Serie di approfondimenti sull'Induismo, tratti da
vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/09/arte-asiatica-2-lindia-nei-periodi.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/09/arte-asiatica-4-lindia-nel-periodo.html
IL SIMBOLISMO DEL 4 E DEI COLORI
La vita dell'uomo, individuale o collettiva, appare, secondo la concezione indù, regolata in tutte le sue forme dal numero 4 e presenta quindi sempre quattro aspetti. Ci sono dapprima i 4 periodi di evoluzione di tutti gli esseri: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. In ognuno di questi periodi predomina uno dei quattro scopi della vita, che sono la virtù, il piacere, il successo e la liberazione. Si intende per virtù ("Dharma") l'arte del comportamento conforme ai dati propri di ogni essere. La virtù è quindi l'osservanza di un codice di condotta determinato per ogni persona dalla sua natura e dalla sua nascita: le virtù di un re non sono le stesse di quelle di un artigiano. (Nota di Lunaria: è questa concezione "fissista" che infatti causa le caste e la misoginia indù... anche se come vedremo probabilmente inizialmente le caste venivano viste come un'occasione per regolarizzare la società in un periodo di forte anarchia sociale... peccato che oggigiorno ruoli così rigidamente fissati non servano più al benessere della società!). Vengono poi i piaceri dei sensi ("Kama") di cui ciascuno deve realizzare la pienezza nella giovinezza. (*) Durante l'età matura ognuno deve realizzarsi sul piano sociale, ottenere il successo, i beni, la ricchezza e il potere che costituiscono il terzo scopo ("Artha"). Il quarto scopo, la realizzazione spirituale, legata alla rinuncia che conduce alla liberazione ("Moksha") deve predominare nella quarta età, la vecchiaia. In nessuna età della vita si può realizzare pienamente uno di questi scopi se vengono trascurati gli altri.
Anche l'evoluzione dell'umanità è divisa in 4 Età (**) che cominciano con l'Età della Verità ("Satya-yuga") o Età dell'Oro e finiscono nel Kali-Yuga, l'età dei disordini e dei conflitti. Quando si trova in uno stato di equilibrio ogni società è ripartita in 4 gruppi principali: classe intellettuale, guerriera, agricola/mercantile, operaia; da questa ripartizione è sorta la nozione di casta. In particolare, si pensa che ciascuno gruppo sia orientato verso una particolare virtù: gli intellettuali alla Moksha, i guerrieri al Dharma, gli agricoltori/commercianti verso l'Artha e gli artigiani verso il Kama.
Secondo la tradizione indù vi sarebbero state 4 creazioni successive, che corrispondono alle 4 razze degli uomini. Le diverse razze si situano dunque a differenti livelli di evoluzione corrispondenti alle età della vita. La razza più antica, da cui viene la casta dei sacerdoti, è bianca. La seconda razza, quella dei guerrieri, dei nobili e dei re è rossa. La terza razza (agricoltori e commercianti) è gialla, la quarta (artigiani) è nera. (***) Questi colori rivestono un carattere simbolico e la divisione della 4 caste si ritrova all'interno di ciascuna delle razze umane così come noi le conosciamo. Ogni gruppo ha i vantaggi, i diritti e i doveri inerenti alla sua natura, al suo stato sociale.
(*) Peraltro, la cosa interessante è che l'Induismo non vede il matrimonio come un'occasione per "i piaceri dei sensi"; è piuttosto un dovere procreativo. L'amore e il piacere sono celebrati nell'amore extraconiugale, allegorizzati in Krishna e Rada, che, nella loro valenza erotica, sono anche simboli dell'Anima che cerca Dio e si fonde in lui.
(**) Il simbolismo del numero 4 contraddistingue la dottrina dei cicli cosmici. La più piccola unità del ciclo terrestre è designata col termine yuga; 4 yuga costituiscono un Maha-yuga detto anche Manvantara, "intervallo di Manu" (Manu è il progenitore mitico, l'equivalente di Noè o Adamo) che si caratterizza per l'andamento progressivamente discendente.
(***) Simbolismo dei colori che ritorna nel culto a Bhairavi.
Bhairavi è un'incarnazione feroce e guerriera di Shakti, che è spesso associata alla distruzione, ma non in senso negativo. La Dea distrugge la negatività, l'ego, l'infelicità, il dolore e i problemi dei suoi devoti. è la consorte di Bhairava ed è una Dea guerriera che uccide i demoni per portare ordine e pace nell'universo. Il suo nome deriva da tre parole: Bharana, (Creare), Ramana, (Proteggere), Vamana, (Emettere) è la Dea che ha il potere di creare, mantenere e distuggere. è anche legata al terrore. è anche chiamata "Shubhankari", che significa "Colei che è una Buona Madre con chi compie buone azioni ma che è Terribile con chi compie peccati". è la personificazione della Luce, che può illuminare o può bruciare. Cavalca un asino ed è molto spesso collegata a Kali.
Altre Dee legate all'asino sono Shitala e Kalaratri. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/lasino-e-seth.html
STORIA E CASTE
L'indù vive nell'eternità. Egli è profondamente cosciente della relatività dello spazio e del tempo, del carattere illusorio del mondo delle apparenze. Non attribuisce quindi che un'importanza secondaria agli avvenimenti ai quali pure partecipa. Considera la storia come l'espressione di una serie di cicli la cui evoluzione riporta l'umanità approssimativamente al punto di partenza. La storia interessa gli indù nella misura in cui essa mette in evidenza alcune leggi eterne o alcune manifestazioni del divino. Essa è ritmata dalle incarnazioni degli Dei, incarnazioni che vengono chiamate avatara o "discese".
I primi popoli che abitarono l'India appartengono a una razza imparentata con gli australoidi e le popolazioni delle montagne dell'Indocina così come le più antiche etnie delle popolazioni africane. Essi parlano la lingua munda e sono a tutt'oggi in India. Abitano nelle foreste e negli altipiani dell'interno. Rifiutano ancora di praticare l'agricoltura che essi considerano come un oltraggio alla terra, nostra madre. (1) Compongono società quasi sempre matriarcali (2). Entrando in contatto con i successivi invasori, hanno, a poco a poco, perduto la loro lingua. Costituiscono oggi alcune caste artigianali e hanno conservato leggende orali estremamente antiche che riguardano i loro re, regni, le loro città di epoche dimenticate.
La prima grande civiltà dell'India, della quale sono state rinvenute importanti vestigia, e le cui città, abbandonate dopo il II millennio a.c, e oggi ricoperte di sabbia, ci mostrano una raffinatissima civiltà urbana, viene chiamata civiltà dell'Indo. I Purana menzionano ripetutamente il VI millennio come un'epoca importante per lo sviluppo delle scienze e delle arti. è proprio tra il VI e III millennio che si sviluppò in India una grande civiltà urbana che raggiunse l'apogeo poco prima dell'invasione degli arii. Ed è da questa civiltà che ci giungono la religione e la filosofia shivaita.
Precisazione di Lunaria: l'Autore, Alain Daniélou, da qui in poi giustifica il sistema delle caste. Riporta minuziosamente i particolari e l'evoluzione storica-concettuale delle caste. A suo dire, le caste servirono (e servono, sempre secondo lui) ad organizzare una società corporativa, suddivisa in tante razze e ceti, ognuna con propri diritti e doveri, e Daniélou vede le caste come un mezzo di sostentamento intelligente (!) per mantenere, per ciascun gruppo, le proprie istituzioni sociali e civili, perché "l'incrocio" (tramite matrimoni o rapporti informali) di razze/caste diverse provocherebbe "squilibrio, anarchia". L'Autore è quindi d'accordo con il sistema delle caste, e quindi critico verso un concetto di democrazia "che renda tutti uguali" perché le differenze servirebbero a cementare la società: "Alcuni uomini straordinari per la loro capacità di visione e per la loro saggezza fissarono un piano che doveva permettere a tutti di esistere, evitando il nefasto incrocio delle razze e le distruzioni inutili di istituzioni, costumi, modi di pensare e di agire."
Potrei riportare moltissime altre citazioni, perché di fatto per tutto il libro l'Autore tesse elogi al sistema castale, a suo dire, "inficiato e peggiorato" solo con l'arrivo dell'islam. Su questo posso anche essere d'accordo, l'islam difatti portò regresso e la condizione della donna in India degradò sempre di più dal Medioevo in poi. Comunque, l'Autore mi sembra un po' sospetto nel fare apologia a qualcosa che non ha neanche vissuto sulla sua pelle, ovvero la segregazione castale (era cittadino francese, convertitosi all'induismo verso gli anni '50). Da fuori potrà essergli sembrato un gran bel sistema, ma i dalit (gli intoccabili fuori casta) e le sati non lo so se la pensano allo stesso modo... e inoltre non mi piacciono gli autori, siano essi cristiani o meno, che fanno lodi sperticate e acritiche ai dogmi religiosi. Esattamente come un cristiano fanatico se ne guarda bene dal criticare dogmi e idee palesemente misogine, questo Alain Daniélou presenta le caste e la segregazione razziale come "una gran bella cosa per salvaguardare la società in modo armonioso". è vero che riporta in modo certosino tutti i particolari per ciascuna casta (peraltro facendo notare che la casta più oppressa, da divieti e tabù, sia proprio quella dei Brahmani - pensate che non possono neanche venir sfiorati dall'ombra di qualcuno!) ma la sua esposizione, così entusiasta, rasenta l'apologia dogmatica tanto da "genuflettersi" di fronte a qualsiasi cosa sia stata detta dal Brahmano e dalla Legge di Manu di turno. E io non ho simpatia per chi difende le idee (cose astratte) a discapito della dignità delle persone reali e vere, che queste idee spesso le subiscono, così come non ho simpatia per idee di secoli fa che suddividono le persone in "superiori" e "inferiori", "chi comanda" e "chi è comandato". Non importa che esse siano monoteiste o politeiste. L'Autore per esempio, a pagina 35, scrive frasi come "L'incrocio delle razze è nefasto. L'essere che nasce da una tale combinazione non ha più un posto definito nella gerarchia del mondo", che per l'Autore è proprio quella delle caste; "Dobbiamo allora ritenere che le caratteristiche fisiche e mentali delle differenti specie di uomini, in particolare il colore della pelle, siano puri accidenti (...) oppure che si tratti di caratteristiche volute da divinità responsabili (...) e che corrispondano a un ruolo definito da giocare nel mondo e nella società umana? (...) Il sistema delle caste persegue dunque lo scopo di riunire armoniosamente le differenti razze, le differenti specie di esseri umani"
Inoltre, è aberrante che l'Autore a pagina 67 sia concorde con l'idea indù che una donna violentata debba diventare prostituta, perché ormai quello è il suo ruolo, il suo "dharma", e non può più diventare madre di famiglia, ma anzi, deve darsi a tutti i brahmani, gratuitamente!
Valutate voi a che grado di regresso se non demenza mentale possono arrivare sedicenti "accademici famosi in tutto il mondo" come Alain Daniélou !!! Con un'affermazione come questa qui sopra che ho fotografato, non mi stupirebbe scoprire che costui (morto nel 1994) fosse pure a favore del rogo delle sati!!!!
Per approfondire il sistema castale e le disuguaglianze sociali aberranti che causa:
http://www.manuelmarangoni.it/onemind/3435/caste-indiarigida-tradizione-millenaria/
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/india-il-sistema-castale_10.html
(1) Nota di Lunaria: Mircea Eliade ne parlava a fondo nel suo "Trattato di storia delle religioni". Ne riporto il paragrafo:
Una delle prime teofanie della terra in quanto tale, specialmente in quanto strato tellurico e profondità ctonia, fu la sua ‘maternità’, la sua capacità inesauribile di dare frutti. Prima di essere considerata una Dea madre, una divinità della fecondità, la terra si è imposta direttamente come Madre, Tellus Mater. L'ulteriore evoluzione dei culti agricoli, mettendo in chiaro con precisione sempre maggiore la figura di una Grande Dea della vegetazione e dei raccolti, finì col cancellare le tracce della Terra Madre. In Grecia Demeter si sostituì a Ge. Nondimeno i resti dell'antichissimo culto della Terra Madre affiorano nei documenti arcaici ed etnografici. Un profeta indiano Smohalla, della tribù umasilla (Stati Uniti), vietava ai suoi discepoli di zappare la terra perché, diceva, ‘è un peccato ferire, tagliare, lacerare o graffiare la nostra comune madre con lavori agricoli’. E giustificava così il suo atteggiamento contrario all'agricoltura: ‘Mi domandate di lavorare la terra? Prenderò dunque un coltello per immergerlo nel petto di mia madre? Mi domandate di zappare e di togliere i sassi? Debbo dunque mutilare la sua carne per arrivare fino alle sue ossa? Mi domandate di tagliare l'erba e il fieno, venderlo e arricchirmi come fanno i bianchi? Ma come oserei tagliare i capelli di mia madre?’ Questa devozione mistica per la madre tellurica non è un fatto isolato. I membri di una tribù dravidica primitiva dell'India centrale, i Baiga, praticano l'agricoltura migratoria, contentandosi di seminare unicamente sulla cenere che rimane quando certi tratti della giungla sono stati incendiati. E fanno tutta questa fatica perché ritengono peccato ‘lacerare il seno della madre-terra con l'aratro’. Anche i popoli altaici credono che sia grave peccato strappare l'erba, perché la Terra ne soffre, precisamente come soffrirebbe un uomo se gli strappassero i capelli o la barba. I Votiak, che sono avvezzi a deporre le loro offerte in un fosso, hanno cura di non ripetere quest'operazione in autunno, perché in quel periodo dell'anno la terra dorme. I Ceremissi credono spesso che la Terra sia ammalata, e allora evitano di sedersi per terra. Si potrebbero moltiplicare le prove della persistenza di tali credenze circa la Terra-Madre presso i popoli non agrari, o agrari solo sporadicamente. La religione della terra, anche se non è la più antica religione umana, come credono alcuni studiosi, è fra le più dure a morire. Una volta consolidata nelle strutture agricole, i millenni le passano sopra senza cambiarla. Talvolta non presenta soluzioni di continuità, dalla preistoria ai giorni nostri. Per esempio, la ‘torta dei morti’ (in romeno "coliva") era conosciuta con lo stesso nome nell'antichità greca, che l'aveva ricevuta in eredità, con lo stesso nome, dalle civiltà preistoriche pre-elleniche. Altri esempi di continuità, nell'ambito dello stesso complesso formato dalle religioni telluriche agrarie, saranno ricordati più oltre. Dieterich pubblicò nel 1905 un libro che è subito diventato un'opera classica. Emil Goldmann e altri dopo di lui, e - più prossimo a noi - Nilsson, hanno mosso obiezioni di ogni specie alla teoria di Dieterich, senza riuscire a infirmarla nella sua totalità. Dieterich inizia il suo studio ricordando tre costumanze dell'antichità - deposizione del neonato sulla terra, inumazione dei bambini (in contrasto con l'incinerazione degli adulti), malati e agonizzanti distesi per terra - onde ricostruire la fisonomia della Deaterra arcaica della ‘Terra-Madre-di-tutto’ ("pammétor Ge") ricordata da Eschilo, della Gaia che Esiodo aveva cantato. Intorno alle tre pratiche arcaiche si sono accumulati documenti in numero impressionante, e sono avvenute controversie che qui non possiamo riferire. Cerchiamo di vedere che cosa ci insegnano i fatti e in quale complesso religioso si inquadrano.
