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I Romani appartenevano al ramo latino di quell'immigrazione di Italici, di stirpe indoeuropea, i quali, portando con sé la civiltà del bronzo, calarono, attraverso i passi delle Alpi nord-orientali nell'Italia popolata allora da genti neolitiche, alle quali si dà il nome di Liguri, Euganei, Elimi, indigeni di Sardegna, Corsica, Malta, Pantelleria.
Questi Italici (protolatini) erano incineratori. Bruciavano interamente il cadavere e ne deponevano le ceneri in un vaso di rozza ceramica coperto da una ciotola: tutti questi vasi erano riuniti, fuori dal villaggio, in una necropoli, sotto la cui palafitta sono stati trovati avanzi di offerte funerarie.
La creazione più originale dei Romani nel campo della teologia è senza dubbio quella che risale ai tempi vetusti di Divinità astratte, indeterminate come concetti ma ben circoscritte come azione; così, riferendoci ai diversi momenti della vita umana, Levana protegge la levata di terra del neonato dopo il parto, Cunina protegge l'infante nella cuna, Rumina (Rumilia) l'allattamento, Ossipàgina favorisce il consolidarsi delle ossa, Fabulinus i primi balbettii, Statilinus i primi passi.
Nelle varie operazioni dell'agricoltura, Sterculinius tutela la concimazione, Redarator l'aratura, Sarritor la sarchiatura, Nodutus la formazione dei nodi nel culmo dei cereali, Messor la mietitura.
E nella casa Càrdea (*) ha in cura i cardini delle porte, Fòrculus i battenti, Limentinus la soglia, Lateranus i mattoni del focolare, Arculus la madia mentre Deverra garantisce una buona spazzatura. Né va dimenticato Aio Locuzio che con la sua voce avvertì i Romani dell'avvicinarsi dei Galli; e Tutano Redicolo (**) protettore del felice ritorno, che in un momento critico per la città fece retrocedere Annibale.
(*) Vedi l'approfondimento di Robert Graves in "La Dea Bianca"
I Latini onoravano la Dea Bianca con il nome di Cardea. Ovidio nei "Fasti" ci racconta una storia confusa che la collega col vocabolo "cardo", "cardine", e dice che era l'amante di Giano Bifronte, il dio delle porte (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/giano-guardiano-delle-porte.html) del primo mese dell'anno e che sovrintendeva ai cardini delle porte. Proteggeva anche i bambini dalle streghe che, travestite da paurosi uccelli notturni, rapivano i neonati dalla culla per succhiarne il sangue. Sempre secondo Ovidio, Cardea esercitò il suo potere dapprima ad Alba ("la città bianca"), fondata da genti emigrate dal Peloponneso all'epoca della grande dispersione e fondatrice a sua volta di Roma, e il suo principale strumento profilattico era il biancospino. In realtà le cose stavano in modo esattamente opposto: Cardeo era Alfito, la Dea Bianca che uccideva i bambini dopo essersi travestita da uccello o animale, e il biancospino a lei sacro non doveva essere portato dentro casa se non si voleva che essa uccidesse i bambini che vi si trovavano. Giano, "il robusto guardiano della porta di quercia", teneva lontana Cardea con le sue streghe perché in realtà era il dio della quercia Diano che si incarnava nel re di Roma e in seguito nel flamen dialis, suo successore spirituale; sua moglie Giana era Diana (Dione), la Dea dei boschi e della Luna. Janus e Jana erano in realtà forme rustiche di Juppiter e Juno.
Come amante di Giano, Cardea ricevette l'incarico di tener lontana dalla porta quello spauracchio che lei stessa era stata in epoca matriarcale e che i Romani si propiziavano durante le nozze con torce di biancospino. Dice di lei Ovidio, citando probabilmente una formula religiosa: "Il suo potere di aprire ciò che è chiuso, di chiudere ciò che è aperto".
Ovidio identifica Cardea con la Dea Carnea/Carna (1) celebrata a Roma il primo giugno con una festa nel corso della quale le venivano offerti carne di maiale e fagioli. In epoca classica i fagioli venivano adoperati come magia omeopatica contro le streghe e gli spettri: durante la festa romana dei Lemuria ogni capofamiglia si gettava alle spalle fagioli neri per i Lemures, o fantasmi, dicendo: "Con questi, io affranco me e la mia famiglia".
