Canegrate: le origini storiche e l'affresco di Selene ed Endimione



LE ORIGINI DI CANEGRATE (trovate su un calendario)

La civiltà di Canegrate viene fatta risalire al 1200 a.c ed è classificata tra quelle alla fine del Bronzo Medio e all'inizio del Bronzo Recente. Le informazioni più rilevanti a proposito della Cultura di Canegrate provengono dalla necropoli omonima, scoperta nel 1926.
Le tombe ritrovate sono del tipo a fossa semplice o a fossa rivestita di lastre di pietra o ciottoli.
Le dimensioni della necropoli sono abbastanza ingenti: si calcola che dovesse comprendere almeno 200 tombe delle quali, parecchie, a più deposizioni.


La ceramica della Cultura di Canegrate è molto simile a quella in uso nello stesso periodo a nord delle Alpi; poiché la ceramica è l'indicatore fondamentale per riconoscere i rapporti tra diverse culture, le analogie riscontrate tra il vasellame di Canegrate e quello transalpino fa pensare che vi sia una componente proveniente dal nord delle Alpi. Con ogni probabilità esisteva anche una continuità linguistica ed etnica fra l'antica popolazione di Canegrate e i gruppi stanziati nella stessa area durante l'Età del Ferro.

I primi documenti che riportano il nome "Canegrate" risalgono al Basso Medioevo. Già nel 1261 in un atto legale stipulato tra i canonici di San Giorgio presso Legnano e una famiglia è registrato il nome Canegrate.

Ci sono varie ipotesi sulle origini e il significato dell'etimo in questione:
Cannetulatae, dal latino Cannetum = canneto, che indicava una caratteristica paesaggistica di secoli fa.
Canis in ager = cane nel campo;
Ca' Negrate = case annerite
Cane (custodito dietro) Grata = una tesi fantasiosa ma non impossibile: potrebbe derivare da un'attività che i suoi abitanti facevano, cioè l'allevamento dei cani.


L'AFFRESCO DI SELENE ED ENDIMIONE A CANEGRATE

Info tratte da


Nella decorazione sulla volta si possono vedere tre figure: un uomo addormentato e alle sue spalle una donna con a fianco un putto alato.


Il giovane è seduto sulla roccia, sulla quale poggia il gomito, che regge il volto; accanto a sé ha un bastone. Sopra di lui, una fanciulla bionda, con il volto incorniciato da uno spicchio di luna, contempla amorosamente il giovane addormentato: è Selene, la Dea Luna, chiamata anche Diana, discesa dal cielo sul monte Latmo per contemplare Endimione, il pastore del quale la Dea si è innamorata.






Una variante della leggenda, racconta che Giove, sospettando che Endimione potesse sedurre Giunone, l'avrebbe condannato a dormire in eterno; altrove, sembra che sia stato Endimione stesso a chiedere a Giove di farlo dormire eternamente, per non invecchiare: per questo Endimione dorme in una grotta del monte Latmo.
Secondo il mito, Selene, vedendolo, se ne innamorò all'istante; ebbe da lui cinquanta figlie, ma visto che la Dea fu sfiancata da tutte queste gravidanze e non voleva più generare, chiese a Giove che facesse addormentare per sempre Endimione, per preservarlo giovane in eterno: così la Dea poté continuare a baciarlo senza timore di altre gravidanza.






L'affresco di Selene ed Endiminione nel palazzo Castelli Visconti a Canegrate si presenta simile a un disegno inglese conservato a Windsor Castle.



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Alcuni critici hanno avanzato l'ipotesi che il bozzetto del disegno fosse di Francesco Monti (1685-1768) e non di Giovan Angelo Borroni (1684-1772). Tuttavia, la versione canegratese di Endimione è identica a quella di Palazzo Radice Fossati a Milano, dipinta da Borroni, e con "Eolo dormiente", speculare alla figura di Endimione.

