiche vulnerabili significa fare luce su una nuova possibilità. 
Affermare se stesse è un compito eroico per donne che sono state compiacenti come Persefone, o che hanno anteposto a tutto il compagno, come farebbe Era, o che si sono sempre occupate dei bisogni degli altri, come fa Demetra, perché contrasta anche con l'educazione che hanno ricevuto. 
Capire di dover diventare eroine capaci di scegliere è una sorpresa spiacevole anche per molte donne che, erroneamente, hanno pensato di esserlo già. Sono le donne che, governate dall'archetipo delle Dee vergini, possono essere state psicologicamente "corazzate" come Atena, indipendenti dall'opinione degli uomini come Artemide, o autosufficienti e solitarie come Estia. 
Il loro compito eroico, allora, sarà quello di mettere in gioco l'intimità o diventare emotivamente vulnerabili. Per loro, la scelta che richiede coraggio è quella di fidarsi di qualcuno, di aver bisogno di qualcuno, o di assumersi la responsabilità di qualcuno. Parlare con chiarezza e accettare il rischio può essere facile, per certe donne. Per loro, ciò che richiede coraggio è il matrimonio e la maternità. L'eroina capace di scegliere deve ripetere il primo compito di Psiche, quello di "dividere i semi", ogni volta che si trova a un bivio e deve decidere cosa fare. Deve fermarsi per dare un ordine alle sue priorità, alle sue motivazioni e alle prospettive che la situazione presenta. Deve vedere quali sono le scelte possibili, quale può essere il prezzo emotivo, dove la porteranno, le decisioni che prende, che cosa, intuitivamente, conta di più per lei. Sulla base di chi lei è e di che cosa sa, deve decidere la strada da prendere [...]

Riappropriarsi del potere del serpente

Ogni eroina deve riappropriarsi  del potere del serpente. Per comprendere la natura del compito, dobbiamo ritornare alle Dee e ai sogni delle donne. Molte statue di Era mostrano serpenti aggrovigliati fra i suoi abiti, e Atena veniva raffigurata con alcuni serpenti arrotolati.  (Nota di Lunaria: Giunone il serpente lo aveva ai piedi) 

Nota di Lunaria: su questa tendenza auto-sacrificale della donna, la "sindrome della crocerossina", Mary Daly faceva notare:

"Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo." 


ALTRO APPROFONDIMENTO tratto da 



La "Via al Femminile per l'Autostima" passa attraverso un viaggio personale alla scoperta della propria identità e dei suoi percorsi verso il cambiamento. Percorrere la consapevolezza della propria esistenza è fondamentale per aprirsi a un rapporto fragrante nel presente, non condizionato da stereotipi e luoghi comuni, ma connesso al flusso dell'esistenza concreta.
Sta a noi trasmettere nuove visioni dell'Autostima. L'autorappresentazione, il potere e la seduzione sono i temi affrontati nei capitoli successivi. Le basi dell'autostima hanno l'impronta del percorso della donna verso il Potere della Conoscenza.
Il percorso al femminile verso l'Autostima segue i tracciati più faticosi e più lenti. La donna deve nascere due volte: la prima nascita le insegna, a seconda dell'ambiente sicuro o ambivalente che le accoglie, il modo in cui si sente amata e si lega nelle relazioni; la seconda nascita, che è lei stessa a produrre, le impone di uscire dalle relazioni, di affermare se stessa e poi di rientrare nel legame, di ritmare una giusta distanza, un'equazione fra se stessa e gli altri. Nascere donna oggi, al di là delle conquiste già acquisite, ci fa partire da una trasmissione culturale di un eroismo invisibile. Il processo della conoscenza del nostro potere ci mostra i nostri eroi fuori di noi, prevalentemente maschili (1): mentori, guide, da cui essere idealmente protette ma di cui occuparci. Le donne che amano troppo sono passive, le donne che amano troppo se stesse sono attive soltanto per se stesse. Le donne che si muovono fra se stesse e gli altri, in un mondo finito, quotidiano, sono quelle che si riconoscono nei propri bisogni, cercano di affermarli e riconoscono anche la loro voglia di stare in relazione e di dare amore.

(1) Per questo motivo è importante trovare archetipi femminili e rielaborare quelli denigrati dallo sguardo maschile: Circe, Morgana, Ipazia... 

La via per l'autostima è quella di uscire dalle trappole degli stereotipi e dei luoghi comuni che le rinchiudono in angoscianti o deprimenti modelli scontati a favore sia di un'avventura verso l'originale e generativa capacità di seduzione. 

La nostra Autostima non può dirottare gli imprevisti dalla vita, ma può sussurrarci quali sono le nostre risorse, può mostrarci la mappa per cercare una nuova rotta o per scoprire un tesoro, può farci riconoscere gli errori e guidarci nel cogliere le occasioni, può farci sentire il nostro potere di produrre eventi che lascino il segno della nostra Autoaffermazione.

Chiamiamoci per nome, raccontiamo intorno ad esso la nostra storia quotidiana, lasciando un'impronta ordinaria, emozionante, affascinante, seducente. Possiamo sfidare gli Dei e farci mito di noi stesse?
In effetti, comprendere le diverse forme e sfumature della nostra autostima rappresenta un primo passo per creare un buon rapporto con noi stesse.

L'autostima, infatti, è il proprio modo di vedere se stessi e se stessi nelle relazioni con gli altri. è una spia luminosa che, di fronte a un bivio, ci segnala la strada da scegliere. Acquisire strumenti e atteggiamenti per valorizzare i nostri bisogni, attivare le risorse e gestire i cambiamenti ci aiuta ad attuare comportamenti creativi nell'incontro con l'ostacolo e di conseguenza nella necessità di realizzare nuove scelte. Allora, dobbiamo masticare bene e quotidianamente questo concetto, per formulare un progetto esistenziale stimolante che cresca con noi.

In origine, la stima di sé si costruisce e si modifica sulla base delle caratteristiche individuali, dei successi o degli insuccessi che registriamo dentro di noi nei diversi momenti della vita. Non di meno la nostra autostima si modella anche in rapporto all'immagine che ci rimandano gli altri, le loro valutazioni più o meno comprensive o incoraggianti. Il loro sguardo, i giudizi silenziosi o il disinteresse delle persone che ci circondano ci possono ferire quanto o più di parole esplicite e dirette. Diversamente, in un ambiente nutriente e che ci sostiene, il nostro senso di autostima può essere rafforzato e, a volte, ricostruito. L'incontro con persone significative, infatti, ci ricompenserà simbolicamente della base sicura che ci era mancata nell'infanzia.

Da questa riflessione si capisce come "impantanarsi" in un ambiente misogino e repressivo sia controproducente.
Viceversa se "Diversamente, in un ambiente nutriente e che ci sostiene, il nostro senso di autostima può essere rafforzato e, a volte, ricostruito." frequentando un ambiente diverso, con simboli, archetipi, persone e idee diverse possiamo iniziare a rimodellare il nostro Ego, curarne le ferite, disintossicarlo dalle scorie.

A questo proposito, "La Via Femminile per l'Autostima" rappresenta il percorso della donna verso il Potere della Conoscenza, attraverso la creazione di un luogo interiore e condiviso. 
L'autostima ci restituisce l'immagine di noi stessi e degli altri, come un caleidoscopio, con sempre nuove configurazioni, che dobbiamo costantemente aggiornare e sottoporre a verifica nel rapporto con l'ambiente; impone l'autorappresentazione di sé, la visione del mondo e la percezione degli altri, regola i comportamenti nell'ambiente familiare, sociale, professionale. 