Anche oggigiorno, è molto seguito il culto di Shakambhari, la Dea delle verdure e dei vegetali
(2) Nota di Lunaria: una delle ultime etnie matriarcali in India erano i Khasis. Erano legati soprattutto al culto di Sri Kamakhya, potente Dea Madre, che rappresenta gli aspetti della Natura, il Grembo Cosmico, legata al tantrismo e allo shaktismo.
I Khasi, forzati a diventare patriarcali, anche sotto l'influsso cristiano, nel 18° secolo, attualmente sono solo matrilineari, ma anticamente le donne erano leader della comunità e Sacerdotesse.
L'ORIGINE DEL MONDO NEI RIG VEDA
Dalla lettura dei testi è chiaro come la religione vedica abbia attraversato un'evoluzione per cui, entro la fine del periodo, una tradizione religiosa basata sulla descrizione delle gesta di divinità guerriere, incarnazione delle forze naturali, incominciò ad essere reinterpretata in senso simbolico. L'origine della razza umana venne rappresentata attraverso il mito del sacrificio del maschio primigenio, Purusha, dalle cui membra nacquero i rappresentanti dei quattro varna (i brahmani dalla bocca, gli kshatriya, i guerrieri, dalle braccia, i vaishya, contadini e artigiani, dai lombi e gli shudra, i servitori, dai piedi). Ma, accanto a questi miti, nel più tardo periodo vedico incominciarono a
manifestarsi i germi di una riflessione più profonda. Così nel poema sull'origine del mondo, (Rig Veda, libro 10, inno 129) si dice:
"Non c'era alcun non-esistente; e non c'era esistente a quel tempo. Non c'era lo spazio intermedio né il cielo oltre a esso. Che cosa si mosse? E sotto il controllo di chi? C'era dell'acqua? L'abisso era profondo. Non c'era allora né morte né mancanza di morte. Non c'era segno né del giorno, né della notte. L'Unico respirava senza alito grazie al proprio potere indipendente. Non vi era altro che quello. Il desiderio nacque in principio, il quale fu il primo germe del pensiero... C'era qualcosa sopra? O sotto? C'erano altri poteri d'inseminazione e poteri di espansione? Chi veramente lo sa? chi lo proclamerà? Da qui le cose vennero in essere, di qui la creazione. Gli Dei sono da questa parte, insieme con la creazione di questo mondo. Di conseguenza, quindi, chi sa da dove venne in essere? Questa creazione, da dove venne in essere, se fu realizzata da un creatore o in altra maniera, colui che è il guardiano del cielo più alto, sicuramente lo sa. O, se egli non lo sa...?"
Accanto a una riflessione religiosa-filosofica che dal mito mosse in direzione dei primi germi di una concezione filosofica non superficiale, la classe sacerdotale vedica sviluppò un culto basato su di un ritualismo sempre più complesso, volto a propiziare le forze della natura. Secondo la visione del mondo elaborata dai brahmani, la celebrazione di riti generava forze che determinavano il funzionamento del cosmo, obbligando gli stessi Dei a comportarsi secondo il volere di brahmani. Una spiegazione alternativa può essere suggerita facendo riferimento a ciò che sappiamo delle classi sacerdotali d'Egitto e della Mesopotamia. Non vi è dubbio che, all'origine del potere di tali classi c'era la capacità di organizzare il ciclo agricolo, utilizzando le loro conoscenze d'astronomia. Si può quindi ipotizzare che questo sia stato il caso anche per i brahmani, specie se si tiene conto della loro possibile discendenza della classe sacerdotale della civiltà dell'Indo (una civiltà basata su un'agricoltura relativamente assai sviluppata). Una tesi, questa, rafforzata dalla constatazione che l'ascesa della classe brahmanica coincise con la crescente sedentarizzazione degli arya e con il rovesciamento dell'impotanza relativa fra allevamento e agricoltura.
L'ALTO MEDIOEVO (TANTRISMO E BHAKTI)
Dal punto di vista filosofico-religioso, l'alto Medioevo indiano è caratterizzato da una serie di importanti sviluppi. Il primo su cui conviene soffermarsi è il Tantrismo, un complesso di idee che incominciarono a diffondersi a partire dal V secolo e che nel VII secolo divennero prevalenti sia nel Brahmanesimo sia nel Buddhismo. Il Tantrismo - che prende il suo nome dai Tantra, i testi cioè che descrivono i rituali, gli incantesimi e le formule sacre tipiche di questa dottrina è caratterizzato dall'enfasi data alla forma femminile della divinità e dall'utilizzo di una serie di riti magici e di incantesimi che, attraverso il controllo in prima istanza del corpo e dell'universo fisico, permettono di ottenere la liberazione dalla realtà materiale, attraverso l'interruzione del ciclo delle nascite e delle morti. Come effetto del Tantrismo, questo periodo vide l'emergere di Devi come la Grande Dea e la comparsa, al fianco delle principali deità del pantheon induista, di Dee dotate di grandi poteri: Lakshmi (moglie di Vishnu), Parvati, Durga e Kali come manifestazioni della compagna di Shiva.
Sintomaticamente, questa evoluzione caratterizzò anche il Buddhismo e accanto ai vari bodhisattva maschili comparvero bodhisattva di genere femminili: le Tara ("Salvatrici")
Nota di Lunaria: Tara, a sua volta, ha diversi aspetti
Il Tantrismo aveva una forte componente esoterica: i suoi segreti venivano rivelati solo agli iniziati da un maestro; i riti stessi e le pratiche magiche, poi, potevano venir celebrati senza pericolo solo con la guida di un maestro e con l'aiuto di formule magiche, dette mantra.
è stato ipotizzato che il tantrismo non fosse che il riemergere di culti originari che avevano continuato a essere praticati dalle masse più umili della popolazione. Il culto della Dea Madre risaliva alla cultura dell'Indo e a prima ancora. Allo stesso modo, l'utilizzo di riti magici, come la pratica della stregoneria in Europa, ha probabilmente un'origine addirittura nel periodo neolitico.
Un altro aspetto degno di nota del Tantrismo fu poi il fatto che, fra coloro che partecipavano ai riti, non vi erano distinzioni di sesso e di estrazione socio-castale, un fatto che di per sé aiuta a spiegare l'avversione al tantrismo da parte degli ambienti brahmanici tradizionali (Nota di Lunaria: nel Tantrismo non c'era gerarchia perché erano culti per donne; il concetto di gerarchia, disuguaglianze e inferiorità è tipico delle società patriarcali e androcentriche)
Un secondo importante sviluppo religioso di questo periodo è il movimento della Bhakti; nato nel Tamil Nadu (nell'estremo Sud) nel VII secolo è poi diffusosi nel resto dell'India, il movimento della Bhakti è caratterizzato dal misticismo, con una forte enfasi sul rapporto diretto fra il singolo e Dio (un rapporto che è visto come unione amorosa: Bhakti, appunto)
Nota di Lunaria: qualche collegamento, con tutti i distinguo del caso ovviamente, lo si potrebbe comunque fare con il cristianesimo mistico e anche con il sufismo. Ovviamente ambedue sono stati movimenti spesso perseguitati sia dal cattolicesimo che dall'islam più conservatori. Comunque, per il misticismo islamico, uno dei nomi-chiave con cui chiamare il Dio coranico è AlWadūd, che significa proprio "L'amato".
Accanto al Tantrismo e al movimento della Bhakti, il panorama intellettuale dell'epoca fu caratterizzato da una vigorosa opera di sistematizzazione filosofica dell'Induismo. La più brillante delle personalità che si cimentarono in questa impresa fu un brahmano, Shankara (788-820), che divenne il massimo esponente del sistema Vedanta (o Advaita), una delle sei scuole filosofiche in cui giunse ad articolarsi la tradizione intellettuale brahmanica.
GLI ASTRI E LE PIANTE
Nel pensiero Indù non trovano posto alcun dualismo irriducibile, alcuna opposizione reale nel gioco dei contrari all'interno del quale funzionano tutte le nostre percezioni. Che il contrasto sia spirito o materia, cosciente e incosciente, inerte e vivente, giorno e notte, bianco e nero, bene o male, passivo o attivo, si tratta sempre di opposizioni fra elementi complementari e interdipendenti, che esistono solo l'uno in rapporto con l'altro. L'Universo è una speculazione, un gioco di probabilità, di possibilità che non è unico, che potrebbe essere differente, che è differente in altre dimensioni, in altri spazi. La scienza moderna lo scopre ogni giorno un po' di più. L'Essere Cosmico immagina incessantemente altri universi che esistono su altri piani rispetto a quelli che noi percepiamo. Questi universi immaginati ma non realizzati, queste fantasie mentali dell'Essere Cosmico vengono rappresentati nella simbolica indù dalle incantevoli fanciulle celesti, le Apsaras, che sono le potenzialità increate.
Anche all'interno del mondo che noi crediamo di conoscere esistono altri mondi, ordini differenti di dimensione e di percezione che danno nascita a realtà differenti. Separati su certi piani, essi rimangono tuttavia collegati su altri. Nell'ordine di ciò che è percepibile per noi, non c'è soluzione di continuità tra i diversi livelli di creazione, fra la materia, la vita, il pensiero e la coscienza.
L'astronomia e l'astrologia nell'insegnamento tradizionale non sono scienze separate. Secondo i trattati classici, i pianeti rappresentano, su scala astronomica, diversi gradi di coscienza, tendenze diverse che ritmano l'evoluzione del mondo terrestre. Il Sole, da cui è stato generato il nostro piccolo mondo, rappresenta la somma di tutto ciò che noi siamo. Esiste dunque una coscienza solare, un pensiero solare, una memoria solare, una materia solare, un'intelligenza solare,
altrimenti da dove sarebbero venuti questi diversi elementi nella nostra sfera, frammento del Sole e da lui sorta?
Gli astri non hanno apparentemente alcuna potenza di azione indipendente. Tutti i loro movimenti sembrano prevedibili e intercambiabili. Lo stesso si può dire relativamente agli atomi, molto simili nella loro struttura ai sistemi solari ma che funzionano in coordinate di spazio e tempo differenti.
Per capire perché in alcune culture la Luna è maschile, suggerisco di leggersi l'analisi di Neumann al "Signore della Luna" e alle fanciulle mestruate.
Nell'Induismo si festeggia anche la festa di Karwa Chauth, celebrata nel nord dell'India. Le donne sposate digiunano un giorno intero e offrono preghiere alla Luna per chiedere prosperità, fertilità, successo, longevità per i loro mariti. Usando un setaccio o un vaglio, riescono a
vedere i visi dei loro mariti. Mi sembra, tenendo presente anche l'analisi di Neumann, che l'idea sia che al "Signore della Luna" possano rivolgersi sole le donne, perciò in questo contesto sono le donne le mediatrici tra il Dio e l'essere umano; ecco perché sono le donne che chiedono alla Luna di avere prosperità e longevità per i mariti, che non possono fare direttamente questa richiesta alla Luna.
Molto prima degli scienziati moderni, gli indù hanno osservato che il primo stadio della coscienza, della vita, appare, a livello delle percezioni umane, nei fenomeni di cristallizzazione. I cristalli ci rivelano la natura numerica della loro sostanza e rappresentano un primo passo verso l'organismo vivente e cosciente.
Vengono poi le forme vegetali e animali che si orientano in sensi differenti. Le osservazioni sulla sensibilità, sull'affettività e la ricettività emotiva delle piante hanno sempre interessato gli indù: i recenti lavori di un celebre scienziato, Jagadish Chandra Bose, hanno permesso di dimostrare l'esistenza di elementi di affettività, simpatia, emozione, gioia, di sofferenza, nei vegetali.