Nota di Lunaria: il mito di Endimione è stato celebrato anche dal grande poeta Keats, che affascinato dalla musicalità stessa del nome (in inglese, pronunciato "Endàimion"), dedicò ad Endymion un lungo poema. https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/commenti-e-analisi-allendymion-di-john.html




Endymion è citato anche nel sublime cd dei Cradle of Filth "Dusk and Her Embrace", nella canzone "Beauty slept in sodom": "For thee Endymion I forsake the cerements of this star-flung tomb"; l'intero testo è pervaso da riferimenti mitologici ed erotici-macabri


Qui qualche riferimento alla flora, preso dal Libro Primo, da 13 a 262.

Così sole, luna, alberi antichi, e nuovi, germoglianti felicità d'ombre per l'umile gregge; e narcisi col verde mondo in cui abitano; e chiari ruscelli che cercano un fresco tetto contro la torrida stagione; il cespuglio nel bosco, con la spruzzata di boccioli della bella rosa muscata: e così anche la magnificenza del destino che immaginiamo per i morti illustri [...] né queste essenze sentiamo solo per brev'ora; no, come anche gli alberi che sussurrano attorno al tempio presto diventano cari quanto il tempio stesso, così fa la luna, la poesia passione, le glorie immense, ossessioni per noi finché non siano lietificante luce all'anima nostra, e a noi si legano sì forte, che, sia splendore o tenebra tetra, sempre con noi dimorano, o moriamo.
Quindi, è con piena felicità ch'io vergo la storia di Endimione. La musica stessa del nome penetra nel mio essere, e ogni leggiadra scena sorge vivida avanti a me come il verde della nostra valle: dunque inizio ora che il clamore della città non odo; ora che i primi germogli appena spuntano, e cingono con dedali di colore tenerissimo i vecchi boschi; mentre il salice strascica la sua ambra delicata [...] Tanti e tanti versi spero di scrivere, prima che le margherite, orlate di vermiglio e bianco, si nascondano nell'erba folta; e prima che le api ronzino attorno ai globi del trifoglio e ai piselli odorosi, sarò quasi a metà della mia storia. O che la stagione invernale, spoglia e bianca, non la veda incompiuta; ma il vigoroso autunno, coll'universale tinta d'oro vecchio, mi sia tutto attorno quando sarò alla fine. [...] Sui pendii di Latmo era sparsa una rigogliosa foresta; poiché l'umida terra nutriva generosamente le occulte radici d'erba e divenivano rami penduli, e frutti preziosi. E v'erano ombre dense, profondità recluse, dove nessuno entrava; [...] sentieri ve n'erano molti, serpeggianti tra felci di palma e palustri giunchi, e sponde d'edera; tutti gradevolmente diretti a un ampio prato, da dove si scorgevano solo fusti aggruppati in cerchio tra gonfie zolle e radenti rami: chi potrebbe dire la freschezza dello spazio di cielo in alto, orlato dalle cime scure degli alberi? traversandolo una colomba spesso batteva le ali, e spesso anche una nuvoletta navigava per l'azzurro.
Proprio nel mezzo di questa amenità stava un altare di marmo, con una treccia di fiori appena in boccio; e la rugiada s'era concessa fantasie da fata spargendo margherite la sera prima sulla terra sacra, e così la luce albeggiante con sfarzo accoglieva.
[...] Così dicendo, [...] un corò cantò:
"O tu, il cui grandioso palazzo ha il tetto pendulo da scheggiati tronchi, e ombreggia sussurri eterni, tenebre, nascita, vita, morte di fiori non visti in solenne quiete; che ami vedere le amadriadi ricomporsi i riccioli arruffati là dove i noccioli congiunti ombreggiano; e per lunghe, solenni ore, siedi e ascolti la tetra melodia di giunchi prigionieri in desolati luoghi, dove per la palustre umidità cresce la cicuta cilindrica fino a straordinario rigoglio; pensando a te, quanto triste e restio fosti a perdere la bella Siringa - ora tu per la lattea fronte del tuo amore! per i tremanti labirinti ch'ella corsa ascoltaci, grande Pan!"
"O tu, per la cui quiete anima-suadente, le tortore appassionano la voce tubando tra i mirti, quando vaghi al tramonto per campi assolati, che orlano il fianco dei tuoi muschiati reami: o tu, a cui i fichi dalle larghe foglie fin d'ora promettono frutta matura; le api giallo-cinte favi dorati; i campi del villaggio la bellissima fioritura di fagioli e grano e papaveri; il gorgheggiante fanello i suoi cinque piccoli ancor non nati che canteranno per te; le fragole in terra serpeggianti la frescura estiva; le sigillate farfalle le ali screziate; sì, l'anno fresco in boccio tutte le sue perfezioni - avvicinati presto, con ogni vento che inclina il pino del monte,
o divino silvano!"