Inoltre è bene sapere che l'autostima maschile differisce da quella femminile:

Rispetto al modo in cui uomini e donne sviluppano e vivono il senso di sé e del proprio valore: l'uomo e la donna, cioè, differiscono sensibilmente per il modo in cui si autorappresentano, vivono e agiscono nelle relazioni. C'è una diversa e implicita gerarchia di comportamenti e bisogni che si incontrano e si scontrano nella diversità di genere. Due vie per l'autostima che portano l'uomo e la donna a indicare una diversa gerarchia. Ai primi posti c'è l'autonomia per l'uomo, la relazione per la donna. Se li rappresentiamo metaforicamente in due tipi di sguardi, lo sguardo maschile guarda in avanti, lo sguardo femminile guarda intorno a sé.
Identificando le differenze che caratterizzano il percorso di individuazione della donna rispetto all'uomo, la donna trova nuove strategie per utilizzare un rinvigorito potere personale. Può valorizzare le risorse che le appartengono e presentarle come patrimonio da condividere con altre donne, in modo da ampliare la visione dell'autostima e del potere trasmesso dai modelli culturali e sociali.

Del resto, l'autostima delle donne passa anche attraverso una lettura dei percorsi culturali e personali che toccano la scoperta delle radici della difficoltà ad amarsi e autodeterminarsi. Passando per temi quali la relazione, la solitudine, l'autonomia, la leadership, la donna può riconoscere i propri bisogni e i bisogni dell'altro come poli da integrare e non da scegliere. 

Come mai alcune donne riescono a fronteggiare meglio di altre le avversità che la vita presenta, spesso, in modo improvviso? Ognuno risponde in modo originale alle difficoltà, come ci dimostra la straordinaria variabilità di risposta ai traumi o alle avversità (in termini psicologici si parla di resilienza). Il modo in cui ci autorappresentiamo si forma, si compone e si scompone in funzione delle relazioni che costruiamo o che abbiamo costruito in passato. L'autostima è il risultato di come abbiamo vissuto in relazione agli altri fin dalla nascita: in altre parole, quindi, l'imprinting dell'autostima riguarda le relazioni con le nostre figure di attaccamento. L'autostima che ci portiamo dentro riflette in gran parte quanto ci siamo amate e considerate nella nostra vita infantile. Ritrovare un senso anche in situazioni disperate dipende, spesso, da quella luce interiore che è l'amore che abbiamo sentito dal primo sguardo su di noi. Il modo in cui creiamo relazioni significative o ci innamoriamo da adulti riflette la storia del nostro primo attaccamento, delle nostre relazioni affettive infantili.

La sensazione che la mancanza di un uomo al proprio fianco le svilisca e che, in un certo senso, le privi della possibilità di avere un'esistenza piena e appagante. Le donne percepiscono il senso di loro stesse solo "in relazione a". Non possediamo la percezione di noi e della nostra vita come appagante e piena in senso integrale. 
è come dire che ci sentiamo di avere valore solo in relazione a qualcuno ma, in più, solo se ci prendiamo cura di qualcuno. La donna single viene percepita come colei che tutto sommato ha fallito: non è riuscita ad avere una relazione rimanendo, quindi, una donna a metà.

"Il divino patriarca castra le donne finquando riesce a continuare a vivere nell'immaginazione umana. Il processo di recisione del Supremo Fallo difficilmente può essere una questione meramente razionale. Il problema è quello della trasformazione dell'immaginario collettivo affinché questo travisamento dell'ispirazione umana alla trascendenza perda la sua credibilità." (Mary Daly)

L'unica cosa di cui ci dobbiamo vergognare noi donne, come diceva Mary Daly, è: "Le donne sono state condizionate a considerare riprovevole ogni atto che affermi il valore dell'ego femminile. L'ambizione femminile può "passare" solo quando viene diluita nell'ambizione vicaria tramite il maschio o per conto dei valori patriarcali. Per controbattere questa autosvalutazione di massa le donne dovranno costruire l'orgoglio femminile, alzando i nostri standard relativi a quanto è bello essere donna. Il nostro fallimento è consistito nel non aver affermato attivamente l'ego femminile. Se dobbiamo vergognarci di qualcosa, è di questo."

"La chiave della felicità nella vita di ogni donna è la creatività, e riscoprendo ognuna di noi il nostro potere creativo ci avviciniamo sempre di più alla Dea. Una volta compreso che si è state scelte dalla Dea, la prima sensazione che si prova è una sfrenata passione, una voglia di fare cose nuove, di conoscere persone nuove, di leggere libri nuovi, di fare passeggiate nei boschi, di rinnovarsi interiormente ed esteriormente. Ad un certo punto nella vita di ogni donna la Dea chiama... ogni donna comprende con l'intuizione profonda quando arriva questa chiamata, e in cuor suo sa che è giunto il momento di scegliere." 

Come abbiamo visto, l'immagine che la donna costruisce di sé si forma e si trasforma nella relazione. Questo ritmo accompagna nell'intera esistenza le esperienze in cui ella determinerà il proprio senso di stima o disistima verso di sé, verso le altre donne e verso le relazioni in genere. 
è indispensabile, quindi, sviluppare la capacità di "disobbedire" alle etichette appiccicate su noi stesse e sul mondo, attraverso la riappropriazione di tutti gli elementi "in ombra" del femminile e una nuova etica del potere.

Disobbedienti come Lilith

Il mito di Lilith è stato quasi dimenticato dal patrimonio culturale comune a favore dell'aspetto lunare opposto, "bianco", cioè della parte femminile, consacrata dal consenso sociale collettivo. Ripreso dalla teoria junghiana, metaforizza la separazione del maschile dal femminile in noi, intesa come rottura della originaria integrità.
Lilith rappresenta l'energia femminile al di là degli stereotipi, il lato opposto di Eva. Lilith è definita la Luna Nera, forse per meglio esprimere il significato oscuro e profondo che l'umanità le ha consacrato. Demone femminile, menzionato nell'antico testamento, e più ampiamente nella letteratura ebraica post-biblica, agisce di notte e si dilegua all'aurora: sembra una portatrice di interrogativi relegati alla notte e alla parte profonda di noi, che se non viene integrata nel percorso esistenziale bussa nelle fasi della vita in cui la sfera emotiva e pre-verbale chiede di emergere. Ecco perché incontrare Lilith nel nostro percorso di cambiamento è inevitabile, pauroso ed eccitante: è l'incontro con quelle parti di noi vitali e dimenticate, a favore di norme, stereotipi, modelli sociali; in altre parole, a favore dell'allora bisogno di accettazione e di adattamento all'ambiente.
Il mito di Lilith, la prima donna che Adamo rifiutò e respinse, rappresenta il dramma della "presunta" inconciliabilità fra Corpo e Spirito, fra Istinto e Ragione, che ha determinato per secoli "l'inferiorità" della donna e con essa la scissione fra Psiche e Eros. Rompere questo legame per poterne ricomporre un altro diviene, sia per l'uomo che per la donna, nei percorsi di cambiamento, un punto focale per lasciar agire in modo consapevole l'energia trasformatrice che parte da noi.