SAMADHI
Per Samadhi (unione) si intende uno stato di identificazione quasi totale ma temporanea fra l'essere vivente e l'essere divino. Questo stato presenta tutte le caratteristiche apparenti del sonno e talvolta della morte. L'uomo esperto negli esercizi dello Yoga arresta la respirazione, arresta i battiti del cuore, arresta tutti i movimenti del pensiero e, immobile, contempla nella caverna del suo cuore l'immagine dell'essere divino che a poco a poco si espande e lo riempie interamente. Il Samadhi si presenta sotto due forme. La prima, che corrisponde a una visione, a una percezione del divino, è temporanea e il corpo dopo un certo periodo di sospensione ritorna alla vita e all'essere, interiormente già liberato attraverso questa esperienza: riprende le attività umane e può comunicare qualcosa della sua visione. Viene allora chiamato Liberato-in-vita (Jivanmukta) Nella seconda forma di Samadhi l'unione col divino diviene assoluta e la coscienza non reintegra più il corpo. Organicamente il corpo non è morto, ma l'anima e il principio che dirige la vita l'hanno abbandonato. Può sopravvivere un po' di tempo per automatismo, fino a quando l'apparenza di vita si arresta e la sua materia ritorna alla terra. Ma il corpo trasmigrante si dissolve nello stesso tempo e la catena delle vite successive è interrotta. In questa maniera devono morire i saggi, gli yogi, i santi e anche in linea di principio tutti i sannyasin, tutti gli uomini che attraverso le quattro epoche della vita hanno pienamente realizzato i quattro sensi. Quando desidera lasciare questo mondo, il saggio sceglie un'ora che sia propizia dal punto di vista delle congiunzioni astrali; dice addio ai suoi discepoli. Poi, seduto nella postura della realizzazione (Siddha-asana), arresta il respiro e i battiti del cuore ed entra per sempre in Samadhi. Di norma viene costruita intorno a lui, senza toccarlo, una tomba di pietre in cui il suo corpo rimane talvolta per anni senza corrompersi o ridursi in polvere. La realizzazione del Samadhi è abbastanza frequente in quanto i discepoli dei falsi profeti, che hanno avuto la sventura di morire di morte naturale, legano il corpo con delle cordicelle in una postura che assomiglia a quella dello yogi, per far credere che la morte sia stata volontaria. è così che sono finiti recentemente parecchi dei troppo celebri profeti dei moderni ashrama.
GLI ANUBBASHYA E IL CULTO A KRISHNA NELLA MISTICA AMOROSA
Nel suo desiderio di piaceri senza limiti il Creatore formò le donne che amano le donne e gli uomini che preferiscono gli uomini. Gli uomini della setta degli Anubbashya, al tempo di Akbar, si consideravano donne, vivevano e parlavano come donne. Krishna era il loro maestro, l'uomo maschio la sua immagine. I culti mistici krishnaiti hanno spesso incoraggiato gli stati di ambiguità sessuale in cui tutti i partecipanti coltivavano la natura femminile per meglio avvicinarsi all'amante divino.
Nota di Lunaria: infatti nel culto a Krishna è centrale l'amore adulterino tra il Dio (dalle sembianze spesso effemminate) e le pastorelle gopi, specialmente Rada.
andata crescendo sempre di più, all'interno del culto di Krishna, che peraltro ha in sé anche un lato di infante divino bisognoso di cure e attenzioni... certo, non è che è solo il cristianesimo ad avere "un dio bambino"...
Rada, in tutta la sua bellezza, rappresenta l'Anima che raggiunge Dio e viene amata e vezzeggiata.
Comunque, non è solo il culto a Krishna ad aver raffigurato, almeno metaforicamente, l'ideale della Fede e del Misticismo nella donna; anche Vishnu ha una sua fedele eccelsa, Andal;
Andal è stata una devota di Vishnu, e una poetessa. Ha cantato il suo amore per Vishnu con rime amorose molto intense. era orfana, adottata da Periazhwar, che la trovò sotto una pianta di Ocimum tenuiflorum (una pianta aromatica, simile al basilico, anche se non è da confondersi con esso). Andal confezionava meravigliose ghirlande, e il Dio la sposò proprio dopo che lei confezionò una ghirlanda.
Ad ogni modo, per quanto Krishna abbia anche valenze guerriere è molto più celebrato dal punto di vista "amoroso" nei suoi divertimenti con le gopi; basta farsi un giro sui siti induisti, per vedere come le immagini di Krishna con le pastorelle o la sua fanciullezza siano molto più frequenti che non quelle del Krishna condottiero;
e Rada incarna il comportamento perfetto da tenere nei confronti del Dio: insomma, dolcezza e persino frivolezza estetica!
Anche Mira è un'altra donna celebrata per la sua devozione e santità.
Secondo il Rasa Panchadhyayi, colui che, al momento della morte, abbandona, completamente femminilizzato, questo corpo grossolano nel quale vive separato da Krishna, acquista, attraverso la sua devozione, un corpo di piacere grazie al quale può godere di piaceri senza fine nelle braccia di Krishna, abile in tutte le arti amorose.
Nei tempi antichi molti uomini vissero come donne, vestiti da donna e condividendo la vita dell'harem.
Nota di Lunaria: Frazer ci dedica un intero capitolo del suo "Matriarcato e Dee Madri"
è stato il Kama Sutra (ma esistono anche altri trattati) a stabilire, nei minimi dettagli, le posture erotiche. Bihari parlava di 64 elementi che costituiscono l'atto erotico, il tutto in 8 forme che hanno ciascuna 8 varianti. è degno di nota riportare questo stralcio tratto dal Siddhanta:
"Nell'amore, come nell'unione mistica, ci vuole una sincronizzazione nell'orgasmo altrimenti non si realizza il sentimento di identità che costituisce la vera realizzazione dell'amore fisico" (Pandit Madhavacharya)
Curiosamente, in alcuni periodi della storia dell'India, le prostitute erano stimate e celebri per la loro intelligenza, sapere, virtù. Il Sankhya, un trattato di Cosmologia, cita Pingala. Nel Bhakta-mala, la vita dei santi, la prostituta Varamukhi viene presentata come il modello della devozione assoluta.
Nota di Lunaria: ciò si spiega facilmente, per chi conosca un po' la mentalità induista. Infatti, il matrimonio non viene per niente stimato, è piuttosto un dovere, un affare burocratico; paradossalmente, è l'amore adulterino a venir celebrato, anche nella poesia. Comunque, a mio parere, non è da escludere che le prostitute anticamente fossero delle sacerdotesse, sul modello delle Ierodule.
Nel pantheon indù ogni aspetto dell'essere, ogni Dio non ha alcuna esistenza, alcuna realtà, alcun potere di manifestarsi se non quando si unisce alla sua compagna, alla sua controparte femminile, la sua Shakti, la sua potenza. L'unione del fallo e della vagina (*) è il simbolo stesso della potenzialità creatrice dell'essere divino così come della realtà cosmica e fisica della creazione. L'atto sessuale, per il suo valore simbolico e creativo, è il rito più importante e il mezzo più efficace per partecipare all'opera cosmica.
Curiosamente, Vishnu ha sia forma maschile che femminile che femminile-mascolina: Mahalasa
(*) Si tenga presente che nell'Induismo veniva adorata anche la Vagina Mestruata. Vedi il culto a Lajja Gauri.
L'unica Dea non accompagnata da nessun Dio maschile è Dhumavati, la Dea Vedova... https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/dhumavati-una-dea-molto-doom-metal.html
Anche se in qualche fonte sarebbe stata lei la prima moglie di Shiva. Ad ogni modo Dhumavati è la Dea più atipica del pantheon indù e anche la più temuta. Vedi gli approfondimenti qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/dhumavati-una-dea-molto-doom-metal.html
La mia ipotesi è che la condizione delle vedove indù sia stata pesantemente influenzata anche dal concetto di Dhumavati.
Nelle Upanishad si paragona l'unione sessuale al fuoco e al focolare: Agni, Dio del fuoco, principio maschile, si dirige nel Kunda, il focolare dell'altare, immagine del principio femminile.
Nota di Lunaria: presso gli Ainu, la Divinità più potente era proprio la Dea del focolare, Fuchi Kamui.
Le Upanishad così descrivono l'atto sessuale: "La donna è il focolare, l'organo maschile è il fuoco, le carezze sono il fumo, la vulva è la fiamma, la penetrazione il tizzone, il piacere la scintilla. In questo fuoco gli Dei sacrificano il seme e nasce un bambino. L'invito è l'invocazione della divinità. La proposta è il primo inno di lodi. Giacere accanto alla donna è l'inno di gloria. Stendersi sopra la donna è il coro"
In tal senso, Shiva si identifica con ogni pene in erezione e Krishna è colui che dice "Io sono il piacere in tutti gli esseri". Tra l'altro è vero che l'Induismo è una religione ascetica, ma l'ascetismo e la rinuncia dovrebbero essere l'ultima fase della vita; prima si dovrebbe realizzare il Kama (il Piacere), il terzo senso della vita, in tutte le sue forme. Difatti, il Kama Sutra, dichiara, come se fosse un
paradosso, che "colui che conosce tutti i segreti dell'arte erotica diviene casto"
Infine, una breve citazione a quei culti dedicati a Ganapati e Skanda, i figli di Shiva e i riti espressamente dedicati agli omosessuali e ai transessuali. Per esempio Bahuchara
Nota Bene: pretendere di trattare in poche righe la condizione della donna nell'Induismo è da insensati, considerata la storia millennaria e la miriade di dottrine che hanno attraversato l'India, incluse le dominazioni straniere; qui mi limito a riportare in linea generale qualche nozione utile per inquadrare la questione. Si tenga presente che l'India è stata governata anche da regine come Rani Chennamma di Keladi; purtroppo, da quello che ho potuto vedere, mancano fonti in italiano e non posso davvero sobbarcarmi anche il compito di tradurre fonti in inglese (né tantomeno di visionare libri in inglese sull'argomento). Comunque, in linea generale, si tenga presente che la condizione della donna è peggiorata con l'arrivo delle infiltrazioni islamiche e anche cristiane e che una storia "solo maschile" dell'India ha più o meno uno spessore di 800 e passa pagine...
QUALCHE APPROFONDIMENTO SUGLI DEI PRINCIPALI, tratto da
VISHNU
Grande divinità dell'induismo classico, con Shiva, il cui culto, molto popolare, è tenuto in vita da molti raggruppamenti di fedeli (visnuisti). Vishnu compare nei Veda, ove è alleato a Indra, il re degli Dei, che egli aiuta nelle sue lotte, creando lo spazio tra il cielo e la terra. è anche associato ai riti sacrificali. Tuttavia è solo in epoca posteriore, all'epoca del Mahabharata e dei Purana, che Vishnu compare con tutti quegli attributi che ne fanno un Dio maggiore, e per i suoi devoti, il Dio supremo.
Nella Trimurti, a fianco di Shiva il Distruttore e Brahma il Creatore, egli è il Protettore o Preservatore del mondo e a questo scopo egli compie molte mitiche imprese.
Vishnu è soprattutto un Dio benevolo, anche se talora assume aspetti terribili, che, disteso sull'oceano del caos, contempla il mondo e vigila sulla sua evoluzione. Quando occorre, interviene nella creazione per mezzo dei suoi avatar, soprattutto Krishna e Rama (*), manifestazioni che lo shivaismo invece non conosce, perché Shiva si tiene in disparte e non partecipa alla creazione.
(*) Comunque, qualche indù che sia filo-cristiano considerà gesù cristo un avatar di Vishnu.
Vishnu ha ispirato tutto un movimento religioso, il visnuismo, di cui fanno parte anche i fedeli di Krishna, di Rama, di Lakshmi, sposa e shakti di Vishnu.
Le sette visnuiste hanno svolto in passato un ruolo importante nella storia dell'India. Vishnu viene identificato con l'Assoluto, ciò che dà una colorazione monoteista al visnuismo, mentre le sue numerose incarnazioni o meglio manifestazioni, gli avatar, sono in consonanza con la concezione induista, che prevede una pluralità di manifestazioni divine, e hanno contribuito allo sviluppo del dio antropomorfo.
Il culto della bhakti, la devozione ad una divinità personificata, è strettamente legato al movimento visnuista.
Tra i grandi testi visnuisti, oltre alla Bhaghavad Gita citiamo anche la Bhagavata Purana (Vishnu è il Bhagavat, il Beato, e i suoi devoti sono chiamati Bagavata, "Devoti del Beato") e tra i maestri spirituali più importanti del visnuismo nominiamo Ramanugia (secolo XI)
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LE PRIME CIVILTA' DELL'INDIA
Le prime civiltà del subcontinente indiano fiorirono nel periodo fra il III millennio e il VI secolo a.c. In questa data incominciano a delinearsi alcuni degli originari elementi distintivi di quella che sarebbe stata la prima civiltà indiana. Nel subcontinente indiano l'uso di tecniche agricole incominciò a diffondersi a partire dal 7000 a.c . In almeno un caso, quello di Mehrgarh, presso il fiume Bolan (nell'attuale Baluchistan), sede di una civiltà calcolitica (basata sull'utilizzo di utensili di pietra e di rame) si sono trovati i resti di silo (indizio di un'agricoltura non più solo di sussistenza) già a partire dal 4300 a.c.
(Nota di Lunaria: per approfondire vedi questo link http://www.frru2.altervista.org/ARCH/VEP/NEO/SCI/PK.htm )
è da questo periodo che vi è la graduale espansione nel subcontinente di comunità agricole e a partire dal 3200, l'emergere di centri protourbani. Nel corso del 26002500 a.c. questo processo di crescita protourbana divenne così pronunciato che sir John Marshall, l'archelogo che la scoprì negli anni '20, la battezzò "Civiltà dell'Indo". Oggi, soprattutto in seguito ad una nuova e intensa fase di ricerche in corso dal 1947 a opera di archeologi sia indiani che pakistani, sappiamo che la civiltà dell'Indo (o cultura di Harappa) si estendeva ben oltre il Pakistan, fino a comprendere l'Afghanistan e la parte orientale dell'altopiano iranico, mentre a oriente era presente sia nella valle gangetica, sia nel Rajastan, sia nel Gujarat.