(1) Nota: qui Graves confonde Cardea con Carna, la Dea del cuore e del fegato, a cui si offrivano farro, fave, lardo. Tuttavia non sembra esserci una connessione tra le due Dee, anche se molti autori soprattutto non italiani - le citano interscambiando i due nomi e per Ovidio sono la stessa Dea.
Il fiore del fagiolo è bianco e fiorisce nella stessa stagione del biancospino. I fagioli appartengono alla Dea Bianca di qui la connessione con il culto delle streghe in Scozia: in epoca primitiva solo alle Sacerdotesse era lecito piantarli o cucinarli. Secondo una tradizione degli abitanti di Feneo in Arcadia, la Dea Demetra, passando di là nel corso dei suoi vagabondaggi, aveva loro concesso di seminare ogni varietà di cereali e legumi, con la sola eccezione dei fagioli.
Il tabù orfico nasce forse dal fatto che il fagiolo, poichè cresce a spirale lungo il suo sostegno, è un simbolo della resurrezione: gli spiriti riuscivano a rinascere come esseri umani entrando nei fagioli (ne accenna Plinio) e venendo poi mangiati dalle donne.
Di solito Carnea viene identificata con la Dea romana Cranae, più propriamente Cranaea, "l'aspra, la petrosa", soprannome greco della Dea Artemide, la cui ostilità nei confronti dei bambini doveva essere costantemente placata. A Cranae era dedicato un tempio collinare nei pressi di Delfi, in cui l'ufficio sacerdotale era sempre rivestito da un fanciullo per un periodo di cinque anni; le era anche sacro un bosco di cipressi, il Cranaeum, appena fuori Corinto. Cranae significa "roccia" ed è collegato etimologicamente al gaelico "cairn" che indica un cumulo di sassi eretto sulla cima di un monte.
Io ne parlo come Dea Bianca perché il bianco è il suo colore, il colore della prima persona della sua Trinità
Lunare. Ma il lessico bizantino di Suida, quando dice che Io era una vacca che mutava colore dal bianco al rosso e quindi al nero, intende che la Luna Nuova è la Dea Bianca della Nascita e della Crescita, la Luna Piena la Dea Rossa dell'Amore e della Battaglia, la Luna Vecchia, la Dea Nera della Morte e della Divinazione.
Il più completo e ispirato ritratto della Dea di tutta la letteratura antica si trova nell'"Asino d'Oro" di Apuleio, dove essa appare a Lucio che l'ha invocata dal profondo della sua infelicità e del suo grande travaglio. Da questo brano si ricava che la Dea era forse stata onorata nella sua triplice veste di bianca germogliatrice, rossa mietitrice, e scura ventilatrice del grano.
(**) Il cui tempio era questo:
Anche nel calendario, tra le feste registrate a grossi caratteri come più antiche, molte si riferiscono a Divinità dello stesso genere: come Carmenta, Dea del carme divinatorio, Conso, protettore del grano riposto nel granaio, Fonto, Dio delle fonti (Nota: un'altra Dea delle fonti è Furrina), Giano, Dio delle porte e delle soglie, Opi dell'abbondanza, Portuno dei porti, Robigo invocato conto la ruggine del grano, Saturno protettore dei seminati, Tellure, Dea della Terra, Termino, tutore dei termini o pietre di confine.
