Gli Inferi nelle Religioni Pagane

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GLI INFERI DEI GERMANI

Nel pantheon germanico la divinità ambigua per eccellenza è Loki,



che appartiene all'ordine degli Dei e ha tuttavia una decisa carica demoniaca.
Nell'economia religiosa germanica egli rappresenta l'insorgenza delle forze eversive dell'ordine cosmico e divino. Corrisponde, cioè, al momento dello sfrenarsi delle energie della libertà istintiva intolleranti della rigidità normativa.
Incerta è l'etimologia del nome che viene da alcuni collegato al verbo "Lukan", chiudere, determinando al Dio la chiusura ossia il crollo del mondo. Da altri viene fatto risalire a una radice indoeuropea comune a "Lux", rappresentando così il Dio ambivalente di portatore di luce-fuoco e di distruttore. In tale rappresentazione, che unisce nella medesima figura i caratteri del fondatore culturale e dell'ingannatore (Trickster), Loki è stato avvicinato a diverse figure mitologiche quali Prometeo, Efesto, Lug, Lucifero. Secondo altre ipotesi, Loki è essenzialmente il Dio della vegetazione e delle forze ipoctonie che presiedono al rinnovamento della natura con tutta una carica fecondante e, insieme, distruttrice.
Nei testi nordici è generalmente protagonista di imprese che appaiono disonoranti secondo il criterio normativo dell'ordine divino. è chiamato l'Attaccabrighe ed è il primo padre della menzogna; è chiamato anche Loptr, figlio di Farbauti "Colpi di pericoli" e Laufey "Isola frondosa"; secondo un'interpretazione fondata sulle etimologie  di questi nomi e sul valore degli epiteti attribuiti a Loki e agli Dei del suo ciclo, sembra che ci si trovi di fronte a un complesso mitico di carattere naturalistico: in tale contesto Loki è il fuoco che nasce, per i colpi di fulmine nella foresta. L'interpretazione spiegherebbe anche adeguatamente la fondamentale bivalenza del Dio, che ha il doppio carattere del fuoco, apportatore di rovina, ma pure di calore, di vita.


Nota di Lunaria: anche i Babilonesi veneravano il fuoco nei suoi tre aspetti:



"Accanto a queste divinità stellari i popoli della Mesopotamia, da buoni agricoltori, adoravano anche quelle potenze e forze della Natura cui più era raccomandata la loro vita e la loro speranza di lavoratori della terra; quindi il fulmine e i fenomeni atmosferici e i sacri fiumi che davano prosperità ai raccolti, ricoprendo i campi di limo, l'acqua e poi il fuoco con la Trinità Gibil, Nusku e Ishum, ovvero le personificazioni del fuoco benefico usato per l'industria, il fuoco dei sacrifici che porta al trono degli Dei il profumo delle vittime e le preghiere e il fuoco distruttore"

Loki, nel seno del mondo divino, prepara la finale conflagrazione, nella quale andranno distrutti il cosmo e gli Dei. Egli è il padre del lupo Fenrir, che inghiotterà Odino nel Ragnarok. Infatti Loki ha avuto molti figli di carattere demoniaco da diverse mogli. Dall'orchessa della Terra dei Giganti, Angrbodha, ha avuto il lupo Fenrir, il serpente cosmico Jörmungandr ed Hel. Quando Loki seppe di avere tali figli, le convocò dinnanzi a sé: gettò il serpente cosmico nel fondo del mare, dove egli ora giace avvolgendo il mondo fra le sue spire; precipitò Hel nel Niflheim, la "Casa della Nebbia", dandole la signoria su coloro che muoiono di malattia e di vecchiaia e la dignità di Regina della morte.
Il carattere demoniaco di Loki si manifesta anche nella sua capacità di trasformarsi continuamente: in un mito è narrato che gli Dei avevano incaricato un gigante di costruire la fortezza di Asgard, promettendogli in compenso Freya, la più bella delle Dee.
Quando l'opera stava per essere terminata, gli Dei si pentirono della promessa e incaricarono Loki di trovare un espediente che impedisse al costruttore di porvi fine nei termini stabiliti. Loki si trasformò in giumenta e attrasse a sé lo stallone del quale il gigante si serviva per trasportare i materiali. Il Dio divenne così madre di Sleipnir, il cavallo a 8 zampe che era cavalcato da Odino. Loki si trasformò anche in falcone per sottrarre la Dea Idunn ad un altro gigante; Loki si trasformò anche in mosca per rubare la collana di Freya.




Loki procura la morte del giovane Dio Balder, un mito che ha probabili connessioni con le divinità di morte-resurrezione orientali. Quando Balder ha una visione della propria morte in sogno, la madre Frigga chiede a tutti gli Dei di giurare che non lo uccideranno, ma omette il giuramento del vischio. Loki, il consigliere di morte, che provoca la morte delle creature con le sue furberie, conosce questo particolare e quando tutti gli Dei lanciano inutilmente i loro colpi contro l'invulnerabile Balder, Loki convince il principe Hödhr, cieco, a tirare il vischio contro l'eroe: il vischio si muta in freccia e lo uccide.