Nel mito di Lilith, Adamo negando a se stesso la proiezione della donna totale e "naturale", scacciò Lilith e colpì la propria parte istintiva a favore della polarità razionale. Ciò determinò la scissione dell'archetipo dell'Anima per l'uomo e dell'Animus per la donna. 
La nostra parte femminile scacciata dai modelli sociali va riconosciuta, integrata ed utilizzata nel percorso di cambiamento. E Lilith disvela nei sogni, negli incubi, nelle fiabe, nonché in quella parte che releghiamo nell'inconscio, privilegiando la ragione a discapito dell'intuito, dei processi circolari, delle ombre. Il mito racconta che all'inizio il principio maschile e quello femminile erano compresenti e rappresentavano l'unità originaria: Lilith nacque quando Adamo fu consapevole della propria solitudine e con essa scoprì la propria anima. La simbologia del mito di Lilith rappresenta anche il dramma dell'eros che si consuma: durante il rapporto sessuale Lilith è sotto Adamo, lei gli chiede di invertire la posizione per il suo naturale bisogno di parità e Adamo si rifiuta. Lilith, allora, decide di scappare pur di non accettare la sottomissione e attraverso la fuga si assume il rischio in prima persona di non far morire dentro di sé la parte istintiva e complementare. Il Padre prova a richiamarla ma Lilith non torna indietro e scatena la sua forza distruttiva. Non ci sarà più pace finché l'uomo non recupererà la sua parte irrazionale, integrandola con la ragione.
La separazione del maschile dal femminile, intesa come rottura dell'unità originaria paritaria, si propone insieme all'immagine di Lilith ogni volta che l'uomo decide di affrontare la discesa nel proprio inconscio e lo esplora non nel nome del Padre o della Legge ma in nome del Sé e della nuova coscienza.
Decidere di discendere nelle regioni oscure dove alberga Lilith, diviene indispensabile per recuperare quell'aspetto che è rimasto fuori della coscienza, confinato nell'Ombra collettiva, come polo negativo da combattere o da rifiutare, perché espressione di ciò che la cultura occidentale ha identificato nella donna a tutto spessore, nella sua eccezione più totalizzante. Il malessere, la patologia, la depersonalizzazione si rinforzano in noi fintanto che la risoluzione della scissione viene vista nel "riscatto" anziché nell'integrazione. Richiamare Lilith dal Mar Rosso significa riconoscere le immagini femminine nere che albergano in noi e farle agire con energia consapevole e costruttiva.

Nota di Lunaria: in realtà, prima della denigrazione ebraica, Lilith era una Dea sumera, probabilmente della fecondità o della giustizia, poi rivista come personificazione del vento notturno del deserto. https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/lilith.html

L'analisi fin qui svolta ci porta ad affermare quanto il ruolo futuro di ciascuno, quindi il percorso verso la percezione della propria autostima, sia in qualche modo tracciato già prima di nascere dalle fantasie, dalle aspettative e dai bisogni del mondo che attende il nostro arrivo. Le rappresentazioni sociali fanno in modo che noi saremo, in qualche modo, ciò che gli altri si aspettano da noi, prima ancora di esserlo nell'esperienza quotidiana. Come dire che, ancora prima che il nostro modo di relazionarci si attivi, tutto è già immaginato e fantasticato, grazie alla narrazione e alle rappresentazioni materne e paterne su di noi e del sistema familiare in generale (fratelli, nonni, zii, ecc.)

L'autostima rappresenta il modo in cui ci percepiamo in funzione del nostro rapporto con la realtà. Una buona autostima consiste nella capacità di avvicinare l'idea che abbiamo di noi stesse a ciò che realmente siamo, nell'avere un'idea sufficientemente realistica delle nostre potenzialità e dei nostri limiti. Significa possedere la consapevolezza di come e quando utilizzare le nostre risorse e percepire le nostre carenze, in funzione di uno specifico contesto per raggiungere, a breve o lungo termine, ciò che è importante per noi.

Chi ha una bassa autostima, come chi ne ha una troppo alta, vede se stesso e il mondo in maniera non realistica. Le aspettative troppo alte sono destinate a fallire, e soprattutto, sono destinati a fallire gli obiettivi collegati a una rappresentazione di sé e del mondo non realistica. La stabilità dell'autostima deriva dal nostro modo di vederci rispetto alla capacità di affrontare le difficoltà: è la configurazione del "senso" del nostro essere nel mondo.

Nel mondo femminile è diffusa la difficoltà di riconoscere i propri meriti. Ci hanno insegnato ad agire in conformità dei bisogni degli altri piuttosto che dei nostri bisogni. è una modalità che ritroviamo nei modelli del femminile trasmessi dalla cultura. Uno degli atteggiamenti da rivedere per una buona visione dell'autostima al femminile è riconoscere i meriti di ciò che facciamo. 

Una buona autostima contiene in sé la capacità di vivere l'imprevisto e di affrontare il cambiamento. In passato, il domani era sufficientemente prevedibile, il cambiamento era lento e il tempo sufficiente per correggere la rotta. Ai nostri giorni invece gli eventi si affollano e ci confondono. Allo stesso modo, i cambiamenti si impongono in modo talmente rapido che, spesso, riusciamo a malapena a comprenderli quando sono già superati. 

I veri cambiamenti si realizzano giorno per giorno, gradualmente, al rallentatore. Cominciamo, allora, ad esaminare le sfaccettature che dobbiamo acquisire per diventare esperte del cambiamento e aiutare le donne a intraprendere la Via al Femminile per l'Autostima. 

Possiamo sintetizzare il cambiamento con "la fase delle tre C":
1) Confidenza
2) Competenza
3) Contatto

Il momento della Confidenza è quando riusciamo a stare in contatto con ciò che facciamo nel qui e nell'ora, nell'ascolto e nell'accoglienza dei movimenti interiori ed esteriori impercettibili che ci guidano verso la consapevolezza autentica del sentire. Restare in ascolto con il dentro e il fuori, percepire le sensazioni, sperimentare ciò che viene dal presente, sia esso una difficoltà o una sensazione di benessere. 

Nota di Lunaria: un buon metodo consiste nel leggere un libro a tema, sullo stato emotivo che dobbiamo affrontare: un saggio o una storia autobiografica aiutano molto a vedersi con "gli occhi di chi ha passato prima di te questa esperienza": 

"I libri migliori sono quelli che ci consentono di leggere ciò che sta scritto in noi stessi." (G. Sorian o)  
"Non dobbiamo leggere per dimenticare noi stessi e la nostra vita quotidiana, ma al contrario, per impossessarci nuovamente, con mano ferma, con maggiore consapevolezza, della nostra vita." (Herman Hesse) 
"Non si legge un autore, ci si legge attraverso di lui." (Dechane t) 
"Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso." (Marcel Proust) 
"Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma." (Cesare Pavese)

In ogni modo, acquisire la capacità di stare nell'esperienza presente è un primo sostanziale passo, ma di per sé non è sufficiente: bisogna possedere anche le abilità e consolidarle nel tempo. Ecco il cambiamento. è la fase in cui impariamo a dare nome alle caratteristiche, ci addestriamo per cucircele addosso e renderle parte integrante del patrimonio personale. La costanza nel mettere in pratica i nuovi strumenti e conoscenze ci dà la netta percezione che il cambiamento sta avvenendo e si sta stabilizzando.

Nota di Lunaria: è utile anche imparare a fare i Tarocchi, conoscendone i significati profondi, che si riferiscono tutti a situazioni di vita e comportamenti. Nel caso del cambiamento, il Tarocco per eccellenza è l'Arcano Tredicesimo: (https://cartedeitarocchi.blogspot.com/)

"Lo scheletro ha falciato, ha mutato una situazione. Il grande cambiamento è in corso: contrariamente a quello che si pensa, non è questo l'Arcano più tremendo, anzi. La Torre è in assoluto l'Arcano più funesto, l'Arcano numero 13 è invece il segno di un grande cambiamento, di un mutamento. La falciatura diventa quindi la causa del fiorire di nuove piante, la rigenerazione delle anime. In realtà, raramente l'Arcano XIII indica la morte fisica; è più una morte spirituale di tutto ciò che è "vecchio", che deve morire, dentro di noi, per lasciare spazio al nuovo: nuove nascite, nuove rigenerazioni. Lo scheletro (maschile o femminile? Entrambi?) spazza via le "erbacce", simbolo della condizione limitatrice, dando inizio alla rigenerazione. L'Arcano numero 13 non è affatto la fine; se lo fosse, sarebbe stata messa al posto della numero 22 (l'ultima carta). è invece una carta che consente al nuovo di prepararsi."

La terza "C" riguarda l'abilità di aprirsi al contatto e alla relazione: lungo il cammino del cambiamento dobbiamo sviluppare la capacità di apertura verso gli altri. La possibilità di sperimentarsi in un gruppo facilita il percorso di cambiamento. Il gruppo è parte integrante dell'identità della persona: ci offre la possibilità di verificare come questa nuova parte di noi possa essere accolta dagli altri e ci offre il senso di connessione con i nostri simili. 