Nota: uso che c'era anche in Mesopotamia. Vedi il Kudurru
"Le fonti principali per lo studio della religione babilonese sono state trovate su vasi, recipienti in pietra, metallo, stele, obelischi, tavolette metalliche, scritti su argilla che ci permettono di parlare di una vera e propria letteratura assira con vari generi (storico, epistolare, didattico, epico, lirico, documenti giuridici e astrologici; in particolare, per il genere giuridico ricordiamo il Codice di Hammurabi, mentre per quello astrologico importantissimi sono i kudurru, pietre di confine, con rappresentazioni astrologiche di Divinità protettrici del territorio e i relativi scongiuri)"
Oltre a questi Numi che proteggono alcune azioni o circostanze della vita, ce ne sono altri che presiedono a tutto il complesso di istituzioni o luogo, come quelli che vigilano l'andamento interno della casa (Dii Penates, da Penus = dispensa), che presiedono al focolare domestico (Vesta), quelli che proteggono ogni uomo (Genius) e ogni donna (Iuno) e tutelano i limiti della proprietà famigliare (Terminus) e i luoghi dove vivono gli aggruppamenti umani (Lares), che presiedono al misterioso fenomeno della germinazione del seme (Semònes); questo animismo si colorisce naturalisticamente nell'adorazione di alcune Divinità cosmiche: Tellure, Sole, Luna; nei culti dei fiumi, specialmente del Tevere, e delle fonti; degli alberi e di interi boschi consacrati a qualche divinità (*) e nell'uso di adornare alcuni alberi ed appendervi doni votivi (**). Il fico ruminale è l'attestato di questo culto, in Roma stessa (***). Né va dimenticato il culto agli animali, a cui taluni hanno voluto attribuire un'origine totemistica specialmente riguardo al lupo e al picchio che entrano in larga misura nel mito di Marte e nella leggenda della fondazione di Roma.
(*) Per approfondimenti, vedi il libro di Jacques Brosse
(**) Altra pratica che Jacques Brosse spiega a fondo. Vedi anche il culto ad Arianna e il significato erotico/fecondativo dell'altalena. (https://intervistemetal.blogspot.com/2019/01/dioniso-arianna-e-il-culto-del-vino.html)
(***) L'albero del fico, con le sue valenze nefaste e spermatiche, il picchio e il culto a Marte come primordiale Dio della vegetazione e solo successivamente come Dio della guerra è sempre stato trattato da Jacques Brosse in "Mitologia degli alberi" con dovizia di particolari. Rimando quindi alla lettura del suo libro per chi cercasse una fonte riguardo al primitivo culto a Marte.
Sopra questo mondo dall'impronta animistica sta quello degli Dei maggiori che vennero acquistando progressiva importanza insieme al progredire dello Stato. Tra essi, il più antico e quello a cui Ovidio non sapeva trovare un corrispondente nel pantheon ellenico è Giano (Ianus https://intervistemetal.blogspot.com/2019/02/giano-guardiano-delle-porte.html) che viene sempre invocato per primo nei sacrifici e nelle preghiere e a cui il Rex Sacrificulus sembra addetto in modo particolare; Giano è lo spirito della soglia, che presiede agli iani, passaggi delimitati da due pali attraversati in alto da un terzo, aperti sulle pubbliche vie e ad ogni porta, che egli apre e chiude favorendo così le andate e i ritorni. Per questo doppio aspetto protettore egli è detto Geminus e Bifrons; le porte del suo tempio del foro rimangono aperte in tempo di guerra per aspettare il ritorno dei cittadini partiti per il campo e si chiudono quando finite le operazioni militari, questi sono rientrati in città. Come Dio della porta egli presiede agli inizi delle cose: del giorno, del mese, dell'anno, e poi sotto l'influenza della speculazione astrologica anche del tempo e delle cose. Ovidio afferma che in suo onore si celebravano le Agonalia.
Per altri approfondimenti, vedi anche: https://intervistemetal.blogspot.com/2020/03/il-dio-della-proprieta-privata-termine.html https://intervistemetal.blogspot.com/2023/01/la-partecipazione-delle-donne-romane-ai.html
Giove (Iuppiter) è il Dio indoeuropeo de cielo (1) che si manifesta nella chiarezza dell'azzurro, nel fragore del fulmine (Iuppiter Fulgurator), nello scrosciare della pioggia; era venerato nei luoghi alti (2)
(1) Vedi il lungo approfondimento che ne fa Mircea Eliade in "Trattato di Storia delle Religioni"
(2) Esattamente come gli Dei sumeri-semiti del tuono e della tempesta.