Approfondimento tratto da



Perché, tra i tanti sempreverdi, proprio l'agrifoglio e il vischio accompagnano le feste natalizie?
La leggenda nordica che ce ne narra l'origine non è molto allegra. Baldur, figlio di Odino, venne ucciso da un suo nemico, Loki, appunto con una freccia tratta da un ramo di vischio. Odino maledisse la pianta, ma la moglie del Dio, piangendo la morte di Baldur, vi fece cadere alcune lacrime, che diventarono perle: così il vischio fu rivalutato, anche se fu allontanato dai templi in favore dell'agrifoglio, il cespuglio accanto al quale era spirato Baldur, reso da Odino sempreverde e dotato di bacche rosse, in ricordo del sangue sparso dal figlio. L'agrifoglio venne subito ammesso nelle chiese cristiane, mentre al vischio ne fu a lungo vietato l'accesso, dato l'uso fattone dalle religioni pagane, che lo avevano rivestito di tanti significati magici.
Poiché ciò sia avvenuto, resta un mistero, anche se numerose leggende circondano questo sempreverde. Il vischio è una pianticella parassita di diversi alberi, con foglie verdi e dure e frutti a bacca bianchi. In genere, però, il mito si riferisce al vischio quercino, parassita delle querce che ha foglie più piccole di quello comune. Vischio e querce erano sacri ai druidi, gli antichi sacerdoti celtici, e sacro era il rituale con cui, durante il solstizio d'inverno, i rametti venivano staccati dall'albero: l'operazione veniva effettuata con un falcetto d'oro, e il vischio, per non perdere i suoi poteri occulti, non doveva toccare il suolo, ma essere raccolto in un panno di lino.
Plinio ci spiega questo complesso procedimento dicendoci come i druidi ritenessero così di "evirare la quercia". La credenza ci porta alla magia similitudinaria: il liquido appiccicoso del vischio era forse paragonato a quello spermatico, per cui la pianticella era ritenuta apportatrice di fertilità. Curioso è il fatto che tale credenza non sia propria soltanto dell'Europa celtica: la troviamo pure presso gli Ainu dell'antico Giappone, dove anche il rituale per cogliere il vischio era pressapoco uguale a quello dei druidi. "Molti credono ancora oggi che questa pianta abbia il potere di far fruttificare i giardini", ci dice Frazer. "E si sa che qualche donna sterile mangia vischio per avere prole."
Anche in molte regioni africane, la pianticella è considerata sacra, apportatrice d'incolumità, tanto che i guerrieri Valo, andando in guerra, ne portavano addosso le foglie per assicurarsi l'invulnerabilità. In Europa troviamo altre credenze: i contadini di molti paesi (compresi alcuni italiani) ritenevano il vischio capace di domare gli incendi, per cui ne appendevano i rami sui tetti delle case. In Boemia lo si chiamava "scopa del tuono" poichè lo si considerava in grado di allontanare i fulmini. Il vischio è stato usato anche in campo terapeutico: nella Francia meridionale lo si applicava sull'addome dei sofferenti di colite, in Svezia e in Inghilterra lo si pensava atto a preservare dagli attacchi epilettici, mentre in alcune regioni tedesche lo si mette tuttora al collo dei bambini per immunizzarli dalle malattie. Tali credenze - ci dice Frazer - sono forse dovute al fatto che gli uomini di ogni tempo e luogo hanno visto qualcosa di soprannaturale in questa pianta che cresce e prospera senza affondare le radici nella terra. Non sappiamo se la spiegazione sia davvero questa: sta di fatto che la chiesa ha cercato a lungo e inutilmente di far dimenticare i poteri magici del vischio, vedendosi infine costretta ad accettarne l'uso e a inserirlo nella tradizione cristiana. Alla pianticella (come all'agrifoglio) è stato così attribuito il generico simbolo di pace e serenità.


Stralcio tratto da



Eracle era anche connesso al culto del Fallo e al rito dell'Evirazione: "Il mito dell'evirazione di Urano ad opera del figlio di Crono [...] Il significato originario è quello dell'eliminazione annuale del vecchio re della quercia da parte del suo successore [...] La cerimonia druidica del taglio del vischio della quercia rappresentava l'evirazione del vecchio re da parte del suo successore essendo il vischio un simbolo eminentemente fallico. Dopo la castrazione il re veniva mangiato eucaristicamente". Anche la ghianda è un simbolo fallico, così come il fungo.
Nella religione germanica il mito di Loki è da inserire in una tensione dualistica e oppositoria tra bene e male, calore e ghiaccio, che appare già nei miti della creazione. Si localizzano varie regioni del male cosmico e naturale. All'origine, prima che i mondi fossero creati, fra Niflheim, "la Casa di Nebbia" a Nord e il Muspellsheimr, "Casa dei Distruttori del mondo", a Sud, era una regione caotica chiamata Ginnungagap. Da una sorgente che si trovava a Niflheim si staccarono i corsi d'acqua chiamati Elivagar, "Onde di ghiaccio" che, portando gelo e spume velenose, coprirono la parte settentrionale dell'abisso di una coltre di ghiaccio. Queste due regioni che circondano l'abisso primordiale, a nord e a sud, rappresentano un'opposizione tra ghiaccio e calore intenso, poiché Niflheim è il gelido regno dei morti mentre Muspellheimr è il regno del gigante di fuoco. Il nord è l'enorme distesa di ghiaccio ammassato e immobile; dal sud sprizzano le scintille di una massa ardente in movimento. Lo spazio mediano, l'immane Baratrum Abyssi (definizione di Adriano di Brema) è il Ginnungagap, il "Burrone spalancato", la vasta apertura di baratri, forse connesso anche alla radice "ginn", magia. L'abisso sarebbe carico di forze magiche e demoniache che gli Dei non riescono a controllare. Proprio in quest'abisso nasce, nel mito d'origine, il primo uomo cosmico, Ymir, che si caratterizza nella prima immagine come un'entità malefica, anche se posteriormente si delinea come un corpo gigantesco da cui hanno origine tutte le realtà.
Esistono dei serbatoi di energie demoniache che espongono in l'universo ordinato alla reversione in caos. Niflheim è la dimora dei morti e degli spettri che ivi resteranno in triste condizione fino alla consumazione escatologica. Si entra in Hel o Niflheim da un'oscura caverna posta in mezzo alle voragini e custodita dal cane infernale Garmr il cui pelo è insozzato dal sangue dei defunti che hanno tentato di fuggire e che egli ha divorato. Sul confine con Hel c'è il fiume Gjöll, "Urlante", sul quale si passa attraversando un ponte d'oro; al di là del ponte vi sono  la Porta di Hel e all'interno, la Regina dei morti.
Alla regione infernale appartiene Naströnd, la Riva dei morti, un luogo di punizione, lontano dal Sole, con le porte rivolte a nord, con case coperte di serpenti, dove sono puniti gli adulteri, gli spergiuri, gli assassini che devono prima attraversare il fiume Slidhr, "il Terribile", le cui onde sono coltelli e spade aguzze. La Regina dell'Inferno è Hel, nata da Loki. Il suo palazzo si chiama "Freddo di Nevischio", ha per ancelle la Senilità e l'Imbecillità; suo piatto è la Fame, suo coltello e forchetta sono la Carestia, suo giaciglio è l'Infermità, le sue tende sono Oscurità Dolente. Ha carnagione per metà livida e per metà normale ed appare arcigna e odiosa.
Un altro serbatoio di potenziale distruttivo e demoniaco è la Terra dei Giganti, una proiezione macroscopica della penisola scandinava, fatta di enormi foreste, ampi fiume, orride caverne, immense montagne. I Giganti che vi abitano, gli Jötunn (forse dalla radice indoeuropea col valore di mangiare, simile all'inglese "To eat") sono orchi e mangiatori di uomini e si presume siano la trascrizione mitica di una stirpe di cannibali contro i quali i Nordici si trovarono a combattere. Gli Jötunn causano i più grandi disastri naturali, la caduta di massi, i terremoti, fulmini, eruzioni di vulcani e il crollo dei ghiacciai.  Nella mitologia popolare invece gli spiriti e i geni sono presenti in tutte le sfere della realtà e non hanno una loro sede comune. Fra i demoni vanno ricordati Draug o Draugr, spirito spettrale che perseguita i viventi. Esistono poi dei demoni delle messi e del grano che si presentano sotto forma animale: orso, becco, gufo, volpe, gallo, stallone, cane, gatto, lupo, capra. Il demonio delle acque è Nix (Neck), che abita nelle paludi e nei pantani.
Il male cosmico si libererà in tutta la sua primordiale violenza nell'epoca finale e determinerà il Crepuscolo degli Dei ossia la consumazione del tempo e dello spazio. è questo il Giudizio degli Dei, il Ragnarök.
è la morte di Balder l'evento scatenante e che condiziona tutta la posteriore storia cosmica divina e umana. Dopo che il giovane Dio fu ucciso per l'astuzia di Loki, Hermdhr, il "Veloce", figlio di Odino ebbe l'incarico di scendere agli Inferi e di recuperarne l'anima perché il corpo di lui risorgesse. (Nota di Lunaria: vedi anche i collegamenti con la discesa negli inferi di Ishtar-Inanna, Persefone, Orfeo) Dopo aver superato grandi difficoltà, Hermodhr ottiene da Hel la promessa che l'anima di Balder sarebbe stata lasciata tornare sulla terra, se ogni creatura avesse veramente dimostrato di amarlo con il suo pianto. Gli Dei inviarono i loro messi in tutto il mondo, affinché l'universo partecipasse al grande dolore per la morte del Dio. Solo la vecchia strega Thökk rifiutò di piangere; gli Dei compresero che la strega era stata aizzata da Loki, che, a seguito dell'ira degli Dei, scappò su una montagna. Per fuggire agli Dei, Loki si tramutava in salmone, fino a che fu catturato da Thor e imprigionato in una grotta. Gli Dei imprigionarono anche i figli di Loki, Vali e Nari, trasformando  Vali in lupo, che divorò subito Nari. Con le budella del figlio morto, gli Dei legarono Loki su tre massi rocciosi e lo incatenarono con ferro. 
Skadi, figlia del gigante Thjazzi, catturò un serpente velenoso e lo legò al di sopra di Loki, così che il veleno gocciasse sempre sopra di lui. Sygin, sposa di Loki, restò sempre accanto al Dio imprigionato, reggendo una bacinella per raccogliere il veleno; ma quando doveva allontanarsi per svuotarla, Loki riceveva il veleno in faccia e agitandosi provocava i terremoti Loki resterà legato fino al Crepuscolo degli Dei, e questa è la premessa dell'escatologia cosmica germanica.