Nota di Lunaria: cosa verissima, pensiamo agli anni '70, l'esperienza ormai irripetibile dei gruppi di mutuo-aiuto tra donne... Irripetibile, forse, con quello spirito, ma non impossibile da emulare, cercando per esempio community a tema fondate dalle donne. Mary Daly diceva "La Sorellanza è per definizione l'unione di coloro che sono oppresse"

Attraverso la consapevolezza dei propri cambiamenti nel corso della vita, ci focalizziamo sul nostro potere personale invece che sull'adattamento passivo alle aspettative degli altri. 

Una buona autostima consiste nella capacità di avvicinare l'idea che abbiamo di noi a ciò che realmente siamo, nell'avere un'idea sufficientemente realistica delle nostre potenzialità e dei nostri limiti. Da qui domandiamoci: "I miei progetti a breve o lungo termine sono realistici? Appartengono a me o ad altri? Quello che sono oggi e che voglio fare domani appartiene a me o al mio partner, a mio padre ecc?"
In questa prospettiva leghiamo l'autostima all'individuazione dei nostri scopi, alla capacità di progettare e agire in vista di ciò che riteniamo importante. 
Abbiamo anche visto che il nostro valore come donne dipende dalle relazioni che costruiamo con gli altri. Chi di noi non ha dato spesso la parte più grande e magari anche più buona della "torta", metaforicamente, al proprio marito, figlio, partner? Forse ci alleggerirebbe usare di più la condivisione, ovvero dividere in parti uguali il bisogno di preoccuparci dell'altro con quello di occuparci di noi stesse, equilibrando i nostri bisogni con quelli altrui. Dobbiamo imparare a non eludere il potere di prendere e gustare fette di vita per noi stesse.
Ogni scelta implica una perdita, se non altro, quella di abbandonare l'immobilità di alcune nostre caratteristiche legate all'adattamento nelle relazioni, come l'ubbidienza, la docilità, l'accontentare, l'accontentarci.
In questo senso, la sola decisione di passare ad agire per noi stesse, trasgredendo e smobilizzando le antiche etichette alla nostra persona, porta nuova linfa nella nostra vita. Non siamo più quelle di prima, stiamo accettando il rischio della novità e del cambiamento: le caratteristiche dell'eroismo ordinario stanno facendo capolino dentro noi stesse!
La difficoltà o il trauma ci abbagliano e ci stordiscono, ma se possiamo contare su una relazione e raccontare noi stesse attraverso la parola, una matita o qualsiasi altra rappresentazione, impariamo a decentrarci di noi stesse per "governare" l'immagine che tentiamo di riprodurre. Inizia un importante lavoro di rielaborazione dell'esperienza.
Molto spesso, noi donne dimentichiamo di celebrare la nostra capacità di mettere in atto decisioni e i cambiamenti che seguono. è importante, quindi, cominciare a farlo, è un modo per prenderci sul serio e per ritualizzare, magari in gruppo, l'evento avvenuto. Riconoscersi nella persona che ha messo in atto una decisione, che ha superato le difficoltà insite nel cambiamento, conferisce valore all'evento e consolida il senso della nuova identità.

Nota di Lunaria: e la Dea della strategia, dell'intelligenza e dell'astuzia che vincono sulla brutalità, è Lei, Atena, rappresentata dall'Arcano XI, la Forza: (https://cartedeitarocchi.blogspot.com/)

"Vediamo una giovane donna che con lieve sforzo tiene aperte le fauci di un leone o di una bestia feroce. Il cappello a forma di 8 orizzontale, rimanda sia all'Infinito che al Bagatto; può anche essere la fusione tra conscio e inconscio. Il leone rappresenta le influenze esterne che insidiano la donna, oppure le tentazioni che richiedono un severo controllo. Il fatto che la donna riesca a dominarlo, senza ucciderlo, è simbolo della forza dell'intelligenza che regna sull'istinto. Ad essere glorificata, in questa Carta, non è la forza bruta, maschile, bensì la forza dell'ingegno femminile: tutta la fisionomia della donna è molto dolce e delicata: l'astuzia vince sui muscoli. Può anche essere l'energia psichica: è possibile domare ogni avversità con la ragione." 

Di fronte a un problema, a una scelta da fare, chiediamo ad Atena il dono della strategia. è la strada che porta alla Vittoria!

***

Gli archetipi (dal greco "arcai", termine usato per indicare i temi comuni dell'esistenza umana) rappresentano le metafore basilari sui temi della vita trasmesse culturalmente. Indicano modelli a cui conformarsi per adattare il nostro modo di pensare, sentire e parlare, cioè per misurare il nostro valore secondo categorie comuni e omologate.

Nota: da qui l'importanza di assumere in sé archetipi di Dee, piuttosto che non l'archetipo del dio padre cristiano, che non ci permette di elevare, su sfondi di Trascendenza Divina, la nostra Femminilità.
Per un'ulteriore lettura, su come gli archetipi femminili delle Dee possono aiutarci a calibrare le nostre debolezze e i nostri punti di forza, vedi il libro "Le Dee dentro la donna"

Entrare nella dimensione archetipica è indispensabile per attivare il nostro potere di trasformazione della realtà.

Nota di Lunaria: mi piace pensare a un riferimento alchemico, qui. Il vero talento, la vera liberazione, è riuscire a trasformare, "sublimare", noi stesse, partite tutte in una situazione di svantaggio spirituale, in vere Dee.

Aiutare altre donne

Un obiettivo delle donne che hanno raggiunto il potere della conoscenza è quello di aiutare le altre donne a fare il loro viaggio personale, dando risalto al proprio potere e alla propria modalità di conoscenza, invece di sostenere concretamente l'uomo durante il suo viaggio.
Dobbiamo facilitare la nascita di un potere femminile fondato sulla conoscenza diretta, non affidata e delegata a un eroe maschile [...] rimanere ancorati al modello maschile competitivo, ormai, appare antico e fuori luogo.
è necessario trovare luoghi e spazi dove condividere con altre donne il nuovo racconto di se stesse, un laboratorio dove "sperimentare nuove parti di sé". Le donne che hanno già fatto questo percorso possono trasmettere ad altre la Via Femminile. Dobbiamo ricercare un nuovo modo di raccontarci, in cui riconoscere le nostre qualità eroiche nel quotidiano e il nostro potere personale.
Se vuole cominciare il suo viaggio eroico, la donna deve liberarsi delle abitudini, dagli stereotipi e dai costumi sociali che la costringono in un modello: deve scoprire chi è lei e cosa vuole lei, indipendentemente e nonostante gli altri. Alcuni contesti culturali e sociali rendono questo processo ancora più faticoso: la donna, allora, deve attingere a un vero sforzo eroico La donna che ha potere ha in sé il concetto del dovere e vuole comportarsi in accordo con esso, possiede un forte senso interno del proprio valore, delle proprie abilità e della propria conoscenza. Ha appreso anche la tendenza a condividere con gli altri: a questo stadio la donna raggiunge il potere di avere e condividere.
Un passaggio importante per la donna, quindi, diventa il lavoro dell'autostima e sul proprio modello di autostima.
Attraverso questa focalizzazione ogni donna può percepirsi come una persona di valore, con il proprio senso di sé integro.