Giunone (Iuno) dalla radice "Iun" con significato di "Vergine" e valore di forza o Numen protettore specifico della donna, patrona della vita sessuale della donna, Giunone è Lucina, cioè protettrice dei parti che aiuta e venire felicemente alla luce.
Per questa ragione essa è in relazione con le fasi lunari e le son sacre le calende di ogni mese; animale a Lei particolarmente legato è la capra (*) ed una festa caratteristica della Dea prendeva il nome di "Nonae Caprotinae".
(*) Una possibile origine semita? Anche Astarte/Asherah era legata alle capre https://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/il-caprone-1-i-veri-significati.html
http://intervistemetal.blogspot.com/2018/04/il-caprone-2-i-veri-significati.html
In Roma il suo culto era secondario, ma a Lanuvio aveva un luogo di primo ordine (Iuno Sospita Mater Regina) tanto che il Console Romano doveva recarvisi annualmente per il sacrificio.
In seguito, sul modello della coppia ellenica Zeus-Hera, Giunone è divenuta la paredra di Giove.
(Nota: appunto. Prima era una Dea "single" e quindi molto più indipendente; inoltre notate come la statua la rappresenti quasi fosse una guerriera)
NOTA BENE: AI PIEDI DI GIUNONE C'ERA IL SERPENTE.
Altro approfondimento
MINERVA
Minerva, il cui nome si ricollega con le parole latine "memini, mens, maneo", deve l'importanza del suo culto all'Athena Greca, sebbene sia difficile determinare da quale parte questo influsso, che è antichissimo, si sia fatto sentire. Minerva è la Dea degli artigiani, che presiede alle opere dell'ingegno e poi della poesia e delle arti belle. E accanto a Giove e a Giunone costituisce la triade il cui santuario non deve mancare sull'acropoli di nessuna città che voglia ritenersi fondata secondo le regole. Il culto di Minerva dopo il trionfo dell'ellenismo in Roma ebbe un'impronta tutta greca. Quanti vivevano delle arti dell'ingegno celebravano i suoi giorni festivi (Quinquatrus, grandi e piccole) che cadevano rispettivamente il quinto giorno dopo le idi di marzo e di giugno. Minerva oltre al vetusto sacello sul Celio aveva un antico e celebre santuario sull'Aventino.
VESTA
Vesta è una Divinità che richiama il culto del fuoco, il più caro, insieme a quello del cielo, alle genti indoeuropee; del fuoco benefico che irradia luce e calore, allontana dall'accappamento le bestie feroci, ammollisce i cibi, raddolcisce la vita umana, raduna attorno a sé i gruppi affini (focolare domestico).
In Roma quando i gruppi minori si riunirono per formare lo Stato cittadino, accanto ai singoli fuochi domestici si creò il focolare pubblico dello Stato che fu rappresentato appunto dal tempio di Vesta, nella valle del Foro, fuori dalla vecchia comunità palatina, che adorava sotto il nome di Caca la Dea del focolare della Roma quadrata. Il nome di Vesta deriva certamente dal greco Hestia e può essere venuto in Roma attraverso colonie greche dell'Italia Meridionale, per dare un nome nuovo al più ampio fuoco pubblico che risultava dalla riunione dei focolari dei singoli monti. Come Hestia in Grecia, così Vesta in Roma era vergine. Questa verginità era tuttavia associata a un senso di maternità morale (Vesta Mater) a vantaggio dello Stato.