Qui il testo originale:

Such the sun, the moon, Trees old, and young, sprouting a shady boon For simple sheep; and such are daffodils With the green world they live in; and clear rills That for themselves a cooling covert make 'Gainst the hot season; the mid forest brake, Rich with a sprinkling of fair musk-rose blooms: And such too is the grandeur of the dooms
We have imagined for the mighty dead; [...]  Nor do we merely feel these essences For one short hour; no, even as the trees That whisper round a temple become soon Dear as the temple's self, so does the moon, The passion poesy, glories infinite, Haunt us till they become a cheering light
Unto our souls, and bound to us so fast, That, whether there be shine, or gloom o'ercast, They alway must be with us, or we die.

Therefore, 'tis with full happiness that I Will trace the story of Endymion. The very music of the name has gone Into my being, and each pleasant scene Is growing fresh before me as the green Of our own vallies: so I will begin Now while I cannot hear the city's din;                          
Now while the early budders are just new, And run in mazes of the youngest hue About old forests; while the willow trails Its delicate amber; [...] Many and many a verse I hope to write, Before the daisies, vermeil-rimmed and white,                
Hide in deep herbage; and ere yet the bees Hum about globes of clover and sweet peas, I must be near the middle of my story.
O may no wintry season, bare and hoary, See it half finished; but let Autumn bold, With universal tinge of sober gold, Be all about me when I make an end. [...] Upon the sides of Latmos was outspread A mighty forest; for the moist earth fed So plenteously all weed-hidden roots Into o'er-hanging boughs, and precious fruits. And it had gloomy shades, sequestered deep, Where no man went;
[...] Paths there were many, Winding through palmy fern, and rushes fenny,                 
And ivy banks; all leading pleasantly To a wide lawn, whence one could only see Stems thronging all around between the swell Of turf and slanting branches: who could tell The freshness of the space of heaven above, Edged round with dark tree tops? through which a dove Would often beat its wings, and often too A little cloud would move across the blue.
Full in the middle of this pleasantness There stood a marble altar, with a tress                     
Of flowers budded newly; and the dew Had taken fairy phantasies to strew Daisies upon the sacred sward last eve, And so the dawned light in pomp receive. [...]
Thus ending [...] thus a chorus sang:
"O Thou, whose mighty palace roof doth hang From jagged trunks, and overshadoweth Eternal whispers, glooms, the birth, life, death Of unseen flowers in heavy peacefulness; Who lov'st to see the hamadryads dress
Their ruffled locks where meeting hazels darken; And through whole solemn hours dost sit, and hearken The dreary melody of bedded reeds In desolate places, where dank moisture breeds               
The pipy hemlock to strange overgrowth; Bethinking thee, how melancholy loth Thou wast to lose fair Syrinx - do thou now -, By thy love's milky brow! By all the trembling mazes that she ran Hear us, great Pan!"
"O Thou, for whose soul-soothing quiet, turtles Passion their voices cooingly 'mong myrtles, What time thou wanderest at eventide Through sunny meadows, that outskirt the side               
Of thine enmossèd realms: O thou, to whom Broad-leavèd fig trees even now foredoom Their ripened fruitage; yellow-girted bees Their golden honeycombs; our village leas Their fairest-blossomed beans and poppied corn; The chuckling linnet its five young unborn, To sing for thee; low creeping strawberries Their summer coolness; pent up butterflies Their freckled wings; yea, the fresh budding year All its completions - be quickly near,                        
By every wind that nods the mountain pine, O forester divine…


GALLERIA FOTOGRAFICA
















Chiesa di Santa Colomba







Per approfondimenti su altre cittadine lombarde, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/01/mezzano-e-viboldone-il-prato-dei-morti.html