I segni che preannunceranno il Crepuscolo saranno: l'Inverno Mostruoso, costituito da tre inverni di gelo, non interrotti dall'estate. Il Lupo inghiottirà il sole, l'altro la Luna. Sulla terra ci saranno incendi e devastazioni, mentre cadranno le montagne. Allora Fenrir infrangerà le catene che lo trattengono e una grande massa d'acqua coprirà il mondo. Da essa emergerà il Serpente del mondo e la nave infernale Naglfar, costruita con le unghie dei morti, avanzerà sopra le acque. Il lupo Fenrir, con le fauci spalancate, spanderà il terrore. I cieli crolleranno, lasciando uscire i figli di Muspell, ovvero eserciti di fuoco. Inizierà allora la grande battaglia cosmica con gli Dei.

GLI INFERI GRECO ROMANI

A dimostrazione di come quasi tutto il Paganesimo fosse un culto di esaltazione della vita, dell'esserci nel qui e nell'ora, della speranza di un futuro terreno sempre più prospero, gioioso, solare, riporterò le concezioni in merito all'aldilà degli Antichi; fu il cristianesimo (*) ad introdurre concetti come ascesi, rinuncia, penitenza,  concetti che sono i veri e propri cavalli di battaglia del celebre "discorso della montagna" di gesù (la cui più bella confutazione l'ha data Lavey), tutto teso a far dimenticare il "quaggiù" (e una vita di piaceri) a "beneficio" di un non-benprecisato "regno dei cieli".
Per gli Antichi era vero il contrario: vivere ora e adesso, e cercare di farlo nel modo più sereno e gioioso possibile, era questo l'importante, dal momento che l'aldilà non era che un posto grigio e asettico, il pallido simulacro dell'esistenza.


(*) insieme a qualche sporadica setta filosofica greca precristiana, dai quali i nostri cristiani, manco a dirlo, poi acquistano questo o quel concetto di astinenza ed ascesi, insieme al pessimismo gnostico anti-materia. 

Per i Greci, il mondo infero era una ragione sconsolata, senza luce o con luce plumbea e grigia, dominata da tristezza e terrore, deserta da ogni vegetazione, immaginata, nella più antica rappresentazione al di là dell'Oceano circondante la terra. Posteriomente, questo regno di morte è collocato sotto terra ed è la classica sede cui passano le anime dei defunti, superando difficoltà e prove, per trascorrervi un'esistenza che non ha più sapore di vita e che è soltanto una larvale sopravvivenza.
Nella tripartizione del Trimundio, dopo la vittoria sui Titani, il governo dei morti compete al Dio Ade (Adoneo) che una incerta etimologia rendeva come "L'Invisibile", "Signore del mondo delle tenebre" abitatore di un triste palazzo che ha porte di marmo e soglie di bronzo non più superabili una volta che siano state varcate. Il regno del Dio assume il nome di Ade.
Come Dio dei morti e del mondo sotterraneo assume, proprio come il Diavolo cristiano, carattere fecondante, collegato
all'abbondanza e al ritmo stagionale: fenomeno, questo, tipico di tutte le rappresentazioni connesse ai defunti, che determinano insieme reazioni di terrore e mitologie di fecondità ipoctonia.


Nota di Lunaria: infatti i semi sono come i morti: aspettano di vivere, nell'oscurità del sottosuolo.

Vedi Mircea Eliade:

"Molte di queste offerte hanno certamente carattere funebre. Le relazioni fra i morti e la fertilità agricola sono piuttosto importanti e ne riparleremo; notiamo intanto la completa simmetria fra le offerte fatte al PRINCIPIO della semina, della mietitura, della battitura o della sgranatura. Il ciclo si chiude con la festa collettiva del raccolto, che avviene in autunno (il giorno di San Michele nel nord) e comprende banchetto, danze e sacrifici offerti ai vari spiriti. Con questa cerimonia l'anno agricolo si chiude. Gli elementi agrari delle feste invernali si spiegano con la fusione fra culti della fertilità e culti funebri. I morti, protettori dei semi affidati alla terra, hanno sotto la loro giurisdizione anche i raccolti ammassati nei granai, alimento dei vivi per tutto l'inverno."
"L'agricoltura, come tecnica profana e come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il primo è la solidarietà con la terra; i morti, come i semi, sono sotterrati, penetrano nella dimensione ctonia accessibile a loro soli. D'altra parte l'agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita, della palingenesi e della fecondità senza posa. Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono  evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall'opulenza e dall'orgia.  Le anime dei morti hanno sete di ogni esuberanza biologica, di ogni  eccesso organico, perché questo traboccare della vita compensa la  povertà della loro sostanza e li proietta in una impetuosa corrente di virtualità e di germi."
e ancora:
"Ricordiamo per ora che le contadine finlandesi, prima della semina, bagnano i solchi con qualche goccia del loro latte. Quest'usanza si può interpretare in vari modi: offerta ai morti, trasformazione magica del campo ancora sterile in suolo fertile, o semplicemente influenza simpatica della donna
feconda, della madre, sui semi."