APPROFONDIMENTO SU VESTA tratto da Chochod
Gli antichi Romani sembrano essere stati di carattere semplice e privi di immaginazione. Adoravano i loro Dei senza provare il bisogno di rappresentarseli con pitture o con statue. Per essi, gli Dei erano delle potenze invisibili (numina) che conveniva implorare quando se ne aveva bisogno. Niente morale, e ancor meno teodicea; quanto alla loro metafisica, essi l'avrebbero derivata dagli Etruschi, per i quali "L'Essere Irrilevato" era uscito da un uovo e aveva poi generato il Demiurgo costruttore dell'Universo.Una delle pratiche della magia divinatoria, di invenzione straniera, alle quali essi ricorsero molto presto, fu la idromanzia. Numa Pompilio se ne servì per scorgere, nell'acqua, le immagini degli Dei e apprendere da essi i misteri e i riti che doveva istituire. Numa Pompilio riconobbe la ragione d'essere delle istituzioni magiche, che egli costituì in pratiche religiose. Ma, spaventato da ciò che aveva appreso per mezzo dell'idromanzia, non lo rivelò. E il Senato romano fece bruciare i libri ai quali Numa aveva affidato il risultato delle sue ricerche. Il culto romano per la Divinità ha rivestito tutti i caratteri dell'operazione magica: bisognava sapere esattamente a quale Dio rivolgersi, cosa abbastanza delicata, dal momento che il pantheon romano finì per racchiudere più di trentamila Divinità. Identificato il Dio, lo si doveva poi chiamare con il nome adatto, sotto pena di non riuscire a farsi sentire. Successivamente, si doveva precisare esattissimamente che cosa si domandava e procedere ai riti senza omettere neppure una parola o un gesto, se no bisognava ricominciare da capo. In breve, il culto si riduceva ad un contratto e ad un'esperienza di laboratorio. Se i Romani hanno avuto, ad un dato momento della loro storia, un'intuizione monoteista, essa deve aver fatto loro concepire l'idea di un Dio creatore che ha tratto il mondo dalla sua propria sostanza. Secondo il parere degli occultisti contemporanei, Vesta sarebbe stata la principale Divinità della Roma primitiva: quella di Romolo.
Secondo Platone, Vesta personificava la Terra, considerata come la Madre degli Dei, dal momento che gli Dei erano stati degli uomini. Passava anche per essere il domicilio sacro degli Dei.
Nota: tra l'altro una Dea praticamente uguale a Vesta, chiamata Fuchi Kamui, era adorata anche dagli Ainu.
Mentre tutto il resto del mondo è in movimento, solo la Terra resta ferma. Il nome di Vesta, in latino, ha lo stesso significato di immobilità, o piuttosto di stabilità.
Il suo tempio, a Roma, era rotondo, e vi era tenuto acceso un fuoco eterno per ricordare che la terra è rotonda e che un fuoco interiore brucia perennemente nel suo centro. Ovidio lo dice espressamente. ("Vesta eadem est et terra, subest vigit ignis utrique, significant sedem terra focusque suam") Dal punto di vista esoterico, Vesta sarebbe stata la personificazione non solo della Terra, ma anche della materia. Ed il fuoco tenuto acceso nel suo tempio simbolizzava la Vita. Se l'interpretazione è giusta, il culto di Vesta appare come la manifestazione religiosa di un dogma magico secondo cui la vita procede dalla connessione di due forze: una, attiva, che proietta lo Spirito; l'altra, passiva, che assorbe: la Materia. Lo Spirito anima la Materia, ed è per una conseguenza di questa collaborazione che gli esseri vengono al mondo a svolgervi la loro missione. Il riposo della Terra va inteso come l'immobilità dello Yin della cosmologia cinese. Queste parole designano uno stato dinamico passivo e non la assenza di movimento. E, ancora, stabilità della Terra vuol dire che la Materia non cambia, e resta una. Questa, è magia.
La religione, interverrebbe in un culto insieme onorifico e simbolico reso alla Natura primordiale adorata come Madre. Per questo ruolo materno, la Terra, adorata sotto il nome di Vesta, sarebbe in fin dei conti la funzione materna cosmica: una astrazione che portò in tutta l'antichità greco-romana, i nomi di Rea, Cibele, Tellus, Ops, Cerere, Demetra... "Ogni rituale primitivo è, alle sue origini, magico", afferma S. Reinach. Il che significa nuovamente che la magia è anteriore alla religione. Noi abbiamo confutato questa opinione. Ed i culti resi a Demetra in Grecia, e a Vesta in Roma, dimostrano, come ha constatato Georges Foucart, che la religione, la magia e la "scienza rudimentale" sono nate nello stesso tempo, e che l'uomo le ha usate tutte insieme per mettere la mano sulla natura e trarne le risorse necessarie ai bisogni vitali. La magia si è sempre manifestata parallelamente alla religione; ma se ne è distinta cercando di agire sulle forze della natura, mentre la religione si orientava sulle personalità divine che ne dispongono in modo sovrano.