L'insieme dei territori su cui si sono ritrovati resti di centri urbani appartenenti alla civiltà dell'Indo ha un'estensione di un milione e mezzo di chilometri quadrati, il che fa della civiltà dell'Indo la più estesa civiltà allora esistente, più vasta delle civiltà dell'Egitto e della Mesopotamia. Questa civiltà raggiunse la piena maturità tra il 2500 e il 2000 a.c per poi attraversare subito dopo una crisi che la vide in declino nella zona della valle dell'Indo, ma in vigorosa espansione a oriente di tale zona, tra l'Haryana e il Gujarat. Infine, a partire dal 1600 a.c la civiltà dell'Indo entrò in una fase di decadenza per poi scomparire entro il 1500 a.c.
La civiltà dell'Indo era caratterizzata dalla conoscenza della scrittura, dall'addomesticamento di varie specie animali (ma non, a quanto sembra, del cavallo), dall'uso di rame, bronzo, vasellame di terracotta (ma non del ferro).
I rapporti commerciali fra la civiltà dell'Indo e quelle mesopotamiche si svolgevano anche - e soprattutto - via mare.
Originariamente, subito dopo i primi ritrovamenti ad Harappa, il crollo di questa civiltà viene spiegato facendo riferimento all'invasione del subcontinente da parte di popoli collettivamente conosciuti come arya o indo-arya. Un'ipotesi che sembra essere confermata dal rinvenimento di scheletri con chiari segni di morte violenta anche se oggi l'ipotesi prevalente sulla scomparsa delle civiltà dell'Indo pone l'accento su fattori di natura ecologica (catastrofi naturali provocate da mutamenti tettonici che deviando il corso dell'Indo causarono inondazioni).
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LE PRIME CIVILTA' DELL'INDIA
Le prime civiltà del subcontinente indiano fiorirono nel periodo fra il III millennio e il VI secolo a.c. In questa data incominciano a delinearsi alcuni degli originari elementi distintivi di quella che sarebbe stata la prima civiltà indiana. Nel subcontinente indiano l'uso di tecniche agricole incominciò a diffondersi a partire dal 7000 a.c . In almeno un caso, quello di Mehrgarh, presso il fiume Bolan (nell'attuale Baluchistan), sede di una civiltà calcolitica (basata sull'utilizzo di utensili di pietra e di rame) si sono trovati i resti di silo (indizio di un'agricoltura non più solo di sussistenza) già a partire dal 4300 a.c.
(Nota di Lunaria: per approfondire vedi questo link http://www.frru2.altervista.org/ARCH/VEP/NEO/SCI/PK.htm )
L'insieme dei territori su cui si sono ritrovati resti di centri urbani appartenenti alla civiltà dell'Indo ha un'estensione di un milione e mezzo di chilometri quadrati, il che fa della civiltà dell'Indo la più estesa civiltà allora esistente, più vasta delle civiltà dell'Egitto e della Mesopotamia. Questa civiltà raggiunse la piena maturità tra il 2500 e il 2000 a.c per poi attraversare subito dopo una crisi che la vide in declino nella zona della valle dell'Indo, ma in vigorosa espansione a oriente di tale zona, tra l'Haryana e il Gujarat. Infine, a partire dal 1600 a.c la civiltà dell'Indo entrò in una fase di decadenza per poi scomparire entro il 1500 a.c.
Grazie alla ricerche archeologiche, aiutate da rivelazioni satellitari, oggi sappiamo che, oltre a Harappa e Mohenjo-daro
esistevano altri centri urbani di comparabile importanza (Rakhigarhi, Ganweriwala). Un altro sviluppo che ha alterato le nostre iniziali idee sulla civiltà dell'Indo, è la scoperta che il numero maggiore dei siti è disposto non lungo l'Indo ma ai lati del corso ormai prosciugato di un fiume che, partendo dall'Himalaia, scorreva negli odierni stati indiani dell'Haryana e del Rajastan, per poi proseguire nel Pakistan e sfociare nel Pantano di Kuch. Questo fiume, che si chiama Ghaggar nella sua parte indiana e Hakra in quella pakistana, sarebbe, secondo alcuni, il mitico fiume Sarasvati descritto nel Rig Veda come il più grande dei fiumi, "grande come l'oceano" che sorgeva dalle montagne e scorreva fra il Sutlej e lo Yamuna prima di sfociare nel mare. La civiltà dell'Indo era caratterizzata dalla conoscenza della scrittura, dall'addomesticamento di varie specie animali (ma non, a quanto sembra, del cavallo), dall'uso di rame, bronzo, vasellame di terracotta (ma non del ferro).
I rapporti commerciali fra la civiltà dell'Indo e quelle mesopotamiche si svolgevano anche - e soprattutto - via mare.
Originariamente, subito dopo i primi ritrovamenti ad Harappa, il crollo di questa civiltà viene spiegato facendo riferimento all'invasione del subcontinente da parte di popoli collettivamente conosciuti come arya o indo-arya. Un'ipotesi che sembra essere confermata dal rinvenimento di scheletri con chiari segni di morte violenta anche se oggi l'ipotesi prevalente sulla scomparsa delle civiltà dell'Indo pone l'accento su fattori di natura ecologica (catastrofi naturali provocate da mutamenti tettonici che deviando il corso dell'Indo causarono inondazioni).
Per approfondimenti vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/09/arte-asiatica-2-lindia-nei-periodi.html
IL SIMBOLISMO DEL 4 E DEI COLORI
La vita dell'uomo, individuale o collettiva, appare, secondo la concezione indù, regolata in tutte le sue forme dal numero 4 e presenta quindi sempre quattro aspetti. Ci sono dapprima i 4 periodi di evoluzione di tutti gli esseri: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. In ognuno di questi periodi predomina uno dei quattro scopi della vita, che sono la virtù, il piacere, il successo e la liberazione. Si intende per virtù ("Dharma") l'arte del comportamento conforme ai dati propri di ogni essere. La virtù è quindi l'osservanza di un codice di condotta determinato per ogni persona dalla sua natura e dalla sua nascita: le virtù di un re non sono le stesse di quelle di un artigiano. (Nota di Lunaria: è questa concezione "fissista" che infatti causa le caste e la misoginia indù... anche se come vedremo probabilmente inizialmente le caste venivano viste come un'occasione per regolarizzare la società in un periodo di forte anarchia sociale... peccato che oggigiorno ruoli così rigidamente fissati non servano più al benessere della società!). Vengono poi i piaceri dei sensi ("Kama") di cui ciascuno deve realizzare la pienezza nella giovinezza. (*) Durante l'età matura ognuno deve realizzarsi sul piano sociale, ottenere il successo, i beni, la ricchezza e il potere che costituiscono il terzo scopo ("Artha"). Il quarto scopo, la realizzazione spirituale, legata alla rinuncia che conduce alla liberazione ("Moksha") deve predominare nella quarta età, la vecchiaia. In nessuna età della vita si può realizzare pienamente uno di questi scopi se vengono trascurati gli altri.
Anche l'evoluzione dell'umanità è divisa in 4 Età (**) che cominciano con l'Età della Verità ("Satya-yuga") o Età dell'Oro e finiscono nel Kali-Yuga, l'età dei disordini e dei conflitti. Quando si trova in uno stato di equilibrio ogni società è ripartita in 4 gruppi principali: classe intellettuale, guerriera, agricola/mercantile, operaia; da questa ripartizione è sorta la nozione di casta. In particolare, si pensa che ciascuno gruppo sia orientato verso una particolare virtù: gli intellettuali alla Moksha, i guerrieri al Dharma, gli agricoltori/commercianti verso l'Artha e gli artigiani verso il Kama.
Secondo la tradizione indù vi sarebbero state 4 creazioni successive, che corrispondono alle 4 razze degli uomini. Le diverse razze si situano dunque a differenti livelli di evoluzione corrispondenti alle età della vita. La razza più antica, da cui viene la casta dei sacerdoti, è bianca. La seconda razza, quella dei guerrieri, dei nobili e dei re è rossa. La terza razza (agricoltori e commercianti) è gialla, la quarta (artigiani) è nera. (***) Questi colori rivestono un carattere simbolico e la divisione della 4 caste si ritrova all'interno di ciascuna delle razze umane così come noi le conosciamo. Ogni gruppo ha i vantaggi, i diritti e i doveri inerenti alla sua natura, al suo stato sociale.
(*) Peraltro, la cosa interessante è che l'Induismo non vede il matrimonio come un'occasione per "i piaceri dei sensi"; è piuttosto un dovere procreativo. L'amore e il piacere sono celebrati nell'amore extraconiugale, allegorizzati in Krishna e Rada, che, nella loro valenza erotica, sono anche simboli dell'Anima che cerca Dio e si fonde in lui.
(***) Simbolismo dei colori che ritorna nel culto a Bhairavi.
Bhairavi è un'incarnazione feroce e guerriera di Shakti, che è spesso associata alla distruzione, ma non in senso negativo. La Dea distrugge la negatività, l'ego, l'infelicità, il dolore e i problemi dei suoi devoti. è la consorte di Bhairava ed è una Dea guerriera che uccide i demoni per portare ordine e pace nell'universo. Il suo nome deriva da tre parole: Bharana, (Creare), Ramana, (Proteggere), Vamana, (Emettere) è la Dea che ha il potere di creare, mantenere e distuggere. è anche legata al terrore. è anche chiamata "Shubhankari", che significa "Colei che è una Buona Madre con chi compie buone azioni ma che è Terribile con chi compie peccati". è la personificazione della Luce, che può illuminare o può bruciare. Cavalca un asino ed è molto spesso collegata a Kali.
Altre Dee legate all'asino sono Shitala e Kalaratri. https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/lasino-e-seth.html
STORIA E CASTE
L'indù vive nell'eternità. Egli è profondamente cosciente della relatività dello spazio e del tempo, del carattere illusorio del mondo delle apparenze. Non attribuisce quindi che un'importanza secondaria agli avvenimenti ai quali pure partecipa. Considera la storia come l'espressione di una serie di cicli la cui evoluzione riporta l'umanità approssimativamente al punto di partenza. La storia interessa gli indù nella misura in cui essa mette in evidenza alcune leggi eterne o alcune manifestazioni del divino. Essa è ritmata dalle incarnazioni degli Dei, incarnazioni che vengono chiamate avatara o "discese".
I primi popoli che abitarono l'India appartengono a una razza imparentata con gli australoidi e le popolazioni delle montagne dell'Indocina così come le più antiche etnie delle popolazioni africane. Essi parlano la lingua munda e sono a tutt'oggi in India. Abitano nelle foreste e negli altipiani dell'interno. Rifiutano ancora di praticare l'agricoltura che essi considerano come un oltraggio alla terra, nostra madre. (1) Compongono società quasi sempre matriarcali (2). Entrando in contatto con i successivi invasori, hanno, a poco a poco, perduto la loro lingua. Costituiscono oggi alcune caste artigianali e hanno conservato leggende orali estremamente antiche che riguardano i loro re, regni, le loro città di epoche dimenticate.
La prima grande civiltà dell'India, della quale sono state rinvenute importanti vestigia, e le cui città, abbandonate dopo il II millennio a.c, e oggi ricoperte di sabbia, ci mostrano una raffinatissima civiltà urbana, viene chiamata civiltà dell'Indo. I Purana menzionano ripetutamente il VI millennio come un'epoca importante per lo sviluppo delle scienze e delle arti. è proprio tra il VI e III millennio che si sviluppò in India una grande civiltà urbana che raggiunse l'apogeo poco prima dell'invasione degli arii. Ed è da questa civiltà che ci giungono la religione e la filosofia shivaita.
Precisazione di Lunaria: l'Autore, Alain Daniélou, da qui in poi giustifica il sistema delle caste. Riporta minuziosamente i particolari e l'evoluzione storica-concettuale delle caste. A suo dire, le caste servirono (e servono, sempre secondo lui) ad organizzare una società corporativa, suddivisa in tante razze e ceti, ognuna con propri diritti e doveri, e Daniélou vede le caste come un mezzo di sostentamento intelligente (!) per mantenere, per ciascun gruppo, le proprie istituzioni sociali e civili, perché "l'incrocio" (tramite matrimoni o rapporti informali) di razze/caste diverse provocherebbe "squilibrio, anarchia". L'Autore è quindi d'accordo con il sistema delle caste, e quindi critico verso un concetto di democrazia "che renda tutti uguali" perché le differenze servirebbero a cementare la società: "Alcuni uomini straordinari per la loro capacità di visione e per la loro saggezza fissarono un piano che doveva permettere a tutti di esistere, evitando il nefasto incrocio delle razze e le distruzioni inutili di istituzioni, costumi, modi di pensare e di agire."