"Trasportando il grano nei granai, si compivano varie cerimonie; per esempio, si gettava un pugno di grano dietro la spalla sinistra dicendo: ‘Questo è per i topi’. La spalla sinistra indica il significato funebre dell'offerta. Del resto in Germania c'è l'usanza di pestare i primi fili di fieno portati nel fienile, dicendo: ‘E' il cibo dei morti!’"
"Una forma più recente del rituale identificava Osiride, ‘il Vecchio’, con l'uomo legato nel covone, decapitato o lacerato, e Seth, la personificazione della siccità, con colui che lo colpiva o lo gettava nell'acqua. Si facevano le vendette di Osiride sacrificando un animale che rappresentava Seth (capro, oca, forse maiale, lepre, eccetera). Queste cerimonie avvenivano alla fine del raccolto (metà di maggio). Le acque del Nilo cominciavano a crescere il 17 giugno; sul piano mitico, Iside cercava allora Osiride. Gli uomini si riunivano sulla sponda e piangevano il dio ucciso. Forse in questa medesima circostanza avveniva la sfilata rituale delle barche illuminate sul Nilo. Ai primi di agosto, Iside (‘la fidanzata del Nilo’), rappresentata da una colonna conica guarnita di spighe sulla cima, era fecondata simbolicamente con la distruzione dello sbarramento del Nilo. La Dea concepiva Horus. Poi Toth riuniva i frammenti del corpo di Osiride: in questo modo il dio era ritrovato. Si commemorava l'avvenimento con ‘i giardini di Osiride’. L'aratura e la semina rituali avvenivano al principio di novembre e la germinazione dei semi rivelava la rinascita di Osiride."

"La solidarietà dei morti con la fertilità e l'agricoltura si nota ancor più chiaramente studiando le feste o le divinità in relazione con uno di questi due complessi cultuali. Spessissimo una divinità della fertilità telluricovegetale diventa anche divinità funeraria. Holika, rappresentato originariamente in aspetto di albero, divenne più tardi deità dei morti e genio della fecondità vegetale. Una moltitudine di geni della vegetazione e della crescenza, di struttura e di origine ctonia, sono assimilati fino a diventare irriconoscibili, al gruppo amorfo dei morti. Nella Grecia arcaica i morti, come i cereali, erano messi in vasi di terracotta. Alle divinità del mondo sotterraneo si offrivano ceri, come alle divinità della fertilità. Feronia è chiamata "Dea agrorum, sive inferorum". Durga, grande Dea della fecondità, che raggruppa un numero notevole di culti locali, e specialmente di culti della vegetazione, diventa anche la deità padrona degli spiriti dei morti."
L'equazione semi = morti (e viceversa) è un tema così diffuso e antico, nella storia dell'umanità, che è presente in quasi tutte le culture; ho citato giusto pochi esempi! Lo stesso odioso gesù ruba questo simbolismo per le sue parabole dei semi "nel campo, sulla strada, nel terreno spinoso".
Proprio come Dio delle ricchezze sotterranee assume il nome di Plutone, connesso dai Greci a "plutos", ricchezza, carico di un'energia che è la fecondità terrestre e la misteriosa
abbondanza delle ricchezze sotterranee. La sua sposa, Persefone (Persefassa) è la Signore degli Inferi, ma anche la divinità dei ricorsi stagionali, determinatrice della vita-morte delle piante e degli uomini "che tu sempre nutri, e tutto uccidi" (Inni Orfici)

Persefone nell'aspetto solare di Kore (grano verde, luna crescente), ha quindi anche un aspetto ctonio (luna calante-nuova, grano mietuto)

Divinità solo più tardi associata alle ombre, agli inferi, alla notte, è Ecate.
Ecate concede la prosperità materiale, l'eloquenza, la vittoria, l'abbondanza della pesca; più tardi assume la funzione di Signora delle magie e degli incantesimi, soprattutto nelle magie necromantiche, notturne e funerarie.
Ecate appare con due torce nelle mani e in forma di giumenta, cane o lupo.
Presiede ai quadrivi e come Regina degli spettri e delle ombre è rappresentata nelle statue con tre teste femminili (Ecate Triforme)




Nota di Lunaria: Nella concezione afro, è Legba il guardiano dei due mondi, le due soglie, quella dei vivi e quella degli spiriti

E riguardo alla Trinità, infatti, NON è un concetto che si sono inventati i cristiani: sono le Divinità Pagane ad essere Triplici: si veda la trimurti indù Brahma\Shiva\Vishnu, Ecate, il Triphallus connesso a Priapo, la Triade pre-islamica Al Uzza la Vergine guerriera, Allat La Madre, Manat la Crone, Dea del destino (verosimilmente anche dell'aldilà), i tre aspetti di Brigid...
I cristiani per meglio sovrapporre il loro culto ai culti pagani, adottarono simboli e rimandi pagani cucendoli addosso ai loro cristo/maria. Tra l'altro, anche l'anima o spirito sono concetti pagani. Ecco perché i testimoni di geova, che restano fedeli alle loro favolette bibliche così come furono scritte, negano l'anima.

Le rappresentazioni topografiche del mondo infero danno origine a vari nomi locali che divengono personificazioni mitiche. L'Acheronte è il grande fiume infernale, quasi stagnante e paludoso, che i defunti devono attraversare sulla barca di Caronte.
Cocito, il fiume dei gemiti, resta un gelido corso, affluente all'Acheronte, che le anime sono costrette ad attraversare Flegetonte, affluente di Acheronte, porta un nome che i Greci mettevano in connessione con "fuoco" e "bruciare": le si immaginava come acque infuocate.
Erebo è la personificazione delle tenebre infernali; Tartaro era la regione più profonda degli Inferi nelle quali le varie stirpi di Dei vincitori nelle teogonie incarcerarono gli Dei sconfitti. Stige è il primo figlio di Oceano e come divinità femminile, è madre di Persefone.

Alla mitologia infernale greca appartengono anche alcuni mostri semidivini che corrispondono al terrore della morte, alla decomposizione, alle tenebre e alla giustizia, connesse col destino di morte:
Empusa, uno spettro della corte di Ecate, dal piede di bronzo, carnivora.
Eurinome, un demone che divora le carni dei cadaveri appena seppelliti lasciando soltanto le ossa; Echidna la Vipera un mostro dal corpo femminile terminante in serpente.