Nota: riporto anche questo interessante stralcio tratto da
"Trattato di Storia delle Religioni" di Mircea Eliade, libro che consiglio, perché è davvero illuminante!
Perché si tratta di riti, miti, forme divine, oggetti sacri e venerati, simboli, cosmologie, teologumeni, uomini consacrati, animali, piante, luoghi sacri, eccetera. E ogni categoria ha una morfologia propria, densa, ricca e lussureggiante. Ci troviamo così di fronte a un materiale documentario immenso ed eteroclito; un mito cosmogonico melanesiano o un sacrificio brahmanico hanno diritto alla nostra considerazione non meno che i testi mistici di santa Teresa o di Nichiren, un totem australiano, un rito primitivo d'iniziazione, il simbolismo del tempio di Barabudur, il costume cerimoniale e la danza di uno sciamano siberiano, le pietre sacre che incontriamo un po' dappertutto, le cerimonie agrarie, i miti e i riti della Magna Dea, l'instaurazione di un re arcaico o le superstizioni legate alle gemme, eccetera. Ogni documento può considerarsi una ierofania, nella misura in cui esprime a modo suo una modalità del sacro e un momento della sua storia, vale a dire un'esperienza del sacro fra le innumerevoli varietà esistenti. Ogni documento è prezioso per noi, grazie alla duplice rivelazione che compie: 1) rivela una MODALITA' DEL SACRO in quanto ierofania; 2) rivela, in quanto momento storico, una POSIZIONE DELL'UOMO rispetto al sacro. Ecco, per esempio, un testo vedico diretto al morto: ‘Striscia verso la terra, tua genitrice! Possa ella salvarti dal nulla!’ (1). Questo testo ci rivela la struttura della sacralità tellurica; la Terra è considerata come una madre, "Tellus Mater". Ma ci rivela contemporaneamente un certo momento nella storia delle religioni indiane: il momento in cui questa "Tellus Mater" era valorizzata- almeno da un certo gruppo di individui - come protettrice contro il nulla; valorizzazione che la riforma upanishadica e la predicazione del Buddha renderanno caduca. Per tornare al punto di partenza, ogni categoria di documenti (miti, riti, dèi, superstizioni, eccetera) ci riesce, tutto sommato, egualmente preziosa, se vogliamo arrivare a capire il fenomeno religioso. La comprensione si compie costantemente nella cornice della STORIA: per il semplice fatto di aver davanti ierofanie, siamo in presenza di documenti storici; il sacro si manifesta sempre in una certa situazione storica; le esperienze mistiche, anche quelle più personali e più trascendenti, subiscono l'influenza del momento storico. I profeti ebraici sono debitori agli avvenimenti storici che giustificavano e sostenevano il loro messaggio, e anche alla storia religiosa ebraica, che consentì loro di formulare certe
esperienze, eccetera. Come fenomeno storico - e non come esperienza personale - il nichilismo e l'ontologismo di certi mistici mahayanici non sarebbe stato possibile senza la speculazione upanishadica, senza l'evoluzione della lingua sanscrita, eccetera. Questo non significa affatto che qualsiasi ierofania e qualsiasi esperienza religiosa siano un momento unico, irripetibile, nell'economia dello spirito. Le grandi esperienze si somigliano, non soltanto nel contenuto, ma spesso anche nell'espressione. Rudolf Otto ha rivelato somiglianze impressionanti fra il lessico e le formule di Meister Eckardt e quelli di Sankara. Il fatto che una ierofania è sempre storica (vale a dire, che si produce sempre in situazioni determinate) non distrugge necessariamente la sua ecumenicità. Certe ierofanie hanno un destino locale; altre hanno, o acquistano, valenza universale. Gli Indiani, ad esempio, venerano un albero chiamato "Asvattha"; la manifestazione del sacro in questa specie vegetale è chiara soltanto per loro, perché soltanto essi vedono nell'"Asvattha" una IEROFANIA e non soltanto un ALBERO. Di conseguenza questa ierofania non è soltanto STORICA (come sono, del resto, tutte le ierofanie), è anche LOCALE. Gli