Potrei riportare moltissime altre citazioni, perché di fatto per tutto il libro l'Autore tesse elogi al sistema castale, a suo dire, "inficiato e peggiorato" solo con l'arrivo dell'islam. Su questo posso anche essere d'accordo, l'islam difatti portò regresso e la condizione della donna in India degradò sempre di più dal Medioevo in poi. Comunque, l'Autore mi sembra un po' sospetto nel fare apologia a qualcosa che non ha neanche vissuto sulla sua pelle, ovvero la segregazione castale (era cittadino francese, convertitosi all'induismo verso gli anni '50). Da fuori potrà essergli sembrato un gran bel sistema, ma i dalit (gli intoccabili fuori casta) e le sati non lo so se la pensano allo stesso modo... e inoltre non mi piacciono gli autori, siano essi cristiani o meno, che fanno lodi sperticate e acritiche ai dogmi religiosi. Esattamente come un cristiano fanatico se ne guarda bene dal criticare dogmi e idee palesemente misogine, questo Alain Daniélou presenta le caste e la segregazione razziale come "una gran bella cosa per salvaguardare la società in modo armonioso". è vero che riporta in modo certosino tutti i particolari per ciascuna casta (peraltro facendo notare che la casta più oppressa, da divieti e tabù, sia proprio quella dei Brahmani - pensate che non possono neanche venir sfiorati dall'ombra di qualcuno!) ma la sua esposizione, così entusiasta, rasenta l'apologia dogmatica tanto da "genuflettersi" di fronte a qualsiasi cosa sia stata detta dal Brahmano e dalla Legge di Manu di turno. E io non ho simpatia per chi difende le idee (cose astratte) a discapito della dignità delle persone reali e vere, che queste idee spesso le subiscono, così come non ho simpatia per idee di secoli fa che suddividono le persone in "superiori" e "inferiori", "chi comanda" e "chi è comandato". Non importa che esse siano monoteiste o politeiste. L'Autore per esempio, a pagina 35, scrive frasi come "L'incrocio delle razze è nefasto. L'essere che nasce da una tale combinazione non ha più un posto definito nella gerarchia del mondo", che per l'Autore è proprio quella delle caste; "Dobbiamo allora ritenere che le caratteristiche fisiche e mentali delle differenti specie di uomini, in particolare il colore della pelle, siano puri accidenti (...) oppure che si tratti di caratteristiche volute da divinità responsabili (...) e che corrispondano a un ruolo definito da giocare nel mondo e nella società umana? (...) Il sistema delle caste persegue dunque lo scopo di riunire armoniosamente le differenti razze, le differenti specie di esseri umani"
Inoltre, è aberrante che l'Autore a pagina 67 sia concorde con l'idea indù che una donna violentata debba diventare prostituta, perché ormai quello è il suo ruolo, il suo "dharma", e non può più diventare madre di famiglia, ma anzi, deve darsi a tutti i brahmani, gratuitamente!
Valutate voi a che grado di regresso se non demenza mentale possono arrivare sedicenti "accademici famosi in tutto il mondo" come Alain Daniélou !!! Con un'affermazione come questa qui sopra che ho fotografato, non mi stupirebbe scoprire che costui (morto nel 1994) fosse pure a favore del rogo delle sati!!!!
Per approfondire il sistema castale e le disuguaglianze sociali aberranti che causa:
http://www.manuelmarangoni.it/onemind/3435/caste-indiarigida-tradizione-millenaria/
https://intervistemetal.blogspot.com/2019/08/india-il-sistema-castale_10.html
(1) Nota di Lunaria: Mircea Eliade ne parlava a fondo nel suo "Trattato di storia delle religioni". Ne riporto il paragrafo:
Una delle prime teofanie della terra in quanto tale, specialmente in quanto strato tellurico e profondità ctonia, fu la sua ‘maternità’, la sua capacità inesauribile di dare frutti. Prima di essere considerata una Dea madre, una divinità della fecondità, la terra si è imposta direttamente come Madre, Tellus Mater. L'ulteriore evoluzione dei culti agricoli, mettendo in chiaro con precisione sempre maggiore la figura di una Grande Dea della vegetazione e dei raccolti, finì col cancellare le tracce della Terra Madre. In Grecia Demeter si sostituì a Ge. Nondimeno i resti dell'antichissimo culto della Terra Madre affiorano nei documenti arcaici ed etnografici. Un profeta indiano Smohalla, della tribù umasilla (Stati Uniti), vietava ai suoi discepoli di zappare la terra perché, diceva, ‘è un peccato ferire, tagliare, lacerare o graffiare la nostra comune madre con lavori agricoli’. E giustificava così il suo atteggiamento contrario all'agricoltura: ‘Mi domandate di lavorare la terra? Prenderò dunque un coltello per immergerlo nel petto di mia madre? Mi domandate di zappare e di togliere i sassi? Debbo dunque mutilare la sua carne per arrivare fino alle sue ossa? Mi domandate di tagliare l'erba e il fieno, venderlo e arricchirmi come fanno i bianchi? Ma come oserei tagliare i capelli di mia madre?’ Questa devozione mistica per la madre tellurica non è un fatto isolato. I membri di una tribù dravidica primitiva dell'India centrale, i Baiga, praticano l'agricoltura migratoria, contentandosi di seminare unicamente sulla cenere che rimane quando certi tratti della giungla sono stati incendiati. E fanno tutta questa fatica perché ritengono peccato ‘lacerare il seno della madre-terra con l'aratro’. Anche i popoli altaici credono che sia grave peccato strappare l'erba, perché la Terra ne soffre, precisamente come soffrirebbe un uomo se gli strappassero i capelli o la barba. I Votiak, che sono avvezzi a deporre le loro offerte in un fosso, hanno cura di non ripetere quest'operazione in autunno, perché in quel periodo dell'anno la terra dorme. I Ceremissi credono spesso che la Terra sia ammalata, e allora evitano di sedersi per terra. Si potrebbero moltiplicare le prove della persistenza di tali credenze circa la Terra-Madre presso i popoli non agrari, o agrari solo sporadicamente. La religione della terra, anche se non è la più antica religione umana, come credono alcuni studiosi, è fra le più dure a morire. Una volta consolidata nelle strutture agricole, i millenni le passano sopra senza cambiarla. Talvolta non presenta soluzioni di continuità, dalla preistoria ai giorni nostri. Per esempio, la ‘torta dei morti’ (in romeno "coliva") era conosciuta con lo stesso nome nell'antichità greca, che l'aveva ricevuta in eredità, con lo stesso nome, dalle civiltà preistoriche pre-elleniche. Altri esempi di continuità, nell'ambito dello stesso complesso formato dalle religioni telluriche agrarie, saranno ricordati più oltre. Dieterich pubblicò nel 1905 un libro che è subito diventato un'opera classica. Emil Goldmann e altri dopo di lui, e - più prossimo a noi - Nilsson, hanno mosso obiezioni di ogni specie alla teoria di Dieterich, senza riuscire a infirmarla nella sua totalità. Dieterich inizia il suo studio ricordando tre costumanze dell'antichità - deposizione del neonato sulla terra, inumazione dei bambini (in contrasto con l'incinerazione degli adulti), malati e agonizzanti distesi per terra - onde ricostruire la fisonomia della Deaterra arcaica della ‘Terra-Madre-di-tutto’ ("pammétor Ge") ricordata da Eschilo, della Gaia che Esiodo aveva cantato. Intorno alle tre pratiche arcaiche si sono accumulati documenti in numero impressionante, e sono avvenute controversie che qui non possiamo riferire. Cerchiamo di vedere che cosa ci insegnano i fatti e in quale complesso religioso si inquadrano.
Anche oggigiorno, è molto seguito il culto di Shakambhari, la Dea delle verdure e dei vegetali
(2) Nota di Lunaria: una delle ultime etnie matriarcali in India erano i Khasis. Erano legati soprattutto al culto di Sri Kamakhya, potente Dea Madre, che rappresenta gli aspetti della Natura, il Grembo Cosmico, legata al tantrismo e allo shaktismo.
I Khasi, forzati a diventare patriarcali, anche sotto l'influsso cristiano, nel 18° secolo, attualmente sono solo matrilineari, ma anticamente le donne erano leader della comunità e Sacerdotesse.
L'ORIGINE DEL MONDO NEI RIG VEDA
Dalla lettura dei testi è chiaro come la religione vedica abbia attraversato un'evoluzione per cui, entro la fine del periodo, una tradizione religiosa basata sulla descrizione delle gesta di divinità guerriere, incarnazione delle forze naturali, incominciò ad essere reinterpretata in senso simbolico. L'origine della razza umana venne rappresentata attraverso il mito del sacrificio del maschio primigenio, Purusha, dalle cui membra nacquero i rappresentanti dei quattro varna (i brahmani dalla bocca, gli kshatriya, i guerrieri, dalle braccia, i vaishya, contadini e artigiani, dai lombi e gli shudra, i servitori, dai piedi). Ma, accanto a questi miti, nel più tardo periodo vedico incominciarono a
manifestarsi i germi di una riflessione più profonda. Così nel poema sull'origine del mondo, (Rig Veda, libro 10, inno 129) si dice:
"Non c'era alcun non-esistente; e non c'era esistente a quel tempo. Non c'era lo spazio intermedio né il cielo oltre a esso. Che cosa si mosse? E sotto il controllo di chi? C'era dell'acqua? L'abisso era profondo. Non c'era allora né morte né mancanza di morte. Non c'era segno né del giorno, né della notte. L'Unico respirava senza alito grazie al proprio potere indipendente. Non vi era altro che quello. Il desiderio nacque in principio, il quale fu il primo germe del pensiero... C'era qualcosa sopra? O sotto? C'erano altri poteri d'inseminazione e poteri di espansione? Chi veramente lo sa? chi lo proclamerà? Da qui le cose vennero in essere, di qui la creazione. Gli Dei sono da questa parte, insieme con la creazione di questo mondo. Di conseguenza, quindi, chi sa da dove venne in essere? Questa creazione, da dove venne in essere, se fu realizzata da un creatore o in altra maniera, colui che è il guardiano del cielo più alto, sicuramente lo sa. O, se egli non lo sa...?"
Accanto a una riflessione religiosa-filosofica che dal mito mosse in direzione dei primi germi di una concezione filosofica non superficiale, la classe sacerdotale vedica sviluppò un culto basato su di un ritualismo sempre più complesso, volto a propiziare le forze della natura. Secondo la visione del mondo elaborata dai brahmani, la celebrazione di riti generava forze che determinavano il funzionamento del cosmo, obbligando gli stessi Dei a comportarsi secondo il volere di brahmani. Una spiegazione alternativa può essere suggerita facendo riferimento a ciò che sappiamo delle classi sacerdotali d'Egitto e della Mesopotamia. Non vi è dubbio che, all'origine del potere di tali classi c'era la capacità di organizzare il ciclo agricolo, utilizzando le loro conoscenze d'astronomia. Si può quindi ipotizzare che questo sia stato il caso anche per i brahmani, specie se si tiene conto della loro possibile discendenza della classe sacerdotale della civiltà dell'Indo (una civiltà basata su un'agricoltura relativamente assai sviluppata). Una tesi, questa, rafforzata dalla constatazione che l'ascesa della classe brahmanica coincise con la crescente sedentarizzazione degli arya e con il rovesciamento dell'impotanza relativa fra allevamento e agricoltura.
L'ALTO MEDIOEVO (TANTRISMO E BHAKTI)
Dal punto di vista filosofico-religioso, l'alto Medioevo indiano è caratterizzato da una serie di importanti sviluppi. Il primo su cui conviene soffermarsi è il Tantrismo, un complesso di idee che incominciarono a diffondersi a partire dal V secolo e che nel VII secolo divennero prevalenti sia nel Brahmanesimo sia nel Buddhismo. Il Tantrismo - che prende il suo nome dai Tantra, i testi cioè che descrivono i rituali, gli incantesimi e le formule sacre tipiche di questa dottrina è caratterizzato dall'enfasi data alla forma femminile della divinità e dall'utilizzo di una serie di riti magici e di incantesimi che, attraverso il controllo in prima istanza del corpo e dell'universo fisico, permettono di ottenere la liberazione dalla realtà materiale, attraverso l'interruzione del ciclo delle nascite e delle morti. Come effetto del Tantrismo, questo periodo vide l'emergere di Devi come la Grande Dea e la comparsa, al fianco delle principali deità del pantheon induista, di Dee dotate di grandi poteri: Lakshmi (moglie di Vishnu), Parvati, Durga e Kali come manifestazioni della compagna di Shiva.
Sintomaticamente, questa evoluzione caratterizzò anche il Buddhismo e accanto ai vari bodhisattva maschili comparvero bodhisattva di genere femminili: le Tara ("Salvatrici")
Nota di Lunaria: Tara, a sua volta, ha diversi aspetti
Il Tantrismo aveva una forte componente esoterica: i suoi segreti venivano rivelati solo agli iniziati da un maestro; i riti stessi e le pratiche magiche, poi, potevano venir celebrati senza pericolo solo con la guida di un maestro e con l'aiuto di formule magiche, dette mantra.
è stato ipotizzato che il tantrismo non fosse che il riemergere di culti originari che avevano continuato a essere praticati dalle masse più umili della popolazione. Il culto della Dea Madre risaliva alla cultura dell'Indo e a prima ancora. Allo stesso modo, l'utilizzo di riti magici, come la pratica della stregoneria in Europa, ha probabilmente un'origine addirittura nel periodo neolitico.
Un altro aspetto degno di nota del Tantrismo fu poi il fatto che, fra coloro che partecipavano ai riti, non vi erano distinzioni di sesso e di estrazione socio-castale, un fatto che di per sé aiuta a spiegare l'avversione al tantrismo da parte degli ambienti brahmanici tradizionali (Nota di Lunaria: nel Tantrismo non c'era gerarchia perché erano culti per donne; il concetto di gerarchia, disuguaglianze e inferiorità è tipico delle società patriarcali e androcentriche)
Un secondo importante sviluppo religioso di questo periodo è il movimento della Bhakti; nato nel Tamil Nadu (nell'estremo Sud) nel VII secolo è poi diffusosi nel resto dell'India, il movimento della Bhakti è caratterizzato dal misticismo, con una forte enfasi sul rapporto diretto fra il singolo e Dio (un rapporto che è visto come unione amorosa: Bhakti, appunto)
Nota di Lunaria: qualche collegamento, con tutti i distinguo del caso ovviamente, lo si potrebbe comunque fare con il cristianesimo mistico e anche con il sufismo. Ovviamente ambedue sono stati movimenti spesso perseguitati sia dal cattolicesimo che dall'islam più conservatori. Comunque, per il misticismo islamico, uno dei nomi-chiave con cui chiamare il Dio coranico è AlWadūd, che significa proprio "L'amato".