Nota di Lunaria: invece questa stessa creatura, in altre culture, è molto positiva; Sono propensa a credere che i Greci abbiano "importato" tale Dea demiurga, e chissà poi perché, denigrata a semplice mostro distruttivo.

Caronte è il celebre nocchiero da identificare anche con uno dei demoni etruschi dei morti. Cerbero, il cane dalle molte teste, con 100, 50 o 3 teste, con coda serpentina, non consente ai defunti di passare nuovamente attraverso le porte dell'Ade una volta che siano state varcate.
Un particolare valore mitologico hanno le Kere (divinità che emergono dal profondo, sui campi di battaglia, per ghermire i cadaveri e i morenti e succhiarne il sangue) e le Erinni.

Più direttamente, influiranno sulla demonologia cristiana alcuni Dei terrestri, come Pan, il Dio della vita pastorale e agreste. Dio delle selve e della condizione di vita precivile e selvatica, trascorre la vita saltando sulle rocce, assalendo le ninfe per possederle: esprime, cioè, la sfrenata libertà di una vita senza leggi, tutta immersa nel godimento della natura selvaggia. Dorme nel meriggio, riposando negli antri presso le greggi o nel folto dei boschi; come "Potente e Selvaggio Pan" porta ai profanatori e a chi d'improvviso lo sveglia il terrore immobilizzante, la sferza di Pan, il panico. (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/il-grande-dio-pan-che-e-un-dio-molto.html)

La tradizione classica della libidine sfrenata dei satiri, spesso rappresentanti mentre si uniscono alle capre diventerà il primo tratto teologico del Diavolo cristiano, specialmente in epoca rinascimentale.
Presso i Romani i modelli demonologici greci si arricchiscono di elementi di origine etrusca ed italica. Ovidio ricorda una Dea Carna, Cardea o Cardna (1) che proteggeva i bambini, impedendo l'entrata dei vampiri e delle striges che succhiano il sangue ai neonati. Robigo, che proteggeva il grano dalla ruggine era, nella forma femminile, Dio funesto. Consus "quello che è sotterrato" è il Dio dei depositi di grano messi sotto terra  (2) e in epoca imperiale assume i caratteri di divinità sotterranea connessa alla morte e ai sacrifici cruenti. Fauno, nella forma di incubus, è il Dio che spaventa gli uomini con sogni terrifici: è il nume della disordinata forza sessuale degli abitatori delle selve, poiché, come Inuus si unisce a tutti gli animali. Le figure da lui derivate sono i Fauni corrispondenti ai greci Satiri. Nella mitologia mortuaria romana sono presenti alcune divinità di carattere funesto e sfavorevole: i Manes, i "Benevoli", così chiamati con intenzione apotropaica, sono gli spiriti dei morti carichi di potenza maligna: invadevano la città esponendola a rischi. Dee funebri erano Tarpeia e Angerona (Dea del silenzio, con l'indice sulle labbra; tuttavia aveva un aspetto benefico perché curava le tonsille). Dea delle febbri malariche era Februa.
Quando si voleva colpire un nemico, con la magia nera, lo si consacrava alle Divinità degli Inferi, di modo che l'odiato nemico si spegnesse sempre di più nel vigore e nella salute. Si incidevano le imprecazioni su delle lamine in metallo, chiamate Tabelle Defixionis, dedicate alle persone che venivano "consacrate" (a loro insaputa!) agli Dei Inferi. Venivano incise e trafitte con chiodi e punte e poi seppellite nei pressi dei sepolcri, di modo che la formula di maledizione fosse garantita dai morti e dalle forze sotterranee. Ne sono state trovate in lingua greca, latino, dialetti italici.

(1) Cardea, invece, è associata alle soglie, ai chiavistelli, porte e maniglie. E si è formata una certa confusione tra le due Dee:



"I Latini onoravano la Dea Bianca con il nome di Cardea. Ovidio nei "Fasti" ci racconta una storia confusa che la collega col vocabolo "cardo", "cardine", e dice che era l'amante di Giano Bifronte, il dio delle porte del primo mese dell'anno e che sovrintendeva ai cardini delle porte. Proteggeva anche i bambini dalle streghe che, travestite da paurosi uccelli notturni, rapivano i neonati dalla culla per succhiarne il sangue. Sempre secondo Ovidio, Cardea esercitò il suo potere dapprima ad Alba ("la città bianca"), fondata da genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice a sua volta di Roma, e il suo principale strumento profilattico era il biancospino.
In realtà le cose stavano in modo esattamente opposto: Cardeo era Alfito, la Dea Bianca che uccideva i bambini dopo essersi travestita da uccello o animale, e il biancospino a lei sacro non doveva essere portato dentro casa se non si voleva che essa uccidesse i bambini che vi si trovavano.
Giano, "il robusto guardiano della porta di quercia", teneva lontana Cardea con le sue streghe perché in realtà era il dio della quercia Diano che si incarnava nel re di Roma e in seguito nel flamen dialis, suo successore spirituale; sua moglie Giana era Diana (Dione), la Dea dei boschi e della Luna. Janus e Jana erano in realtà forme rustiche di Juppiter e Juno. Come amante di Giano, Cardea ricevette l'incarico di tener lontana dalla porta quello spauracchio che lei stessa era stata in epoca matriarcale e che i Romani si propiziavano durante le nozze con torce di biancospino. Dice di lei Ovidio, citando probabilmente una formula religiosa: "Il suo potere di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto".
Ovidio identifica Cardea con la Dea Carnea/Carna (*) celebrata a Roma il primo giugno con una festa nel corso della quale le venivano offerti carne di maiale e fagioli. In epoca classica i fagioli venivano adoperati come magia omeopatica contro le streghe e gli spettri: durante la festa romana dei Lemuria ogni capofamiglia si gettava alle spalle fagioli neri per i Lemures, o fantasmi, dicendo: "Con questi, io affranco me e la mia famiglia".


(*) Nota di Lunaria: qui Graves confonde Cardea con Carna, la Dea del cuore e del fegato, a cui si offrivano farro, fave, lardo. Tuttavia non sembra esserci una connessione tra le due Dee, anche se molti autori - soprattutto non italiani - le citano interscambiando i due nomi e per Ovidio sono la stessa Dea.