Figlie di Eva
 
Nella bibbia si tramanda che Eva abbia avuto figli maschi, due dei quali mortalmente rivali. L'assenza originaria di una figlia nei racconti mitologici lascia lo spazio per un'entrata in scena di tutte le donne: la figlia di Eva mai nata e raccontata simboleggia la mancanza della nascita dell'identità femminile, che viene trasmessa culturalmente attraverso la narrazione dei miti. E così, la donna concretizza questa mancanza nella difficoltà a focalizzare il proprio valore "raccontato al femminile". L'eroismo delle donne, pratico, radicato, concreto e vissuto nell'immediato, può essere scritto attraverso l'esperienza quotidiana: l'eroismo ordinario. L'impronta del potere della donna è quella della narrazione dell'archetipo mai nato che personifica la parte di noi implicita e inesprimibile. E nel raccontarsi, una frase lascia scritta: rendersi mito di se stessa.
Uno stralcio molto utile, tratto dal "Calice e la Spada": "Tuttavia non si poteva usare sempre e solo la forza per ottenere ubbidienza. Si doveva fare in modo che gli antichi poteri che governavano l'universo, simboleggiati dal Calice che dà la vita, venissero sostituiti da nuove e più potenti divinità, le cui mani impugnavano la Spada sovrana. E per riuscirci bisognava fare innanzitutto una cosa: abbattere la Dea stessa, e non solo la sua rappresentante terrena, la donna, dalla posizione di preminenza che occupava. Sia esso dio del tuono, della montagna o della guerra, o in seguito il più incivilito dio dei Profeti, nella bibbia c'è un solo dio: l'imperscrutabile e geloso javé/geova, che nella successiva mitologia cristiana invia il suo unico figlio maschio gesù cristo a morire per espiare le "colpe" dei suoi figli. Se leggiamo la bibbia come letteratura sociale normativa, l'assenza della Dea è assolutamente rivelatrice del tipo di ordine sociale che si sforzarono di istituire e di conservare gli uomini che nel corso dei secoli scrissero e riscrissero questo documento religioso. Infatti, simbolicamente, l'assenza della Dea dalle sacre scritture ufficialmente approvate, significava la mancanza di un potere divino che proteggesse le donne e le vendicasse per i torti subiti dall'uomo"

Accettarsi, Amarsi e Rapportarsi con gli altri

Partiamo da un'idea basilare: la donna che vuole sedurre deve stimarsi. Il modello più adeguato è quello di una donna che riconosce il proprio valore, che attiva e migliora il rapporto con se stessa e con la propria totalità. L'autostima parte da dentro: nasce dall'ascolto del "sentire", nasce e si forma anche dal modo in cui gli adulti ci hanno visto e ci hanno trasmesso il loro amore. Portiamo il loro sguardo su di noi quando andiamo nel mondo. Sedurre significa attingere a delle parti nascoste e velate che ognuno di noi ha dentro e che vanno svelate al mondo.

La scissione tra i modelli

Ogni donna ha dentro di sé archetipi che portano una scissione tra due modelli classici. Il primo riguarda la Donna-Eva, che si adatta passivamente allo stereotipo della cultura occidentale e che, dopo la cacciata del paradiso terrestre, è obbligata alla sottomissione. Il secondo modello archetipo è quello del lato ombra, Lilith, la cosiddetta Luna Nera. Abbiamo già visto come il mito la descrive: la prima donna che non si è voluta sottomettere passivamente all'uomo. [Nota: in verità, una Dea sumera, non una creatura creata dal dio javè]. Così è stata efficacemente rappresentata la duplicità radicata in ognuno di noi.  

ALTRO APPROFONDIMENTO tratto da


Se le donne sopportano tanti maltrattamenti è perché sono plagiate e condizionate. Il condizionamento è sociale, ne abbiamo già parlato, ma anche relazionale, come una sorta di addestramento.
Quando sono intrappolate in una situazione senza uscita e, soprattutto, subiscono aggressioni imprevedibili, le donne diventano passive, hanno l'impressione che tutti i loro sforzi siano vani. Non riescono a immaginare come potrebbero cambiare le cose e non si sentono capaci di farlo.
Attraverso esperimenti su animali, è stato possibile mettere in evidenza che si tratta di un fenomeno parzialmente psicologico: "Quando un individuo apprende per esperienza di essere incapace di agire sul suo ambiente per trasformarlo a proprio vantaggio, diventa incapace, fisiologicamente, di imparare."
A partire da esperimenti sui topi, Henri Laborit aveva così evidenziato l'esistenza, nel sistema nervoso, di un circuito inibitorio o attivatore dell'azione. I suoi studi sono stati ripresi da Pierre Karli il quale ha dimostrato che, quando si fa perdere a un topo lo status di dominante, il suo cervello secerne un ormone che blocca i processi di apprendimento.
Martin E.P. Seligman, a partire da esperimenti realizzati sui cani, aveva descritto il concetto di learned helplessness, traducibile come "impotenza appresa": "All'inizio dell'esperimento, alcuni cani furono muniti di imbragature che impedivano loro di scappare. Poi vennero sottoposti a cariche elettriche, che non erano precedute da alcun segnale e arrivavano in modo casuale. L'indomani, gli animali subirono un addestramento, per imparare a evitare le scariche o a scappare. Il giorno dopo, si rifece l'esperimento iniziale. Un terzo dei cani imparò rapidamente a evitare le scariche elettriche, ma gli altri due terzi adottarono un atteggiamento passivo e non cercarono di fuggire"

I ricercatori ne dedussero che l'atteggiamento passivo di due terzi dei cani era la conseguenza dell'assenza di controllo sulla situazione, che impediva loro di imparare a scappare.
Per confermare queste conclusioni, l'esperimento venne ripetuto con alcuni studenti volontari a cui furono imposti rumori insopportabili in modo casuale e con intensità variabile. Man mano che l'esperimento proseguiva, le capacità cognitive degli studenti-cavia diminuirono e nessuno cercò di andarsene, anche se la porta non era chiusa a chiave e loro erano stati già pagati.
Uno studio di Lenore E.Walker, relativo a 403 donne, ha confermato che l'impotenza appresa diminuisce la loro capacità di trovare soluzioni ai problemi e fa addirittura svanire qualunque desiderio di venirne fuori.

Sappiamo ormai che l'impotenza appresa si verifica quando le aggressioni sono imprevedibili e incontrollabili, e non c'è alcun mezzo di agire per cambiare la situazione. Le donne vittime di violenze matrimoniali dicono che non sanno mai quando e perché la tensione comparirà, né per quale motivo si faranno aggredire. Constatano che qualunque tentativo di calmare il partner è inutile dato che la cosa non dipende da loro.

Nota di Lunaria: un romanzo che sto leggendo, che è proprio incentrato sulle vicessitudini di una donna vittima di violenza da parte di un marito, è "Rose Madder"


Il concetto di impotenza appresa ci permette anche di capire i traumi pregressi e, in particolare, i maltrattamenti o gli abusi sessuali nell'infanzia, aumentino la vulnerabilità di una donna messa di fronte alla violenza del proprio compagno. Non si tratta di masochismo o di godimento nell'essere vittima ma di un'alterazione delle difese a causa di una passata aggressione.

Mentre sembrerebbe logico pensare che più grave è l'aggressione subita dalla donna, più lei avrà voglia di andarsene, constatiamo al contrario che più il maltrattamento è frequente e grave e meno la donna ha gli strumenti psicologici per andare via.
L'apparente sottomissione delle donne al coniuge violento è anche una strategia di adattamento e di sopravvivenza. (Nota di Lunaria: è possibile ipotizzare che sia un automatismo risalente ai primordi dell'evoluzione umana? Un meccanismo di difesa utile nell'età primitiva, e oggi del tutto inutile, ma che per un qualche motivo giace in forma latente, nell'istinto?)