Accanto al Tantrismo e al movimento della Bhakti, il panorama intellettuale dell'epoca fu caratterizzato da una vigorosa opera di sistematizzazione filosofica dell'Induismo. La più brillante delle personalità che si cimentarono in questa impresa fu un brahmano, Shankara (788-820), che divenne il massimo esponente del sistema Vedanta (o Advaita), una delle sei scuole filosofiche in cui giunse ad articolarsi la tradizione intellettuale brahmanica.
GLI ASTRI E LE PIANTE
Nel pensiero Indù non trovano posto alcun dualismo irriducibile, alcuna opposizione reale nel gioco dei contrari all'interno del quale funzionano tutte le nostre percezioni. Che il contrasto sia spirito o materia, cosciente e incosciente, inerte e vivente, giorno e notte, bianco e nero, bene o male, passivo o attivo, si tratta sempre di opposizioni fra elementi complementari e interdipendenti, che esistono solo l'uno in rapporto con l'altro. L'Universo è una speculazione, un gioco di probabilità, di possibilità che non è unico, che potrebbe essere differente, che è differente in altre dimensioni, in altri spazi. La scienza moderna lo scopre ogni giorno un po' di più. L'Essere Cosmico immagina incessantemente altri universi che esistono su altri piani rispetto a quelli che noi percepiamo. Questi universi immaginati ma non realizzati, queste fantasie mentali dell'Essere Cosmico vengono rappresentati nella simbolica indù dalle incantevoli fanciulle celesti, le Apsaras, che sono le potenzialità increate.
Anche all'interno del mondo che noi crediamo di conoscere esistono altri mondi, ordini differenti di dimensione e di percezione che danno nascita a realtà differenti. Separati su certi piani, essi rimangono tuttavia collegati su altri. Nell'ordine di ciò che è percepibile per noi, non c'è soluzione di continuità tra i diversi livelli di creazione, fra la materia, la vita, il pensiero e la coscienza.
L'astronomia e l'astrologia nell'insegnamento tradizionale non sono scienze separate. Secondo i trattati classici, i pianeti rappresentano, su scala astronomica, diversi gradi di coscienza, tendenze diverse che ritmano l'evoluzione del mondo terrestre. Il Sole, da cui è stato generato il nostro piccolo mondo, rappresenta la somma di tutto ciò che noi siamo. Esiste dunque una coscienza solare, un pensiero solare, una memoria solare, una materia solare, un'intelligenza solare,
altrimenti da dove sarebbero venuti questi diversi elementi nella nostra sfera, frammento del Sole e da lui sorta?
Gli astri non hanno apparentemente alcuna potenza di azione indipendente. Tutti i loro movimenti sembrano prevedibili e intercambiabili. Lo stesso si può dire relativamente agli atomi, molto simili nella loro struttura ai sistemi solari ma che funzionano in coordinate di spazio e tempo differenti.
Per capire perché in alcune culture la Luna è maschile, suggerisco di leggersi l'analisi di Neumann al "Signore della Luna" e alle fanciulle mestruate.
Nell'Induismo si festeggia anche la festa di Karwa Chauth, celebrata nel nord dell'India. Le donne sposate digiunano un giorno intero e offrono preghiere alla Luna per chiedere prosperità, fertilità, successo, longevità per i loro mariti. Usando un setaccio o un vaglio, riescono a
vedere i visi dei loro mariti. Mi sembra, tenendo presente anche l'analisi di Neumann, che l'idea sia che al "Signore della Luna" possano rivolgersi sole le donne, perciò in questo contesto sono le donne le mediatrici tra il Dio e l'essere umano; ecco perché sono le donne che chiedono alla Luna di avere prosperità e longevità per i mariti, che non possono fare direttamente questa richiesta alla Luna.
Molto prima degli scienziati moderni, gli indù hanno osservato che il primo stadio della coscienza, della vita, appare, a livello delle percezioni umane, nei fenomeni di cristallizzazione. I cristalli ci rivelano la natura numerica della loro sostanza e rappresentano un primo passo verso l'organismo vivente e cosciente.
Vengono poi le forme vegetali e animali che si orientano in sensi differenti. Le osservazioni sulla sensibilità, sull'affettività e la ricettività emotiva delle piante hanno sempre interessato gli indù: i recenti lavori di un celebre scienziato, Jagadish Chandra Bose, hanno permesso di dimostrare l'esistenza di elementi di affettività, simpatia, emozione, gioia, di sofferenza, nei vegetali.
SAMADHI
Per Samadhi (unione) si intende uno stato di identificazione quasi totale ma temporanea fra l'essere vivente e l'essere divino. Questo stato presenta tutte le caratteristiche apparenti del sonno e talvolta della morte. L'uomo esperto negli esercizi dello Yoga arresta la respirazione, arresta i battiti del cuore, arresta tutti i movimenti del pensiero e, immobile, contempla nella caverna del suo cuore l'immagine dell'essere divino che a poco a poco si espande e lo riempie interamente. Il Samadhi si presenta sotto due forme. La prima, che corrisponde a una visione, a una percezione del divino, è temporanea e il corpo dopo un certo periodo di sospensione ritorna alla vita e all'essere, interiormente già liberato attraverso questa esperienza: riprende le attività umane e può comunicare qualcosa della sua visione. Viene allora chiamato Liberato-in-vita (Jivanmukta) Nella seconda forma di Samadhi l'unione col divino diviene assoluta e la coscienza non reintegra più il corpo. Organicamente il corpo non è morto, ma l'anima e il principio che dirige la vita l'hanno abbandonato. Può sopravvivere un po' di tempo per automatismo, fino a quando l'apparenza di vita si arresta e la sua materia ritorna alla terra. Ma il corpo trasmigrante si dissolve nello stesso tempo e la catena delle vite successive è interrotta. In questa maniera devono morire i saggi, gli yogi, i santi e anche in linea di principio tutti i sannyasin, tutti gli uomini che attraverso le quattro epoche della vita hanno pienamente realizzato i quattro sensi. Quando desidera lasciare questo mondo, il saggio sceglie un'ora che sia propizia dal punto di vista delle congiunzioni astrali; dice addio ai suoi discepoli. Poi, seduto nella postura della realizzazione (Siddha-asana), arresta il respiro e i battiti del cuore ed entra per sempre in Samadhi. Di norma viene costruita intorno a lui, senza toccarlo, una tomba di pietre in cui il suo corpo rimane talvolta per anni senza corrompersi o ridursi in polvere. La realizzazione del Samadhi è abbastanza frequente in quanto i discepoli dei falsi profeti, che hanno avuto la sventura di morire di morte naturale, legano il corpo con delle cordicelle in una postura che assomiglia a quella dello yogi, per far credere che la morte sia stata volontaria. è così che sono finiti recentemente parecchi dei troppo celebri profeti dei moderni ashrama.
GLI ANUBBASHYA E IL CULTO A KRISHNA NELLA MISTICA AMOROSA
Nel suo desiderio di piaceri senza limiti il Creatore formò le donne che amano le donne e gli uomini che preferiscono gli uomini. Gli uomini della setta degli Anubbashya, al tempo di Akbar, si consideravano donne, vivevano e parlavano come donne. Krishna era il loro maestro, l'uomo maschio la sua immagine. I culti mistici krishnaiti hanno spesso incoraggiato gli stati di ambiguità sessuale in cui tutti i partecipanti coltivavano la natura femminile per meglio avvicinarsi all'amante divino.
Nota di Lunaria: infatti nel culto a Krishna è centrale l'amore adulterino tra il Dio (dalle sembianze spesso effemminate) e le pastorelle gopi, specialmente Rada.
Le immagini di Krishna con Rada sono decisamente erotiche e sensuali.
L'importanza di Rada, pur non essendo una Dea, èandata crescendo sempre di più, all'interno del culto di Krishna, che peraltro ha in sé anche un lato di infante divino bisognoso di cure e attenzioni... certo, non è che è solo il cristianesimo ad avere "un dio bambino"...
Rada, in tutta la sua bellezza, rappresenta l'Anima che raggiunge Dio e viene amata e vezzeggiata.
Andal è stata una devota di Vishnu, e una poetessa. Ha cantato il suo amore per Vishnu con rime amorose molto intense. era orfana, adottata da Periazhwar, che la trovò sotto una pianta di Ocimum tenuiflorum (una pianta aromatica, simile al basilico, anche se non è da confondersi con esso). Andal confezionava meravigliose ghirlande, e il Dio la sposò proprio dopo che lei confezionò una ghirlanda.
Ad ogni modo, per quanto Krishna abbia anche valenze guerriere è molto più celebrato dal punto di vista "amoroso" nei suoi divertimenti con le gopi; basta farsi un giro sui siti induisti, per vedere come le immagini di Krishna con le pastorelle o la sua fanciullezza siano molto più frequenti che non quelle del Krishna condottiero;
e Rada incarna il comportamento perfetto da tenere nei confronti del Dio: insomma, dolcezza e persino frivolezza estetica!
Anche Mira è un'altra donna celebrata per la sua devozione e santità.
Un altro nome è quello di Kunti Devi
Nei tempi antichi molti uomini vissero come donne, vestiti da donna e condividendo la vita dell'harem.
Nota di Lunaria: Frazer ci dedica un intero capitolo del suo "Matriarcato e Dee Madri"
è stato il Kama Sutra (ma esistono anche altri trattati) a stabilire, nei minimi dettagli, le posture erotiche. Bihari parlava di 64 elementi che costituiscono l'atto erotico, il tutto in 8 forme che hanno ciascuna 8 varianti. è degno di nota riportare questo stralcio tratto dal Siddhanta:
"Nell'amore, come nell'unione mistica, ci vuole una sincronizzazione nell'orgasmo altrimenti non si realizza il sentimento di identità che costituisce la vera realizzazione dell'amore fisico" (Pandit Madhavacharya)
Curiosamente, in alcuni periodi della storia dell'India, le prostitute erano stimate e celebri per la loro intelligenza, sapere, virtù. Il Sankhya, un trattato di Cosmologia, cita Pingala. Nel Bhakta-mala, la vita dei santi, la prostituta Varamukhi viene presentata come il modello della devozione assoluta.
Nota di Lunaria: ciò si spiega facilmente, per chi conosca un po' la mentalità induista. Infatti, il matrimonio non viene per niente stimato, è piuttosto un dovere, un affare burocratico; paradossalmente, è l'amore adulterino a venir celebrato, anche nella poesia. Comunque, a mio parere, non è da escludere che le prostitute anticamente fossero delle sacerdotesse, sul modello delle Ierodule.
Nel pantheon indù ogni aspetto dell'essere, ogni Dio non ha alcuna esistenza, alcuna realtà, alcun potere di manifestarsi se non quando si unisce alla sua compagna, alla sua controparte femminile, la sua Shakti, la sua potenza. L'unione del fallo e della vagina (*) è il simbolo stesso della potenzialità creatrice dell'essere divino così come della realtà cosmica e fisica della creazione. L'atto sessuale, per il suo valore simbolico e creativo, è il rito più importante e il mezzo più efficace per partecipare all'opera cosmica.
Curiosamente, Vishnu ha sia forma maschile che femminile che femminile-mascolina: Mahalasa
(anche conosciuta come Mhalsi) è un avatar di Vishnu, come Mohini.
La persone di Goa la chiamano "Mahalasa Narayani". è la Dea dei Brahmini e infatti veste un abito maschile, da Brahmino. Secondo un'altra versione, è un avatar combinato di Mohini e Parvati e la prima moglie del guerriero Khandoba.
L'unica Dea non accompagnata da nessun Dio maschile è Dhumavati, la Dea Vedova... https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/dhumavati-una-dea-molto-doom-metal.html
Anche se in qualche fonte sarebbe stata lei la prima moglie di Shiva. Ad ogni modo Dhumavati è la Dea più atipica del pantheon indù e anche la più temuta. Vedi gli approfondimenti qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/dhumavati-una-dea-molto-doom-metal.html
La mia ipotesi è che la condizione delle vedove indù sia stata pesantemente influenzata anche dal concetto di Dhumavati.
Nelle Upanishad si paragona l'unione sessuale al fuoco e al focolare: Agni, Dio del fuoco, principio maschile, si dirige nel Kunda, il focolare dell'altare, immagine del principio femminile.
Nota di Lunaria: presso gli Ainu, la Divinità più potente era proprio la Dea del focolare, Fuchi Kamui.