"Il fiore del fagiolo è bianco e fiorisce nella stessa stagione del biancospino. I fagioli appartengono alla Dea Bianca - di qui la connessione con il culto delle streghe in Scozia: in epoca primitiva solo alle Sacerdotesse era lecito piantarli o cucinarli.
Secondo una tradizione degli abitanti di Feneo in Arcadia, la Dea Demetra, passando di là nel corso dei suoi vagabondaggi, aveva loro concesso di seminare ogni varietà di cereali e legumi, con la sola eccezione dei fagioli. Il tabù orfico nasce forse dal fatto che il fagiolo, poichè cresce a spirale lungo il suo sostegno, è un simbolo della resurrezione: gli spiriti riuscivano a rinascere come esseri umani entrando nei fagioli (ne accenna Plinio) e venendo poi mangiati dalle donne. Di solito Carnea viene identificata con la Dea romana Cranae, più propriamente Cranaea, "l'aspra, la petrosa", soprannome greco della Dea Artemide, la cui ostilità nei confronti dei bambini doveva essere costantemente placata.
A Cranae era dedicato un tempio collinare nei pressi di Delfi, in cui l'ufficio sacerdotale era sempre rivestito da un fanciullo per un periodo di cinque anni; le era anche sacro un bosco di cipressi, il Cranaeum, appena fuori Corinto. Cranae significa "roccia" ed è collegato etimologicamente al gaelico "cairn" che indica un cumulo di sassi eretto sulla cima di un monte. Io ne parlo come Dea Bianca perché il bianco è il suo colore, il colore della prima persona della sua Trinità Lunare. Ma il lessico bizantino di Suida, quando dice che Io era una vacca che mutava colore dal bianco al rosso e quindi al nero, intende che la Luna Nuova è la Dea Bianca della Nascita e della Crescita, la Luna Piena la Dea Rossa dell'Amore e della Battaglia, la Luna Vecchia, la Dea Nera della Morte e della Divinazione. Il più completo e ispirato ritratto della Dea di tutta la letteratura antica si trova nell'"Asino d'Oro" di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata dal profondo della sua infelicità e del suo grande travaglio. Da questo brano si ricava che la Dea era forse stata onorata nella sua triplice veste di bianca germogliatrice, rossa mietitrice, e scura ventilatrice del grano."  






(2) Perché il pane veniva spesso seppellito. Vedi le Tesmoforie:

"Il terzo giorno era detto "Felice Generazione" o "Bei Germogli" (Kalligeneia) ed era all'insegna della gioia: le donne celebravano la fertilità che avevano accresciuto con la loro temporanea castità. Facevano sacrifici e festeggiavano. Probabilmente era anche il momento in cui le Attingitrici (Antletriai) compivano la loro opera. Mesi prima della festa, queste donne purificate da tre giorni di astinenza dal sesso, avevano seppellito porcellini e modellini di serpenti e di genitali maschili in pasta di pane. In seguito, durante le Tesmoforie, li disseppellivano recuperando i resti decomposti, che venivano collocati sugli altari e poi mescolati con le sementi di grano che venivano ritualmente piantate per favorire la fertilità dei campi nella stagione che stava per cominciare." (Tratto da E.Abbot "Storia della castità")

Altro approfondimento:

Il defunto era considerato una vittima consacrata agli Dei inferi; veniva lavato, unto, vestito di bianco e avvolto in un panno di lino; la testa veniva cinta con una corona. Davanti alla porta della camera veniva deposto un vaso pieno d'acqua ritualmente purificata perché ci si possa immergere una volta usciti e la città non ne venga contaminata. Il cadavere veniva poi esposto per un giorno nel vestibolo di casa, mentre i parenti si cospargevano di cenere e di polvere e intonavano lamenti. Il giorno successivo, prima dell'alba per non contaminare la luce del giorno, il corteo, sempre accompagnato dalle grida delle prefica, accompagnava il defunto alla sua ultima dimora. Nel cimitero il cadavere veniva bruciato o inumato in un sarcofago o deposto direttamente nella terra su un letto di foglie. Veniva sepolto con gli oggetti personali che potevano essere utili: vasi, vesti, armi. Riceveva offerte alimentari (libagioni d'acqua, di latte, di vino, olio, miele) versati in recipienti senza fondo di modo che possano pervenire più facilmente al morto. Si offrivano anche dolci, verdure, melograni. A volte si sacrificavano animali neri, bruciandoli per intero (perché i vivi non ne consumavano nessuna parte) Dopo la cerimonia, i parenti si purificavano e poi si riunivano in un banchetto funebre, al quale si pensava che il defunto prendesse parte.

Nota di Lunaria: avevo già parlato dei banchetti funebri; la celebre figura horror del vampiro, e il terrore dei vivi di dover assistere al ritorno dei morti "affamati", deriva appunto da lì, per approfondimenti vedi qui: https://intervistemetal.blogspot.com/2017/12/symphonic-black-metal-e-vampirismo-le.html

Secondo la credenza comune, le anime dei morti discendono agli inferi senza speranza di ritorno. Una volta superata la palude Stigia sulla barca di Caronte e varcate le porte di bronzo custodite da Cerbero, esse restano soggette ad Ade e alla sua sposa, Persefone. Qui conducevano un'esistenza vana e senza gioia, un pallido ricordo di quella terrena.
Per i Greci, vi erano delle grotte misteriose che comunicavano con gli Inferi; si venerava l'Ermes infernale che aveva il compito di accompagnare i morti; era lui che raccoglieva le offerte per i defunti. I defunti, da parte loro, dovevano dare a Caronte un obolo e una focaccia di miele per placare le fauci di Cerbero.
è evidente che gli antichi non avessero un'idea ben precisa dell'oltretomba (inclusi i primi ebrei; a sviluppare un'idea di aldilà sono stati soprattutto cristiani ed islamici. nota di Lunaria)
Comunque, i morti potevano rivelare ai vivi l'avvenire, tramite i sogni soprattutto. Ulisse nel canto XI dell'Odissea e la regina Atossa nei "Persiani" di Eschilo rievocano gli scomparsi per interpretarne le intenzioni.
Si pensava che i fanciulli rinascessero a contatto con la terra: i Tritopatori erano sia genii del Vento sia anime degli antenati: la nascita di un bambino era la reincarnazione di un antenato (idea che c'è anche in altre culture, dagli africani agli indios, Nota di Lunaria)
L'usanza di depositare cibo comunque si spiegava come la credenza che i morti potessero comunque manifestarsi e avessero delle proprie esigenze. Per il loro mantenimento dipendevano dai vivi; in cambio, i defunti potevano vegliare sulla loro progenie, favorivano la prosperità del suolo, difendevano la città in caso di guerra. Le steli servivano appunto ad esprimere in forma di serpenti la loro possenza, temibile e benefica a un tempo.
In sintesi, i greci non si preoccupavano molto delle contraddizioni relative all'oltretomba; si potrebbe però osservare che la religione domestica poneva l'accento sulla presenza dei morti accanto ai viventi, mentre l'Ade rappresentava una concezione più letteraria.

Infine, una breve citazione relativa agli Dei serpenti, che vigilavano sullo Stato come sulle dimore private. (Nota di Lunaria: i Rom avevano mantenuto la credenza del "serpente domestico", ovvero un serpente che dimorava nelle mura di casa) Atena alleva nel proprio tempio un serpente che Fidia ha raffigurato accoccolato vicino al suo scudo.