La difficoltà incontrata dalle donne a lasciare il coniuge violento può essere spiegata anche facendo il parallelo con la sindrome di Stoccolma. Tale fenomeno è stato descritto a proposito di ostaggi che hanno preso le difese del loro aggressore: quando una persona è sottoposta a una violenza non prevedibile, messa in una condizione di impotenza estrema, e non c'è alcuna via d'uscita, alcune particolari difese si attivano in lei e può svilupparsi un senso di identificazione con l'aggressore. Sappiamo che questa reazione di ordine psichico è tanto più comune quanto più a lungo è durata la prigionia, quanto più la vittima è giovane, femminile e quanto più la causa "è giusta" sul piano ideologico. Quando una persona si trova in una situazione in cui la sua vita è in pericolo e non ha alcuna difesa di fronte all'individuo che ha potere di vita e di morte su di lei, finisce per identificarsi con lui. In questo caso la vittima si mette in un certo senso a vedere il mondo con gli occhi del suo aggressore, allo scopo di dominare il pericolo.
Se la Sindrome di Stoccolma è grave anche quando la persona rapita non ha alcun rapporto carnale con il rapitore e il sequestro dura pochi giorni, si pensi agli effetti di tale sindrome su una donna che viva per anni col marito e abbia rapporti con lui. Peraltro, "l'utilità psichica" della Sindrome di Stoccolma funziona paradossalmente da protezione per le vittime, perché impedisce loro una reazione violenta, che le metterebbe in pericolo.

Ci si adatta alla violenza in modi diversi, a seconda delle circostanze. Secondo Carlos E. Sluzki, gli effetti della violenza variano in funzione di due elementi: il livello di minaccia avvertito dalla persona e la frequenza del comportamento violento. La violenza aumenta progressivamente e la resistenza della donna diminuisce; la dipendenza è una conseguenza del plagio e della manipolazione. In questa fase, violenze e gentilezze vengono sapientemente dosate, creando confusione nella psiche della donna. Si può anche verificare l'inversione della colpa: la vittima può pensare che se il partner è violento, la colpa è loro. La "colpa invertita" spesso maschera l'aggressività della vittima che per qualche motivo non può essere rivolta contro l'aggressore.
Paradossalmente l'aggressore può anche minacciare di uccidersi, se la donna se ne va. 

Il persistere del legame di dipendenza va avanti anche quando la situazione di condizionamento è scomparsa. Più quest'ultima dura, e meno la persona è in grado di sganciarsi, presa com'è tra dipendenza e violenza; le vittime di violenza matrimoniale, come ogni persona esposta ripetutamente a traumi, possono presentare anche molto tempo dopo la separazione, turbe da stress post traumatico: angoscia, attacchi di panico, allucinazioni dove si rivive il trauma. Questi disturbi sono legati a disfunzioni a livello di diverse strutture cerebrali.

"Lui stesso si meravigliò di quel fiotto di memorie, contrariato che potessero riversarsi incontrollate all'improvviso, arrivando per perseguitarlo, per rammentargli eventi del passato che sarebbe stato meglio dimenticare. Ma nulla si smarrisce veramente nei meandri della mente: benché i traumi possano rimanere nascosti, forse placati, non tutti possono essere sepolti, alcuni si limitano a non farsi notare in attesa di un futuro risveglio" (James Herbert "Stregata")

La difficoltà che incontrano tutte le donne a lasciare un coniuge violento può essere compresa soltanto tenendo conto dello status della donna nella nostra società e dei rapporti di soggezione/dominio che esso impone. In effetti, se certe donne possono lasciarsi intrappolare in una situazione di abuso è perché sono già in una condizione di inferiorità a causa della posizione sociale. Queste violenze non sarebbero possibili se le loro condizioni oggettive non fossero già definite dal sistema sociale. Malgrado una certa presa di coscienza, la violenza coniugale continua a imperversare e, con il pretesto della diversità culturale, nelle città vediamo addirittura aumentare la violenza sessista: violenze carnali, circonvenzioni, matrimoni forzati, figlie sotto la sorveglianza degli uomini di famiglia, che non esitano a punirle se il loro comportamento non è appropriato.

Vedi per esempio la storia di Naziran o di Suad



Ancora adesso, si continua a vedere gli uomini come attivi e dominanti e le donne come passive e sottomesse. Malgrado la contraccezione e l'aborto, la missione della donna resta la riproduzione. 
Niente di sorprendente se, relegate da secoli nella sfera privata, le donne tardano ancora ad affermarsi e a porre fine alla propria soggezione.

Gli stereotipi della mascolinità e della femminilità (...) al mascolino si attribuiva la forza, il coraggio, la voglia di agire. 
Il femminino implicava la dolcezza, la pazienza, l'istinto materno (...) il dominio era accettato perché in cambio l'uomo per principio doveva fornire sicurezza e protezione. L'articolo 213 del vecchio Codice civile recitava: "il marito deve protezione alla moglie che, come contropartita, gli promette obbedienza" (nota di Lunaria: questa è ancora l'idea coranica, vedi la sura IV)

Il dominio degli uomini sulle donne è riscontrabile a qualunque livello sociale (...) laddove tutto ciò che rientra nel campo della femminilità venga svalutato in modo sistematico.

Dal momento che, storicamente, l'uomo è sempre stato considerato l'unico titolare del potere e che la donna è sempre stata esclusa (Nota di Lunaria: punto che aveva colto molto bene Carla Lonzi), questo ha condizionato il loro modo di pensare fin dalla culla: "è così perché è sempre stato così!": le donne hanno imparato a impersonare il ruolo che è stato loro assegnato, anche se sminuente. Troviamo ciò che Pierre Bourdieu  (https://intervistemetal.blogspot.com/2024/05/pierre-bourdieu.html)
ha definito violenza simbolica: "Il dominato assume su di sé, senza saperlo, il punto di vista del dominatore adattando in qualche modo, per valutare se stesso, la logica del pregiudizio negativo" 

Nota di Lunaria: la stessa tematica era già stata trattata da Simone Beauvoir nel "secondo sesso": 

"Ciò che al massimo si accordava "all'altro" sesso era "l'uguaglianza nell sofferenza". Questa formula ha avuto fortuna ed è molto significativa: è esattamente quella che usano le leggi Jim Crow (provvedimenti razzisti) a proposito dei Neri d'America [...] L'Eterno Femminino equivale all' "anima negra" e al "carattere ebraico" [...] ma ci sono analogie profonde tra la situazione delle donne e quella dei Neri: un medesimo paternalismo emancipa oggi le une e gli altri, e la casta in passato dominante vuole tenerli al loro posto, cioè al posto che essa ha scelto per loro. è noto il paradosso di Bernard Shaw: l'americano bianco, in sostanza relega il Nero al rango di lustrascarpe: e ne conclude che è capace solo di lustrare le scarpe. Un povero bianco del Sud degli USA ha la consolazione di dire a se stesso che non è uno sporco negro; così il maschio più mediocre si sente di fronte alle donne un semi-dio."  

Come si vede, il "cosiddetto gruppo dominante al potere in quel dato momento" per affermarsi, ha bisogno di abbassare l'altro. E per far questo, ha bisogno di instillare la vergogna del proprio essere al gruppo soggiogato. 

"La superiorità dell'uomo sulla donna è fondata su leggi troppo solide, né vi è virtù femminile che possa farlo crollare. Iddio così volle e le leggi di natura sanzionarono quel divino decreto." (Battistelli Mercuri, "Sulla educazione della donna" 1877) 

D'altraparte, è l'idea stessa di dio ad essere problematica. Infatti:

"Quanto più la liberazione delle donne trova e troverà nuovi simboli di Dio, tanto più ci costringerà a riesaminare anche la cristologia. Per secoli essa non è stata altro che una estensione di Dio, l'onnipotente-maschio. è stato un assunto implicito o spesso esplicito dei teologi che Dio non si sarebbe degnato di incarnarsi in un corpo di donna... la percezione liberante deve dunque porre una seria questione all'idea di un'unica incarnazione divina in un essere umano di sesso maschile" (Basil Moore, "Crisi dell'antifemminismo" 1973)

Un discorso sui rapporti sociali di genere potrebbe sembrare superato visto che da una cinquantina d'anni le donne hanno acquistato un potere maggiore in ambito sociale, e invece i ruoli legati al sesso permangono fondamentalmente immutati. Non va nemmeno dimenticato che, se il patriarcato ha reso gli uomini dominatori, ha anche portato le donne ad essere passive e rassegnate. Il raggiungimento dello statuto di soggetto è difficile per loro. Certo, conformarsi ai ruoli per tradizione riservati alle donne comporta alcuni benefici. Identificandosi con donne fragili, emotive, è chiaro che si dipende dagli uomini, ma si è anche protette da loro. Nel momento di valutare l'ipotesi di una separazione, queste donne avranno paura di ritrovarsi da sole con i bambini, e molto semplicemente, diranno: "Restare è più facile che andarsene!"