Le Upanishad così descrivono l'atto sessuale: "La donna è il focolare, l'organo maschile è il fuoco, le carezze sono il fumo, la vulva è la fiamma, la penetrazione il tizzone, il piacere la scintilla. In questo fuoco gli Dei sacrificano il seme e nasce un bambino. L'invito è l'invocazione della divinità. La proposta è il primo inno di lodi. Giacere accanto alla donna è l'inno di gloria. Stendersi sopra la donna è il coro"
In tal senso, Shiva si identifica con ogni pene in erezione e Krishna è colui che dice "Io sono il piacere in tutti gli esseri". Tra l'altro è vero che l'Induismo è una religione ascetica, ma l'ascetismo e la rinuncia dovrebbero essere l'ultima fase della vita; prima si dovrebbe realizzare il Kama (il Piacere), il terzo senso della vita, in tutte le sue forme. Difatti, il Kama Sutra, dichiara, come se fosse un
paradosso, che "colui che conosce tutti i segreti dell'arte erotica diviene casto"
Infine, una breve citazione a quei culti dedicati a Ganapati e Skanda, i figli di Shiva e i riti espressamente dedicati agli omosessuali e ai transessuali. Per esempio Bahuchara
è la Dea dei trans, ovvero la comunità Hijra. Del resto, per l'Induismo di un tempo (quello precedente all'arrivo della morale cristiana) esistevano tre sessi: il maschile, il femminile e quello intermedio/neutro. D'altraparte, la stessa Durga ha anche una valenza lesbica.
RUOLO DELLA DONNA NELLA SOCIETà INDù
Nota Bene: pretendere di trattare in poche righe la condizione della donna nell'Induismo è da insensati, considerata la storia millennaria e la miriade di dottrine che hanno attraversato l'India, incluse le dominazioni straniere; qui mi limito a riportare in linea generale qualche nozione utile per inquadrare la questione. Si tenga presente che l'India è stata governata anche da regine come Rani Chennamma di Keladi; purtroppo, da quello che ho potuto vedere, mancano fonti in italiano e non posso davvero sobbarcarmi anche il compito di tradurre fonti in inglese (né tantomeno di visionare libri in inglese sull'argomento). Comunque, in linea generale, si tenga presente che la condizione della donna è peggiorata con l'arrivo delle infiltrazioni islamiche e anche cristiane e che una storia "solo maschile" dell'India ha più o meno uno spessore di 800 e passa pagine...
Si tenga presente che Alain Daniélou, che è l'autore che ho consultato, aveva simpatia per il sistema castale, il che significa che la sua analisi al ruolo della donna si limita a riportare solo ed esclusivamente le fonti a sostegno di ciò. Ben diverso (anche per mole di pagine) sarebbe stato riportare tutti quegli autori, che non sono mancati in India, contrari alle caste e alle discriminazioni.
***
Più ancora che gli esseri nati in caste differenti, gli uomini e le donne hanno un ruolo sociale e umano differente. Le loro virtù sono differenti, le conseguenze dei loro atti non sono le stesse e le leggi morali che regolano il loro comportamento sono di diverso ordine. Ogni sforzo di unificazione che intenda stabilire una condotta comune per gli uomini e per le donne non può che essere assurdo e nocivo agli uni e alle altre poiché le responsabilità differiscono. Bisogna che ciascuno accetti lo statuto e le attitudini che derivano dalla sua nascita. L'uomo che si comporta come una donna e la donna che si comporta come un uomo non possono, salvo casi eccezionali, essere cittadini utili né realizzare se stessi.
La condizione della donna in India e la diversità di questa condizione secondo le caste e i gruppi sociali riflette il problema di due specie di società, la società sedentaria e la società nomade (peraltro, concetti anche legati alla nascita del monoteismo. Nota di Lunaria). Le invasioni ariane del II millennio prima della nostra era si sono scontrate con una società di tipo essenzialmente sedentario che viveva di agricoltura, di commercio e di artigianato. Questo tipo di società era di tipo matriarcale, una società nella quale la donna possiede, gestisce, governa. è la donna che controlla i beni materiali, che ne dispone e che li eredita. La sua autorità non è contestata. In India, le società preariane hanno spesso conservato, fino ai giorni nostri, il sistema matriarcale (*)
Nota di Lunaria: penso che lo studio più poderoso, sul matriarcato in India (e anche in Cina), lo abbia fatto Bachofen. Qui non è assolutamente possibile riportarlo, data l'estensione enciclopedica dell'opera...
(*) Sì, i più famosi sono i Khasis.
Gli Arii che invasero l'India e portarono con sé la religione vedica, erano pastori, nomadi, e la loro società era di tipo patriarcale.
Nota di Lunaria: qui ci sarebbe da integrare con lunghissimi stralci presi da "Trattato di storia delle religioni" di Mircea Eliade, riportando le antiche concezioni sia della Madre Terra, che della caccia, e le relative divinità. Suggerisco di approfondire leggendo proprio Eliade.
Tra l'altro, la stessa analisi la si può fare anche in ambito pre-islamico. Contriariamente a quanto fanno credere i difensori dei "diritti islamici per le donne" in ambito preislamico politeista la condizione di alcune donne (non tutte, certamente, ma alcune sì) era persino migliore di quella dei maschi.
Tra l'altro, la stessa analisi la si può fare anche in ambito pre-islamico. Contriariamente a quanto fanno credere i difensori dei "diritti islamici per le donne" in ambito preislamico politeista la condizione di alcune donne (non tutte, certamente, ma alcune sì) era persino migliore di quella dei maschi.
In una società sedentaria normale l'uomo vive all'esterno, deve fare la guerra, andare a caccia, lavorare lontano dal focolare domestico. La donna deve quindi avere la responsabilità dei beni, della casa, della famiglia, dell'organizzazione del villaggio.
Nota di Lunaria: peraltro, in Vietnam, almeno fino agli anni '60, le donne anziane ancora gestivano i possedimenti territoriali.
Nota di Lunaria: peraltro, in Vietnam, almeno fino agli anni '60, le donne anziane ancora gestivano i possedimenti territoriali.
Sembra dunque essenziale attribuire agli uomini e alle donne ruoli differenti e complementari come pure privilegi e vantaggi distinti. Per la donna come per l'uomo, deve restare aperta una via per gli esseri eccezionali che hanno particolari attitudini, fuori della norma, ma che a quel punto entrano automaticamente in una categoria a parte. Le poetesse, le musiciste, le sante (#) e anche le donne che fanno del piacere la loro vocazione sono onorate ma formano settori che si possono considerare ornamentali.
(#) Spesso anche divinizzate post mortem.
Chehar, per esempio, è una donna divinizzata. Originaria di Heladi (attualmente zona compresa nel Pakistan) venne divinizzata e associata a Chamunda e Bhavani.
Anche gli africani e molti islamici "non troppo ortodossi" divinizzano spesso i loro antenati o uomini e donne che hanno avuto un ruolo di santità e di grande influenza in vita. Ricordo una mia compagna di scuola, africana, islamica, che parlava dei morti, i suoi parenti, seguendo più le logiche animiste africane che non la dottrina islamica... d'altraparte che nei paesi islamici si pratichi la magia e tanti usi del periodo politeista, per quanto in forma nascosta, è noto.
Chehar, per esempio, è una donna divinizzata. Originaria di Heladi (attualmente zona compresa nel Pakistan) venne divinizzata e associata a Chamunda e Bhavani.
Anche gli africani e molti islamici "non troppo ortodossi" divinizzano spesso i loro antenati o uomini e donne che hanno avuto un ruolo di santità e di grande influenza in vita. Ricordo una mia compagna di scuola, africana, islamica, che parlava dei morti, i suoi parenti, seguendo più le logiche animiste africane che non la dottrina islamica... d'altraparte che nei paesi islamici si pratichi la magia e tanti usi del periodo politeista, per quanto in forma nascosta, è noto.
Sul piano della società umana, i doveri maschili e femminili sono dunque fondamentalmente opposti. Dal punto di vista essoterico e nelle classi che partecipano ai riti sacerdotali il principio maschile appare superiore. La luce, la forza, la sensualità, il sapere, l'uomo dominano la notte, la grazia, l'ascetismo, l'intuizione, la donna. Per questo motivo la donna appare sottomessa all'uomo, è la sua sposa, il suo completamento, la sua ombra. è in questo ruolo che si realizza, che è la perfezione di se stessa; che guadagna grazie alla propria sottomissione ciò che l'uomo guadagna grazie alla sua forza. L'uomo può divenire per la donna la personificazione stessa del divino; il suo rituale consiste nell'onorare questo dio. Venerando e servendo il suo sposo, compie la totalità della sua missione, la realizzazione totale della sua condizione fisica. Le fanciulle vengono allevate con questa idea ed è senza sforzo che considerano il marito come un dio; la donna non può uscire di casa, non può andare alla guerra, alla caccia e alle altre attività esterne.
Nota di Lunaria: anticamente, la donna era anche sacerdotessa. Vedi le Devadasi. Attualmente, esistono molti gruppi guidati da una Madre (ricordiamo che nell'induismo non esiste alcun "papa" che riunifica e coordina il tutto, l'induismo praticato nel Gujarat non è l'induismo praticato a Calcutta), ma comunque, la donna può fare offerte (puja) e condurre canti; esistono poi feste esclusivamente dedicate alle donne come il Karwa Chauth. Tra l'altro, nei periodi Shunga o Maurya, le donne giravano a seno scoperto e senza velo; anche gli uomini stavano a torso nudo.
Sintetizzando, le cause della violenza attuale, contro le donne, nel contesto indù, sono queste:
1) Omicidi per dote (le donne vengono uccise dai mariti per intascarsi i beni della dote e poter ricominciare un nuovo matrimonio, ricevendo una nuova dote)
2) Il suicidio delle sati, ovvero delle donne che restano vedove, costrette a gettarsi sulla pira funebre del marito (anche se in genere sopravvive solo nei contesti rurali e isolati e comunque è reato)
3) I matrimoni combinati tra bambini.
La reclusione in casa e il suicidio come sati sono stati introdotti dalle leggi di Manu e dai Purana (su una opinabile intepretazione di un mito, tra l'altro); con l'invasione islamica, l'impero Moghul e la morale cristiana dei colonizzatori, vengono anche introdotti veli sempre più pesanti e coprenti.
Dal punto di vista esoterico, è il principio femminile che primeggia. Nei riti segreti e magici, la donna gioca il ruolo essenziale e dominante, il prete venera la Dea, i simboli femminili.
Anche nell'ordine dell'esteriorità, la donna regna sulla casa, il santuario di cui essa è la sacerdotessa. L'opera esoterica dei maggiori poeti-filosofi è consacrata alla glorificazione del principio femminile. Per contro, nelle basse caste di carattere matriarcale in cui il femminile predomina esteriormente, l'esoterismo è fallico. Nella società essoterica, più ci eleviamo nella gerarchia, più il ruolo della donna è oscurato: la più nobile delle donne, la moglie del brahmano, è la più umile, la più modesta, la più intoccabile (nota di Lunaria: esattamente come il brahmano che non può fare quello che vuole, e, come l'ebreo ultraosservante, è obbligato ad una serie di diktat allucinanti, per esempio, evitare di venir "sfiorato" dalle ombre degli altri; il brahmano non può fare l'amore "quando e quanto vuole lui" con la moglie, ma i rapporti sono determinati da dati astrologici; non può mangiare molte cose, fossero anche patate o cipolle, non può bere acqua che sia passato da un tubo non "purificato" e molte altre cose di questo genere.) Nelle caste artigianali, invece, la donna predomina nell'ordine materiale: regna, possiede. Mentre la famiglia del brahmano è sempre patriarcale, la famiglia artigianale è, in gradi diversi, matriarcale: terra, casa, ricchezza appartengono alle donne, la figlia eredita dalla madre. Nei sacrifici vedici e nei rituali domestici la presenza e la partecipazione della sposa sono indispensabili. La donna possiede una funzione sacerdotale essenziale anche nei riti pubblici e deve, come l'uomo, prepararvisi con il digiuno e la purificazione.
La natura della donna è doppia. Ogni donna possiede due nature, due caratteri distinti. è sposa ed è madre. In quanto amante, rappresenta la forza, la potenza creatrice del principio maschile, che è sterile senza di lei. è l'immagine della Shakti, la potenza e la gioia degli Dei, che senza di lei, non possono neppure esistere. Nel suo ruolo di madre, rappresenta l'aspetto trascendente del divino. La Dea Madre è la sorgente unica dell'essere, lo stato supremo del cosciente. è quindi in quanto madre che la donna è il simbolo dell'aspetto trascendente del divino, è in quanto madre che essa è divina e venerata.
Curiosamente, l'attività passiva viene associata alle amanti, mentre la donna madre è associata ad una natura attiva: "Gli Dei sono soddisfatti nei luoghi in cui le donne sono onorate, ma dove le donne non sono rispettate i riti e le preghiere sono senza effetto [...] Quando la donna è felice, la casa è felice, ma quando non lo è, nulla è felice né piacevole" (Manu, 3.56/3.62)
2) Il suicidio delle sati, ovvero delle donne che restano vedove, costrette a gettarsi sulla pira funebre del marito (anche se in genere sopravvive solo nei contesti rurali e isolati e comunque è reato)
3) I matrimoni combinati tra bambini.
La reclusione in casa e il suicidio come sati sono stati introdotti dalle leggi di Manu e dai Purana (su una opinabile intepretazione di un mito, tra l'altro); con l'invasione islamica, l'impero Moghul e la morale cristiana dei colonizzatori, vengono anche introdotti veli sempre più pesanti e coprenti.
Dal punto di vista esoterico, è il principio femminile che primeggia. Nei riti segreti e magici, la donna gioca il ruolo essenziale e dominante, il prete venera la Dea, i simboli femminili.