Allo Zeus Ktesios domestico corrisponde Zeus Meilikios, in forma di serpente. Divinità ctonia, egli viveva in una grotta dove gli si offrivano olocausti, in occasione delle Diasie. Stando al nome, in origine egli era un Dio delle espiazioni, il che conferiva alla sua festa un carattere lugubre; ma è diventato, come lo Zeus Ktesios, un dispensatore di ricchezze a volte raffigurato in forma umana con cornucopia in mano.















https://intervistemetal.blogspot.com/2018/12/nu-wa-e-il-serpente.html




Le rappresentazioni infere e malefiche degli Etruschi hanno anch'esse influenzato a livello iconografico la figura del Diavolo cristiano. Fra queste rappresentazioni va ricordato Vetis, come Dio infero; corrisponderebbe a Vedius o Veiovis, il Giove notturno folgoratore dei Romani. Secondo Grenier l'iscrizione Cvlalp del Fegato di Piacenza si sviluppa in due divinità, Culsu e Alpan. Culsu è una Erinni, rappresentata con fiaccola e spada in mano o con forbici destinate a recidere la vita. Alpan invece è uno dei numerosi geni femminili che, per alcuni studiosi, corrisponde alla Persefone greca. Velcanus, il Vulcano dei Romani, appare come un Dio sfavorevole che lancia la folgore. Mantus e Mania corrispondono alla coppia infernale Ade-Persefone rappresentati come Aite-Persipnei.



Nota di Lunaria: curiosamente nell'induismo la Dea Tara (Dea della notte) compare con le forbici, adorna di serpenti



Una componente fondamentale della religione etrusca è quella escatologica: sembra attestato che dal IV secolo a.C in poi si sia verificata una progressiva ellenizzazione con il sovrapporsi di antiche credenze, dei cicli mitologici greci, talvolta modificati notevolmente. Si delinea, nella sua complessità, la sorte dei defunti attesi da un mondo infernale; la morte stessa è rappresentata come un viaggio o una discesa ad infera dopo l'attraversamento di una porta che non consente ritorni.
Charun, Caronte, è figura mitologica demoniaca che differisce sostanzialmente da quella greca fino al punto che Petazzoni ipotizza una diversa rappresentazione originaria etrusca, con probabili connessioni con il dio mesopotamico Nergal. 
Charun è Dio o semidio che si presenta non nell'aldilà ma soltanto nel momento della morte nell'accompagnamento del defunto nell'Ade: colpisce l'uomo con un martello del quale è fornito, a rappresentare il momento violento del trapasso.




Nota di Lunaria: che fosse esistito un culto al Martello è attestato anche nei Celti. Riporto l'analisi tratta da



"Nell'altare quadrilatero di Magonza Diana Venatrix compare associato al Dio del Martello Sucellos, associato, in certi altari alla Dea Nantosuelta, portante una cornucopia in mano. Per curiosità: il martello era associato anche all'aldilà."

Con questa chiave di lettura non possiamo escludere che anche Sucellos sia stato (forse agli inizi) un Dio ctonio o
infero. Il martello poi è un attributo di Thor, Dio dei fulmini.

Charun, del quale troviamo una raffigurazione sulla parete della tomba degli Anina a Tarquinia, ha naso adunco e grande, la forma allungata e puntuta delle orecchie, i denti ringhianti, la pelle blu scuro, le ali, i serpenti sulla testa, in mano e al fianco la fiaccola, la clava, l'uncino.
Altro demone che lo accompagna è Tuchulcha, che conserva i tratti primitivi: becco e zampe da uccello predatore, ali e serpenti in pugno o nelle chiome.

Nota di Lunaria: esattamente come la Lilith sumera, alata e con zampe artigliate



Diverse figure demoniache etrusche accompagnano il morto o lo ricevono nell'oltretomba, e ne abbiamo alcune testimonianze nei diversi reperti: la furia Nathum in uno specchio del museo di Berlino; la Dea della morte Leithn nello specchio di Perugia; vari demoni rassomiglianti a tifoni, tritoni, scille:



La Dea Vanth, dalle grandi ali, severamente vestita, munita di chiave (come Ecate), rappresentazione del Fato ineluttabile:




Animale tipico della morte è il lupo: lo stesso re degli Inferi Etruschi, Ade, appare con il capo coperto dalla pelle di un lupo nella Tomba dell'Orco di Tarquinia.



Tracce di magia nera e di stregoneria le abbiamo in alcune Tabulae Defixionis etrusche.
Questa demonologia morturia appare confermata dalla credenza nelle turbe di spettri che invadevano i paesi e le città uscendo dalla fossa detta mundus che dagli Etruschi passò poi ai Romani. Il mundus era una fossa consacrata agli Dei inferi e ai defunti e costituiva una comunicazione fra i viventi e il regno dei morti. Appare chiaramente in alcuni reperti archeologici, per esempio nella serie di urne sepolcrali di Volterra e Perugia, sulle quali è raffigurato una specie di mostro teriomorfo che esce evocato da un guerriero.
Dal mundus ("luogo sotterraneo") uscivano gli Dei ipoctoni e malvagi e i manes, gli spettri dei defunti.


Aggiungo queste altre due Dee (le immagini non si riferiscono a loro)



Per curiosità, aggiungo anche gli "inferi ebraici"