Indiani tuttavia conoscono anche il simbolo di un Albero Cosmico ("Axis Mundi"), e questa ierofania mistico-simbolica è universale, perché gli Alberi Cosmici si trovano dappertutto nelle civiltà antiche. Occorre precisare che l'"Asvattha" è venerato in quanto incorpora la sacralità dell'Universo in continua rigenerazione; è venerato, cioè, perché incorpora, partecipa o simboleggia l'Universo rappresentato dagli Alberi Cosmici delle varie mitologie (confronta paragrafo 99). Ma, quantunque l'"Asvattha" si giustifichi con lo stesso simbolismo che compare anche nell'Albero Cosmico, la ierofania che transubstanzia una specie vegetale in un albero sacro è chiara soltanto per i membri della società indiana. Per citare un altro esempio - stavolta l'esempio di una ierofania superata dalla storia del popolo presso il quale si è prodotta - i Semiti, in un certo momento della loro storia, hanno adorato una coppia divina, il dio dell'uragano e della fecondità, Ba'al, e la Dea della fertilità (specialmente della fertilità agraria), Belit. I profeti ebraici consideravano sacrileghi questi culti. Dal loro punto di vista - quello di Semiti che, attraverso la riforma mosaica, avevano raggiunto un concetto più elevato, più puro e più completo della divinità la critica era pienamente giustificata. Tuttavia il culto paleosemitico di Ba'al e Belit era pur sempre, anch'esso, una ierofania: manifestava - fino all'esasperazione e alla mostruosità - la sacralità della vita organica, le forze elementari del sangue, della sessualità e della fecondità. Una simile rivelazione ha conservato il suo valore, se non per millenni, almeno per molti secoli. Questa ierofania cessò di venir valorizzata soltanto quando fu sostituita da un'altra ierofania che avvenuta entro l'esperienza religiosa di una "élite" - si affermava più perfetta e più consolante. La ‘forma divina’ di Jahvè ebbe il sopravvento sulla ‘forma divina’ di Ba'al; rivelava la sacralità in modo più integrale, santificava la vita senza scatenare le forze elementari concentrate nel culto di Ba'al, rivelava un'economia spirituale nella quale alla vita dell'uomo e al suo destino si conferivano nuovi valori; nello stesso tempo, favoriva un'esperienza religiosa più ricca, una comunione col divino insieme più ‘pura’ e più completa. Alla fine la ierofania jahvista trionfò; e, in quanto rappresentava una modalità universale del sacro, divenne, per la sua stessa natura, accessibile alle altre civiltà; attraverso il Cristianesimo, diventò un valore religioso mondiale. Ne consegue che certe ierofanie (riti, culti, forme divine, simboli, eccetera) sono o diventano in questo modo multivalenti o universali; ve ne sono poi altre che restano locali e ‘storiche’; inaccessibili per altre civiltà, caddero in disuso nel corso della storia di quella società, entro la quale si erano realizzate.
DIANA
Diana è un'altra divinità italica che si ricollega originariamente con la Luna e quindi con i fenomeni della gestazione. Per questo le gestanti si recavano sul suo tempio presso il lago di Nemi (Diana Nemorensis) a implorare un parto felice. Il suo culto, antichissimo, che preferiva i boschi, era diffuso anche presso altri popoli italici (Equi, Ernici...) e il santuario di Nemi diventava centrale per la lega latina.
In Roma essa aveva un famoso tempio sull'Aventino, palladio delle rivendicazioni plebee. Quando la sua figura si fuse con quella dell'Artemide greca, ne assunse anche le prerogative e venne quindi quasi sempre invocata in compagnia del fratello Apollo, trapiantato di peso dalla Grecia sul suolo latino.
DEE ROMANE DELLA MATERNITà O DEI CAMPI\VEGETAZIONE
Altre Dee protettrici della maternità sono:
Mater Matuta, veneratissima nel Lazio, in origine era una Dea della luce mattutina. Presiede alle funzioni della maternità e ha un'apposita festa (Matralia, 11 giugno) per celebrare questa sua prerogativa. A Satrico stava il suo celebre santuario.