La difficoltà delle donne nell'affermarsi può essere un segno del passato non poi così lontano in cui dovevano tacere i propri desideri per conformarsi alle attese della società. 

Le donne si forgiano "un me stessa ideale" in funzione delle norme veicolate dalla famiglia e dalla società. è così che alcune di loro, seguendo il modello della madre disponibile e devota, pensano che per tenersi un uomo sia necessario mostrare abnegazione e sottomissione.

Di fronte alla difficoltà che incontrano nell'aiutare le donne vittime di violenza coniugale, alcuni psicoanalisti attribuiscono questo blocco al loro masochismo. Secondo il discorso freudiano, il masochismo femminile sarebbe connaturato all'essere della donna e collegato alla sua passività. Dato che molte donne vittime dell'ambito della coppia hanno subito violenze nell'infanzia, questi stessi psicoanalisti ritengono che tali donne proverebbero "una soddisfazione d'ordine masochistico a essere oggetto di sevizie e cioè ritroverebbero sotto i colpi del coniuge un piacere da vicinanza con il corpo del genitore violento" (Nota di Lunaria: in "Lacrime Amare" si dimostra che le bambine abusate in famiglie fondamentaliste cristiane associavano il padre a dio, giustificando la violenza subita come "dio mi ha giustamente punito per i miei peccati")


Pagina 6

Queste donne [...] pongono alla nostra attenzione un fatto tanto ignorato quanto insolito: la violenza contro le donne è una realtà anche all'interno della chiesa; si annida nelle strutture ecclesiastiche, nelle comunità di fede e nelle famiglie cristiane.
Tale violenza, inoltre, non solo viene ignorata dalla chiesa ma è anche giustificata dal messaggio che le chiese propagano. In tutto il mondo comincia a farsi strada l'idea che ci sia un nesso tra cristianesimo e la violenza contro le donne.

Pagina 13

Esiste una serie di motivi per cui la violenza contro le donne, soprattutto la violenza domestica, è coperta dall'omertà. [...] Molte volte la violenza è vissuta dalla donna come un fatto di cui vergognarsi come se lei stessa ne fosse colpevole. Invece di individuare il vero colpevole, la donna spesso si ritiene meritevole, per esempio, delle percosse ricevute.   

Riporto anche un brano di Michela Murgia, tratto da "Ave Mary": 

"Le donne credenti di ogni latitudine hanno dovuto ascoltare secoli di prediche sulla Maria obbediente e accogliente, la Maria docile alla volontà di Dio, la Maria silenziosa che non discute anche quando non capisce [...] Il sì supremamente libero di Maria è stato presentato come la sublimazione spirituale di tutti i sì pretesi dalle donne credenti, e non importa che questi consensi fossero assai meno liberi di quello della ragazza di Nazareth. Il sì al matrimonio per essere collocate socialmente, il sì ai rapporti sessuali con il legittimo sposo, il sì alle gravidanze, tutte, sempre e comunque.
Il sì al servizio e alla sottomissione nella gerarchia famigliare.
L'obbedienza naturale al padre, al fratello, al marito. L'obbedienza spirituale al prete. Attraverso la distorta rappresentazione del sì di Maria la Chiesa ha dato a intendere alle mogli e alle figlie che il loro dissenso, il contrasto con l'uomo e in generale ogni tentativo di definirsi come qualcosa di diverso da una risposta affermativa alle richieste del proprio contesto fossero in contraddizione con il progetto di salvezza di Dio per il mondo. Attraverso la costruzione fittizia di una specie di via del sì alla santità, la struttura patriarcale trovava nella religione cattolica una formidabile alleata per continuare a esigere la muta sudditanza femminile. Il principio maschile del silenzio-assenso veicolato attraverso Maria privava le donne prima della voce, e poi della volontà" .

Pagina 17-18

"Si può considerare la violenza contro le donne un risultato dei costrutti sociali patriarcali i quali definiscono il rapporto tra donne e uomini come relazione di sottomissione e dominio" [...] Per designare le "strutture moltiplicative di dominio, di sfruttamento e di disumanizzazione", la teologa Elisabeth Schüssler Fiorenza ha coniato il termine "Kiriarchia" (la complessa piramide sociale formata da gradi diversi di dominazione e subordinazione). 

Con l'idea del Dio Padre/Dio Figlio Maschio, "la religione ha giocato e gioca tutt'ora un ruolo nella formazione di quelle condizioni socioculturali che permettono di esercitare la violenza contro le donne. [...] Tale violenza deriva essenzialmente da fattori culturali, in particolare, dagli effetti dannosi di alcune pratiche tradizionali legate alla religione che perpetuano la condizione di inferiorità accordata alle donne nella famiglia, nel posto di lavoro, nella comunità e nella società. La religione, quindi, ha partecipato alla costruzione della presunta inferiorità della donna."

Vediamo cosa scrive Mary Daly, una delle prime Teologhe donne a scagliarsi contro il patriarcato del Dio Padre:

"L'immagine biblica e popolare di Dio come di un grande patriarca in cielo che dispensa ricompense e punizioni secondo la sua volontà misteriosa, e, apparentemente arbitraria, ha dominato l'immaginario collettivo per migliaia di anni. Il simbolo del Dio Padre, moltiplicatosi nell'immaginazione e ritenuto credibile dal patriarcato, ha, di conseguenza, reso un servigio a questo tipo di società, facendo apparire giusti ed adeguati i suoi meccanismi per l'oppressione delle donne. Se Dio nel "suo" Cielo è un padre che governa la "sua" gente allora nella "natura" delle cose è conforme al piano divino e all'ordine dell'universo che la società sia dominata dal maschio. 
In questo ambito si verifica una mistificazione dei ruoli: il marito che domina la moglie rappresenta lo "stesso" Dio (Nota: di contro, il mito di Maria, come postulato dai teologi del passato, perpetra l'idea che la donna sia obbediente e remissiva di natura: "La mariologia dominante santifica l'immagine della femmina come principio di ricettività passiva e l'esaltazione del principio di sottomissione: Maria è simbolo della creatura nella sua totale abnegazione e passività nei confronti della divinità maschile.")
C'è da dire però che negli ultimi tempi non sono mancati i teologi e le teologhe che hanno proposto interpretazioni diverse su Maria per "de-patriarcalizzarla".

Pagina 23 

"Il cristianesimo è nato all'interno della società patriarcale, quella del giudaismo [...] configurandosi nei termini dell'androcentrismo del patriarcato [...] rispecchiava il contesto in cui nasceva secondo il quale l'essere umano sessuato al maschile era il centro e la misura di tutte le cose [...] Nasceva una teologia che rispecchiava e legittimava le relazioni kiriarcali"

Pagina 25

La sottomissione delle donne: nella società patriarcale il concetto di "femminilità" viene costruito per poter meglio rispondere ai bisogni maschili. Per avere donne facilmente controllabili, il femminile va costruito in termini di docilità. Meno senso di sé ha la donna, quindi, meglio è.

La teologia cristiana ha sempre avuto qualche problema ad ammettere la piena personalità della donna, per non attribuirle la dignità umana, ossia l'imago Dei ("immagine di Dio"). Agostino per esempio opinava che mentre l'uomo da solo era immagine di Dio, la donna da sola non lo era, la diventava solo unita col marito.