Anche nell'ordine dell'esteriorità, la donna regna sulla casa, il santuario di cui essa è la sacerdotessa. L'opera esoterica dei maggiori poeti-filosofi è consacrata alla glorificazione del principio femminile. Per contro, nelle basse caste di carattere matriarcale in cui il femminile predomina esteriormente, l'esoterismo è fallico. Nella società essoterica, più ci eleviamo nella gerarchia, più il ruolo della donna è oscurato: la più nobile delle donne, la moglie del brahmano, è la più umile, la più modesta, la più intoccabile (nota di Lunaria: esattamente come il brahmano che non può fare quello che vuole, e, come l'ebreo ultraosservante, è obbligato ad una serie di diktat allucinanti, per esempio, evitare di venir "sfiorato" dalle ombre degli altri; il brahmano non può fare l'amore "quando e quanto vuole lui" con la moglie, ma i rapporti sono determinati da dati astrologici; non può mangiare molte cose, fossero anche patate o cipolle, non può bere acqua che sia passato da un tubo non "purificato" e molte altre cose di questo genere.) Nelle caste artigianali, invece, la donna predomina nell'ordine materiale: regna, possiede. Mentre la famiglia del brahmano è sempre patriarcale, la famiglia artigianale è, in gradi diversi, matriarcale: terra, casa, ricchezza appartengono alle donne, la figlia eredita dalla madre. Nei sacrifici vedici e nei rituali domestici la presenza e la partecipazione della sposa sono indispensabili. La donna possiede una funzione sacerdotale essenziale anche nei riti pubblici e deve, come l'uomo, prepararvisi con il digiuno e la purificazione.
La natura della donna è doppia. Ogni donna possiede due nature, due caratteri distinti. è sposa ed è madre. In quanto amante, rappresenta la forza, la potenza creatrice del principio maschile, che è sterile senza di lei. è l'immagine della Shakti, la potenza e la gioia degli Dei, che senza di lei, non possono neppure esistere. Nel suo ruolo di madre, rappresenta l'aspetto trascendente del divino. La Dea Madre è la sorgente unica dell'essere, lo stato supremo del cosciente. è quindi in quanto madre che la donna è il simbolo dell'aspetto trascendente del divino, è in quanto madre che essa è divina e venerata.
Curiosamente, l'attività passiva viene associata alle amanti, mentre la donna madre è associata ad una natura attiva: "Gli Dei sono soddisfatti nei luoghi in cui le donne sono onorate, ma dove le donne non sono rispettate i riti e le preghiere sono senza effetto [...] Quando la donna è felice, la casa è felice, ma quando non lo è, nulla è felice né piacevole" (Manu, 3.56/3.62)
Conclusione di Lunaria: spero di aver dato un'idea della complessa mentalità induista. A mio parere (e non credo che in Italia sia mai stato fatto) ci sarebbe da indagare sul ruolo sacerdotale della donna induista, nella storia: il periodo di massimo splendore e la successiva decadenza.
QUALCHE APPROFONDIMENTO SUGLI DEI PRINCIPALI, tratto da
VISHNU
Nella Trimurti, a fianco di Shiva il Distruttore e Brahma il Creatore, egli è il Protettore o Preservatore del mondo e a questo scopo egli compie molte mitiche imprese.
Vishnu è soprattutto un Dio benevolo, anche se talora assume aspetti terribili, che, disteso sull'oceano del caos, contempla il mondo e vigila sulla sua evoluzione. Quando occorre, interviene nella creazione per mezzo dei suoi avatar, soprattutto Krishna e Rama (*), manifestazioni che lo shivaismo invece non conosce, perché Shiva si tiene in disparte e non partecipa alla creazione.
(*) Comunque, qualche indù che sia filo-cristiano considerà gesù cristo un avatar di Vishnu.
Vishnu ha ispirato tutto un movimento religioso, il visnuismo, di cui fanno parte anche i fedeli di Krishna, di Rama, di Lakshmi, sposa e shakti di Vishnu.
Le sette visnuiste hanno svolto in passato un ruolo importante nella storia dell'India. Vishnu viene identificato con l'Assoluto, ciò che dà una colorazione monoteista al visnuismo, mentre le sue numerose incarnazioni o meglio manifestazioni, gli avatar, sono in consonanza con la concezione induista, che prevede una pluralità di manifestazioni divine, e hanno contribuito allo sviluppo del dio antropomorfo.
Il culto della bhakti, la devozione ad una divinità personificata, è strettamente legato al movimento visnuista.
Tra i grandi testi visnuisti, oltre alla Bhaghavad Gita citiamo anche la Bhagavata Purana (Vishnu è il Bhagavat, il Beato, e i suoi devoti sono chiamati Bagavata, "Devoti del Beato") e tra i maestri spirituali più importanti del visnuismo nominiamo Ramanugia (secolo XI)
Uno degli avatar di Vishnu |
L'ARRIVO DEGLI INGLESI IN INDIA, info tratte da
Gli Inglesi arrivarono in India come commercianti e cominciarono ad acquistare delle semplici agenzie di commercio come a Madras (1640), Bombay (1661), Calcutta (1690); agli Inglesi non interessavano molto lo zenzero, il pepe, il calicò, come ai Portoghesi, Olandesi e Francesi, quanto poter vendere i loro tessuti di lana e i loro prodotti, tanto è vero che in un primo tempo erano state fatte spedizioni per trovare una rotta per la Cina, attraverso le coste americane, nella convinzione che la Cina, più fredda dell'India, potesse diventare un buon mercato per le lane inglesi.
I dirigenti della Compagnia ottennero dall'Imperatore Moghol il permesso di istituire delle fabbriche, come vennero chiamate, un complesso di case, magazzini, uffici, dove venivano vendute le merci portate dall'Inghilterra e comprati i prodotti indiani, che venivano lì immagazzinati in attesa dell'arrivo delle navi.
Col tempo poterono anche lasciare truppe a difesa di queste "fabbriche" e questo fu il primo passo verso l'occupazione territoriale. Nel 1687 la Compagnia delle Indie Orientali annunciò che era suo progetto creare in India un vasto e sicuro dominio inglese con una larga base territoriale con tutte le necessarie istituzioni civili e militari.
Il pretesto per realizzare questo programma imperialista venne offerto dagli indiani stessi: nel 1756 un nababbo dello stato musulmano del Bengala attaccò il forte inglese di Calcutta che venne rapidamente conquistato. Si racconta che il nababbo facesse rinchiudere in una cella piccolissima ben 143 inglesi, di cui al mattino ne sopravvivevano solo 23. L'episodio secondo gli storici fu montato dai dirigenti della Compagnia per provocare la reazione inglese che fu immediata.
Un giovane ufficiale inglese, Robert Clive, attaccò le truppe indiane e riconquistò Calcutta obbligando il nababbo a pagare un forte indennizzo e a fare concessioni alla Compagnia; ma non si fermò qui l'opera di Clive. Circa un anno dopo favorì una cospirazione di sudditi del Bengala contro lo sfortunato signorotto e il 23 giugno 1757 sgominò a Plassey i suoi 50000 uomini con soli 800 soldati inglesi e 2200 mercenari indiani. Il nababbo venne ucciso e al suo posto venne messo un governatore di comodo, mentre tutte le ricchezze del principato venivano depredate.
Questo fu l'inizio della sistematica conquista dell'India che fu resa possibile dalla decadenza del Gran Moghol e dalla superiorità dell'armamento inglese su quello degli indigeni.
Le ricchezze guadagnate dalla Compagnia donate in parte ai principi indiani "compravano" il favore degli indù di casta ricca ed elevata mentre l'economia indiana andava in rovina. Gli Inglesi crearono anche un'altra classe di proprietari terrieri, gli Zamindar, che dovevano pagare una tassa fissa annua in cambio del diritto di proprietà che era stato loro concesso. Anche i Raiot, la classe più povera, dovevano versare allo Stato del denaro, affinché fosse loro riconosciuto il diritto sulla terra che coltivavano.
Chi non poteva pagare, veniva condannato anche a punizioni corporali.
Dall'occupazione inglesa dell'India vennero favoriti coloro che avevano grandi proprietà terriere da destinarsi alla coltivazione del cotone, della canapa, della iuta, mentre i piccoli agricoltori furono in gran parte rovinati e la diminuita produzione di prodotti alimentari portò a terribili carestie per cui fra il 1800 e il 1900 morirono ben 32 milioni di indiani.
Sono di questo periodo le grandi riforme che misero l'India sempre più in contatto con la moderna civiltà europea e avviarono una trasformazione, anche se lenta, economica e sociale: vennero costruite ferrovie e strade, si affrontò il problema dell'irrigazione delle zone aride e si scavarono canali, tra cui notevole quello del Gange superiore.
Per combattere l'analfabetismo venne fatto il censimento in tutte le scuole indigene e se ne istituirono di nuove.
Si migliorò anche l'amministrazione della giustizia.
Ma alcune riforme che riguardavano usi e costumi consolidati da una millenaria tradizione produssero un primo urto tra la mentalità occidentale e quella indù: per esempio la disposizione del 1829 con cui si pose fine al sacrificio delle vedove sul rogo del marito, il rito del Sati.
Il vocabolo "Sati" indicò dapprima la donna virtuosa e pia che, per amore, non voleva sopravvivere al marito, in seguito passò ad indicare il rito con cui la moglie si immolava sul rogo del marito.
Per approfondimenti, vedi qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/il-sati.html
La religione dei Veda, il Brahmanesimo e Mazdeismo in sintesi
Gli Inglesi arrivarono in India come commercianti e cominciarono ad acquistare delle semplici agenzie di commercio come a Madras (1640), Bombay (1661), Calcutta (1690); agli Inglesi non interessavano molto lo zenzero, il pepe, il calicò, come ai Portoghesi, Olandesi e Francesi, quanto poter vendere i loro tessuti di lana e i loro prodotti, tanto è vero che in un primo tempo erano state fatte spedizioni per trovare una rotta per la Cina, attraverso le coste americane, nella convinzione che la Cina, più fredda dell'India, potesse diventare un buon mercato per le lane inglesi.
I dirigenti della Compagnia ottennero dall'Imperatore Moghol il permesso di istituire delle fabbriche, come vennero chiamate, un complesso di case, magazzini, uffici, dove venivano vendute le merci portate dall'Inghilterra e comprati i prodotti indiani, che venivano lì immagazzinati in attesa dell'arrivo delle navi.
Col tempo poterono anche lasciare truppe a difesa di queste "fabbriche" e questo fu il primo passo verso l'occupazione territoriale. Nel 1687 la Compagnia delle Indie Orientali annunciò che era suo progetto creare in India un vasto e sicuro dominio inglese con una larga base territoriale con tutte le necessarie istituzioni civili e militari.
Il pretesto per realizzare questo programma imperialista venne offerto dagli indiani stessi: nel 1756 un nababbo dello stato musulmano del Bengala attaccò il forte inglese di Calcutta che venne rapidamente conquistato. Si racconta che il nababbo facesse rinchiudere in una cella piccolissima ben 143 inglesi, di cui al mattino ne sopravvivevano solo 23. L'episodio secondo gli storici fu montato dai dirigenti della Compagnia per provocare la reazione inglese che fu immediata.
Un giovane ufficiale inglese, Robert Clive, attaccò le truppe indiane e riconquistò Calcutta obbligando il nababbo a pagare un forte indennizzo e a fare concessioni alla Compagnia; ma non si fermò qui l'opera di Clive. Circa un anno dopo favorì una cospirazione di sudditi del Bengala contro lo sfortunato signorotto e il 23 giugno 1757 sgominò a Plassey i suoi 50000 uomini con soli 800 soldati inglesi e 2200 mercenari indiani. Il nababbo venne ucciso e al suo posto venne messo un governatore di comodo, mentre tutte le ricchezze del principato venivano depredate.
Questo fu l'inizio della sistematica conquista dell'India che fu resa possibile dalla decadenza del Gran Moghol e dalla superiorità dell'armamento inglese su quello degli indigeni.
Le ricchezze guadagnate dalla Compagnia donate in parte ai principi indiani "compravano" il favore degli indù di casta ricca ed elevata mentre l'economia indiana andava in rovina. Gli Inglesi crearono anche un'altra classe di proprietari terrieri, gli Zamindar, che dovevano pagare una tassa fissa annua in cambio del diritto di proprietà che era stato loro concesso. Anche i Raiot, la classe più povera, dovevano versare allo Stato del denaro, affinché fosse loro riconosciuto il diritto sulla terra che coltivavano.
Chi non poteva pagare, veniva condannato anche a punizioni corporali.
Dall'occupazione inglesa dell'India vennero favoriti coloro che avevano grandi proprietà terriere da destinarsi alla coltivazione del cotone, della canapa, della iuta, mentre i piccoli agricoltori furono in gran parte rovinati e la diminuita produzione di prodotti alimentari portò a terribili carestie per cui fra il 1800 e il 1900 morirono ben 32 milioni di indiani.
Sono di questo periodo le grandi riforme che misero l'India sempre più in contatto con la moderna civiltà europea e avviarono una trasformazione, anche se lenta, economica e sociale: vennero costruite ferrovie e strade, si affrontò il problema dell'irrigazione delle zone aride e si scavarono canali, tra cui notevole quello del Gange superiore.
Per combattere l'analfabetismo venne fatto il censimento in tutte le scuole indigene e se ne istituirono di nuove.
Si migliorò anche l'amministrazione della giustizia.
Ma alcune riforme che riguardavano usi e costumi consolidati da una millenaria tradizione produssero un primo urto tra la mentalità occidentale e quella indù: per esempio la disposizione del 1829 con cui si pose fine al sacrificio delle vedove sul rogo del marito, il rito del Sati.
Il vocabolo "Sati" indicò dapprima la donna virtuosa e pia che, per amore, non voleva sopravvivere al marito, in seguito passò ad indicare il rito con cui la moglie si immolava sul rogo del marito.
Per approfondimenti, vedi qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2019/06/il-sati.html
La religione dei Veda, il Brahmanesimo e Mazdeismo in sintesi