Carmenta, di significato assai probabilmente lunare, protegge anch'essa la maternità; aveva un santuario sotto il Campidoglio, una porta intitolata dal suo nome, due feste (Carmentalia, 11 e 15 gennaio) e un flamine suo proprio.
Fortuna, Fors, è una Dea dell'abbondanza, che presiede alla fecondità della natura e della vita umana e al benessere dell'uomo. Fu adorata sotto vari aspetti, tra cui principale quello di "Fortuna del Popolo Romano". Il suo tempio famoso era a Preneste. La matrone avevano per Lei una venerazione particolare.
Ceres, Dea italica della fecondità dei campi, poi strettamente assimilata a Demetra tanto che i fratelli Arvali non la chiamavano più col suo nome originario, ma Dea Dia.
Pale o Palatua, protettrice dei Pascoli, Flora della fioritura,
Pomona della frutta, sono altre divinità care agli antichi Romani, di cui ciascuna ha un flamine e le prime due una festa propria: Parilia (21 aprile), Floralia (1° maggio).
Consus e Ops erano una coppia divina, che presiedeva alla vita dei campi. Conso (da "condere") presiede alla deposizione del grano nel granaio e, per estensione, agli animali che servono il lavoro dei campi. Ops (Opi) è la Dea buona dell'abbondanza del raccolto. Le loro feste (Consualia, 21 agosto e 15 dicembre; Opisconsivia, 25 agosto e 15 dicembre) si seguono a 4 giorni di distanza. Quando, per la penetrazione ellenica, Ops fu assimilata a Rea, salì di grado e fu accoppiata a Saturno.
Un'altra coppia divina era quella di Faunus e Fauna. Faunus (da "Faveo") era un'antichissima Divinità italica, poi fusasi con Pan, ed era il Dio che proteggeva la riproduzione del bestiame; talvolta dal fondo delle foreste faceva sentire voci risuonanti e fatidiche, perciò era detta "Fatuus"; sua paredra è Fauna, assimilata poi a Bona Dea.
Oltre a Faunus i Romani adoravano anche Silvanus, del tutto simile a Fauno, ma il suo dominio era ristretto alle foreste. Anche se benefico, si credeva che anch'egli parlasse con voce terribile.
Altre Dee, che vennero dimenticate, sono Acca Larentia (Dea del suolo, che racchiude e custodisce le sementi e le salme degli antenati), Furrina (festeggiata il 25 luglio, nelle Furrinalia), a cui era consacrato un intero bosco (Lucus Furrinae), Carna nella cui festa popolare (Carnaria, 1°giugno) si offriva una polenta di pesce e di lardo; Diva Angerona, tutelare di Roma (Divalia, 21 dicembre)
BONA DEA
Bona Dea, epiteto di una divinità della terra affine a Demetra e come questa onorata con un culto segreto di sole donne che si riunivano in dicembre con l'intervento delle vestali nella casa di un magistrato (console o pretore) e vi sacrificavano un porco "pro populo".
Poiché l'aspetto di questo culto è greco, come il suo nome ("Damium", il sacrificio, "Damia" la Dea, "Damiatrix" la Sacerdotessa) se ne deduce che essa sia stata introdotta in Roma dopo la conquista della Magna Grecia e vi abbia assorbito un analogo culto più antico, quello a Fauna (vedi nota più sotto)
VENERE\VENUS
Venus è un'antica Dea italica della vegetazione primaverile che aveva santuario presso Ardea, ma il suo nome secondo Varrone non figurava negli antichi monumenti dell'epoca regia.
Fu adorata in Roma come Dea della fecondazione e dell'amore in genere; la sua assimilazione con Afrodite ha fatto la fortuna del suo mito, soprattutto quando l'epopea lo collegò alle origini della gente Giulia.
Infine, non mi vengono in mente molti artwork dedicati all'impero romano... comunque, ho in mente loro, con una copertina alquanto evocativa
anche se può essere che storicamente non sia proprio accurata nei particolari precisi :P
Però è comunque bella!