"l'apostolo dice che l'uomo è immagine di Dio, e per questo gli toglie il velo dal capo ed esorta affinché sia la donna ad indossarlo, dicendo "l'uomo certamente non deve velarsi il capo, perché egli è l'immagine e la gloria di Dio. La donna invece è la gloria dell'uomo." (...) Perché non è immagine di Dio anche la donna? Perché difatti le viene ordinato di velare il capo, cosa che all'uomo, poiché è immagine di Dio, è proibita"

"Invece la donna viene assegnata in aiuto all'uomo, ella non è, per quanto riguarda lei sola, immagine di Dio, mentre l'uomo per quanto riguarda lui solo è immagine di Dio"

Pagina 30

Nel 1528 Luis Vives scrive nel suo libro "Educazione della donna cristiana": "Se per tuo difetto o in suo accesso di pazzia alzasse le mani contro di te, pensa che è Dio a castigarti, e che ciò succede a causa dei tuoi peccati [...]  In questo brano, riscontriamo alcuni elementi importanti [...] è a causa dei suoi peccati, che la donna viene maltrattata/la donna deve considerare il marito strumento di Dio" (Nota: appunto, Mary Daly scriveva: Ho già suggerito che se Dio è maschio, allora il maschio è Dio. Il divino patriarca castra le donne finquando riesce a continuare a vivere nell'immaginazione umana.)

Pagina 32

Elementi dell'Età Patristica della Teologia Cristiana, che ritengono la donna inferiore:

1) La superiorità dell'uomo sulla donna in quanto Adamo fu formato prima.
2) La maggiore colpa della donna nella caduta.
3) La comprensione del peccato in termini sessuali.
4) Le virtù richieste alle donne per produrre la docilità femminile. "In silenzio con ogni sottomissione".

Un quinto motivo, e a mio parere, il principale, è che Dio, incarnandosi nel solo maschio, Gesù Cristo, favorì ed elevò la virilità: il sesso stesso di Dio, che, del resto, si rivela come padre.
Anche se c'è da dire che nel Vangelo, Gesù non ha mai nessun comportamento "in linea con quello che ci si aspetta nei patriarcati"

Mary Daly, in "Al di là di Dio Padre", così commenta: "Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. 
Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile."

"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."

"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."

Pagina 38-40 

Dio Padre: dobbiamo tenere conto che l'Iddio della teologia kiriarcale (o delle teologie sadiche, cioè quelle teologie che dipingono Dio come un Padre assetato di sangue e sacrificio) è un Dio prettamente maschile. A legittimare il potere del patriarcato vi è un Dio Padre. Per questo Mary Daly scrive:

"Il simbolo del Dio Padre, moltiplicatosi nell'immaginazione e ritenuto credibile dal patriarcato, ha, di conseguenza, reso un servigio a questo tipo di società, facendo apparire giusti ed adeguati i suoi meccanismi per l'oppressione delle donne. Se Dio nel "suo" Cielo è un padre che governa la "sua" gente allora nella "natura" delle cose è conforme al piano divino e all'ordine dell'universo che la società sia dominata dal maschio. 
In questo ambito si verifica una mistificazione dei ruoli: il marito che domina la moglie rappresenta lo "stesso" Dio." 

Giovanna, abusata dal padre a 7 anni, a pagina 41 afferma: "mio padre e Dio si assomigliavano". Un terzo delle donne vittime di abusi sessuali confondevano Dio col proprio padre: "Mio padre avrebbe potuto essere Dio", "Anche mio padre voleva essere adorato", "Dio assomigliava a mio padre".

"I padri dispotici appaiono sotto forme di crescente durezza, che va dall'inflessibilità alla crudeltà, che spesso si sovrappongono, tra cui: Il dominatore, il tiranno, il prepotente (...) fissa delle regole dalle quali non si può deviare, che non possono essere neppure discusse, dal momento che lui è l'arbitro decisivo di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato in assoluto.
Altri padri si fissano su quello che essi considerano un adeguato comportamento femminile, promuovendo solo la dipendenza delle figlie, denigrando o addirittura proibendo ogni loro sforzo verso il successo e l'autosufficienza. Questi padri vogliono che le figlie corrispondano alle definizioni tradizionali della femminilità, che siano modeste, umili, incapaci di prendere decisioni senza papà.
(...) tiranneggia la sua famiglia per mezzo di una guerra psicologica, sottomettendo le figlie. Una simile dominazione include ciò che il dottor James Garbarino chiama "terrorizzare", una forma di abuso emotivo che precisa come "minacciare i figli con estreme o vaghe, ma sinistre punizioni, stimolando intenzionalmente una profonda paura, creando un clima di imprevedibile minaccia o ponendo improprio aspettative e punendo i figli per non averle soddisfatte (...) Alcuni padri sono semplicemente sadici, decisi a degradare le loro figlie, a spezzare il loro coraggio e a farle strisciare.
(...) Tali donne accondiscenderanno ai desideri di papà, adattando le loro aspirazioni alle sue, dal momento che diverse ambizioni portano alla perdita dell'amore e dell'approvazione paterna.
(...) Nei casi estremi di umile sottomissione filiale, la figlia diventerà tanto dipendente dalla dominazione maschile che si legherà a uomini che la maltrattano.
Molte donne maltrattate sono partner silenziose e inconsapevoli della violenza che subiscono perché erano state programmate per accettarla.

Pagina 42: "Porre resistenza agli abusi sessuali è ribellarsi contro Dio stesso/così donne vittime di ogni tipo di violenza domestica spesso interpretano la loro sofferenza come la punizione di un Dio Padre che si identifica col marito. Le studiose concordano che l'immagine di Dio Padre legittima una serie di rapporti di potere che sfociano nella violenza contro le donne: l'effetto del linguaggio del Dio Padre, date le nostre strutture sia della società sia della famiglia, è di legittimare il dominio e le violenze maschili e di inibire la rabbia e protesta legittime delle donne contro tale aggressione. Dio Padre funge da garante dell'autorità paterna nella famiglia patriarcale."

Pagina 47: L'esempio di Maria Goretti non fa altro che aumentare il senso di colpa della donna vittima di abusi. Commentano Imbens e Jonker: "La religione obbliga le donne a perdonare i loro stupratori, anche se gli stupratori non hanno mai chiesto perdono". Il messaggio di amore e perdono diventa un altro tassello del mosaico dei dettami cristiani che mantiene le donne in una posizione subordinata, vulnerabile alla violenza maschile [...] le viene detto di "amare" e di perdonare il nemico aggressore.

Attraverso i meccanismi di reiterazione, una persona tende a riprodurre il modello di coppia dei propri genitori. Ma allora è masochismo "naturalmente naturale nella donna" o è un meccanismo di difesa e di mimesi di ciò che si vede in giro? In tal senso è stato osservato che per un ragazzo figlio di un padre violento con la madre, aumenta la probabilità di essere violento, e nel caso di una ragazza, figlia di un uomo violento, aumentano le probabilità di fidanzarsi con un uomo violento.
Si può pensare che questi bambini abbiano imparato per imitazione che la violenza è normale nella vita di coppia, e un condizionamento dell'infanzia predispone a una dipendenza dello stesso tipo nella vita. 
Tutti gli specialisti sono d'accordo ne dire che un trauma passato ha preparato il terreno e che dietro l'attuale persecutore si cela spesso un altro persecutore, un persecutore nell'infanzia. La scelta amorosa si compie in genere a partire da problematiche psichiche complementari: una donna che abbia un forte bisogno di aiutare, può scegliere un partner che avrà bisogno di molte attenzioni; allo stesso modo un uomo che ha bisogno di dominare saprà scegliersi una donna che gli sembrerà docile e dipendente. Sia che avvenga per motivi socioculturali sia per ragioni familiari, molte donne hanno talmente poco stima di se stesse che si collocano subito nello stato di sottomissione. Gli uomini violenti sanno bene come riconoscere il lato protettivo di una donna e come servirsene per giustificare i propri eccessi comportamentali.