INFERI EBRAICI

Non meno dell'angelologia erano sviluppate, ai tempi di Gesù, le credenze nell'oltretomba. Su questo argomento l'antico ebraismo - stando almeno ai documenti pervenuti fino a noi, si era mantenuto in una grande imprecisione di concetti, sebbene qua e là alcune affermazioni solitarie inducano a sospettare che il relativo patrimonio concettuale fosse in realtà più ricco di quanto risulti a noi; ad ogni modo i concetti fondamentali dell'oltretomba erano stati anticamente i seguenti. La dimora dei morti era chiamata Sheol, sempre femminile, immaginata quale immensa caverna posta nei sotterranei del cosmo. Ivi i trapassati, i Rephaim “spossati”, “assopiti”, vagavano come ombre su una terra di tenebre e di oscurità, terra di buio e di caligine (Giobbe, 10, 18-22),
sebbene altrove si parli di quelle ombre come tuttora animate da passioni umane (Isaia, 14, 9)
e suscettibili di entrare in comunicazione con i viventi per mezzo dell'evocazione necromantica (I Samuele, 28, 7).
Dalla Sheol nessuno, che vi sia disceso, può mai risalire (Giobbe, 7, 9-10; 10, 21; tuttavia c'è il celebre e disputato passo di 19, 23-27).
Nessuna sanzione morale di premio o di pena per gli abitatori della Sheol, quale conseguenza della condotta tenuta durante la vita terrena, è attestata in maniera ben chiara e con precisione inequivocabile nei documenti più antichi.
Questi concetti vaghi ed incerti si mantennero a lungo anche dopo l'esilio di Babilonia, e li ritroviamo espressi ancora a principio del secolo II a.C. da un dotto Scriba quale il Siracida (Ecclesiastico, testo greco, 17, 22-23 al. 27-28; 41, 4 al. 6-7); tuttavia già nell'esilio erano stati sparsi i germi di un nuovo fermento, che doveva man mano trasformare l'aspetto della questione richiedendone una soluzione più adeguata ai tempi nuovi. Nell'esilio Ezechiele (18, 3)
aveva asserito nel campo della morale il principio della retribuzione individuale, in contrapposto alla retribuzione collettivo-nazionale che aveva regolato l'antico ebraismo; e questo nuovo principio doveva necessariamente ripercuotersi anche nella questione dell'oltretomba. Un ignoto solitario di mente elettissima aveva agitato nell'intero libro di Giobbe la questione dei rapporti fra la bontà morale e la felicità terrena, ma era giunto ad una conclusione più negativa che positiva, perché riscontrando che fra i due termini non esiste sempre un collegamento infallibile aveva finito per rifugiarsi in un atto di fede nella somma giustizia di Dio. Tuttavia il fermento lavorava occultamente, e spingeva sempre più a congiungere la questione della retribuzione morale con quella dell'oltretomba, e a chiedersi se dopo la presente vita ottenebrata dall'ingiustizia non ne venisse un'altra illuminata dalla piena giustizia: in altre parole, dalla Sheol non si sarebbe un giorno usciti nuovamente attraverso una resurrezione che avrebbe riparato le ingiustizie presenti? Presso il giudaismo di Alessandria, ch'era in abituali relazioni con la platonizzante filosofia ellenistica, si fece a meno di ricorrere alla resurrezione dei morti: nella vita presente il corpo corruttibile era come una pesante catena imposta all'anima prigioniera (Sapienza, 9, 15),
e quindi con la morte l'anima del giusto era liberata dal suo carcere e tornava a Dio presso cui trovava il meritato premio. Ma per il giudaismo palestinese, ignaro di platonismo e invece abituato a vedere nel composto umano un quid unum, era necessaria una soluzione che corrispondesse compiutamente a siffatta visione unitaria dell'individuo umano, e che di questo investisse tanto l'anima quanto il corpo. Già nel passato si erano avute affermazioni della resurrezione dei morti, ma piuttosto d'indole poetica (Isaia, 26, 19) o simbolica (Ezechiele, 37, 1-14); in seguito essa è affermata nettamente (Daniele, 12, 1-3), e da parte dei Farisei si sosterrà in polemica contro i Sadducei che è utile pregare per i morti nella sicura attesa della loro resurrezione (II Maccabei, 12, 43-46)
Ai tempi di Gesù la fede nella resurrezione era generale nel giudaismo palestinese, con la sola eccezione dei Sadducei, ed è nettamente attestata sia presso vari apocrifi composti dal secolo I a.C. in poi, sia presso scritti rabbinici. Tuttavia nelle particolarità di questa fede esistevano divergenze: ad esempio, sembra che parecchi negassero la resurrezione degli empi, i quali invece sarebbero stati annientati. Negli stessi apocrifi troviamo divergenze anche più numerose quando passano a descrivere, con minuziosità interminabile, la topografia e l'apparato materiale dell'oltretomba, sia che trattino degli scompartimenti riservati ai giusti sia di quelli degli empi: ma, quasi in compenso, si assiste ad una vera fantasmagoria di labirintiche costruzioni innalzate dall'immaginativa di generazioni intere. Antichissimi concetti cosmologici sono confluiti in tali descrizioni, mentre poi molti loro elementi si trasmetteranno costantemente in seguito fino ad essere inclusi anche nella Divina Commedia.
Ma il giudaismo palestinese insegnava che prima dell'oltretomba dovevano accadere due grandi fatti: la venuta del Messia e il dramma dei tempi estremi. Spessissimo poi i due fatti, che per sé apparivano distinti, furono congiunti e mescolati insieme, ed offrirono inesauribile materia alla letteratura apocalittica che fiorì in pieno a quei tempi. Il grande Eletto in greco “unto”, ch'era stato promesso dagli antichi profeti come liberatore e glorificatore d'Israele, era atteso nei due secoli anteriori e in quello posteriore a Gesù in maniera ansiosissima. La sua venuta era messa in relazione con le condizioni in cui si trovava la nazione. Questo Messia avrebbe dovuto instaurare in Israele un'epoca di felicità, la quale sarebbe stata anche una giusta ricompensa per le tante umiliazioni fino allora sofferte; il Dio Jahvè, liberando per mezzo del Messia la sua prediletta nazione e facendola trionfare di tutti i suoi nemici, avrebbe procurato anche il suo proprio trionfo: il dominio d'Israele su tutte le nazioni pagane sarebbe stato anche il dominio del vero Dio su tutti i figli dell'uomo, il Regno di Dio sulla terra. Perciò tutti gli sguardi erano protesi verso quel grande Venturo: si speculava sul tempo della sua venuta, sul modo della sua azione, sulle sue gesta fra le nazioni pagane, e
anche sui rapporti che il regno messianico avrebbe avuto col mondo fisico odierno e con le leggi che lo governano. Ai tempi di Gesù si ritiene concordemente che il Messia discenderà dalla stirpe di David, come ha affermato l'antica tradizione; spesso lo si chiama “figlio d'uomo”, come è stato chiamato in Daniele, 7, 13.
Se quattro grandi regni si sono succeduti nel passato crollando tutti successivamente, il regno del Messia che sarà il quinto permarrà in eterno (Daniele, 2, 44); se nel passato quattro regnanti in forma di quattro grandi fiere sono sorti dal mare e un corno della quarta fiera (Antioco IV Epifane) ha fatto strage dei santi dell'Altissimo, tutte queste forze ostili a Dio saranno distrutte da Uno che è “come figlio d'uomo”, che riceve in cielo ogni potenza dall'”Antico dei giorni “, e scende poi sulla terra a stabilirvi vittoriosamente il suo regno imperituro in cui domineranno i santi dell'Altissimo, e riceveranno l'omaggio di tutti gli imperi (Daniele, 7, 13). Su questi fondamentali temi biblici ricamano i vari scritti apocrifi, intrecciandovi molti altri elementi.

Nota di Lunaria: anche gli arabi pre-islamici non credevano all'aldilà e lo deduciamo dal fatto che mettevano in dubbio la resurrezione dell'Ultimo Giorno; in compenso, la credenza islamica sul paradiso e sull'inferno è varia e colorita...